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Nessuno come una madre
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Ebook128 pages1 hour

Nessuno come una madre

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About this ebook

L'autrice, tra il serio e il faceto, ripercorre i momenti salienti della sua maternità. Una sorta di Vademecum per quelle donne che si apprestano a diventare mamme e un incoraggiamento per coloro che lo sono già. Essere madre non è semplice ma è la missione più bella ed entusiasmante, anche se più difficile al mondo.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateOct 31, 2018
ISBN9788827854433
Nessuno come una madre

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    Nessuno come una madre - Santi Sfragano

    Indice

    PREFAZIONE

    CAPITOLO 1

    CAPITOLO 2

    CAPITOLO 3

    CAPITOLO 4

    CAPITOLO 5

    CAPITOLO 6

    EPILOGO

    NESSUNO COME UNA MADRE

    Santi Sfragano

    Youcanprint Self-Publishing

    Titolo | Nessuno come una madre

    Autore | Santi Sfragano

    In copertina | Madre con bambino, litografia, Campeggi Silvano (Firenze 1963).

    ISBN | 9788827854433

    Prima edizione digitale: 2018

    © Tutti i diritti riservati all’Autore

    Youcanprint Self-Publishing

    Via Marco Biagi 6, 73100 Lecce

    www.youcanprint.it

    info@youcanprint.it

    Questo eBook non potrà formare oggetto di scambio, commercio, prestito e rivendita e non potrà essere in alcun modo diffuso senza il previo consenso scritto dell’autore.

    Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata costituisce violazione dei diritti dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla legge 633/1941.

    Non è un caso che noi uomini siamo attratti dalla pancia scoperta di una donna: mentre quella di un uomo ci ricorda solo il cibo, quella di una donna ci fa sentire la presenza di uno spazio vitale, dell’antidoto alla morte. La pancia di un uomo è una pancia, la pancia di una donna è un grembo, dove la vita può essere tessuta, dove l’amore si fa storia.

    Alessandro D’Avenia

    LA MADRE

    Vi è un nome soave in tutte le

    lingue, venerato fra tutte le genti.

    Il primo a che suona sul labbro

    del bambino con lo svegliarsi

    della coscienza. L’ultimo che mormora

    il giovinetto in faccia alla morte;

    un nome che l’uomo maturo e il vecchio

    invocano ancora, con tenerezza

    di fanciulli, nelle ore solenni della vita,

    anche molti anni dopo che non è più

    sulla terra chi lo portava; un nome

    che pare abbia in sé una virtù misteriosa

    di ricondurre al bene. Di consolare e

    di proteggere. Un nome con cui si dice

    quanto c’è di più dolce. Di più forte.

    di più sacro all’anima umana.

    La madre.

    Edmondo De Amicis

    PREFAZIONE

    Esiste un micro mondo su questo nostro pianeta dove a nessuno è permesso di poter interferire. È un mondo personale e unico per ognuno, nel quale un essere umano nasce, si sviluppa e cresce. Un ambiente dove ogni bambino dovrebbe essere accolto e amato in maniera incondizionata. È l’utero materno che ha il compito di ospitare la vita e l’amore. Un legame importantissimo quello che si instaura tra una madre e un figlio. Il più delle volte funziona così, altre invece, per vari motivi, questo rapporto viene troncato sul nascere. Reciso, in diverse occasioni, con una violenza disumana. Un bambino abortito o partorito e poi gettato nell’immondizia come fosse scarto di cibo andato a male, come fosse patata bollente di cui disfarsi, crea un vuoto enorme nel cuore della mamma del bambino non nato. Tutt’oggi vige molta ignoranza e disinformazione su quelli che possono essere gli effetti devastanti di un aborto, e purtroppo, diverse donne giungono a questa drastica conclusione per mancanza di supporto psicologico e anche economico. Dietro una donna che abortisce c’è una profonda solitudine e un’enorme paura di non farcela. Perciò lungi da me condannare queste povere donne che, il più delle volte, sono vittime di un sistema mal funzionante.

    Ma non è di ciò che voglio parlarvi in questo volume. Qui l’attenzione è concentrata su quella regola che viene confermata dall’eccezione. Una regola senza regole. Tutta istinto e amore. Una scuola, un istituto, un ateneo dell’amore. Poiché all’interno di questo delicatissimo rapporto, quasi come all’interno di una sorta di Bocconi di Milano, Normale di Pisa o Sorbona di Parigi, il piccolo apprende, impara e mette in pratica. Possiamo dire: si specializza. O meglio ancora acquista un’identità. In questa singolare scuola, però, non si dispensano solo nozioni di grammatica, matematica, storia, scienze e quant’altro. A quello ci penseranno gli insegnanti che hanno acquisito un master per svolgere questo compito. In codesta dimensione materna l’indirizzo di studi principale è quello che insegna ad amare e ad amarsi. Un’infanzia tassellata di affetto e sobria premura, da parte di una madre nei confronti di un figlio, può influire enormemente per un ottimo sviluppo psicologico ed emotivo del bambino.

    La figura costante di una madre, pronta a fare delle rinunce se necessarie e generosa nell’elargire carezze e affetto al proprio figlio, renderà questi, un giorno, una persona serena, senza complessi d’inferiorità e con una buona autostima. Mentre un figlio, al quale vengono a mancare suddette premure, potrebbe andare incontro a delle carenze affettive che potrebbero determinare il suo carattere in maniera negativa. Non parlo con delle competenze da specialista nel settore. Non sono né una psicoanalista, né una pedagogista. Sono semplicemente una madre che ha appreso e fatto pratica alla scuola dell’amore materno. Una scuola aperta a tutte le ore e a tutte le incombenze. Arredata non da banchi verdi e lavagne di ardesia bensì da notti in bianco e cumuli di pazienza. Tappezzata non da cartine geografiche e abbecedari ma da immense gioie e grandi disperazioni, di dolcezze inspiegabili e stanchezze inaudite. Un istituto dove non ci sono nessun preside al quale potersi rivolgere affinché il tuo alunno possa essere richiamato e nessuna bidella che si occupi della sistemazione dell’aula (o casa). È un indirizzo di studi che all’occorrenza si trasforma in infermeria, trattoria, sartoria, lavanderia, parco giochi, doposcuola e coccoleria. L’insegnante è una ignorante matricolata, non ha alcun diploma o attestato e non ha nemmeno superato alcun esame propedeutico prima di gettarsi in questa avventura. Deve arrangiarsi con tutto l’istinto che la natura le ha messo in corpo. A volte si centra il bersaglio, altre volte no. Abbiate pazienza, una mamma non può anche incarnare il personaggio di Guglielmo Tell, anche se ci riesce bene metterci nei panni di Robin Hood: ci priviamo di diverse cose pur di darne altre ai figli. Ecco, l’importante non è fare centro o meno, ma di quanto amore sia carico il lancio della freccia. Se si sbaglia con amore l’errore può risultare più mitigato e più facilmente riparabile. O almeno così si spera! La preghiera che si recita ogni benedetta mattina in questa scuola non è Nel nome del Padre… piuttosto Nel nome dell’amore, che poi è quel Padre, quel Figlio e quello Santo Spirito. So che esistono scuole dove questa preghiera è bandita per varie questioni che non sto qui a elencare. Ma la mia è una scuola di vecchio stampo, radicata nelle tradizioni, e qui si recita ancora con una certa enfasi e una certa fede. Ed è grazie a questo grido accorato che spesso io, come donna e come madre, ho attinto forza e dimestichezza per poter svolgere al meglio il mio ruolo. Che non è quello d’insegnante di ruolo ma quello di ruolo di madre. Si è sempre detto che la mamma sia la regina della casa, e sarà pure vero. Ma non c’è nulla di più vero nelle parole di Michel de Montaigne che recitano: Governare una famiglia è poco meno difficile che governare un regno. Sì, difficile lo è realmente, ma sicuramente non impossibile. È così che in questo libello ho deciso di raccontarvi uno squarcio di ciò che è avvenuto nell’intestino di questo mio piccolo regno. Un regno senza dame e cavalieri ma dove si snoda, senza dubbio, la più ancestrale storia d’amore. Quella tra una madre e un figlio. Perché molti dicono di amare, ma nessuno come una madre!

    CAPITOLO 1

    Era un venerdì d’estate, la temperatura si presentava torrida e ondate di calore fluttuavano nell’aria. Lo stesso calore mi pervadeva dentro. Non era una giornata comune, ma la vigilia di un giorno che avrebbe segnato per sempre il mio percorso di vita e cambiato i miei punti di vista. Cinque luglio, giovedì, vigilia di venerdì sei, e da lì a poco sarebbe accaduto qualcosa di unico, di meraviglioso per me e mio marito. Sì certo, anche per mio marito, però ero io che portavo da trentotto settimane un fagiolino in grembo che cresceva giorno dopo giorno. Ero io che avevo incominciato a fare i conti con il cambiamento lento e progressivo del corpo. Ero io che avevo sofferto le nausee, gli sbalzi d’umore, che mi alzavo tre volte durante la notte perché il peso del pancione sulla vescica mi stimolava la diuresi. Ero io che, proprio in quegli ultimi giorni di calura estiva, avevo caviglie e piedi gonfi alla stregua di un elefante. Ed ero sempre io che, quel giorno di luglio, uscii da casa come se stessi andando a un incontro, sì l’incontro più importante della mia esistenza. Indossavo dei leggings che contenevano il mio pancione e anche la mia felicità. Quella stessa felicità la si poteva scorgere anche nei colori variopinti della blusa di viscosa che indossavo.

    Mi ero incipriata il naso, due pennellate di fard, un tratto di matita agli occhi e per finire l’immancabile rossetto. Non esco mai di casa senza, e anche quel giorno non me sono privata. Il giorno prima avevo anche fatto un salto dalla parrucchiera. A una vicina, che incrociai sul pianerottolo della scala, la quale mi domandò: «Come siamo belle stamattina, vai a un matrimonio?» risposi sorridendo: «Non proprio. Vado in ospedale a mettere al mondo mio figlio!». Al che la donna, con piglio preoccupato mi domandò: «Ti si sono rotte le acque?». La tranquillizzai rispondendole: «Stia serena, tutto sotto controllo, questi sono i vantaggi di partorire con il taglio cesareo!».

    Io e mio marito lasciammo la donna sul pianerottolo con un sorriso velato di felicità, ansia e sana paura, le stesse sensazioni che ti assalgono il giorno che vai a confermare il tuo sì sull’altare. Forse la vicina aveva proprio ragione, si stava per celebrare un matrimonio, non quello tra un marito e una moglie, ma quello tra una madre e un figlio. Stavo per assistere, ma soprattutto farne parte, alla

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