Gabriele D'Annunzio il dandy italiano Veronica Iorio
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Gabriele D'Annunzio il dandy italiano Veronica Iorio - Veronica Iorio
morte
Introduzione
La vita di Gabriele d'Annunzio è essa stessa un'opera del Vate, la più grande che egli abbia cercato di scrivere senza disdegnare l'inganno, la menzogna, il divismo. Gabriele confeziona se stesso a misura di pubblico, mescolando realtà e fantasia: inventa la notizia della sua falsa morte per pubblicizzare la sua prima opera, conquista la giovane duchessa d'Hardouin attratto dal blasone di lei e ne seduce, poi, la madre. Possiede giovani nobildonne in gondola e sfrutta l'amore della Duse a suo vantaggio. Spadroneggiò gli uomini del suo tempo, influenzò ogni campo dell’arte e i suoi capricci vennero seguiti con viscerale curiosità da quaranta milioni di italiani. Generoso, regalò a intere generazioni il suo stile, la sua energica espressione massmediatica che coinvolse la folla nel mito delle proprie parole. Si circondava di persone mediocri che, stando vicino a lui, assaporandone l’essenza e osservando quei picchi di innovazione e originalità del Vate, credevano di averle assorbite e fatte proprie. D’Annunzio non poteva invecchiare, non poteva non essere per sempre giovane. Viveva nel miraggio dell’eterna giovinezza, fino a quando, il ricordo di quello che fu, lo travolse. Una parabola che declina fino alla clausura del Vittoriale dove, tra donne e cocaina, non sopravvive al declino del mito che per se stesso aveva inventato.
Veronica Iorio
L’infanzia
Gabriele D'Annunzio nasce a Pescara il dodici marzo 1863 quando l'alba si innamora
, al levar del sole, scriverà anni più tardi per ricordare quell’evento. Era il terzo dei cinque figli di Luisa de Benedictis e Francesco Paolo Rapagnetta. Prima di lui erano nate Anna, nel 1859, ed Elvira, due anni dopo; successivamente sarebbero nati, sempre con l'intervallo di un biennio, Ernestina ed Antonio. Terzogenito e primo figlio maschio, lungamente sospirato e per questo destinatario di attenzioni particolari, gli fu riservato il meglio che l’Abruzzo allora offriva. Il padre era un modesto mercante di Pescara, adottato in tenera età dalla sorella della madre, la quale aveva sposato in seconde nozze un facoltoso commerciante ed armatore, Antonio D'Annunzio, da cui Gabriele prenderà il cognome. Gli fu posto il nome dell'arcangelo a cui il poeta disse sempre di assomigliare: ciò fu vissuto da lui come un vero e proprio segno al punto da scegliere, ormai adulto, lo pseudonimo Ariel per farsi chiamare da amanti e intimi: ancora un arcangelo, quello del misticismo e della letteratura apocrifa giudaico-cristiana, presentato come una autorità sulla Terra e sui suoi elementi, angelo della cura, dell'ira e della creazione. Egli diceva di sé si essere esile, biondo e ricciuto, bello come l'Arcangelo del mio nome
e sin dalla più tenera età ostenta una eleganza ricercata.
* * *
Manifesta precocemente doti letterarie leggendo con passione l'Eneide, al punto da chiedere al padre di dipingere il soffitto della sua stanza con scene tratte dal poema virgiliano. Sin da bambino coltiva una personalità votata all’apparenza, al prestigio: dava ogni giorno la sua merenda ad un amichetto povero, tal Cincinnato, e quando la madre di Gabriele, venuta a saperlo, voleva fornire al figlio un’altra merenda, egli rifiuta per non sentir menomato il piacere dell’offerta
. Non era virtù, ma grandiosità d’animo. Considerato dai genitori un enfant prodige, fu avviato ben presto agli studi ginnasiali e a undici anni comincia a frequentare il prestigioso e costoso istituto Cicognini