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Io, te e le patatine - La banalità del superuomo
Io, te e le patatine - La banalità del superuomo
Io, te e le patatine - La banalità del superuomo
Ebook156 pages2 hours

Io, te e le patatine - La banalità del superuomo

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About this ebook

Accompagnate dall’allegro scrocchiare delle patatine, le considerazioni di una coppia normale sugli uomini e le donne che, in questo mondo omologato, si credono esseri straordinari.
Un semplice aperitivo casalingo, una manciata di patatine sgranocchiate in attesa che sia pronta la cena ed ecco che mi ritrovo a parlare con mio marito di noi e degli altri, di cosa accada là fuori; di come tanti uomini e tante donne si lascino vivere, in balia degli eventi, delle mode, imbeccati dai media, attanagliati da una costante ansia da prestazione. C’è chi non si rassegna al passare degli anni, chi trova sempre l’occasione per sciorinare una cultura vuota e un finto impegno politico-sociale, coloro che in preda, a uno sfrenato shopping compulsivo, si assicurano l’oggetto più alla moda.
Eppure è in questo tendere alla grandiosità fine a se stessa, alla perfezione, al successo che si cerca la propria realizzazione. L’importante è che si venga visti e ci si inventa quel non so che capace di fare la differenza perché è così che ci vogliono: particolari, bizzarri, divertenti, alternativi a ogni costo. Legittimati a spiare la vita altrui attraverso i social network, ci si rifugia in quella realtà parallela per sentirsi meno soli ed emergere da un logorante anonimato.
Sono dunque questi uomini e queste donne a impersonare la nuova “banalità del male”, proprio per il loro non essere appassionati, brillanti, profondi, per l’assoluta normalità, per la stupida, inammissibile ingenuità di alcuni, il perbenismo e l’ipocrisia di altri. Nell’inconsapevole omologazione alla massa dalla quale sono convinti di prendere le distanze, essi si credono superuomini e donne straordinarie, eccezionalmente capaci, liberi da ogni convenzione, già abbastanza così come sono.
Di certo non darò vita a un nuovo Processo di Norimberga, nessuna atrocità eichmanniana a loro carico. Tuttavia, un’analisi scanzonata e semiseria di questa faccenda mi auguro possa risvegliare qualche coscienza sopita.
LanguageItaliano
Release dateOct 8, 2018
ISBN9788829528561
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    Book preview

    Io, te e le patatine - La banalità del superuomo - Graziella Cocilova

    Cover

    Introduzione

    Il libro che andrete a leggere nasce dal tentativo di fermare pensieri e riflessioni che si trovano spesso a vagare sopra la mia testa e quella di mio marito, una coppia sempre piena di idee, a cui piace viaggiare, amanti della buona tavola e nemici della noia e delle cose che sta bene siano fatte.

    La sera, dopo il lavoro, talvolta ci ritroviamo, io, lui e... le patatine, al tavolo della cucina per un aperitivo casalingo, in attesa che sia pronta la cena.

    Ed ecco svelato il titolo dell’opera.

    Vi chiederete che senso abbia proseguire nella lettura.

    In realtà, il senso di questo libro è celato nel sottotitolo, forse fin troppo ambizioso per il suo altisonante richiamo letterario, tant’è che ora qualcuno forse starà pensando: Aveva l’aria di un libricino leggero, una commediola romantica o qualcosa di comico, invece...

    Ma avanti, non abbiate paura!

    Mi spiegherò meglio, ripartendo proprio dalle patatine.

    Una patatina, un sorso di vino, una patatina e si parla del più e del meno, com’è andata oggi al lavoro, domani è già giovedì, che faremo nel fine settimana, poi, inevitabilmente, il discorso cade sugli uomini e sulle donne, sui loro atteggiamenti, sul loro interagire, sui loro comportamenti.

    Ed ecco il non casuale riferimento letterario del sottotitolo: sono questi uomini e queste donne a impersonare la banalità del male, proprio per il loro non essere appassionati, brillanti, profondi, impegnati, nella loro assoluta normalità, per la stupida, inammissibile ingenuità di alcuni e per il perbenismo e l’ipocrisia di altri. È per l’inconsapevole omologazione alla massa che costituiscono il nuovo male, sia pur all’apparenza non preoccupante, banale appunto. Eppure ciascuno di essi, a suo modo, si crede una persona socialmente affermata, invidiabile per ciò che ostenta, degna di ammirazione. Superuomini e donne straordinarie, incredibilmente capaci, liberi da ogni convenzione, che si sentono perfetti così come sono. Banali individui invece, che si atteggiano e coprono con una maschera di cartapesta dorata la loro piccola e fragile personalità e ingannano, senza rendersi conto, se stessi.

    Per lo più soddisfatti, così calati nei loro ruoli e immersi nella realtà preconfezionata di un eterno, inconsapevole presente, non si fanno domande e non cercano risposte, non si fermano mai, né volgono lo sguardo indietro. Sono come la società li vuole e all’ordine superiore di questa, a capo chino, ubbidiscono.

    Di certo non darò vita a un nuovo processo di Norimberga, nessuna atrocità eichmanniana a loro carico, e lungi da me voler gettare su di essi semplice sarcasmo, ritenendomi superiore e migliore.

    Tuttavia, un’analisi scanzonata e semiseria di questa faccenda, con considerazioni e racconti verosimili, scritti ora al maschile ora al femminile per una più completa visione d’insieme, mi auguro possa comunque risvegliare qualche coscienza sopita e chissà che magari, in fondo al tunnel, non si scorgano luminose vie d’uscita.

    Ovviamente ogni riferimento a fatti o persone è puramente casuale.

    1

    Intorno ai venticinque anni, pieno di energia e convinto di poter almeno contribuire a cambiare il mondo, decido di entrare a far parte di un’associazione culturale.

    Non conoscendo gli iscritti, inserirsi non è cosa facile. Pur trattandosi di un circolo niente affatto esclusivo, gli iniziati sembrano darsi una grande importanza, ma io, deciso a raggiungere il mio obiettivo, dopo un duro lavoro da galoppino al seguito di qualche socio, riesco a entrare.

    Ora c’è da conquistare la fiducia del branco! Chissà poi perché tanta diffidenza.

    I seguaci hanno tutti all’incirca la mia età, fatta eccezione per un paio di vecchi saggi di una decina di anni più grandi, eppure alla prima riunione a cui partecipo l’accoglienza nei miei confronti è piuttosto tiepida. A vederli dal di fuori sembravano così simpatici, aperti, ben disposti alle novità. Una volta all’interno, invece, è diverso e si respira un pesante clima da caserma.

    In fondo è pur vero che alcune associazioni, perfino certe Onlus, dovrebbero chiamarsi più propriamente sette: o si sta con loro o si sta contro di loro, e spesso, pur stando con loro, c’è sempre chi sta più con loro.

    Passano le settimane e io mi presento puntuale ed entusiasta alla riunione del lunedì, a dire il vero un giorno poco adatto per uscire, vista la faticosa settimana lavorativa che si ha davanti, ma cosa non si è disposti a fare pur di cambiare il mondo!

    L’assemblea ha luogo in un seminterrato, in una stanza tappezzata di locandine di vecchi film e poster di nostalgiche rassegne teatrali, gli angoli del soffitto anneriti dalla muffa. L’inizio è fissato per le ventidue, decisamente tardi, e mi chiedo dove gli altri lavorino, e se lavorino.

    L’attesa è lunga e prima delle dieci e mezzo non si vede nessuno. Poi, man mano che arrivano, si siedono quasi tutti attorno a un tavolo su cui campeggiano diverse bottiglie di vino, mentre altri restano in piedi, affaccendati in non so bene quali attività.

    Si inizia a parlare del sanguinoso conflitto del Jammu e Kashmir, sconosciuto ai più perché il sistema ci fa sapere soltanto quello che vuol farci sapere, quindi si passa alla politica, all’economia e alla pagina culturale. Sembra di ascoltare un telegiornale, mancherebbero solo le ultime notizie sullo sport, ma su quello si sorvola: non siamo mica al bar!

    Dopo un’ora di confronto, in mezzo alla nebbia delle sigarette che ci siamo fumati, intravedo parecchi volti paonazzi: sono senza dubbio ubriachi, ma mantengono un’aria profondamente seria nonostante ora si stia discutendo di un argomento allegro e giocoso come l’organizzazione della Festa degli alberi.

    Colpa dell’alcool, chi lo sa, decido di buttarla sul ridere, in modo da rendere più brillante la fase creativa, uscendomene con una battuta spiritosa. Non l’avessi mai fatto! Tutti mi lanciano occhiate di fuoco, neanche fosse apparso il demonio in persona davanti alla Santa Inquisizione. Devo averli in un qualche modo turbati, anche se è strano, visto che talvolta li ho sentiti fare battute molto più stupide della mia. Ah, già. Non erano con tutta la compagnia, alla riunione del lunedì sera. Li avevo beccati lontano da quella cappa che chiamano cultura e impegno, mentre, assieme a degli amici, si rilassavano come soldati in licenza.

    Se fino a quel momento ero stato preso poco in considerazione, figuriamoci adesso. E dunque, sbronzo e senza più nulla da perdere, inizio a cazzeggiare.

    Noto nei miei confronti una sdegnosa superiorità, soprattutto da parte degli uomini, che appaiono addirittura imbarazzati per la mia esuberanza. Timido e furtivo, invece, il sorriso di qualche ragazza, che viene prontamente richiamata all’ordine.

    A fine serata riprende la discussione sulla politica, sull’etica e sulle disuguaglianze sociali. Quanto inutile, infinito discutere a vuoto, che confronto ingessato! Ci si crogiola nel nozionismo, e i fatti? La Festa degli alberi e, chissà, il teatrino con le marionette: ecco il loro essere propositivi e innovativi, vicini alla drammatica realtà di cui tanto parlano.

    Provo a prendere parte a quel simposio, che anche nell’Antica Grecia prevedeva litri e litri di vino, ma mi rendo conto di biascicare le parole e lasciare molte frasi a metà. Certo, non è elegante affrontare una discussione in simili condizioni, però perfino Platone, a un certo punto, probabilmente barcollando, la smetteva e se ne tornava a casa.

    Loro invece non si arrendono e i grandi capi propongono di concludere l’incontro in un locale della zona. Intanto io persevero nel mio cazzeggio sperando che, una volta usciti da quella stanza, i tetri umori della compagnia si distendano. Ho voglia di divertirmi.

    Poco dopo, in un buio wine bar, in piedi davanti al bancone, mentre il mio equilibrio inizia a farsi precario, li sento dar vita all’ennesimo dibattito: «L’avete visto l’ultimo film di Tarantino?»

    C’è chi annuisce ma tace, evidentemente non l’ha visto ma non può ammettere di essersi perso l’ultima fatica del genio sanguinario della settima arte.

    «Mah, io l’ho visto…» risponde poi uno. «Niente di che.»

    «Certo, Tarantino è pur sempre Tarantino», fa un altro.

    Mi viene allora in mente Il ragazzo di campagna, la scena in cui, seduti di fronte alla ferrovia, ognuno dice la propria sul treno che passa a Borgo Tre Case e alla fine il personaggio interpretato da Pozzetto conclude: E beh, insomma, il treno è sempre il treno, con l’aria di chi la sa lunga e non vuole entrare in discussioni inutili e scontate, quando in realtà l’unico treno che ha visto in vita sua è quello che passa per Borgo Tre Case.

    «Io l’ho preferito in Pulp Fiction

    Bello sforzo! Chi non conosce questo titolo?

    Da dietro, intanto, con tono scanzonato, interviene un altro: «Io invece preferisco la sorella di Tarantino!»

    Sarà per il mio sorrisetto compiaciuto per via della battuta, fatto sta che il sapientino, interdetto e quasi offeso, esce dal locale a fumarsi una sigaretta. Poco dopo io lo seguo con la scusa di prendere una boccata d’aria.

    Nel frattempo quello che non ha visto l’ultimo film di Tarantino è corso alla sua auto, poi si è avvicinato al fumatore con alcuni DVD in mano, con molta probabilità presi in un videonoleggio superstite. Tutti film di nicchia, per veri intenditori, di cui si parlava così bene in quel mensile per cineamatori, di nicchia anch’esso, naturalmente.

    Uno è un film che racconta la vita dei popoli Inuit e delle foche dagli anelli, parla del grande freddo e del lungo inverno; un altro è il film sloveno dell’anno; poi, immancabile, un film turco, in lingua originale con sottotitoli, della durata di circa tre ore e mezzo.

    A questo punto tra i due ricomincia il dibattito da cineforum all’aperto.

    «Caspita! Dove li hai trovati?»

    «Ah, i film stranieri! La nuova frontiera del cinema è proprio la Slovenia, lo sai?»

    «E come no! Il governo sloveno infatti ha triplicato proprio quest’anno i fondi destinati all’industria cinematografica.»

    «Lo so, lo so», lo sguardo perso nel vuoto e la bocca semiaperta. «Sapevi che Dustin Hoffman ha fatto la sua prima comparsa proprio in un film di produzione slovena?»

    «Dai!»

    Di sicuro non è vero. Ma se lo fosse?

    Mentre rincasa è facile che il noleggiatore di DVD venga assalito da atroci dubbi: quello che ha visto l’ultimo film di Tarantino, avrà visto anche questi? E così, dopo due ore di dibattito sul grande cinema mondiale, una volta a casa metterà su uno di quei misteriosi DVD. Una mattonata tremenda! Ma si costringerà a seguirlo dall’inizio alla fine perché il saputello deve avere almeno quindici anni più di lui e chissà quante ne ha viste, sentite e fatte. In realtà potrebbe non aver mai oltrepassato il raggio di trenta chilometri dal suo paesino di duemila anime, ma, dato che viene considerato dagli altri membri dell’associazione il profeta vivente del cinema, un guru, il pivello, imbambolato, continuerà a fissare lo schermo invece di andarsene in giro con i suoi coetanei, i quali magari non conosceranno nulla di Tarantino o di Inuit, ma per lo meno si sanno divertire.

    È a questo punto della serata che credo di capire perché le riunioni dell’associazione si svolgano di lunedì a un’ora così tarda. Con molta

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