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Ecuba
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Ecuba

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In questa tragedia inquietante ed esemplare, ambientata sulle spiagge del Chersoneso tra la flotta greca di ritorno da Troia, una sconvolgente violenza femminile sembra dominare la scena. Prigioniera dell'esercito greco, un tempo regina di Troia, Ecuba sopporta l'estremo orrore: il duplice omicidio dei figli. La madre assiste impotente al sacrificio della figlia Polissena, tributo di sangue chiesto dal "fantasma" di Achille. Ma scopre anche che il figlio Polidoro, apparsole in sogno, è stato ucciso da Polimestore, il re di Tracia a cui era stato affidato da bambino. Con furia eroica, la sovrana compirà una vendetta terribile, uccidendo i figli di Polimestore e accecandolo, come in un eterno esilio. Alla fine, Ecuba accetterà di essere trasformata in una "cagna dagli occhi di fuoco", secondo una oscura profezia di Dioniso. Questa mirabile tragedia di Euripide il nesso tra giustizia, punizione e vendetta, inestricabilmente legate in un mito carico di orrore emerge quale ideale raccordo del tragediografo greco con altri grandi che l'avrebbero seguiro, da Virgilio a Ovidio, da Dante a Shakespeare.
Traduzione di Ettore Romagnoli.
LanguageItaliano
Release dateNov 4, 2018
ISBN9788829544318
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    Ecuba - Euripide

    ECUBA

    Euripide

    Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli

    Prima edizione 2018

    © Sinapsi Editore

    PERSONAGGI:

    Ecuba

    Polissèna

    Ombra di polidòro

    Ulisse

    Taltìbio

    Agamènnone

    Polimèstore

    Ancella d'ecuba

    Coro di prigioniere troiane

    La scena si svolge sulle coste del Chersoneso tracico. Molte tende

    degli Achei, e fra esse quella di Agamènnone.

    (Davanti alla tenda di Agamènnone appare l'ombra di Polidòro)

    OMBRA DI Polidòro:

      I recessi dei morti, e della tenebra

      le porte abbandonate, ove lontano

      dagli altri Numi Ade soggiorna, io giungo

      qui: Polidòro io son, d'Ecuba figlio,

      che nacque da Cissèo: mio padre fu

    Prìamo, che, quando su la frigia rocca

      la minaccia incombé che sotto l'aste

      cadesse degli Achei, dal suol di Troia

      lontano mi mandò, di Polinèstore

      alla magion, dell'ospite di Troia,

      che il pian ferace piú d'ogni altro semina

      del Chersoneso, e quelle genti amiche

      di corsïeri, con la forza regge.

      E meco insieme, di nascosto il padre

      molto oro gl'inviò, perché, se mai

      vinte le mura d'Ilio procombessero,

      non dovessero i suoi figli superstiti

      conoscer la penuria. Ed il piú giovine

      ero io dei Priamídi; e dalla terra

      lungi per questo mi mandò: ché reggere

      col braccio giovinetto io non potevo

      scudo né lancia. Or, finché saldi stettero

      della terra i confini, e smantellate

      non fûr le torri del troiano suolo,

      e la fortuna sorrideva ad Ettore,

      fratello mio, nella battaglia, io presso

      l'ospite tracio di mio padre crebbi,

      misero me, come novello cespite,

      e fui nutrito. Ma poiché perirono

      Ettore e Troia, e furono distrutti

      i patrî Lari, e Prìamo stesso cadde

      presso l'ara, dei Numi opra, ed il figlio

      sanguinario d'Achille lo sgozzò,

      l'ospite di mio padre, a me tapino

      la morte die', per bramosia dell'oro,

      per tenerselo in casa; e dopo ucciso,

      fra l'estuar dell'onde mi gittò.

      Ed ora giaccio su la spiaggia, ed ora

      fra i tempestosi flutti, in corsa alterna

      trascinato dall'onde, e son di lagrime

      privo e di tomba. E adesso, abbandonata

      la morta salma, di mia madre, d'Ecuba

      sovra il capo mi lancio. Il terzo giorno

      è questo già che in aria io son librato,

      da che la madre mia misera giunse

      dal suol di Troia al Chersoneso. Or tengono

      tutti gli Achei ferme le navi, e sostano

      di questo tracio suol sopra la spiaggia,

      perché su la sua tomba Achille apparso,

      il figlio di Pelèo, tutto l'esercito

      degli èlleni arrestò, mentre alla patria

      volgevano le prore: ei Polissèna

      chiede, sorella mia, che sul suo tumulo

      cada sgozzata, e averla in dono. E avrà

      quello che chiede, né del dono privo

      lo lasceran gli amici. Oggi il destino

      la mia sorella a morte adduce; e due

      salme vedrà di due figli la madre:

      di mia sorella misera, e di me:

      ch'io, per avere sepoltura, sopra

      l'estuare dell'onde apparirò

      ai piedi innanzi d'un'ancella: ch'io

      dai Numi che potere hanno in Averno,

      della madre impetrai che fra le braccia

      giunger potessi, e sepoltura averne:

      tutta paga sarà questa mia brama.

      Ma lungi dall'antica Ecuba, or vado

      ch'essa già dalla tenda d'Agamènnone

    move il pie': la sgomenta il mio fantasma.

      (Dalla tenda esce Ecuba sorretta da ancelle troiane)

      Ahimè!

      O madre mia, ridotta dalla reggia

      a servil vita, misera tu sei

      quanto beata un dí: ti strugge un Nume

      per contrappeso dell'antico bene.

    (Sparisce)

    (Sempre sorretta dalle ancelle,

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