Una ciliegia non mi basta!: Il mistero di E.
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Da piccoli dettagli, tali da apparire perfino risibili, come dei bigliettini ben celati in un pregevole salvalibro in legno di sandalo, scaturiscono sviluppi incredibili, tali perfino che potrebbero far riscrivere i libri di storia. Dopo la scioccante scoperta, Elsa e Peter, vecchi compagni di studi ritrovatisi dopo tanti anni, con qualche rimpianto per il passato, rinunciano alle tanto sospirate vacanze e intraprendono estenuanti e lunghe ricerche che li porterà ai confini del mondo, alla ricerca della verità. Gli sviluppi della loro indagine si presentano, l’uno dopo l’altro, in avvincenti colpi di scena in un carosello di personaggi pittoreschi con i loro incredibili racconti. Alla fine i due protagonisti scopriranno qualcosa di sconvolgente, grazie a un generale russo finito in Siberia e a una apparentemente svanita ospite di una casa di riposo. Sarà quella la verità o si tratta semplicemente di fantasie di anziani testimoni dal doloroso epilogo degli anni della guerra? È il dilemma finale, di difficile risoluzione, che si presenterà ai protagonisti di questa avvincente caccia al tesoro.
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Una ciliegia non mi basta! - Michele Leone
Michele Leone
UNA CILIEGIA NON MI BASTA!"
(Il mistero di E.)
Editing e realizzazione grafica a cura di DOPPIA ZETA 2019
www.psicologo-taranto.com
Correzione bozza a cura di
ANGELO DIOFANO
UUID: a7356c70-e337-11e8-b124-17532927e555
Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write
http://write.streetlib.com
Indice dei contenuti
UNA CILIEGIA NON MI BASTA!
(Il mistero di E.)
Introduzione dell'autore
Cambridge (Massachusetts) Università degli Studi Harvard
A casa di Elsa
A casa di Peter
Il viaggio di Peter
Incontri
Il racconto del passeggero
A cena con il Reverendo Thomas
La storia della giovane Amish
Red Sky Night Club
L’incontro con la dott.ssa Elsa Miller
Lo scopo del viaggio
Verità nascoste
Stato dell’Ohio - Cittadina di Dayton
La storia del salvalibro
La signora Sara Weber
La prima versione della signora Weber
Il viaggio in Russia
La preparazione
Tutta la verità
Irruzione nella stanza della signora Weber
La verità di Lena
UNA CILIEGIA NON MI BASTA!
(Il mistero di E.)
di Michele Leone
immagine 1Introduzione dell'autore
Introduzione dell’autore
Voglio essere sincero: non era questa la storia che volevo scrivere, quando l’ho iniziata qualche anno fa.
Avevo visto un documentario sugli ultimi giorni di Hitler, vissuti nel bunker a Berlino e ne ero rimasto colpito. Il filmato lo mostrava con i suoi generali e le persone a lui più vicine, e naturalmente con la sua Eva Braun. Fu a quel punto che mi venne in mente di scrivere una storia. Mi domandai come questa donna avesse potuto accettare di vivere nel poco ospitale budello di cemento, abituata com’era alla mondanità della sua vita agiata, mostrataci dai filmati dell’epoca.
Il primo pensiero fu di scriverla tutta, dal suo punto di vista, come se mantenesse un diario con i pensieri più intimi, frustrati dalla sua reclusione, solo per essere la sua compagna.
Cominciai scrivendo brani di lettere, come frutto di ritrovamenti, cercando d’interpretare il sentire più intimo di una donna, bella, amante dell’aria libera e del suo corpo, ma mi fermai subito. Era un’impresa troppo complessa ed ambiziosa per un uomo, dover pensare come una donna.
A distanza di tempo, riprendendo i frammenti che avevo scritto, si concretizzò la storia che leggerete. Sperando che vi piaccia.
Cambridge (Massachusetts) Università degli Studi Harvard
29 Maggio, 2000.
La dott.ssa Elsa Miller, docente di Storia Moderna, era nell’aula J.F.Kennedy impegnata con l’ultima lezione dell’anno accademico.
… e allora è inutile girarci intorno, l’unica verità è che il 7 dicembre del 1941 il Giappone ci fece una gran carognata
Un applauso spontaneo partì dagli studenti che gremivano l’aula, propagandosi nell’aria, e la dott. Miller, in piedi accanto alla cattedra, smise di parlare per godersi il suo momento di gloria.
" Mentre il tavolo delle trattative era ancora in piedi, i suoi aerei lasciavano le navi di supporto per attaccare Pearl Harbor. Secondo gli annali, la formazione, composta da circa quattrocento aerei della classe Zero, colpì le navi americane ancorate alla fonda, facendo tiro al bersaglio come al Luna Park. Le perdite furono notevoli, tra uomini, navi e aerei, anche perché, alle ore 7,55 di una domenica qualsiasi, la gente dormiva ancora.
Il Giappone, considerato a torto ‘La Tigre di carta d’Oriente’, aveva inferto agli Stati Uniti una zampata violenta e sanguinaria, come un colpo di katana di samurai. Ma questo attacco improvviso poteva avere qualche collegamento, con la guerra che si combatteva in Europa? Certamente sì, infatti circa un anno prima il Giappone aveva firmato un patto d’alleanza con la Germania e l’Italia, quindi il suo intervento bellico rientrava nella logica dell’accordo. Aveva commesso, però, un errore strategico: aveva agito senza consultare gli alleati, che furono avvertiti a cose fatte.
A tal proposito si racconta che quando a Berlino giunse la notizia dell’attacco, Hitler divenne paonazzo ed in preda all’ira, secondo notizie non confermate, si mise ad urlare come un ossesso per tutto il giorno nella Cancelleria.
La stessa cosa pare sia avvenuta anche in Italia con Mussolini.
Il giornalista del quotidiano ‘Bandiera e moschetto’, tale Scognamiglio Pasquale, di Bassano del Grappa, accreditato presso il Regime Fascista, scrive così nel resoconto dell’epoca:
Quando giunse la notizia presso il Governo d’Italia a Roma, il Duce era già da dieci ore seduto alla sua scrivania, intento alla risoluzione delle sue importanti incombenze. Rapido come la luce, senza proferir parola alcuna, scattò in piedi come una molla elastica d’acciaio e, con un balzo d’atleta par suo, guadagnò il centro della sala. Qui giunto, si sistemò a gambe divaricate e braccia conserte, immobile come una statua greca. Non un muscolo del suo viso largo e luminoso era in movimento, solo i suoi occhi iniziarono a roteare come eliche d’aeroplano, lanciando strali di fuoco… Con voce possente, senza muovere un passo, ordinò il Gran Consiglio al completo. E poi stette. Dopo qualche secondo, pronti all’appello, arrivarono i gerarchi, mettendosi in cerchio intorno al Maestro. Solo allora egli si mosse. Stringendo i pugni e sporgendo il labbro, senza por tempo in mezzo, si apprestò a proferir parola, che sarebbe rimasta, per sempre, nei libri di storia. Scandendo ogni sillaba, consegnò ai posteri il suo commento: ‘Per me, i giapponesi sono solo emeriti ‘culi al vento’, coi loro inchini. Altro che samurai dei miei stivali!
.
Tra i gerarchi ci furono scene mai viste: chi piangeva di rabbia e chi si strappava i capelli, c’era anche chi si schiaffeggiava in viso, ma erano in pochi, in verità, che io ricordi. Quattro giorni dopo la Germania e l’Italia dichiararono guerra all’America, per uniformarsi all’alleato orientale".
Nell’aula era sceso un gran silenzio ed Elsa, sempre pronta ai colpi di scena, ne approfittò subito e dette una gran botta con la mano al piano della cattedra, che rimbombò come un colpo di cannone. La docente riusciva sempre ad ottenere la massima attenzione dai suoi studenti per le sue capacità dialettiche e ne andava fiera. Dopotutto non aveva studiato tanto per niente!
Era bella, capelli biondi ondulati che si fermavano sulle spalle, occhi neri profondi e viso leggermente abbronzato. Alta un metro e ottantacinque coi tacchi, indossava una camicetta bianca sopra una gonna blu lunga al ginocchio e un cardigan di seta, dello stesso colore, senza maniche né bottoni. Piaceva a tutti e lo sapeva.
Continuò: "Era ritenuto impossibile un attacco al suolo americano, considerato che il Giappone distava dalle nostre coste oltre seimila chilometri. Non c’erano aerei che coprivano la distanza. Era successo l’impensabile e l’America rimase impietrita. Ma io mi chiedo e vi chiedo: è mai possibile che una potenza mondiale come la nostra si fosse fatta cogliere così impreparata. È verosimile che Cia, Fbi e tutti gli altri servizi segreti non avessero avuto sentore di quanto sarebbe accaduto? Non lo credo possibile, sono certa invece che erano in gioco altri interessi, inconfessabili, per giustificare un simile disastro.
Cerchiamo di capire gli avvenimenti che in quel momento giocarono un ruolo vitale nel panorama politico della nazione.
1) Il presidente Roosevelt era alla scadenza del suo mandato ed era intenzionato ad essere rieletto.
2) I paesi europei pressavano per essere aiutati, in particolare l’Inghilterra col suo premier Winston Churchill che ricordava gli antichi vincoli di amicizia tra i due Paesi.
3) I gruppi favorevoli all’intervento, anche se economicamente forti, non erano riusciti ad influenzare l’opinione pubblica. Gli americani, in massima parte, erano contro l’intervento perché la guerra in Europa non li riguardava.
La volontà popolare era tenuta in gran conto dal presidente Roosevelt, che come politico ne seguiva gli umori e, pur essendo favorevole all’intervento, non se la sentiva di rischiare la rielezione. Per lui era un suicidio politico inviare i giovani a morire per l’Europa.
Di conseguenza l’attacco giapponese non fu auspicato, ma neanche prevenuto. Pare che nei giorni precedenti fosse stato diramato a tutte le alte cariche delle Forze Armate un messaggio del Presidente in cui si ordinava di non prendere iniziative, ma solo di rispondere a eventuali atti bellici del Giappone. Questo dimostra che gli Stati Uniti erano a conoscenza delle intenzioni del vicino orientale, ma scelse di lasciargli campo libero per dare una scossa all’opinione pubblica. Il disegno, studiato a tavolino, ebbe buon gioco, col risultato di risvegliare quel sentimento patriottico che forse nel tempo si era affievolito. Cosa che cambiò di colpo, con la guerra".
Scusi dott.ssa Miller, che ragione aveva la Germania di associarsi al Giappone, tanto lontana dall’Europa?
- chiese uno studente.
È una buona domanda, ma la risposta presenta molte sfaccettature - rispose la docente - Hitler credeva, o voleva far credere, riuscendoci, di essere l’uomo della Provvidenza, l’inviato da Dio sulla terra, per realizzare l’antico sogno germanico di dominio sull’Europa. Ma aveva bisogno di alleati e, dopo i tentativi infruttuosi con l’Inghilterra, che riteneva affine, si accontentò dell’Italia. Il disegno era chiaro, almeno sulla carta: la Germania avrebbe occupato l’Europa e all’Italia sarebbero rimasti il Mediterraneo e le colonie d’Africa. Ma Hitler temeva un intervento degli Stati Uniti che avrebbe ostacolato il suo progetto. Ed ecco giustificata la presenza del Giappone, cui spettava il compito d’impegnare gli Stati Uniti in un conflitto sul suo territorio. Le cose non andarono come previsto, perché l’attacco accelerò l’entrata in guerra degli americani
.
E’ lecito accostare il comportamento di Hitler alla favola di Fedro ‘La rana e il bue’?
- domandò un altro studente.
L’esempio calza bene, ma non è corretto del tutto. Nella favola, la rana crede davvero di poter crescere come il bue. Nella realtà di Hitler, invece, la rana sa di non essere come il bue, ma ci prova lo stesso ad imitarlo, fino a scoppiare. Ritengo più giusto accostare il modo d’agire a quello del giocatore d’azzardo, che fin dall’inizio è consapevole che alla fine perderà, ma continua a tentare la sorte
- fu la risposta della docente.
È vero che Hitler era monorchide?
- chiese timidamente una studentessa dai capelli rossi.
Ma perché non chiami le cose col loro nome, cioè ‘coglione’?
- intervenne a gran voce uno studente.
Hai ragione, chiedo scusa, ma non volevo farti pubblicità!
–rispose, sorridendo, la studentessa dai capelli rossi.
Una risata colossale seppellì come una cascata il malcapitato, che avrebbe voluto scomparire tra i banchi.
A questo punto la dott.ssa Miller decise che la lezione poteva terminare e, dopo aver lanciato un Buone vacanze a tutti
, si diresse verso il suo studio all’altro capo del corridoio.
Quando lo raggiunse, vide la sua segretaria, Molly, molto agitata: era l’atteggiamento che usava abitualmente per dare più enfasi alle cose che doveva riferire.
Dottoressa, ha telefonato dall’Università di Stanford un certo prof. Foster. Ha detto che richiama
.
Grazie Molly, io rimango ancora un po’, ma se tu vuoi andare non fare complimenti, è l’ultimo giorno
- rispose Elsa.
Molly non era una vera segretaria ma una studentessa del secondo anno che si era offerta volontaria per il disbrigo della corrispondenza e per rispondere al telefono. Era un’antica usanza ad Harvard, benvista dai professori e molto ambita dalle studentesse le quali, avendo un contatto più diretto con gli insegnanti, mettevano in conto un trattamento più favorevole agli esami.
Rimasta sola e dopo essersi liberata delle scarpe, la donna si distese sul divano. Con l’anno accademico ormai alle spalle, pensò alle vacanze che l’attendevano. Con l’immaginazione era immersa già nell’acqua fredda dell’oceano, quando squillò il telefono:
Dott.ssa Miller?
.
Sì, sono io
.
Un attimo che le passo il prof. Foster, resti in linea, prego
.
Sì, grazie
.
Pronto Elsa, sono Peter
.
Dio mio, sei proprio tu, dopo tutto questo tempo!
.
Dieci anni e tre mesi, per l’esattezza!
.
Ma che bravo! Hai tenuto il conto, anche se non hai fatto niente per limitarlo. Sei sparito come per incanto, senza una ragione plausibile. E ora ti fai vivo come se nulla fosse?
.
E no, cara Elsa, il motivo c’è e tu dovresti saperlo. E anche bene! Non credo che non ti sia mai accorta che il mio atteggiamento verso di te era dettato dai sentimenti che provavo
.
Certo che l’avevo intuito, una donna queste cose le percepisce al volo e mi faceva anche piacere, ma pensavo solo a una infatuazione, dovuta allo stare troppo insieme. Del resto, non mi è parso che ti dedicassi ad altre donne, preso com’eri dai tuoi studi sul cielo e sulle stelle. Eri l’unico amico vero che avevo e ti ho voluto un gran bene, forse col tempo avrei potuto considerarti qualcosa di più, ma le cose sono andate in altro modo. Sarebbe inutile adesso rivangare il passato, piuttosto dimmi, perché mi hai chiamata?
.
Come sempre hai ragione tu, sono stato un idiota a non farmi avanti al momento opportuno e dirti ciò che provavo. Ho voluto attendere troppo e ho perso la corsa. Parlarne adesso è come dare acqua a una pianta secca, meglio dedicarci al perché della mia chiamata. Se non ricordo male, tu conosci bene il tedesco
.
Hai dimenticato che mia nonna era tedesca e pretendeva da me che parlassi con lei nella sua lingua?
.
Hai ragione, adesso lo ricordo bene. Quindi per eventuali traduzioni non ci sarebbero problemi?
.
" Assolutamente no, ma non credo che tu, dopo tanti anni, mi abbia chiamata solo perché parlo il tedesco. Se avevi bisogno di un traduttore, non avevi che l’imbarazzo della scelta: sfogliare l’elenco telefonico o andare su Internet. Non penso che nella tua università non ci siano corsi di lingua, con i relativi insegnanti.