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La tua ombra su di me (Floreale)
La tua ombra su di me (Floreale)
La tua ombra su di me (Floreale)
Ebook185 pages2 hours

La tua ombra su di me (Floreale)

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About this ebook

Una giovane donna perde tragicamente la sua unica figlia nata dall’amore col marito, a cui è legata sin dai tempi del liceo. Il drammatico evento le distrugge la vita e l’equilibrio emotivo schiantandola così ai limiti della depressione e costringendola a rinchiudersi nel proprio dolore. La pressante presenza di una vicina di casa rappresenta quasi l’unica eccezione alla sua quotidiana solitudine fino al momento in cui si iscrive a un corso di porcellana. Questa nuova attività la porterà a fare nuove conoscenze e durante queste ore, in cui può esprimere tutta la sua creatività, troverà il coraggio di approfondire una simpatia con il suo insegnante di corso. Ma, come un angelo custode, qualcuno sembra vegliare su di lei, e, come un boomerang, le sofferenze provocate torneranno indietro, così come l’amore donato. Nonostante le devastanti scoperte, per Marta è in serbo qualcosa di più grande e meraviglioso.
LanguageItaliano
PublisherPubMe
Release dateOct 10, 2018
ISBN9788833661537
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    La tua ombra su di me (Floreale) - Anna Leone

    Pennac

    1.

    Il vuoto

    Tanto vuoto difficile da colmare.

    Le giornate vacue, i ricordi deboli, le azioni minime. Stand by, moviola di un corpo che si muove al rallentatore, che nasconde un’anima ferita e annullata dal dolore.

    2.

    Un grido nel silenzio. Silenzio fra le urla. Sono sorda nel buio. Nel mio Alcatraz di vetro, rinchiusa senza pietà. È bello constatare come puoi rimanere a crepare, a friggere nel tuo olio bollente senza destare la minima commozione. Nulla si muove, solo quando è il loro momento, allora sì, altrimenti: solo il vuoto del silenzio.

    Dov’è l’alchimista? Dove le formule magiche? Qui passano gli anni e tutto si consuma ed io sono la prima. Mi sento smaterializzata ogni giorno di più. E ogni giorno è un fardello più pesante e penoso sulle mie provate spalle.

    Don’t get disappointed, if you don’t like it! C’est la vie! È parte di questo sporco gioco a cui non ho mai voluto giocare. Ma forse non volendo ho cominciato io stessa, con le mie stesse tremanti mani. Maledetto il giorno, maledetto il mese, maledetta mia miseria. Miserrima nell’atrocità del quotidiano.

    Dovremmo concentrarci sui punti di forza piuttosto che sulle debolezze. Il senso d’oppressione è forte e le responsabilità già prese quasi senza volerlo, pesano. E chi se lo sarebbe aspettato? Questa volta i cerchi si sono chiusi tutti, la strada è a senso unico, non si torna indietro. Non ci sono più i ritorni, i nuovi inizi, come prima. La ruota si è fermata e mi ha catapultata in un’avventura dove tutto mi è estraneo e incerto. Sto perdendo il contatto con la realtà, con me stessa. Che fine farò, dove andrò?

    Non mi rintraccio più. Sono persa mentre perdo tutto ciò che mi appartiene dal più profondo fino all’effimero banale frivolo esteriore. Che guaio!

    È un labirinto di specchi che non mi raffigurano più e mi distraggo così dalla mia mèta.

    3.

    Primavera

    È giunto il momento di prendere in mano la situazione, di riaverla in pugno, anche se è già tardi e sono stanca. È tutta una questione di priorità.

    Mi piacerebbe tanto riprendere il pieno possesso di me, della mia identità, dei miei ricordi, a cominciare dalla mia scrittura. Come può essere sia cambiata così tanto?

    Vorrei poter raccogliere tutti i piccoli frammenti per formare un mio mosaico come base per la mia stabilità, ma mancano i pezzi e gli occhi per cercarli. E le penne giuste per poter continuare a scrivere come una volta.

    Devo assumere nuovamente il controllo su di me, su ciò che mi appartiene, ciò a cui aspiro e ambisco, ciò di cui sono fatta, i miei sogni e desideri, le mete da raggiungere, tornare al controllo della scrittura come presa di coscienza e contatto con il mio io più profondo e sensibile e pertanto più bisognoso di rispetto, cure e attenzioni.

    In questo immenso caos e stravolgimento di tutto: dalle prospettive, ai luoghi fisici, alle credenziali, alle proprie idee più salde, alla fede, rischio di perdere il contatto con la realtà, con la mia realtà. Da dove vengo, come sono giunta qui, chi sono e come voglio essere.

    Durante tutto questo affannoso percorso, una sorta di lotta per la sopravvivenza, troppo poco spesso mi sono potuta fermare, soffermare ad interpretare, a cercare di analizzare, di capire cosa in fondo rimaneva ancora di me nell’immediato presente.

    È stato un enorme susseguirsi di violenze atte ad annullare una personalità e il suo credo, a cercare di deviare ai suoi bisogni più intrinsechi così come anche quelli materiali e fisiologici.

    E si va avanti, diventando sempre più ciechi e sordi, fino a rinnegare se stessi. La morte dell’interiorità.

    Dell’io che non (si) può più parlare perché tutto e tutti lo mettono a tacere nel frastuono della quotidianità. L’effetto alienante e annullante della metropoli mi attacca di nuovo, e mi è servito del tempo per capirlo fino in fondo o forse solo semplicemente per poterlo accettare come dato di fatto. Il passo più difficile credo sia, accanto alla dura lotta contro i mostri del passato e del presente, contro le difficoltà e amarezze che punteggiano questa mia esistenza come le stelle nel cielo d’estate, anche il momento di presa di coscienza attiva e di distacco dalla mielosa trappola della malinconia, del tuffo nel passato dei ricordi dolci e malinconici che strugge e mi spinge indietro invece che aiutarmi ad andare avanti. Dallo sradicamento fisico alle diverse e ripetute perdite avvenute e definitive, alle dimenticanze, si giunge all’attimo in cui si rischia di perdere se stessi.

    Io l’ho vissuto, non so se ne sono uscita - o come ne sia uscita.

    Almeno ritorno nelle mie congetture, forse così posso riprendere atto del mio essere esistente e pensante e che sente e prova sentimenti e situazioni mentali.

    Forse che questo sia un inizio di un timone che afferro finalmente della barca della mia vita verso nuovi orizzonti di sole (più) nuovi e migliori!

    Le parole si rincorrono e avvolgono, si accartocciano e ingarbugliano tra di loro creando percorsi di pensiero nuovi e tortuosi.

    È un bisbiglio interno che gorgheggia sulla pagina e si autocrea e gestisce da sé, vittima della scrittura (mano) indisciplinata, della posizione sociale, dell’ora, della lunga assenza, della ormai persa abitudine.

    Quel libro mi ha riaperto il mio mondo. Sembra incredibile! Pur trattandosi di temi e stili totalmente diversi, quando ho iniziato a leggerlo mi è parso di ritornare a me stessa, di raggiungere quello da cui senza volerlo/saperlo mi ero da tempo allontanata. Mi ha spinto nel passato ma con la prospettiva del futuro, del progresso, della consapevolezza, anche se un po’ inquieta perché un po’ inattesa.

    Rivedo infatti la finestra piena di luce che mi apre le mie prospettive pur essendo rinchiusa nel buio della notte fonda. Anche la luce può essere uno stato mentale: di chiarezza e lucidità che cambiano i punti di vista e le realtà vissute.

    La mia collega Daniela mi ha regalato un libro con tanto entusiasmo, lei l’ha letto già più volte e assieme a questo, anche tanti altri sempre della Yoshimoto. Ho sentito spessissimo parlare di lei e del suo immenso successo soprattutto nel nostro paese. Così mi accingo ora incuriosita a scoprire questo mondo a me del tutto nuovo.

    "Non c’è posto al mondo che ami più della cucina. Non importa dove si trova, com’è fatta: purché sia una cucina, un posto dove si fa da mangiare, io sto bene. Se possibile le preferisco funzionali e vissute. Magari con tantissimi strofinacci asciutti e puliti e le piastrelle bianche che scintillano.

    Anche le cucine incredibilmente sporche mi piacciono da morire."

    In un certo senso, sono d’accordo con lei. Quante ore spendo ogni giorno in questa parte della casa? È spesso come il regno di noi donne. Passano dei ricordi lenti davanti ai miei occhi e non posso più continuare a leggere. Per quanto mi avesse ispirato simpatia e interesse questo bel libro dall’aspetto leggero e morbido, devo abbandonarlo per un attimo.

    Il vissuto è pesante, molto pesante. Non è mai stato facile, questo non posso dimenticarlo, ma è un’onda, una curva che sale e scende a fasi alterne.

    La mente galoppa, ma è importante poterle dare una giusta via da seguire, fornirsi delle chiavi giuste per aprire il proprio pensiero e quotidiano e leggerlo nel modo più proficuo.

    Alla fine tutto si riduce al nulla. Basta un furto per perder quel minimo contatto con il sé, ed è stato difficile riagganciarsi a questo dialogo. Molto doloroso.

    L’instabilità è la parola chiave del mio essere, e ora che persino i muri, quando mi ci appoggio, si afflosciano come fossero di torrone morbido, capisco più che mai che piuttosto che cercare di rafforzare e irrigidire il muro, forse sarebbe meglio cercare di imparare o approfittare di questa inaspettata flessibilità. Il colore, infatti, è bianco.

    Salto da un muro ad un altro e mi trovo con una scimmietta affettuosa che mi abbraccia ed è proprio come quella di peluche che hai nella tua stanza, solo che è viva e con le braccia lunghissime che mi avvolgono in un caldo abbraccio, come un bambino… come il tuo abbraccio che non c’è più.

    Le omonimie creano anche spesso giochi di impressioni, immagini e situazioni inaspettate. Ma è meglio non speculare ulteriormente su quest’evenienza, mi è scomoda.

    E poi rifletto, ricordo, rimugino, cerco di prendere la gigante gomma nel mio cuore per cancellare a fondo tanti pensieri, tante tracce, reali e nascosti, tanti punti di contatto, ormai svaniti, tante emozioni e pochi risultati.

    Il perdono non può nascere dal nulla, né dall’ingoiare, chiudere gli occhi e andare avanti, ma questo è un discorso vecchio, no?

    Purtroppo chi non ha potuto o non l’ha voluto ben capire si è rinchiuso nel proprio ego e allontanato dalla propria realtà. Il tutto in un irruento turbinio di pensieri, parole e presunte incapacità celate dietro falsi titoli e maschere di metallo pesante e freddo.

    "Wenn es nicht mehr geht, geht es nicht mehr."

    Pare sempre di girare come in una giostra pedante. Ti ci siedi per un attimo, non hai fatto il biglietto perché è ferma, vuota, spenta. E nel momento in cui abbassi lo sguardo, prendi la borsa e frughi con le mani nel suo interno tra le varie cianfrusaglie più o meno utili, in cerca di un fazzoletto, una penna, un appiglio per sciogliere, asciugare e distruggere le tue lacrime, la tua seggiola comincia a vacillare, si muove, si gira, si parte con la giostra.

    Sembra non voglia fermarsi più... inutile gridare: non c’è nessuno. L’unica possibilità è sopportare, finché l’energia motrice non si esaurirà, sopportando le vertigini, lo stomaco che si ribella, la testa che ruota e flagella. Oppure saltare. Sì, prendere un po’ così le misure, come il gatto, che in effetti non credo sappia contare, stringere la borsa in una mano, il bordo della gonna nell’altra, riempire i polmoni di un po’ di ossigeno, chiudere gli occhi e saltare.

    Un salto dalla velocità, nel buio, nel vuoto e nel possibile scontro con il suolo. Pietruzze nelle gambe, nei palmi delle mani, ferite qua e là, ma forse un po’ di libertà in tasca.

    La giostra si ferma. Non so se di colpo o sfumando perché troppo occupata a levarmi le pietruzze dalle mani. Penso al gatto che si lecca le ferite e mi domando quale sia la cosa migliore da fare, in questo momento. Un briciolo di stordimento, l’attrito reale e solido con l’asfalto, la gonna stropicciata, le mani e gli occhi gonfi. Un grido di autocommiserazione mi si strozza in gola fino a quando non alzo gli occhi per trovare una mano che si avvicina. Mi fa rialzare. Sono in piedi.

    Pensavo: Andando di questo passo non ne farò molta di strada e poi mi ricordavo che conta più la meta della velocità. La mia meta qual è? L’ho dimenticata nell’affanno, nell’apnea, nel grigiore o forse nell’eccesso di luce che mi ha abbagliato o nel vigoroso trionfo dei colori?

    Momento un po’ così che spero quindi di lasciare qui e di potermene liberare in fretta perché mi corrode!

    Tanta dipendenza e frustrazione, mani e piedi sempre legati, sempre più stretti, pressioni da direzioni opposte che mi schiacciano e mi spingono a vertigine nell’abisso dei miei stessi fantasmi cannibali!

    Quanta fatica.

    Quante lacrime.

    Quanta tristezza.

    Perché?

    Serve capire il perché?

    O piuttosto rendersi franchi e autonomi…?!

    Mahhh.

    Solo domande nel vuoto

    Ma avevo smesso i panni della vittima, o no?

    Che cavolo succede?

    Dov’è la VITA?

    Mi sono stancata, non ce la faccio più. Conduco un’esistenza da mentecatta… ed è questo tutto ciò che mi merito?

    Sono vittima di tutto, dei miei stessi pensieri e sogni.

    Voglio solo sperare che tutto ciò finisca presto.

    Ma come può finite tutto? Forse devo smetterla io.

    Forse.

    Non so niente.

    Dove sono le mie rivalse?

    Adesso gli anni sono tanti e mi pesano tanto.

    Troppe privazioni.

    Senza amor di sé e di niente, forse.

    Forse forse, tutto è sempre più uno squallido forse e un’amara incertezza.

    Basta!!

    Non ne posso più.

    Veramente.

    Tutto è diventato troppo - la misura è stata colmata.

    Troppe contingenze, coincidenze del cavolo che ti rendono tutto un infernale tentativo invano, nel vuoto, appunto!

    Tutto infatti continua terribilmente a girare intorno al vuoto. Questo fottutissimo buco che divora tutto, ogni forma di vita ed entusiasmo, ogni slancio. (Non ci sono sorprese, feste, belle notizie per me, NO, solo doveri, rimproveri e critiche.)

    E tutto è sempre fatto per il peggio e gli sforzi non sono mai abbastanza.

    E il carattere da modificare, e il look, e l’atteggiamento, e il mio essere che svanisce sempre più, ogni giorno che passa, che si annienta, svuotato dalla quotidianità così crudele e difficile da sopportare.

    4.

    Un giorno come un altro, mesi dopo... autunno

    Si avvicinava pian piano l’inverno o forse un autunno un po’ smascherato. La sera scendeva rapida calando sui miei occhi un po’ annebbiati. Tra il ronzio delle macchine, il rumore della città, il frastuono dei miei pensieri e piani che si accavallavano, il fumo penetrante, le ombre danzanti e quasi indistinguibili. Lo cercavo tra alcune figure indistinte e poi, voilà:

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