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JIMMY NON MOLLA MAI - Le origini
JIMMY NON MOLLA MAI - Le origini
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JIMMY NON MOLLA MAI - Le origini

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About this ebook

Braccato dalla Polizia dopo una rapina, Jimmy Wolker teme di essere giunto al capolinea della sua carriera criminale e forse anche della vita. Sembra la fine di tutto, invece è solo l’inizio di una mirabolante avventura, di un viaggio fantastico, che lo porterà attraverso mondi surreali e inimmaginabili, animati da personaggi tanto grotteschi quanto inquietanti. Dispettoso, insolente, provocatore, ma anche carico di un’incredibile umanità e di un fascino che lo rende irresistibile alle donne, Wolker dovrà affrontare e superare prove di ogni sorta, senza mai scoraggiarsi, senza mai perdersi d’animo, senza mai tirarsi indietro… Perché Jimmy non molla mai.

Maggiori informazioni https://aporema-edizioni.webnode.it/products/jimmy-non-molla-mai/
LanguageItaliano
Release dateNov 22, 2018
ISBN9788832144123
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    Book preview

    JIMMY NON MOLLA MAI - Le origini - Paolo Bulzi

    dell’editore

    Paolo Bulzi

    Maria Patelmo

    Jimmy

    non molla mai

    -

    Le origini

    Jimmy non molla mai – Le origini

    di Paolo Bulzi e Maria Patelmo

    © 2018 Aporema Edizioni

    Società cooperativa

    www.aporema.com

    A mio padre

    Maria Patelmo

    PROLOGO

    Una bellissima giornata estiva, una strada di montagna larga e ben curata, precipizi e vallate incastonate tra una moltitudine di alberi, una splendida cornice per una gita.

    Un’auto sfreccia a velocità folle. All'interno, quattro uomini, inseguiti da una volante della polizia, le facce stravolte, impaurite, i nervi tesi.

    La distanza tra le vetture si riduce sempre più.

    I quattro incominciano a esasperarsi.

    A lato dell'autista, lo spietato Hannibal, uomo robusto, stempiato, dai lineamenti mediterranei, si rivolge ai due compagni seduti sui sedili posteriori:

    «Adesso gli spariamo! »

    Interviene subito Jimmy, seduto proprio dietro di lui.

    «Non facciamo sciocchezze.»

    Gli altri non commentano, ma Hannibal insiste:

    «Hai paura? L’ho capito appena ti ho visto, che eri un codardo .»

    «Se spariamo, ci daranno più anni .»

    «Tanto te la becchi lo stesso, la galera .»

    «Invece di discussioni inutili, cerchiamo di seminarli .»

    Hannibal, alterato, si rivolge a Marlon, che sta guidando la macchina:

    «Muoviti, sgangherato autista di autobus!»

    Marlon schiaccia l'acceleratore e la vettura aumenta di velocità; dietro, le sirene della polizia, sempre più insistenti, e le distanze, sempre più ridotte.

    Hannibal perde la pazienza, comincia a dare pugni sul cruscotto, il viso cambia colore e gli occhi assumono l'aspetto della paura. Con un gesto di rabbia tira fuori la pistola e la punta alla tempia di Marlon.

    «Se non semini quelle carogne, ti faccio saltare il cervello! » Toglie la sicura. «Muoviti!» grida a squarciagola.

    Gli altri due nei sedili posteriori si guardano sbalorditi. Jimmy bisbiglia: «Questo è impazzito!»

    Fred non risponde, ha lo sguardo terrorizzato.

    Marlon, agitato, lancia un urlo adrenalinico e schiaccia l'acceleratore al massimo, mentre l'auto sfreccia su un lungo rettilineo. La velocità aumenta di nuovo, sempre di più: stanno iniziando a distanziare la polizia.

    «Dai...che ce la facciamo!» esclama Hannibal con voce sollevata.

    Sono le sue ultime parole.

    Marlon non riesce a controllare l'auto in una curva a gomito e, tra le grida di terrore dei quattro uomini, il veicolo finisce in una scarpata, capovolgendosi più volte, per finire a schiantarsi contro un albero.

    Marlon, scaraventato fuori dalla macchina; Hannibal, immobile al suo posto, con la testa china sul cruscotto; Fred, accovacciato su se stesso; Jimmy riverso addosso al compagno.

    Jimmy, ricoperto di sangue, rantola, ma è ancora vivo.

    Seguono istanti di quiete assoluta, un senso di sospensione della vita.

    L'arrivo della volante della polizia, che si ferma sul ciglio della strada, interrompe quella pace. Tre poliziotti, con molta prudenza e armi alla mano, scendono giù per la vallata, verso l'automobile dei rapinatori.

    Arrivati alla vettura, capiscono al volo che non c'è alcun pericolo: i quattro delinquenti sembrano inermi e sono ricoperti di sangue. Depongono le loro pistole nelle fondine e quasi sorridono.

    «I mentecatti che fanno le rapine all'ora di pranzo e che poi sbattono contro un pino secolare, rovinando la sua bella corteccia, se rimangono vivi, di solito li prendo a calci nel sedere » esordisce il sergente Hartman, un omone alto, con baffi folti e dall’ego smisurato. Si gira verso i colleghi e, accentuando il sorriso beffardo, continua: «Però hanno distrutto una Pontiac del 2001... e io odio le Pontiac del 2001! A questo punto, se ne trovo uno vivo, non so se dargli dei calci o una medaglia al valore .»

    Gli altri due scoppiano a ridere.

    «Ci hanno fatto fare una corsa pazzesca: potevamo finirci noi nella scarpata» commenta l'agente Smith, un tipo magrolino e di mezza età.

    Il sergente Hartman ordina:

    «Forza, recuperate in giro le armi di questi somari, prima che se ne riprenda qualcuno e ci spari addosso. Poi chiameremo le ambulanze .»

    Senza indugiare oltre, i due agenti si mettono all’opera.

    Nell'avvicinarsi al corpo di Jimmy, l'agente Cruise sente il suo rantolo di dolore.

    «Ehi sergente, qui ce n'è uno vivo. È zuppo di sangue, ma vivo .»

    Il sergente Hartman annuisce. «Se quel delinquente ce la farà, dovrà spiegarci un bel po’ di cose. »

    Nel frattempo l’agente Smith trova la refurtiva.

    «Ecco i soldi: sono qui nel bagagliaio. Accidenti... ma sono pochi! Saranno sì e no diecimila dollari!»

    Il sergente Hartman si avvicina e butta un'occhiata al bottino.

    «Il banchiere, quando ci ha chiamati, ha detto che avevano portato via tutti i soldi che erano nella cassaforte. Caspita, ho più soldi da parte io che la banca! Incredibile!»

    I due agenti sorridono, divertiti.

    Senza osservare il protocollo, soltanto dopo aver sistemato tutti i dettagli delle perquisizioni, i poliziotti si decidono a chiamare le ambulanze. Durante l'attesa, passano il tempo a ridere e scherzare, mentre i corpi giacciono ancora immobili all'interno delle lamiere accartocciate.

    La vita di uno dei rapinatori, Jimmy, resiste, ma la voglia degli agenti di dargli assistenza è nulla. Costretto all'immobilità dentro l'abitacolo deformato dell'auto, non riesce a capire, né a vedere cosa succede intorno lui.

    Le ambulanze tardano, il tempo passa.

    Il sergente Hartman continua con le sue chiacchiere:

    «Mio cugino, quattro anni fa, si è fatto male sulle cime di queste montagne. Per portarlo via ci hanno messo ben otto ore: se questo stupido se lo vengono a prendere con l'elicottero, giuro che vado dal sindaco a farmi sentire!»

    E, come al solito, i due agenti scoppiano a ridere.

    Arrivano le ambulanze. Il primo a essere soccorso è Jimmy. Uno dei soccorritori cerca di farlo parlare, ma lui non risponde, riesce solo a fare dei piccoli cenni, nulla di più.

    È ormai una corsa contro il tempo: le ambulanze schizzano via verso l'ospedale più vicino, un percorso di venti miglia. I soccorritori fanno di tutto per tenere in vita l'unico dei quattro malviventi che è sopravvissuto.

    Oltre al bell’aspetto ha una brillante intelligenza, una fervida immaginazione e una spiccata personalità che incontra il favore di chi gli sta intorno. Doti che gli avrebbero permesso di avere successo con un lavoro dignitoso. Ma la famiglia disagiata e le cattive compagnie hanno fatto in modo che la sua vita fosse differente e piena di difficoltà.

    Quando l’ambulanza arriva al pronto soccorso, uno dei paramedici scende di corsa ed entra nel reparto:

    «Codice rosso... codice rosso! »

    Il medico di turno lo ferma.

    «Accidenti, ma tutti oggi? Ne abbiamo un altro che si è impastato insieme alla moto: siamo nei guai!»

    «Ma quello che abbiamo noi mi sa che è quasi codice nero!»

    «Va bene, prendetelo e mettetelo in quella stanza» risponde il medico, indicandogli una porta.

    Il paziente, che nel frattempo è stato caricato su un lettino mobile, viene trasportato di corsa nella stanza, un piccolo locale, con all'interno solo un altro lettino e qualche strumento medico.

    Nel corridoio, persone che urlano e piangono dalla disperazione per il motociclista ferito in modo grave, e il personale sanitario che corre da tutte le parti.

    Jimmy è sorvegliato da un paio di infermieri, che cercano di dargli una prima assistenza, ma non possono fare molto per lui. Un medico entra all'improvviso nella stanza e incomincia a visitare il ferito.

    Nell'anticamera del pronto soccorso arrivano anche i tre poliziotti. Stazionano fuori dalla porta: passeggiano qua e là, parlano al cellulare o chiacchierano tra loro.

    Il medico, con lo stetoscopio poggiato sul torace del paziente, scuote la testa di continuo, mentre cerca di percepire il battito cardiaco, ma alla fine si rassegna.

    «Questo è morto .»

    Rimane in silenzio, fissando il corpo per qualche secondo, poi sobbalza, come se si fosse ricordato di qualcosa di maggior importanza.

    «Andiamo tutti di là presto» ordina mentre schizza verso la porta. «C’è il motociclista: quello almeno è ancora vivo .»

    Escono tutti dalla camera.

    Il sergente Hartman, appena li vede, si avvicina subito al medico.

    «Le chiedo informazioni sul ferito » gli dice senza mezzi termini e con tono deciso.

    «È morto» risponde secco il medico.

    «Va bene. Dobbiamo fermarci qui, nell'attesa del certificato di decesso: quell'uomo era un delinquente e non possiamo agire in modo diverso .»

    «Ci dia un po’ di tempo. Ora ci scusi ma c’è un’emergenza .»

    Il sergente annuisce e, nell’attesa, con i suoi due colleghi raggiunge le macchinette del caffè.

    SENSO UNICO

    Jimmy è disteso sul letto dell'ospedale.

    Le luci della stanza sono spente, ma dalle tapparelle socchiuse filtra il debole chiarore della luna che ammanta l'interno di una penombra surreale, riducendo il povero corpo a una sagoma scura e solitaria.

    A un certo punto, pian piano, quella sagoma sembra animarsi, con movimenti dapprima appena percettibili, poi sempre più visibili; ma nessuno è lì a notarli.

    All'improvviso Jimmy apre gli occhi.

    Rimane fermo, ma si guarda attorno. Non sa dove sia, la luce è troppo scarsa. Ci sono solo ombre scure intorno a sé: alcune, quelle vicino alla finestra, hanno i contorni argentati della luna.

    Non riesce a ricordare perché si trovi lì.

    Si mette a sedere sul lettino e con molta attenzione mette un piede a terra, poi l'altro. È strano, ma non riesce a sentire il proprio peso. Con passi lenti si dirige verso quella che sembra essere una porta e la apre un pochino per sbirciare fuori. Non è sufficiente, allora la apre di più. C'è un corridoio illuminato da una luce soffusa che, penetrando attraverso la porta, rende visibile un apparecchio medico accanto a lui. Jimmy lo guarda un attimo e riesce finalmente a capire di trovarsi in una camera d'ospedale.

    La sua mente all'improvviso si apre ai ricordi più recenti: la rapina, la fuga in automobile... e l'incidente!

    Si prende alcuni secondi, poi fa di nuovo capolino dalla porta semiaperta. In fondo al corridoio, alla sua destra, accanto alle macchinette del caffè, riesce a vedere che ci sono tre uomini in divisa. Dietro di loro c'è anche l'uscita.

    Chiude la porta e si ferma a riflettere. La apre di nuovo e questa volta guarda alla sua sinistra: laggiù c'è l’ascensore.

    Se provasse a guardare anche dietro di sé, vedrebbe il proprio corpo ancora steso sul lettino, privo di vita; ma non ha né tempo né motivo di farlo.

    La sua priorità ora è quella di fuggire: il pensiero di essere arrestato lo paralizza per qualche attimo.

    Fa un respiro profondo, prende coraggio ed esce dalla stanza. Percorre il corridoio, lungo e diritto, intento a raggiungere l'ascensore, unica via d'uscita: dall’altra parte ci sono gli agenti.

    Cammina a passo deciso e quando incrocia un infermiere, abbassa il capo, proseguendo poi il suo tragitto: ancora una ventina di metri, poi libertà. Forse...

    Riesce ad arrivare fino all’ascensore senza più incontrare nessuno, schiaccia il tasto di chiamata e attende: il momento è snervante e non osa guardarsi indietro.

    E se l’infermiere l’avesse riconosciuto e ora stesse chiamando la polizia? Si chiede, mentre l'ansia gli fa schiacciare il tasto più volte.

    Finalmente un suono metallico indica l’apertura delle due porte automatiche. Jimmy entra e, senza girarsi, schiaccia il bottone con il numero cinque inciso, quello che lo porta il più distante possibile dagli agenti. Le porte si chiudono e l’ascensore incomincia la sua corsa.

    Si trova davanti allo specchio e osserva i suoi capelli biondo scuro ben pettinati. Gli occhi, di un caldo color nocciola, dai quali traspare uno sguardo intelligente e ironico, sono ancora pieni di vita. La camicia che indossa sopra il fisico asciutto e robusto è in ordine, e senza neppure una macchia di sangue. Ne rimane stupito. Allora la sbottona ma non trova ferite, né contusioni, e nemmeno un livido. Niente di niente! Non riesce a capire, non si dà una spiegazione, continua a guardarsi: tutto risulta a posto.

    Di nuovo il suono. Si aprono le porte automatiche, l’ascensore è arrivato al piano. Lui ne esce, fa un paio di passi avanti e si trova in una stanza enorme, profonda almeno una cinquantina di metri, senza finestre, con pareti, soffitto e pavimento totalmente bianchi.

    Ai lati dell’ascensore, ci sono due grossi vasi di fiori, un misto di varietà dai colori bellissimi.

    Sulla sua destra, a circa una trentina di metri da lui, nota una porta in noce.

    Lesto, si avvicina, la apre e la imbocca con cautela: gli appare una sala di attesa di grosse dimensioni, con una quarantina di persone, per lo più anziani, seduti in silenzio su alcune panchine di legno.

    In alto, sul muro, un display elettronico segna un numero: il trentaquattro.

    Anche lì le pareti sono bianche, l’ambiente silenzioso e con un'aura di tristezza.

    A destra, c'è un bancone da bar con un barista che lo sta osservando con un bel sorriso. È un uomo sulla sessantina, con la pettorina bianca e i capelli pettinati all’indietro, leggermente radi.

    Jimmy gli si avvicina con passo lento.

    «Buongiorno » esordisce.

    «Buongiorno a lei » gli risponde questi, con una certa professionalità, senza smettere di sorridere.

    Jimmy contraccambia quel sorriso, per nascondere la propria tensione.

    «In fondo alla stanza, vedo una porta: forse conduce nei reparti dell’ospedale?» gli chiede sforzandosi di usare un tono neutrale.

    L'uomo si volta un attimo a osservarla, poi volge di nuovo il suo sguardo verso Jimmy: «Per varcare quella porta, deve prendere il numerino alla macchinetta e aspettare il suo turno, signore .»

    Jimmy allarga le braccia con disappunto.

    «Ma io non devo fare nessuna visita. »

    «Non ha importanza, signore: questa è la prassi .»

    «Beh, io adesso vado e la apro lo stesso. »

    «Le sconsiglio di farlo, signore: dietro c’è una guardia che non fa passare nessuno senza il numero!»

    Nel sentire la parola ‘guardia’, si calma seduta stante.

    «Le posso offrire un amaro? Si chiama Cento Erbe, è molto buono, sa?» gli dice il barista, cordiale.

    «Certo, un amaro non si rifiuta mai: anzi, la ringrazio per la sua gentilezza.»

    Lo sconosciuto poggia un bicchiere sul banco, ci versa dentro l’amaro e poi lo sospinge verso di lui.

    Jimmy incomincia a bere e ne approfitta per scambiare due chiacchiere:

    «Trovo tutto strano in questo reparto: stanze bianche e nessuna finestra. E poi questa gente, qui davanti, che non parla, e inoltre il numerino per oltrepassare la porta... »

    «Ha ragione, signore: la penso esattamente come lei, ma io mi devo attenere alle regole. Purtroppo sono solo un dipendente .»

    «Adesso sa che cosa faccio? Prendo l’ascensore e trovo l’uscita in qualche altro piano!»

    Il sorriso del barista diventa beffardo.

    «Buona fortuna, signore. »

    Jimmy si gira e se ne va, prende l’ascensore e, stavolta, schiaccia il tasto quattro. Le porte si chiudono e l’ascensore incomincia la sua breve discesa.

    Appena aperte le porte, esce e si trova di nuovo in una stanza enorme, identica alla precedente.

    Anche i due grossi vasi di fiori ai lati dell’ascensore sono simili agli altri.

    Sulla destra ancora una porta in noce.

    Ritorna in ascensore e schiaccia il tasto tre. L’ascensore scende, si ferma, e le porte si riaprono.

    Stessa situazione di prima.

    È incredulo: ogni piano è uguale all’altro.

    Rientra nell’ascensore e schiaccia il pulsante due e quando le porte si riaprono, si butta in ginocchio, senza nemmeno uscire.

    «Che accidenti succede, qui?» si domanda con voce spaventata.

    Attende di riprendersi, poi con coraggio si alza ed entra nella grande stanza. Apre l'unica porta esistente, sapendo già cosa c'è dietro. Infatti il panorama è lo stesso, solo il numero sul display è diverso: il quarantadue.

    Va ancora dal barista simpatico.

    «Da queste parti avete l'amaro Cento Erbe?»

    L'uomo, sempre sorridente, prende la bottiglia, gliene versa un po’ in un bicchiere e gli dice: «Offre la ditta, signore .»

    «Grazie! Non ti ho chiesto neanche come ti chiami .»

    «Il mio nome è Robert, signore .»

    «Bene, Robert, ho scoperto che qui avete un ascensore un po’ pittoresco: gli piace andare su e giù con poca creatività, fino quasi a diventare noioso .»

    «Porta sempre allo stesso posto, vero?»

    «Sì, mio caro Robert! Mi sai dire qualcosa di più?»

    Robert ha un portamento molto signorile, sembra non perdere mai la calma ed è sempre gentile, tanto da sembrare un maggiordomo di altri tempi.

    «In quella stanza in fondo, signore, qualcuno le risponderà… quando arriverà il suo turno, ovvio .»

    Jimmy è sempre più diffidente, ha una tremenda paura di essere catturato dalla polizia. Lui sa bene che ormai lo staranno cercando, ma spera che le forze dell’ordine si siano concentrate verso l’esterno dell’ospedale e non all’interno.

    «Questo qualcuno ha una divisa?»

    «No, signore. Le consiglio di prendere il numerino e attendere .»

    Sconsolato, allarga le braccia, va alla macchinetta e strappa il fogliettino: il suo numero è il novantasette. Trova un posto a sedere accanto a un anziano dall'aspetto curvo e spaesato.

    Jimmy tenta un approccio: «Buongiorno .»

    Quello si gira con lentezza verso di lui e gli risponde, con un altrettanto: «Buongiorno .»

    «Anche lei qui, vero?»

    Il vecchio risponde a fatica: «Non capisco, ero a letto a leggere.. .» un attimo di pausa e poi riprende. «No, forse stavo dormendo. Oh, mio Dio, non ricordo bene! Ora mi trovo qui, ma non capisco dove sono: forse mia moglie lo sa ma non ricordo dove è andata!»

    Jimmy alza le sopracciglia e desiste, pensando che il tizio sia un po’ svanito, data l'età. Drizza la schiena, chiude gli occhi e aspetta con pazienza il suo turno.

    Il tempo passa e si addormenta. È una giornata molto stressante, che gli ha provocato non poche emozioni e ci sono parecchie cose che non capisce.

    All'improvviso viene svegliato da Robert.

    «Signore, signore, è il suo turno: hanno chiamato il novantasette, si sbrighi! »

    Di colpo Jimmy è in piedi.

    «Finalmente!» Passando davanti al barista si sofferma un istante a guardarlo. «Ora vado di là: se trovo un altro ascensore stupido, torno qui, ti faccio fuori tutta la bottiglia e poi aspetto che tu vada a casa stasera: così, vedo da che parte vai e ti seguo!»

    Si precipita verso la porta con il suo numerino in mano, con un ghigno soddisfatto.

    IL GIUDIZIO

    Jimmy apre la porta e trova un'altra stanza: questa volta è piccola, sembra quasi un ufficio.

    C'è un uomo seduto dietro a una scrivania, che appena lo vede lo invita a entrare e ad accomodarsi.

    E adesso che diamine vuole, questo? pensa Jimmy mentre si siede sul l'unica sedia, davanti a lui.

    Lo sconosciuto legge in fretta un paio di fogli e poi gli domanda: «Lei è Jimmy Wolker, giusto?»

    Lui non risponde. Non riesce a capire come quell’uomo possa conoscere il suo nome.

    «Non si preoccupi, non sono della polizia, e non intendo denunciarla .»

    «E allora che cosa vuole da me?» gli domanda con un certo sollievo, ma non ancora del tutto convinto della sua sincerità.

    L'uomo in giacca e cravatta gli sorride.

    «Ho bisogno di essere sicuro delle sue credenziali: devo notificare la sua presenza .»

    Jimmy sbuffa, incomincia a essere stanco, e continua a non capire. Abbassa lo sguardo, annuisce con la testa, poi lo alza di nuovo su di lui.

    «Bene, il mio nome è Jimmy Wolker. Posso andarmene ora?»

    «Certo, signor Wolker, ma attenda ancora un attimo, per cortesia .»

    Lo sconosciuto si alza, si dirige verso la porta, la apre e fa un cenno a qualcuno; quindi torna indietro lasciandola aperta.

    Subito dopo entrano due uomini di corporatura robusta, alti, anche loro in giacca e cravatta. Uno dei due mette la mano sulla spalla di Jimmy.

    «Ci segua, per favore » lo invita con tono deciso.

    Jimmy li guarda con sospetto. Pensa che siano dei poliziotti in borghese, ma non può esserne sicuro: quello strano ambiente gli sta togliendo tutte le certezze.

    Con un sospiro di rassegnazione decide di seguirli senza far troppe storie.

    Appena varcata la soglia finisce in uno stanzone enorme, illuminato da plafoniere agganciate al soffitto alto almeno dodici metri.

    All'interno ci sono una cinquantina di persone.

    Il locale assomiglia a un'aula di tribunale.

    Davanti a sé, in fondo alla stanza, spicca un bancone dal quale spuntano tre uomini in toga nera. Di fronte a loro, a specchio, ci sono due scrivanie separate da uno stretto passaggio. Dietro ognuna di queste sta seduto un uomo elegantissimo.

    Jimmy fa un passo verso l'interno. Ai due lati ci sono file di persone sedute ad assistere.

    Uno dei due uomini eleganti si gira verso di lui e lo chiama concitato:

    «Signor Wolker... signor Wolker, venga! Mi chiamo Marco Porcio Catone e sono qui per difenderla .»

    Jimmy lo esamina con curiosità, quindi gli si avvicina, superando i cordoni che dividono la zona del pubblico dal resto dell'area.

    «Io non ci sto capendo più niente» farfuglia. «Lei è in grado di dirmi chi siete? Che cosa volete? E che posto è questo?»

    Marco Porcio Catone lo abbraccia con calore, poi si stacca da lui trattenendo però le mani sulle sue spalle.

    «Lei è morto. Mi rendo conto che è una dura realtà da accettare, ma sfortunatamente è così .»

    Con una smorfia di stupore, Jimmy fa un balzo all’indietro e si mette le mani nei capelli: non può crederci.

    Eppure è tutto così inusuale quello che gli sta accadendo, che forse questa gli sembra l’unica spiegazione plausibile. Ha sempre pensato di essere intoccabile e invincibile, quasi onnipotente, complice la fortuna e l'abilità a uscire indenne dalle situazioni più rocambolesche. Ma a quanto pare, nessuno può esserlo per sempre, nemmeno lui.

    Ora deve fare i conti con la possibilità di essere morto davvero e accettare il fatto che non può più tornare indietro.

    Guarda perplesso il suo difensore.

    «Ma… io mi sento vivo » protesta quasi balbettando.

    «Siamo tutti vivi: la vita comincia ora, caro Wolker. Adesso siediti .»

    Jimmy si gratta il capo, sconsolato, mentre si siede vicino a Catone, che lo abbandona un attimo per dirigersi verso il bancone del giudice.

    «Giudice, prima di iniziare il processo, le vorrei parlare un attimo» bisbiglia.

    Il giudice, un uomo di mezza età, con il pizzetto, posa sul tavolo il documento che stava leggendo per dedicare la sua attenzione a Catone.

    «Mi dica pure .»

    «È arrivato un altro cliente che non sa di essere morto: spero che questa cosa si risolva al più presto .»

    «Ancora? È inaccettabile!» Dà una manata sulla scrivania e aggiunge: «A fine giornata le prometto che prenderò sul serio questo problema che si sta ripetendo troppo spesso. Le assicuro che parlerò con chi di dovere. Ora però dobbiamo iniziare. »

    «Certo, signor Giudice .»

    Catone, con la coda in mezzo alle gambe, si affretta a tornare alla sua scrivania.

    «Ora, caro Wolker, si inizia sul serio: tra poco verrai giudicato, ma io farò di tutto per aiutarti .»

    Jimmy, non riuscendo ancora ad accettare l'idea di essere morto e per niente avvezzo a credere alla veridicità degli ultimi avvenimenti, reagisce con arroganza. Prende la sedia e la gira al contrario, sedendosi con il torace verso lo schienale e i gomiti appoggiati sopra, assumendo un atteggiamento spavaldo.

    «Questa frase l'ho sentita troppe volte nella mia vita, mio caro Marco Porcio Catone, e mi ricorda tanto la vaselina… Procediamo pure e vediamo cosa succede .»

    Il giudice dà il via all'udienza.

    «A giudizio il signor Jimmy Wolker!» inizia con tono perentorio e deciso. «Cominci lei, avvocato Marco Tullio Cicerone .»

    Marco Tullio Cicerone si alza, prendendo un foglio in mano: la sua funzione è quella della controparte.

    «Il signor Jimmy Wolker ha dato inizio alla sua attività di criminale all'età di soli sedici anni.» Fissa il giudice e aggiunge: «Ha rubato

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