The show
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About this ebook
[...] Gli parve strano in un primo momento ma, a pensarci bene, l’idea di prendere per il collo la sua vita e darle finalmente una direzione con lo slancio di un’iniziativa, senza starsene sempre ad aspettare, scosse per un attimo il suo amor proprio. Ma era realmente in grado di farlo?
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Book preview
The show - Luca Francioso
Narrativa
Dello stesso autore:
La retta è un cerchio che non si chiude mai
A un passo
The show
Un ingannevole dubbio
Uomini di confine
12 birre
Il sasso nell’acqua
Luca Francioso è un artista poliedrico: suona la chitarra acustica, compone e insegna musica, scrive romanzi, racconti e poesie, disegna e si occupa di grafica e web design. Ha una prolifica produzione artistica e un’intensa attività concertistica, in Italia e all’estero.
Luca Francioso
THE SHOW
Romanzo
fingerpicking.net
Sebbene l’ambientazione e i personaggi di questa storia siano liberamente ispirati a luoghi reali e persone realmente esistite, tutti gli accadimenti narrati nel libro sono frutto di fantasia e non sono riconducibili alla vita di nessuno, né dell’autore né di nessun’altra persona, in nessun modo.
Luca Francioso
www.lucafrancioso.com
© 2018 Fingerpicking.net
www.fingerpicking.net
I edizione dicembre 2005
II edizione novembre 2018
ISBN eBook: 978-88-99405-86-1
Codice: FNAR003E
Tutti i diritti riservati
Foto di copertina: Alessandro Da Tos
Artwork: Luca Francioso
La gente è il più grande spettacolo del mondo. E non si paga il biglietto.
Charles Bukowski
Storie di ordinaria follia
1
Si accucciò spaventato sul volante. Il sibilo della brusca frenata gli fischiava ancora nelle orecchie. Alzò timidamente lo sguardo per assicurarsi di non aver tamponato la macchina davanti e vide la sua un po’ storta, dietro la coda che aspettava il verde. Scosso dall’adrenalina, si lasciò cadere sullo schienale e provò a calmarsi. Diede un’occhiata allo specchietto retrovisore. Nessuno, per fortuna. Sbuffò.
«Ma dove sono con la testa?», disse continuando a guardare il riflesso dentro lo specchio. Per poco non si ammazzava.
Non ci volle molto, però, perché Francesco ricadesse fra le acque in cui stava annaspando prima del mancato incidente. Il flusso dei pensieri lo travolse nuovamente e non riuscì a evitarlo, né a trovare appigli. Era come se un mare agitato lo stesse trascinando al largo, senza che lui avesse la forza di nuotare verso riva.
Dal semaforo arrivò il verde e lui non si mosse. I clacson delle macchine, che gli si erano accodate nel frattempo, cominciarono un coro frenetico, destandolo bruscamente. Francesco schiacciò con forza l’acceleratore e sgommò sull’asfalto, come i suoi pensieri sulla sua fronte sudata.
«Via, via, via!», sbottò nervoso.
La tarda serata era piuttosto fredda e neanche l’aria calda degli aeratori pareva confortarlo. Uno strano sonno disturbava la sua veglia inquieta, un sonno dal difficile risveglio e dal subdolo richiamo.
Guardò l’orologio sul display del cruscotto e si rese conto che stava vagando per le strade da più di un’ora.
Il dolore ti fa proprio perdere la cognizione del tempo
, pensò. Solo la morte è la fine di tutto.
Fermò la macchina in un vicolo buio, dove la pioggia sembrava essere caduta più intensa. Scese un po’ impacciato, con le gambe indurite e la schiena indolenzita. Si tirò su i pantaloni larghi in vita con uno strattone e chiuse la portiera.
A testa bassa, arrivò davanti a un pub, ci entrò e ordinò una birra. Aspettò al banco con le mani sulla faccia, strofinandosi gli occhi arrossati.
«La media bionda», urlò il barman.
Francesco non ringraziò, non disse niente. Si scolò di getto mezzo bicchiere, veloce che quasi si bagnò la maglietta. Gli venne da ruttare, ma si trattenne. Poi, nella confusione del pub si sentì:
«Affoghiamo i dispiaceri?».
Si voltò lentamente verso la voce, tenendo il bicchiere ancorato al banco, e riuscì a stento a dare un’identità alla sagoma scura che aveva alle spalle, nella penombra del locale.
«Oh, ciao Elia», disse non appena lo riconobbe. Accennò un saluto con la mano e poi aggiunse, ironico:
«Non ci riesco, sono grandi nuotatori».
Elia sorrise, ma non capì.
«Chi?».
Francesco schiaffeggiò l’aria.
«Non importa».
Elia era un suo vecchio compagno di scuola, uno di quelli che se non fosse che li vedi tutti i giorni non faresti fatica a dimenticare. I loro incontri erano frequenti, specie negli ultimi tempi, da quando stranamente il caso si divertiva a mettere a disagio Francesco, che si sarebbe volentieri risparmiato molte delle loro conversazioni, tutte uguali e sostanzialmente vuote. Gli chiese con poca convinzione:
«Bevi qualcosa?».
«No, grazie. Sto aspettando Anna».
Meglio così.
«E dove andate di bello?».
«Andiamo fuori città, credo a una festa. Non ho capito bene».
Sorrise e aggiunse:
«Ogni tanto se ne esce con un’amica di vecchia data che non vede da secoli e le priorità improvvisamente cambiano. E così sono costretto ogni volta a seguirla a queste rimpatriate imbarazzanti, perché se non ci andiamo l’amica chissà cosa pensa e bla bla bla. Capito, no?».
«Yesss».
Francesco gli fece segno che non era il caso di continuare. Aveva una vaga idea di quello che intendeva, Anna la conosceva bene. I suoi genitori erano stati ottimi amici dei suoi zii e ogni tanto se l’era vista spuntare per casa con il bla bla bla
della sua frenetica parlantina, i suoi capelli lisci e lunghi e gli occhi chiari, di cui si ricordò anche di essersene invaghito una volta, ma ormai erano passati decenni.
Poi, fra l’altro, dopo una serie di litigi vari, le due famiglie non si erano rivolte più la parola e tuttora non si salutavano nemmeno quando per sbaglio si incontravano per strada.
«Chissà che bella festa», disse con sarcasmo.
Elia diede un colpo di naso, abbozzando una risata.
«Sì, lasciamo stare!», esclamò e poi, avvicinandosi alle orecchie di Francesco, continuò col dire: «Ma non farti sentire. Anna potrebbe arrivare da un momento all’altro e non voglio litigare».
Francesco indicò intorno a sé.
«Capirai, con tutto questo casino!».
Il locale era un covo di vocii e musica fastidiosi che costringevano i due a parlare con tono alto e sempre uguale. Anche per questo Francesco provò lentamente ad allontanarsi dalla conversazione, quella sorta di scambio-di-urla, con parole accennate e qualche gesto pigro. Ma c’era dell’altro. Il fatto era che sentiva ancora presente quel senso di angoscia e di assenza che lo avevano stordito in macchina, e non voleva dare legna al fuoco dell’inutilità di chiacchiere banali, che alla lunga lo sfinivano.
Tuttavia, esisteva un argomento a cui Francesco non riusciva a sottrarsi ogni volta in un discorso, anzi due: i suoi zii e la condizione di merda in cui vagava da tempo. Se a dare importanza al primo c’era una sorta di riconoscenza affettiva nei confronti degli zii, visto che si erano sostituiti con semplicità ma in modo degno ai suoi genitori morti che lui non aveva neppure quattro anni, per il secondo argomento si trattava di puro masochismo. Francesco ci sguazzava nel dolore. Sentiva una sorta di nobiltà nel nuotare nel mare nero della tristezza e della malinconia, forse per quella sua indole artistica che spinge molte persone a cercare, nell’ansia della sofferenza, ispirazione e fiducia. Tant’è che appena dopo la domanda di Elia: «Come stanno i tuoi zii?», lui se ne creò automaticamente una seconda, come ogni volta. Era come se sentisse i due argomenti uniti, come fossero uno la conseguenza dell’altro.
«Gli zii stanno bene, anche se Zio Thomas è ancora immerso nelle scartoffie del suo avvocato per quella storia della fognatura».
«Che storia?».
Quando poi aveva la possibilità di parlare