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Detective Gronco
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Ebook80 pages1 hour

Detective Gronco

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Fare l’investigatore a Roma negli anni Duemila può essere avvilente, specie per un mezzorco di scarsa reputazione che abita al Casilino. Questo pensa Bud Gronco, mentre cerca di mettere insieme il pranzo con la cena, tirando avanti ad affari di corna. Ma tutto sembra cambiare quando un ambiguo agente di spettacolo viene a proporgli di stanare L’Ammazzapunte, il noto serial killer che, con le sue gesta, monopolizza i notiziari e terrorizza le comunità elfiche e vampiresche della Capitale. Sembra proprio pane per i suoi denti, così Bud Gronco decide di riprendere in mano vita e carriera e mostrare a tutti di cosa è capace il detective più dritto sulla piazza.
In questo racconto intriso di umorismo e privo di ogni riguardo, lo vedremo alle prese con elfi, gnomi, vampiri, scarafaggi giganti e altre brutture, ma anche con la raccolta differenziata, i mezzi pubblici, l’emergenza abitativa e i talk show.
LanguageItaliano
PublisherNero Press
Release dateNov 4, 2018
ISBN9788885497283
Detective Gronco

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    Detective Gronco - Emanuele Corsi

    Insania

    Detective Gronco

    di Emanuele Corsi

    Immagine di copertina: a partire da un'illustrazione di Emanuele Corsi

    Elaborazione grafica: Laura Platamone

    Editing: Laura Platamone

    Produzione digitale: Daniele Picciuti

    ISBN: 9788885497283

    Nero Press Edizioni

    http://neropress.it

    © Associazione Culturale Nero Cafè

    Edizione digitale novembre 2018

    Emanuele Corsi

    Detective Gronco

    Indice

    L’ultimo della lista

    Master in pedinamento

    La nemesi

    L’Ex

    Strozzapreti ai porcini

    La resa dei conti

    L'autore

    L’ultimo della lista

    «C’è questo tipo, che va in giro ad ammazzare vampiri».

    «Ah» faccio io.

    «E anche elfi. L’avrà letto sui giornali».

    «Non mi sta dicendo niente di nuovo» e invece sì, perché ho passato l’ultima settimana a bere e farmi canne in salotto. Cioè, sulla poltrona dell’ufficio che fa da salotto. Vicino alla pozza di vomito che fa da posacenere.

    Lui stringe le ginocchia come se dovesse fare la pipì. O come se avesse una paura fottuta. L’effetto, mentre si contorce in questa giacca chiassosa dalle spalle gigantesche che lo fa sembrare il gemello rachitico di Frankenstein, è una vera bellezza.

    «Lo chiamano Sdrumendranghendrung. Significa…».

    «Lo so cosa significa, per chi mi ha preso?»

    E invece no, ma spero che si tradisca. Sgrana gli occhi.

    «Oh, mi perdoni. Sa, è strano, l’ha dovuto tradurre un’equipe di accademici. È un neologismo orchesco scritto con i caratteri elfici ma recitato nel dialetto degli Gnomi delle Fogne, con l’intonazione vampiresca dopo un’indigestione».

    Cazzo, penso.

    «Di sangue?»

    «No, di abbacchio».

    Il vampiro elfo tira su col naso in maniera sospetta, probabilmente è pure tossico. Io odio i tossici. E mi sa pure di frocio. Tutti gli elfi sono frocetti. E io odio i frocetti.

    «È che ho un amico all’Università…» sparo, ma il tossico ha già cambiato discorso.

    «Insomma, questo Sdrumendranghendrung, come potrà immaginare, ha portato un po’ di scompiglio nella comunità».

    Quale comunità? Dei vampiri, degli elfi o dei frocetti? Probabilmente tutte e tre. Probabilmente coincidono. Sono un tipo all’antica, lo so.

    «La faccia breve, signor Belpistillo» ’zzo di nome «vuole una guardia del corpo?»

    Lui sembra imbarazzato, la punta delle orecchie diventa rosso fiamma. Tutti uguali, cazzo. E indossano abiti da mille euri.

    «Ecco, a dire il vero, no».

    Alzo la tendina a fiori e sbircio fuori dalla finestra: c’è un’energumena che aspetta in piedi, a braccia incrociate, vicino a un Maggiolino bianco, di quelli nuovi. Il tizio si è già attrezzato sul fronte gorilla, anche se mi chiedo come riesca a stipare una così in quel macinino.

    «Vede, con tutto il rispetto, lei è un bravo investigatore…» gli rifilo un’occhiataccia «un eccellente investigatore, voglio dire, ma gira la voce che sia un po’ rischioso starle accanto».

    Ma checcojoni, ancora la storia degli gnometti finiti sotto al Caterpillar. È proprio vero che la gente ti ricorda solo per le minchiate. Grugnisco e sento le zanne che mi fanno capoccella dal labbro inferiore. Belpistillo trema. Io aspetto.

    «La vogliamo ingaggiare per togliere di mezzo l’assassino, signor Gronco» prima che possa prendere fiato per mandarlo a cagare, mi sventola una busta sotto al naso «ecco l’anticipo. E a fine lavoro ne avrà il doppio».

    Apro la busta come se dentro ci fosse un topo morto. Invece ci sono sette, anzi otto carte verdi. So che esistono, anni fa ne ho pure maneggiata qualcuna, ma vedermele lì sotto il naso in multipla copia fa un certo effetto. L’espressione disgustata di prima mi rimane incollata in faccia, da consumato attore quale ogni buon detective deve essere. Fingo di pensarci su, ma so già che accetterò: è un anno e mezzo che vado avanti a storie di corna, scorte armate a nani magnaccia e comparsate nei film in costume di serie zeta. Il compenso più alto? Duecento euri per accompagnare una ballerina di lap-dance in un locale per mezzorchi nei bassifondi del Casilino.

    «Vabbe’» dico, rigirandomi la busta per le mani come se non capissi da che parte prenderla. Lui esibisce di nuovo quel sorrisino da frocetto, poi indietreggia verso la porta. Io pianto una manata sulla scrivania – e quando do una manata io si sente – e lui smette di sorridere, si ferma e piagnucola: «Qualcosa non va, signor Gronco?»

    «Niente, Belpistillo. Mi chiedevo come mai lei e la sua comunità di…» non trovo parole che non siano offensive: frocetti, elfi, vampiri «… la sua comunità, dico, siate venuti da me. Se girano voci così negative su Bud Gronco».

    «Oh» appoggia la mano sulla maniglia della porta d’ingresso «nessuno dubita delle sue capacità, signore. Solo…» esita, cambia piede d’appoggio due o tre volte.

    Non trova le parole, povero cocco.

    Poi cede: «Tutti gli altri hanno rifiutato» quindi infila l’uscita, balbetta una specie di saluto e se ne va, mostrandomi la suola lucida delle sue scarpette a punta da duecento euri l’una.

    «Ma quanto era lunga la lista?» gli urlo dietro. Un istante dopo lo vedo dalla finestra che schizza nella Volkswagen al posto del passeggero, mentre l’energumena annusa a destra e a sinistra e poi si incastra nell’abitacolo. È così ingombrante che sporge dal finestrino con tutto il braccio sinistro, grosso quanto Belpistillo e peloso come il pacco di un orango, ma sembra del tutto a suo agio mentre sgasa e parte a manetta.

    Nel frigo mi è rimasta una sola fottuta bottiglia. La stappo con un colpo da maestro sul bordo della scrivania, versandone quasi metà per terra – così contrasta un po’ la puzza di vomito – e poi brindo con l’altro me stesso che mi guarda dallo specchietto lercio sullo schedario. Ho la barba di tre giorni, il che significa setole lunghe mezzo centimetro e dure come il ferro. Mi guardo arcigno. Mi faccio le smorfie. Mi esibisco in una bella faccia tutta mento e fessure, da vero duro. Che poi è quello che sono, cazzo!

    Finisco la birra, sopisco un rutto come

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