Sapete dov'è Ekros?
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Sapete dov'è Ekros? - Vito Maria Di Bona
6
Capitolo 1
Bisognava esserci a ogni costo. Un lampo lacerò il buio.
«Che cosa volete da me? Toglietemi le mani di dosso!»
Saturnino si dimenava alla maniera di un’anguilla impazzita, ma non sapeva ancora che lo avevano scelto come uomo-cavia per un esperimento alquanto coraggioso.
«Vieni con noi. Devi essere presente!» gli intimarono quegli uomini tutt’intorno. Erano quattro, vestiti di nero, e lo guardavano dritto negli occhi con severità. Saturnino, la fronte ormai tutta grondante di sudore, sentì qualcosa che gli si stringeva attorno ai polsi e subito comprese che la faccenda si stava mettendo male: lo avevano catturato e ammanettato dentro il suo negozietto di articoli per animali domestici.
«Ti vogliono conoscere» disse uno degli uomini fissando Saturnino.
«Ma chi?»
«Loro» rispose quello con prontezza, mentre Saturnino cercava di liberarsi.
L’aggressore allora tirò fuori dalla giacca un oggetto simile a una pistola e premette il grilletto: un altro lampo avvolse tutto.
Fuori, l’insegna del negozio recitava: I tuoi animaletti prima di tutto, di Saturnino Zampacorta.
***
«Sta arrivando Saturnino!» esclamò Alan contento e incredulo. Il suo esperimento di cattura dal passato
era riuscito. Per di più, era la prima volta che quel tipo di esperimento riusciva.
A quel tempo, nell’anno 5000, su Ekros avevano indetto una delle tante gare di tecnologia relativa ai viaggi nel tempo. Per vincere, si doveva catturare
un essere vivente dal passato e portarlo ancora in vita nel mondo. Questa gara faceva parte delle celebrazioni per l’avvento del nuovo millennio: il sesto. La competizione era partita all’inizio dell’anno e doveva durare due mesi, gennaio e febbraio, ma nessuno fino a quel punto era riuscito nell’impresa di teletrasportare la vita dal passato; anzi, più precisamente, dal primo cinquantennio del terzo millennio, ovverosia tra il 2000 e il 2049.
Alan fu il primo a riuscirci: era l’ultimo giorno di febbraio, vale a dire l’ultimo giorno di gara. In casa sua, davanti a lui, due fasci di luce verde, l'uno proveniente dal soffitto, l'altro, leggermente più scuro, dal pavimento, si incontravano a mezz'aria, ma non si compenetravano. Nel punto d'incontro essi davano origine a una superficie trasparente di colore intermedio: sembrava una lastra di vetro fluttuante a circa ottanta centimetri da terra, di due metri di diametro grosso modo, senza spessore. Una sorta di tavolo sospeso, insomma.
Alan si tolse il visore transcronico da uno dei due alloggiamenti oculari e lo depose su quella superficie luminosa e trasparente. Un ordinario occhio, o qualcosa che aveva quell’aspetto, gli comparve tra le palpebre al posto del visore. Addossato a una parete, c'era uno strano dispositivo simile nella forma a una grossa bottiglia, al cui interno si agitava una sorta di vapore luminescente: una marmellata indistinta di luce viva che fluttuava caoticamente come nelle lampade al plasma. All’improvviso quella luce informe sembrò assumere un aspetto familiare: lentamente si raddensò in alcuni punti fino a prendere una vaga forma umana. Più il tempo passava, più la figura umana si faceva distinta, finché non diventò proprio un uomo. C’era un uomo nel materializzatore. Che se ne stava in piedi, con gli occhi chiusi, dietro la parete trasparente, immobile, avvolto ancora da quell’insolito vapore. Si portò le mani tremule agli occhi, come per aprirli con le dita, così essi, facendo capolino tra le dita, piano piano si dischiusero: erano di color nocciola e molto luminosi e sembravano pieni di sorpresa, disorientamento, angoscia, terrore. Quell’uomo misterioso dalla corporatura asciutta era vestito semplicemente, con un paio di jeans e una camicia a quadretti con le maniche lunghe abbottonate ai polsi. Gli orli della camicia pendevano fuori dei pantaloni. Era lui, Saturnino!
Alan si era avvicinato al materializzatore muovendo un solo passo in avanti, quand'ecco che la porta esterna dello strano macchinario si aprì: una parte della parete trasparente scorse silenziosamente su binari invisibili e lasciò un’apertura piuttosto stretta. Attraverso questa, Saturnino, uscì camminando lentamente e facendosi largo, a passi brevi e instabili, tra gli ultimi residui di vapore che lo avevano seguito mentre varcava la porta del materializzatore, porta che un secondo dopo si richiuse dietro le spalle di Saturnino senza emettere alcun suono così come, silenziosamente, si era aperta.
Alan gioì con discrezione, mentre si dissolvevano nell’aria la ultime tracce di vapore luminescente.
«Benvenuto su Ekros!»
«Dove sono? Mi sembrava di dormire…» disse Saturnino.
«Non stavi dormendo. Eri in uno stato di totale incoscienza durante il viaggio che ti ha portato qui da me.»
«Qui da te? Incoscienza? Viaggio? Dove siamo?» farfugliò Saturnino dopo la risposta perentoria che aveva appena ricevuto, come accade a chi, ridestandosi da un lungo sonno, affastella le parole le une sulle altre confusamente, così come vengono.
«Sei su Ekros nell’anno 5000!» rispose allora Alan con voce stentorea.
Saturnino si guardò intorno trattenendo il respiro, con gli occhi ancora non del tutto aperti. Una forte luce diffusa lo abbacinò per un lungo istante. Poi tornò a vedere. Si trovava in una stanza enorme e la luce si riversava dentro passando per le grandi finestre che si aprivano lungo le pareti. Queste ultime erano di un fitto colore grigio: un grigio che appariva molto scuro e deciso, benché la forte illuminazione avrebbe dovuto schiarire tutto.
«Questa luce così irreale che viene da fuori! Il colore delle pareti… il colore è…»
«Che c’è di irreale? È una luce normale.»
«Non saprei» mormorò Saturnino molto perplesso, che adesso vedeva meglio e continuava a perlustrare l’ambiente circostante con lo sguardo.
«Come sei vestito?»
«Con la tuta della mia produzione» rispose Alan.
«Cioè?»
«Con la tuta che indossavo quando sono stato prodotto.»
Saturnino era sempre più attonito: le cose non gli parvero affatto chiare. Allora domandò, con un filo di stupore: «Sei stato… prodotto? Che vuoi dire?»
«Sì, mi hanno prodotto, come tutti gli ekrosiani» rispose Alan. «Gli ekrosiani sono gli abitanti di Ekros.»
Alan e Saturnino parlavano la stessa lingua, perciò si capivano.
Saturnino guardò attraverso un’altra grande finestra,