Saint Wars - La leggenda di Kàdmius dello Scorpione
By Manuel Mura
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Saint Wars - La leggenda di Kàdmius dello Scorpione - Manuel Mura
Indice
Prologo
Nascita di una leggenda
Il giovane prodigio
Fiamme di guerra
Eroe e burattini
Il cavaliere della luce
I due giganti
Il cavaliere oscuro
Il demone della bellezza
Il potere di Antares
Ultimi ostacoli
Scontro finale
Il destino degli eroi
Manuel Mura
Da un'idea di Gabriele Manzoni
Saint Wars
La leggenda di Kàdmius dello Scorpione
(Ispirato a Saint Seiya)
Youcanprint Self-Publishing
Saint Wars - La leggenda di Kàdmius dello Scorpione
© 2018 - Manuel Mura
ISBN | 9788827840535
Prima edizione digitale: 2018
© Tutti i diritti riservati all’Autore
Youcanprint Self-Publishing
Via Marco Biagi 6, 73100 Lecce
www.youcanprint.it
info@youcanprint.it
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Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata costituisce violazione dei diritti dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla legge 633/1941.
Prologo
<<Tu, che leggerai forse un giorno queste mie parole... Che tu sia Luce... o Ombra, segui sempre il tuo cammino con tutto il cuore... Pace, che tu possa essere la luce e la strada, che porterà alla verità e alla felicità scolpita da sempre, dentro il cuore degli uomini giusti...>>
Kàdmius dello Scorpione...
Questa storia non è mai stata narrata!!!!!
Correva l'anno 1401, un tempo oscuro in cui il male si insinuava negli animi umani, sia che fossero ignari villici o nobili cavalieri, sia al servizio di Atena o delle forze oscure, e il buio del loro cuore si espandeva sempre più, facendo sprofondare il mondo in un baratro senza fine.
Fu in quel tempo che la stella Antares brillò di una mostruosa energia, venata di oscure folgori, come mai era successo nel corso della sua storia.
In una notte tempestosa, e prematuramente di diciassette giorni, nell'antico giorno in cui si celebravano i morti, sotto il segno dell'infamia e del dolore, venne alla luce un bambino che portava sulle sue spalle il peso dei peccati del mondo.
Cupo e oscuro era il fato assegnatogli fin dalla nascita e arduo il suo cammino, irto di terribili dolori e prove oltre ogni immaginazione.
Tentato dal male, disprezzato e temuto dai suoi simili, non venne nemmeno battezzato, perché dietro l'orecchio aveva una sorta di doppia macchia, una chiara e una scura, che unite insieme rappresentavano un simbolo, o meglio un animale: uno scorpione.
I suoi occhi erano di un rosso scarlatto, e la sua pelle molto scura, quasi bruciata, cosa ancora più insolita per il paese nordico e sperduto in cui era nato, e scuri erano i capelli.
Come emise il primo vagito, il cielo e la terra tremarono in una cacofonia terribile e agghiacciante che si espanse in ogni angolo del mondo facendo comprendere agli abitanti che qualcosa era cambiato per sempre.
Nello stesso istante una luce scarlatta si sprigionava dal corpo del neonato espandendosi sempre più come non avesse limiti e confini, mentre fulmini neri si abbatterono sul villaggio: tutti credettero che fosse arrivata la fine del mondo.
I terribili occhi del figlio di Ares sembravano accendersi di una fiamma sinistra mentre le sue fauci irte di denti aguzzi si serravano con tetri rumori.
Persino l'animo più saldo sarebbe stato sconquassato da tale terribile visione, che scioglieva le ginocchia di ogni avversario e corrompeva il cuore di chiunque vi posasse lo sguardo.
Il vecchio vegliardo scrutava il cielo tempestoso cercando di scorgerne le stelle, coperte da nuvole temporalesche, ma quello che percepì in quel momento era qualcosa che andava al di là della normale comprensione.
Lui era sempre stato freddo e distaccato da ogni cosa, anche quando da giovane combatteva tra le schiere dei cavalieri d'oro al servizio di Atena contro le forze oscure di Hades.
Era stata una dura battaglia quella da pochi anni finita, in cui sì le forze oscure erano state bandite, ma a prezzo di grandi sacrifici in termini di vite umane.
La stessa Atena si era sacrificata affinché il sovrano degli inferi fosse nuovamente relegato nel Limbo dove ogni duecentocinquant'anni risorgeva cercando di portare l'oscurità nel mondo.
Lo stesso erano periti quasi tutti i cavalieri al servizio di Atena, tranne lui e pochi altri.
Di buon grado aveva assunto l'incarico di ricostruire le schiere della Dèa con il ruolo di Gran Sacerdote, colui che portava la sua voce alle umane genti ma ora vedeva una nuova e ancora più terribile oscurità palesarsi.
Qualcosa nel moto degli astri era cambiato per sempre preannunciando tempesta, forte e terribile, peggiore di tutte quelle manifestate nel mondo nei tanti secoli di lotte intestine tra gli dèi che volevano distruggerlo e Atena salvarlo.
Gli immani sacrifici fatti in passato sembravano inutili, come le vite spezzate, di fronte a quel nuovo inferno che stava per scatenarsi sulla Terra.
Il vecchio guardò nuovamente il cielo e, anche se tra le nuvole, il vento, la pioggia e i fulmini, scorse inequivocabilmente simboli arcani palesarsi che proiettavano la figura oscura e terribile di un antico dio ancora più terribile di quelli combattuti finora.
Il suo fare era ancora peggiore perché subdolo e sleale, corrompendo dall'interno le anime delle umani genti, distruggendo anche i cuori più puri e votati alla giustizia.
La ferita che il vecchio nascondeva all'altezza del petto dalle vesti di Gran Sacerdote si fece sentire in tutta la sua forza piegandolo in due dal dolore.
Lo stesso sovrano degli inferi gliela aveva inferta prima di essere bandito da questo mondo.
Proprio il gesto all'altruistico dell'uomo aveva permesso ad Atena di sconfiggere Ade, portandolo con sé fino al regno precluso a chi non possedeva il divino sangue.
La Dèa aveva fatto di più. Prima di sparire aveva benedetto l'uomo salvatore del mondo commossa dal suo altruismo e fedeltà, permettendogli di vivere più a lungo malgrado la ferita che avrebbe dovuto portarlo in breve alla morte.
L'anziano sentiva che il suo tempo era giunto, però non poteva morire sapendo del pericolo incombente.
Fece appello alle sue forze tentando di rialzarsi, ma riuscì solo a muovere la testa verso l'alto: così lo vide.
Un mondo in cui regnava solo l'oscurità, in cui bontà e altruismo erano bandite per sempre come l'amore, sostituiti dall'odio, egoismo e perversione.
Non c'era pietà, regole, pace, né speranza.
Fiamme bruciavano villaggi, dolori di ogni sorta affliggevano persone di ogni etnia e paese, il caos regnava sovrano, l'ingiustizia era all'ordine del giorno, e sopra tutto sovrastava una figura oscura e terribile: Fobos.
Anche l'animo impassibile dell'uomo forgiato da mille battaglie perse un colpo davanti a quella terribile visione.
Ancora peggiore era il dio malefico che si palesava all'orizzonte, anzi il suo influsso nefando già all'opera.
Lo comprese d'istinto e questo lo spaventò ancora di più.
Il constatare della terribile minaccia per il mondo intero gli dette la forza d'alzarsi nuovamente.
No, non poteva ancora morire, aveva un compito affidatogli da Atena da portare a termine e non intendeva deluderla né venire meno alla responsabilità affidatagli.
Suo era l'incarico di creare una schiera di nuovi valorosi cavalieri della giustizia, una nuova stirpe di eroi che doveva vegliare sulle umani genti e fermare l'avanzare del malefico Dio.
Questi non era forte solo nel cosmo oscuro ma possedeva un'arma ancora più forte e terrificante, tanto che nemmeno le armature d'oro bastavano a fermare: la corruzione dell'anima.
Però lui poteva ancora porvi rimedio: non era troppo tardi.
Il cosmo del Dio si espandeva ma ci sarebbe voluto tempo prima di poter corrompere il cuore degli uomini, anni sicuramente, prima che raggiungesse la sua massima potenza.
Non sapeva però quanti, cinque, dieci, venti, cento: chi poteva dirlo?
Gli dèi immortali potevano aspettare anche un'eternità prima di manifestarsi, e questo gli diede la flebile speranza che forse si era sbagliato nel pensare che il pericolo li minacciasse a breve.
L'attimo dopo riprese la freddezza abituale, comprendendo che se il cosmo del dio era già sulla Terra significava che la sua resurrezione era imminente, anzi già avvenuta.
Sarebbe cresciuto come un umano e una volta raggiunta l'età adulta, o probabilmente anche prima, avrebbe manifestato al pieno la sua immane potenza distruttiva.
Compreso quello, il Gran Sacerdote capì che il tempo a disposizione era poco.
Entro quindici o vent'anni al massimo avrebbe raggiunto il culmine e ancora prima espanso la corruzione nell'anima delle persone distruggendole dall'interno e portandole alla guerra.
Non c'era tempo da perdere.
L'anziano ritrovò il suo grande autocontrollo e pensò rapido a un piano d'azione.
Doveva creare una nuova schiera d'eroi forti non solo nel fisico ma soprattutto nel cuore, tanto da non permettere venisse macchiato dal male che subdolamente l'avrebbe tentato in tutte le maniere.
Comprese che non tutti sarebbero riusciti a resistere alla tentazione, alcuni di sicuro avrebbero ceduto e questo comportato una lotta intestina e spietata.
No, lui non l'avrebbe permesso, si sarebbe imposto tra i cavalieri d'oro e messi in guardia sul pericolo che li affliggeva.
Avrebbe dedicato il tempo che gli restava per istruire i nuovi talenti, presagendo allo stesso tempo che qualcosa nel cielo si stava già muovendo.
Guardò nuovamente tra le nuvole superandole con il suo sguardo lungimirante, fino ad arrivare alle stelle e vedere una di esse brillare come non mai.
Si trattava di una stella rossa, una stella in continua attività, instabile forse ma allo stesso tempo forte e salda nei suoi propositi.
La riconobbe come quella di Antares, il cuore della costellazione dello Scorpione e, nello stesso istante che posò i suoi occhi su di essa, vide la sua luce scarlatta espandersi per il mondo e il cielo ruggire in risposta mentre la terra tremava.
Per un attimo rimase incerto, non capendo bene se era un segno di sventura quello appena palesato o qualcosa di nuovo e straordinario.
Pensandoci un momento, comprese che doveva trattarsi della seconda ipotesi, perché lo Scorpione era al servizio di Atena e delle umani genti.
Riguardò ancora e ne fu certo.
<>
Nascita di una leggenda
Il giovane girava con aria imperturbabile e sicura per il piccolo villaggio, come se gli appartenesse di diritto.
Ancora un bambino era già temuto da tutti che preferivano evitarlo.
La neve che copriva ancora in parte le strade non lo fermava, come le occhiatacce che la gente del luogo e nemmeno i commenti degli altri ragazzi che lo consideravano qualcosa di anormale per non dire blasfemo.
Tutto ciò che lo circondava, come il giorno della sua nascita, la morte della madre appena messo al mondo, la scomparsa del padre partito per la guerra e mai più tornato, lasciavano intendere che fosse forviero si sventura.
Da tempo girava la voce che fosse figlio del Demonio, un blasfemo, un figlio del peccato e altre dicerie, messe subito a tacere da incidenti più o meno gravi che succedevano puntualmente a chi le diceva.
La gente aveva preso a parlare a bassa voce di quel bambino dagli occhi scarlatti, la pelle quasi mulatta, i lunghi capelli scompigliati tra il nero e blu, il volto affilato e selvaggio ma allo stesso tempo impassibile.
Non sembrava provare emozione alcuna, indifferente a tutto ciò che lo circondava, non curandosi di nessuno né temendo alcunché.
A pochi anni aveva già messo a tacere tutti gli altri ragazzi più grandi e prepotenti che avevano provato a sbarragli la strada.
Ora che ne aveva dieci nessuno osava più farlo e giusto in quel momento, ormai all'approssimarsi della notte, la gente aveva più paura e chiudeva prontamente le finestre e sbarrava le porte.
Voci di orrende creature che si aggiravano nei boschi si susseguivano, come la sparizione di molte persone.
Tutte cose che gli abitanti avevano attribuito a quel giovane selvaggio, ma nessuno finora aveva avuto il coraggio di dirglielo in faccia o fare qualcosa contro di lui.
Era troppa la paura che tutti provavano e nemmeno il numero dava maggior forza, temendo per la propria vita e non volendo metterla a rischio.
Al giovane, invece, piaceva il rischio come mettersi continuamente alla prova, sfidare le leggi della natura e le creature del creato: soprattutto gli piaceva la libertà.
Si allontanò dal centro abitato che era notte fonda. La neve aveva ricominciato a scendere piano colorando di bianco le fronde e i rami dei grossi alberi che abbondavano nel bosco vasto e folto anche se non enorme.
Il ragazzo conosceva a memoria ogni anfratto, memorizzava ogni cosa che vedeva senza scordare mai nessun particolare.
Era un genio, un portento in ogni cosa che faceva, una macchina da guerra e allo stesso tempo una mente acuta e pragmatica unita a un freddo distacco.
Non temeva niente e nessuno ed era certo non ci fosse limite che non si potesse superare o avversario battere.
Tutti quelli con cui aveva combattuto non valevano niente, nemmeno un unghia di lui e difatti li aveva sconfitti solo con tale forza.
Era bastato un dito per mettere a tacere bande di balordi e stupidi che si credevano forti ma non valevano niente.
Arrivato al centro di una zona circondata da grossi alberi secolari, ora in parte innevati che formavano una specie di grosso cerchio, si fermò di colpo.
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Una ventina di uomini grandi e grossi dalla tipica espressione da smargiassi, armati di mazze e spade, con protezioni al corpo e alla testa, uscirono dagli alberi e lo circondarono.
Ridevano e sghignazzavano, sicuri