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Il Sicario nel Mirino: Keller, #2
Il Sicario nel Mirino: Keller, #2
Il Sicario nel Mirino: Keller, #2
Ebook417 pages5 hours

Il Sicario nel Mirino: Keller, #2

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About this ebook

Keller, l'Uomo Urbano Solitario degli assassini, fa la sua seconda comparsa in Il Sicario nel Mirino (Hit List), ed è veramente un grande ritorno. Ecco come ne parla  Kirkus Reviews:

"Appena terminato il ciclo di racconti brevi Il Sicario (Hit Man, 1998) in cui era il protagonista, il riflessivo killer di professione John Keller, creato dalla penna di Block, finalmente esaudisce i desideri dei suoi fan con un vero romanzo a lui dedicato.

"Benché Keller sia un serio cittadino che colleziona francobolli, si presta a fare parte della giuria in un processo, ed esegua con consumata professionalità ogni omicidio commissionatogli – anche se il cliente è tanto sconsiderato da identificare il bersaglio mostrando a Keller un biglietto natalizio con la foto di famiglia della futura vittima – le cose non sembrano andargli per il verso giusto.

"Sfuggito per poco alla morte mentre esegue un lavoro a Louisville, torna a New York e accetta un altro incarico che appare come una breve storia interpolata.

"Proseguendo i suoi sistematici viaggi per dispensare la morte a Tampa, Boston e nella periferia di Chicago, si distrae soltanto con del sesso occasionale con Maggie Griscomb, un'artista di gioielli, e visitando Louise Carpenter, un'astrologa che lo porta alle lacrime.
Ma piccoli dettagli che vanno storti in quasi ogni incarico rendono sempre più chiaro che Keller ha attirato l'attenzione di un killer rivale, il quale pensa che il paese non sia abbastanza grande per entrambi.

"Non attendetevi nelle storie di Keller l'alta tensione prodotta dall'ironia principale, ovvero il contrasto tra la sua micidiale professione e il suo stile di vita e le sue opinioni da impiegato.  Seguite invece le conversazioni, egualmente ironiche ma terribilmente  contorte, tra Keller e la compassata Dot, che gli programma il lavoro.

Questi dialoghi, che sembrano solo chiacchiere, sono però chiacchiere nelle quali l'interazione tra banalità e giudizi olimpici – come in James M. Cain e Quentin Tarantino –  costituisce il vero cuore di questa moderna favola di samurai."

LanguageItaliano
Release dateNov 16, 2018
ISBN9781386126010
Il Sicario nel Mirino: Keller, #2
Author

Lawrence Block

LAWRENCE BLOCK has been writing crime, mystery, and suspense fiction for more than half a century. He has published more than 100 books, and no end of short stories. LB is best known for his series characters, including Matthew Scudder, Bernie Rhodenbarr, Evan Tanner, and Keller. LB has also published under pseudonyms including Jill Emerson, John Warren Wells, Lesley Evans, and Anne Campbell Clarke. His monthly instructional column ran in WRITER'S DIGEST for 14 years and led to a series of books for writers. He has also written television and film screenplays. Several of LB's books have been filmed, including A WALK AMONG THE TOMBSTONES. LB is a Grand Master of Mystery Writers of America. He has won the Edgar and Shamus awards, Japanese Maltese Falcon award, Nero Wolfe and Philip Marlowe awards, a Lifetime Achievement Award from the Private Eye Writers of America, and the Diamond Dagger for Life Achievement from the Crime Writers Association, been proclaimed a Grand Maitre du Roman Noir and has been awarded the Société 813 trophy.

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    Il Sicario nel Mirino - Lawrence Block

    Uno


    Keller, appena sceso dall’aereo da Newark, seguì i cartelli contrassegnati ‘Ritiro Bagagli’. Lui non ne aveva, non ne aveva mai, ma la segnaletica dell’aeroporto presumeva più o meno che tutti avessero registrato il bagaglio, perché si arrivava all’uscita passando per il Ritiro Bagagli. Non vi erano cartelli che dicevano Di qua per uscire da questo dannato posto.

    C’era una scala mobile che scendeva, dopo aver superato i controlli di sicurezza, e alla fine di essa vi era una dozzina di uomini, alcuni in uniforme, e la maggior parte tenevano cartelli con lettere scritte a mano. Keller si diresse istintivamente verso un uomo, un tipo dall’aria stanca in pantaloni kaki e giacca di pelle. Era lui, decise Keller, e il suo sguardo si spostò sul cartello che l’uomo teneva in mano.

    Ma quell’affare era illeggibile. Keller si avvicinò, aguzzando la vista. C’era scritto Archibald? Keller non riusciva a capire.

    Si voltò, ed ecco il nome che stava cercando, su un cartone tenuto da un altro uomo, questo più alto e più pesante, che indossava giacca e cravatta. Keller si allontanò dall’uomo con il cartello illeggibile – a che cosa serviva, se nessuno poteva leggerlo? – e si avvicinò all’uomo col cartello ‘Archibald’. Sono Mr. Archibald, disse.

    Mr. Richard Archibald?

    Che differenza poteva fare? Cominciò ad annuire, poi ricordò il nome che Dot gli aveva dato.

    Nathan Archibald, disse.

    Risposta esatta, disse l’uomo. Benvenuto a Louisville, Mr. Archibald. Vi porto la borsa?

    Non importa, disse Keller, e tenne il suo bagaglio a mano. Seguì l’uomo fuori dal terminal e attraverso un paio di corsie di traffico fino al parcheggio a breve termine.

    A proposito del nome disse l’uomo. Quello che ho pensato, è che chiunque può leggere un nome da un cartello. Qualche buffone potrebbe pensare: perché prendere un taxi, quando posso dire che sono Archibald e andare gratis? Voglio dire, non è che mi abbiano dato una vostra foto. Nessuno qui sa che faccia avete.

    Non vengo spesso qui, disse Keller.

    Be’, è una città carina, disse l’uomo, ma non è questo il punto. E’ che voglio essere sicuro di prendere la persona giusta, quindi butto lì un nome, ma sbagliato. ‘Richard Archibald?’ Se il tipo dice sì, sono io, Richard Archibald, so subito so che è un coglione.

    A meno che non sia il suo vero nome.

    Sì, ma quante probabilità ci sono? Due uomini appena scesi da un aereo e hanno entrambi il nome di Archibald?

    Solo una.

    Come?

    Il mio nome non è veramente Archibald, disse Keller, immaginando di non rivelare segreti di stato con l’ammissione. Quindi c’è solo un uomo di nome Archibald, per cui a che serve?

    L’uomo strinse la mascella. Se il tizio sostiene di essere Richard Archibald, disse, non è il mio tizio. Che si tratti del suo nome, o no.

    Su questo avete ragione.

    Ma voi avete detto Nathan, quindi siamo a posto. Caso chiuso. La Toyota lì, quella blu. Salite e andiamo al parcheggio a lungo termine. La vostra macchina è là; pieno fatto, libretto nel cassetto del cruscotto. Quando avete finito, rimettetela nello stesso punto, e lasciate le chiavi e lo scontrino nel posacenere. Qualcuno la prenderà.

    L’auto risultò essere una Oldsmobile di medie dimensioni, colore verde scuro. L’uomo l’aprì e porse a Keller le chiavi e uno scontrino del parcheggio. Vi costerà qualche dollaro, disse scusandosi. L’abbiamo portata qui la scorsa notte. Sul sedile del passeggero c’è una mappa stradale della zona. Se la aprite vedrete due punti contrassegnati: casa e ufficio. Non so quanto vi è stato detto.

    Nome e indirizzo, disse Keller.

    Quale era il nome?

    Non era Archibald.

    Non lo volete dire? Non vi biasimo. Avete visto una foto?

    Keller scosse la testa. L’uomo estrasse dalla giacca una piccola busta e ne tirò fuori un biglietto di auguri. Davanti c’era la fotografia di una famiglia, un uomo, una donna, due bambini e un cane. Gli umani sorridevano tutti e sembravano aver sorriso per giorni, aspettando che qualcuno capisse come fare funzionare la macchina fotografica. Il cane, un golden retriever, non stava sorridendo, ma sembrava abbastanza felice. Auguri . . . diceva sotto la foto.

    Keller aprì il biglietto. Lesse: . . . dagli Hirschhorn. Walt, Betsy, Jason, Tamara e Powhatan.

    Immagino che Powhatan sia il cane, disse.

    Powhatan? Che cos’è, un nome indiano?

    Il padre di Pocahontas.

    Nome insolito per un cane.

    È un nome abbastanza insolito per un essere umano, disse Keller. Per quanto ne so, è stato usato solo una volta. E’ questa l’unica immagine che hanno trovato?

    Che cos’ha che non va? Bella foto chiara, e io sono qui per dirvi che lui ci assomiglia proprio.

    Bello poterli mettere in posa.

    Viene da una cartolina di Natale. Ma deve essere stata fatta in estate. Come sono vestiti, e lo sfondo. Sai dove credo sia stata scattata? Lui ha una casa estiva sul McNeely Lake.

    Ovunque fosse.

    Quindi sarebbe stata fatta in estate, per cui quanto fa, quindici mesi? Lui è sempre uguale, quindi qual è il problema?

    Mostra l’intera famiglia, disse Keller.

    Certo, disse l’uomo. Oh, capisco cosa volete dire. No, è solo lui, Walter Hirschhorn. Solo l’uomo.

    Era ciò che Keller immaginava, ma era meglio averne la conferma. Eppure, sarebbe stato più contento di avere una foto solo della faccia di Hirschhorn, gli occhi socchiusi e la bocca stretta. Non circondato dai suoi cari, tutti con un sorriso fisso.

    Non gli piaceva molto tutta la cosa. Non gli era piaciuta da quando era sceso dall’aereo.

    Non so se lo vorrete, stava dicendo l’uomo, ma c’è un pezzo nel vano portaoggetti.

    Un pezzo di cosa, si chiese Keller, e poi realizzò cosa intendesse l’uomo. Insieme al libretto, disse.

    Tranne che non è registrata. È una bella .22 automatica, con un caricatore di riserva, non che ne avrete bisogno. Del caricatore intendo. Se vi serve un’arma, non tocca a me dirlo.

    Bene, disse Keller.

    Questo è quello che piace a voi ragazzi, vero? Una .22?

    Se si spara a un uomo nella testa con una calibro .22, la pallottola rimane generalmente nel cranio, rimbalzando all’interno, e non facendo del bene al proprietario del cranio stesso. Un’arma di piccolo calibro dovrebbe essere più precisa e avere meno rinculo, e presumibilmente sarebbe stata l’arma preferita da un assassino che si vantasse della propria abilità.

    Keller non perdeva molto tempo a pensare alle armi. Quando doveva usarne una, sceglieva qualunque cosa fosse a portata di mano. Perché rendere le cose complicate? Era come per la fotografia. Si può imparare tutto su diaframmi e tempi di posa, oppure si può prendere una macchina fotografica giapponese, dove serve solo inquadrare e scattare.

    Usatela e buttatela, stava dicendo l’uomo. O se non la usate, lasciatela nel cruscotto. Altrimenti in un cassonetto o in un tombino; ma perché vi sto dicendo questo? L’esperto siete voi. Sporse le labbra e fischiò senza emettere un suono. Devo dire che invidio un uomo come voi.

    Ah?

    Arrivate città, fate quello che dovete e ve ne andate. Dentro e fuori senza complicazioni, senza problemi, senza dover trattare con gli stessi stronzi giorno dopo giorno.

    Se ne trattavano di diversi ogni volta, pensò Keller. Era forse meglio?

    Ma io non potrei farlo. Saprei tirare un grilletto? Forse potrei. Forse l’ho già fatto, prima o poi. Ma per voi è diverso, no?

    Lo era?

    L’uomo non attese risposta. Al ritiro bagagli, disse, non mi avete visto subito. Eravate diretto verso uno degli altri tizi.

    Non riuscivo a leggere il cartello che stava tenendo, disse Keller. Le lettere erano tutte appiccicate. E avevo la sensazione che stesse aspettando qualcuno.

    Stanno tutti aspettando qualcuno. Il punto è che vi stavo guardando, prima che vi accorgeste di me. E mi sono immaginato di vivere la vita che fate voi. Cioè, cosa so della vostra vita? Ma sulla base delle mie idee su di essa. E ho capito una cosa.

    Sì?

    Non fa per me, disse l’uomo. Non ce la farei.

    • • •

    Keller dovette pagare otto dollari per tirare fuori l’auto dal parcheggio a lungo termine, il che gli sembrò abbastanza ragionevole. Salì sull’Interstatale in direzione sud, scese a Eastern Parkway e trovò un posto dove prendere un caffè e un panino. Si definiva come ristorante familiare, un termine che Keller non aveva mai capito del tutto. Sembrava implicare prezzi bassi, cibo americano medio e un’atmosfera informale, ma cosa c’entrava la famiglia? Non c’erano famiglie lì quel pomeriggio, solo avventori solitari.

    Come lo stesso Keller, seduto in un separé a studiare la sua piantina. Non ebbe problemi a trovare l’ufficio di Hirschhorn in centro (sulla Quarta Strada tra Main e Jefferson, a pochi isolati dal fiume) e la sua casa a Norbourne Estates, un sobborgo a una dozzina di chilometri a est.

    Poteva cercare un albergo in centro, possibilmente a pochi passi dall’ufficio del suo bersaglio. Oppure – studiò la cartina – poteva continuare ad est sulla Eastern Parkway, e ci sarebbe stato quasi sicuramente un gruppo di motel dove attraversava la I-64. Ciò gli avrebbe consentito un facile accesso alla residenza dell’uomo e, successivamente, all’aeroporto. Da lì, sarebbe anche potuto arrivare in centro, ma sarebbe potuto non doverci andare affatto, perché sarebbe stato quasi certamente più facile e più semplice affrontare Hirschhorn a casa sua.

    Se non fosse stato per quella dannata foto.

    Betsy, Jason, Tamara e Powhatan. Sarebbe stato più contento se non avesse saputo i loro nomi, e ancora più felice non sapendo che aspetto avessero. C’erano alcuni fatti di base sul bersaglio che era utile avere, ma tutto il resto, tutte le cose personali, erano solo un impiccio. Potrebbe essere utile sapere che un uomo possiede un cane, se si decide di entrare nella sua casa, ma non serve conoscere la razza dell’animale, e tanto meno il nome.

    Rendeva la cosa personale, e non doveva esserlo. Supponendo che il modo migliore per farlo fosse in una stanza della casa, nello studio, o nel seminterrato, be’, qualcuno lo avrebbe trovato lì; e sarebbe stato probabilmente un membro della famiglia, è così che succede. Non si può andare in giro ad ammazzare persone se ci si deve preoccupare del potenziale effetto traumatico su chi avrebbe scoperto il corpo.

    Ma è più facile, se non si conoscono troppo le persone. E’ più semplice vivere con l’idea di una moglie che si ritrae inorridita se non si sa come si chiama, o che ha capelli biondi tagliati corti, luminosi occhi blu e graziose guance cicciottelle. Non ci vuole molta fantasia per immaginare quel volto quando arriva sul luogo del delitto.

    Quindi era stato un peccato che l’uomo con il cartello ‘Archibald’ gli avesse mostrato quella particolare fotografia. Ma questo non gli avrebbe impedito di svolgere il lavoro nella casa di Hirschhorn più di quanto non lo avrebbe indotto ad abortire del tutto la missione. Poteva non importargli di che calibro fosse la pistola che usava, e non sapeva se avesse l’orgoglio di un artigiano per il suo lavoro, ma era un professionista. Usava quello che aveva a portata di mano, e faceva il suo lavoro.

    • • •

    Posso offrirvi qualche scelta, disse l’addetto alla reception. Fumatori o non, su o giù, davanti o dietro.

    Il motel era un Super Eight. Keller decise per non fumatori, sul retro dell’edificio, al primo piano.

    Nessuna scelta sui letti, disse l’impiegato. Tutte le unità sono uguali. Due letti matrimoniali.

    Questo mi dà ancora una scelta.

    Ovvero?

    Posso scegliere in quale letto dormire.

    Scelta chiara, disse l’impiegato. La prima cosa che farete è mettere la valigia su uno dei letti.

    E poi?

    Poi dormirete nell’altro. Avrete più spazio.

    C’erano, come promesso, due letti matrimoniali nella camera 147. Keller li considerò, poi sistemò la borsa sopra il cassettone.

    Manteniamo aperte le possibilità, pensò.

    • • •

    Da un telefono pubblico, chiamò Dot a White Plains. Disse: Rinfrescami la memoria. Non avevi detto qualcosa su un incidente?

    O cause naturali, disse Dot, "anche se chi può dire che cosa è una causa naturale di questi tempi? A parte soffocarsi con una carota bio, direi che tu sei una causa naturale di morte quanto un’altra."

    Mi hanno dato una pistola.

    Oh.

    Una .22 automatica, perché è il tipo che piace a quelli come me.

    È molto diverso da una carota biologica.

    Usala e buttala.

    Accattivante, disse Dot. Sembra vi sia carenza di comunicazione, vero? Il tizio che ha fornito la pistola non sapeva che sarebbe dovuto sembrare naturale.

    Quindi che si fa? Deve sempre sembrare naturale?

    "Non ha mai dovuto, Keller. Era solo una preferenza, ma ti hanno dato una pistola, quindi direi che non avranno nulla da dire se la usi."

    E la butto.

    In questo ordine. La soddisfazione del cliente è sempre un vantaggio, perciò se puoi fare in modo che lui possa avere un infarto o che si faccia sbranare la gola dal cane di famiglia, direi di provarci. D’altra parte . . .

    Come facevi a sapere del cane?

    Che cane?

    Quello che hai appena menzionato.

    Era tanto per dire, Keller. Non so se ha un cane. Non so nemmeno se veramente ha un cuore, ma . . .

    E’ un golden retriever.

    Ah.

    Di nome Powhatan.

    Be’, io non sapevo nulla, e non sono nemmeno le informazioni più affascinanti che possa sentire. Dove hai saputo tutto questo?

    Keller le spiegò della foto sul biglietto natalizio.

    Che idiota, lei disse. Non poteva trovare una foto a mezzo busto, come quelli che mettono sui giornali quando hai una promozione, o vieni arrestato per frode? Dio, con che gente ti tocca lavorare. E ringrazia che ti hanno risparmiato la letterina di Natale, o sapresti che la zia Mary sta benissimo dopo il trapianto di appendice, e che il piccolo Timmy si è fatto il suo primo tatuaggio.

    Il piccolo Jason.

    Dio, sai anche i nomi dei figli? Be’, non scriverebbero sul biglietto il nome del cane, dimenticando quello dei figli. Che casino.

    Il tizio aveva un cartello. ‘Archibald’.

    Almeno questo era giusto.

    Io ho detto: sono io. E lui: ‘Richard Archibald?’ 

    E cioè?

    Mi avevi detto che loro avevano scelto ‘Nathan’.

    Ripensandoci, è vero. Hanno sbagliato anche quello?

    Non proprio. Era un test, per essere sicuri che io non fossi un furbetto che cercava di avere un passaggio in città gratis.

    Così, se dimenticavi il nome, o non volevi creare problemi . . .

    Avrebbe creduto che non fossi quello vero, e mi avrebbe detto di andare al diavolo.

    Sempre meglio, disse Dot. Senti, vuoi lasciare perdere tutto? Sento che hai delle brutte sensazioni. Torna a casa, e gli diremo di andare a fare in culo.

    Be’, sono già qua, disse Keller. Potrebbe rivelarsi una faccenda semplice. E non so tu, ma io saprei cosa fare del denaro.

    Io so sempre che cosa farmene del denaro, disse lei, anche solo tenermelo. I dollari devono stare da qualche parte, e White Plains è un posto buono come gli altri.

    Sembra una frase che potrebbe avere detto Lui.

    Probabilmente l’avrà detta.

    Si riferivano al Vecchio, per il quale avevano entrambi lavorato. Dot viveva con lui e gestiva la casa, Keller faceva quello che faceva. Il Vecchio ora non c’era più; prima se n’era andata la sua mente, un po’ alla volta, e poi il corpo, di colpo; ma le cose continuavano sostanzialmente immutate. Dot riceveva le telefonate, fissava le tariffe, prendeva gli accordi e sborsava i soldi. Keller andava in giro, controllava il territorio, concludeva l’affare e tornava a casa.

    Il fatto è, disse Dot, che hanno già pagato la metà come anticipo. Odio restituire il denaro, una volta che l’ho avuto in mano. Sono gli stessi soldi, ma sembrano diversi.

    So cosa vuoi dire. Dot, non hanno fretta per questa faccenda, vero?

    Be’, chi lo sa. Non lo hanno detto, ma hanno anche detto ‘cause naturali’, però ti hanno anche dato una pistola per essere naturale . . . Perciò per risponderti: no, non vedo perché tu non possa prenderla con calma. Sei stato in negozi di francobolli, Keller?

    Sono appena arrivato.

    Ma hai controllato, vero? Sulle Pagine Gialle?

    Per passare il tempo, disse Keller. Non penso di essere mai stato a Louisville.

    Be’, approfittane. Prendi l’ascensore per la cima dell’Empire State Building, guarda uno spettacolo di Broadway. Vai sui vecchi tram, fai un giro in battello sulla Senna. Fa’ le solite cose da turisti. Perché non si sa quando ci tornerai di nuovo.

    Mi guarderò in giro.

    Fallo, disse Dot. Ma non pensare a trasferirti lì, Keller. La folla frenetica, il traffico, il rumore, l’energia umana . . . ti farebbero impazzire.

    • • •

    Era pomeriggio tardi quando aveva parlato con Dot, ed era il tramonto quando seguì la piantina fino a Winding Acres Drive, nei Norbourne Estates. La strada era di periferia, come sembrava dal nome, con case grandi a uno o due piani, circondate da ampi giardini. Il quartiere era abbastanza vecchio, il verde si era sviluppato e gli alberi erano cresciuti. Se si voleva avere una famiglia, pensò Keller, probabilmente questo era un bel posto.

    La casa di Hirschhorn era di stile coloniale, a due piani, sviluppata attorno a un salone centrale. La porta d’ingresso era tra due cespugli che a Keller parvero di rododendro. A sinistra vi era un gruppo di salici piangenti, sulla destra un vialetto che portava al garage, il quale sopra la porta aveva un canestro da basket col tabellone. Il garage, notò Keller, era da due posti e mezzo. Comodo, pensò, se si hanno due auto e mezza.

    Nella casa vi erano luci accese, ma Keller non vide nessuno, e la cosa gli andava bene. Guidò nei dintorni, familiarizzandosi col quartiere, e perdendo per qualche minuto la strada nell’intrico di vie serpeggianti, ma ritrovandola senza molti problemi. Passò con l’auto davanti alla casa ancora un paio di volte, poi tornò al Super Eight.

    Sulla via del ritorno si fermò a cenare in una steakhouse dedicata a un divo di film western morto da poco. Probabilmente a Louisville vi erano posti migliori dove mangiare, ma non aveva voglia di andare a cercarli. Alle nove era al motel, e stava infilando la chiave nella porta quando si ricordò della pistola. Lasciarla nel cassetto del cruscotto? Tornò all’auto per riprenderla.

    La stanza era come l’aveva lasciata. Mise la pistola nella borsa aperta e tirò una poltrona davanti al televisore. Il telecomando era un po’ diverso da quello che aveva a casa sua, ma non era questo uno dei piaceri del viaggiare? Se tutto fosse esattamente uguale, perché andare in giro?

    Poco prima delle dieci qualcuno bussò alla porta.

    La reazione di Keller fu immediata e drammatica. Afferrò la pistola, mise un colpo in canna, tolse la sicura e si appiattì contro il muro di fianco alla porta. Attese, con l’indice sul grilletto, fino a che bussarono di nuovo.

    Chi è? disse Keller.

    Un uomo disse: Forse ho sbagliato stanza. Ralph, sei tu?

    Avete sbagliato stanza.

    Eh, sento che non siete Ralph. La voce dell’uomo era spessa, qualche consonante un po’ biascicata. Dove cavolo è Ralph, allora? Scusate il disturbo, capo.

    Nessun problema, disse Keller. Non si mosse, il dito ancora sul grilletto. Ascoltò, e sentì che i passi si allontanavano. Poi si fermarono, e udì che l’uomo bussava a un’altra porta – quella di Ralph, sperò. Keller riprese a respirare, dopo che aveva trattenuto il fiato.

    Guardò la pistola che aveva in mano. Non era da lui, afferrare un’arma e appiattirsi contro un muro. Eppure lo aveva appena fatto, senza pensarci nemmeno un attimo.

    Molto strano.

    Tirò fuori il colpo in canna, lo rimise nel caricatore e guardò la pistola che teneva in mano. Doveva essere il tipo preferito per il suo genere di lavoro, ma era più utile come arma da offesa che da difesa. Adatta a cacciare una pallottola nella nuca di qualche testa, ma non altrettanto adeguata quando si ha di fronte qualcuno che vi affronta con la sua pistola. In una situazione del genere serve qualcosa che abbia un buon potere d’arresto, qualcosa che spari un grosso proiettile pesante, che mette a terra un uomo e lì lo lascia.

    Ma d’altra parte, se la peggior minaccia è un ubriaco che cerca Ralph, qualsiasi cosa che sia più di un giornale arrotolato è eccessiva.

    Ma perché il panico, perché la pistola, perché il fiato trattenuto, perché il cuore che batteva?

    Già, perché? Keller attese fino a quando il cuore si calmò, poi si tolse gli abiti e fece una doccia. Mentre si asciugava, si rese conto di quanto fosse stanco. Forse questo spiegava tutto.

    Keller andò a dormire subito. Ma prima di infilarsi nel letto si accertò che la porta fosse chiusa a chiave, e posò la piccola .22 sul comodino.

    Due


    La prima cosa che Keller vide quando si svegliò fu la pistola sul comodino. Mentre si faceva la barba, cercò di decidere che cosa farne. Escluse di lasciarla nella stanza, dove la cameriera avrebbe potuto trarre delle conclusioni, ma qual era l’alternativa? Non voleva tenersela addosso.

    Restava il cassetto del cruscotto, e fu lì che la mise quando andò con l’auto a Winding Acres Drive. Al motel davano una colazione ‘continentale’ – un caffè e un donut, e non era chiaro a quale continente pensassero – ma vi rinunciò per arrivare alla casa di Hirschhorn il prima possibile.

    Fu ricompensato nel vederlo in carne ed ossa, mentre portava fuori il cane.

    Keller si era avvicinato a loro da dietro, e l’uomo sarebbe potuto essere una persona qualsiasi, pronta per andare in ufficio, ma il cane era inequivocabilmente un golden retriever.

    Keller aveva avuto un cane per qualche tempo, un Australian cattle dog di nome Nelson. Nelson non c’era più da tempo – la ragazza il cui compito era di portarlo fuori alle fine se ne era andata via col cane – e Keller non aveva intenzione di sostituire nessuno dei due. Ma era sempre un amante dei cani. Quando si avvicinava febbraio, guardava in televisione lo spettacolo dell’American Kennel Club, e pensava che qualche volta gli sarebbe piaciuto andare al Madison Square Garden e assistervi di persona. Conosceva le varie razze, ma anche in caso opposto, be’, non era così difficile riconoscere un golden retriever.

    Naturalmente, in una strada come Winding Acres Drive potevano vivere più di un golden retriever. Quella razza, molto affettuosa e gentile verso i bambini, era meritatamente popolare, specialmente in quartieri periferici con case grandi e parecchio terreno. Quindi, non era detto che questo cane particolare, pur essendo un golden retriever, fosse necessariamente Powhatan.

    Tutto questo passò nella mente di Keller mentre stava superando l’uomo e il cane, venendo dalle loro spalle. Li sorpassò, e bastò lanciare loro uno sguardo in quel momento. Era l’uomo della fotografia, che portava a spasso il cane della fotografia.

    Keller, fece il giro dell’isolato, e infine anche l’uomo col cane lo fece. Keller, parcheggiato a qualche casa di distanza dall’altro lato della strada, li vide prendere il vialetto verso l’ingresso principale. Hirschhorn aprì la porta e fece entrare il cane. Lui restò fuori, e dopo un attimo arrivarono i suoi figli.

    Jason e Tamara. Keller era troppo lontano per riconoscerli, ma non era difficile fare due più due. L’uomo e i due bambini si diressero al garage ed entrarono attraverso la porta laterale; Keller accese il motore e fece in modo di passare davanti al vialetto degli Hirschhorn mentre la saracinesca del garage si stava aprendo. Nella rimessa da due posti e mezzo vi erano due auto: una station wagon che non riuscì a identificare e una Jeep Cherokee.

    Hirschhorn lasciò la jeep alla moglie e portò i figli a scuola con la station wagon, che si rivelò essere una Subaru. Keller la seguì anche dopo che Hirschhorn ebbe depositato i figli a scuola, mollandola quando Hirschhorn prese l’interstatale. Perché seguirlo fino in ufficio? Keller sapeva dov’era, ed era inutile lottare col traffico dei pendolari per dargli un’occhiata in quel momento.

    Keller trovò un altro ristorante familiare, e ordinò spremuta d’arancia, una omelette con frittelle di patate e del caffè. L’aranciata era spacciata come appena spremuta, ma bastava un sorso per capire che non era vero. Keller pensò di dire qualcosa, ma a che sarebbe servito?

    • • •

    Vi siete portato dietro il catalogo?

    Lo uso come lista di controllo, spiegò Keller. E’ più semplice che avere un pacco di fogli di carta.

    Certi usano un’agenda.

    Ci ho pensato, disse Keller, ma ho deciso che è più comodo fare un segno sul catalogo ogni volta che compero un francobollo. Lo svantaggio è che è pesante e che si rovina.

    Almeno avete un solo volume. E’ lo Scott Classico? Che cosa collezionate?

    Tutto il mondo prima del 1952.

    E’ ambizioso, disse l’uomo. Collezionare tutto il mondo.

    L’uomo era sui cinquanta, con braccia e gambe sottili, spalle strette e una enorme pancia. Era seduto su una sedia a rotelle, e un paio di moderne stampelle di alluminio appoggiate al muro indicavano che si spostava dalla sedia solo se doveva. Keller lo aveva trovato sulle Pagine Gialle e non aveva avuto difficoltà ad arrivare al suo negozio, in un’area commerciale sulla Bardstown Road. Si chiamava Hy Schaffner, il negozio era Hy’s Stamp Shoppe, e si disse certo di poter tenere Keller occupato a guardare francobolli. Con che paese voleva iniziare?

    Forse il Portogallo, disse Keller. Portogallo e Colonie.

    Angra e Angola, recitò Schaffner. Kionga. Madeira, Funchal. Hortha, Lourenco Marques. Tete e Timor. Macao e Quelimane. Si schiarì la gola, girò la sedia verso sinistra e prese tre piccoli raccoglitori da uno scaffale, passandoli a Keller sopra il bancone. Dategli un’occhiata, disse. Pinzette e lente sono lì davanti a voi. I prezzi sono segnati, a meno che non abbia ancora avuto il tempo di farlo. Sono circa un terzo in meno rispetto al catalogo, a seconda delle condizioni; e più ne comperate, più sconto vi faccio. Siete di qua?

    Keller scosse la testa. New York.

    La città, o lo stato?

    Entrambi.

    Immagino che se siete della città, lo siete anche dello stato, vero? Qua per affari?

    Di passaggio, disse Keller. Questo non rispondeva veramente alla domanda, ma sembrò bastare a Schaffner.

    Bene, fate con comodo, disse. Rilassatevi e divertitevi.

    Keller pensò velocemente. Avrebbe dovuto dire di essere di qualche altra città, invece di New York? Avrebbe dovuto inventare una ragione più precisa per cui si trovava a Louisville? Poi fu preso da quello che stava facendo, tutti i pensieri cessarono e si dedicò completamente al compito di esaminare i francobolli.

    Aveva una collezione da ragazzo, e non ci aveva più pensato fino a quando, un giorno, aveva pensato di ritirarsi e smettere il suo lavoro. Allora il Vecchio di White Plains era ancora vivo, ma stava chiaramente perdendo le forze, e Keller si era chiesto se non fosse ora di fare i bagagli. Aveva tentato di immaginare come avrebbe passato le ore, aveva pensato a degli hobby, e questo gli aveva fatto ricordare i francobolli.

    La sua collezione da ragazzo non c’era più da tanto tempo, naturalmente, insieme al resto della sua giovinezza. Ma quella passione c’era ancora, ed era notevole quanto ancora se ne ricordasse. Pensava anche che la maggior parte delle informazioni varie che aveva nella testa ci fossero arrivate grazie a quella collezione di francobolli.

    Così, era andato in giro, parlato con i commercianti, letto riviste e cercato di capire come fosse il grande mare della filatelia. Poi aveva trattenuto il fiato e vi si era tuffato. Aveva comperato una collezione parziale e l’aveva rimontata su dei begli album nuovi, cosa che alla fine gli aveva portato via delle ore ogni giorno, per mesi. E poi, aveva comperato francobolli da negozi di New York, e ordinati altri per posta dai commercianti che mettevano le loro pubblicità sul Linn’s Stamp News. Altri commercianti gli spedivano i listini dei prezzi, o liste da cui scegliere. Andava alle mostre di francobolli, dove dozzine di commercianti offrivano la loro merce sulle bancarelle, e partecipava alle aste, sia per posta che di persona.

    Era buffo come erano andate le cose. Collezionare francobolli avrebbe dovuto dargli qualcosa da fare quando si sarebbe messo a riposo, ma lui l’aveva intrapreso con tale entusiasmo, e investendo così tanto denaro, che ritirarsi non gli sarebbe più stato possibile. Poi il Vecchio era morto mentre Keller si trovava a un’asta

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