La leggenda del raccontatore errante
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Il ciapino del borgo – un tipo curioso, dalle battute pronte, fantasiose e dalla grande saggezza popolare – va di paese in paese a narrare occasionalmente racconti alla gente che forma attorno a lui un uditorio attento e amico.
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La leggenda del raccontatore errante - Vincenzo Arnone
Roth
Prologo
C’ERA UNA VOLTA, sulle colline de La Santa
, un omettino chiamato Sirio.
Era bassino, magro e di ferrea salute e girava per le strade del borgo come una trottola in preda ad un moto perpetuo. Dalle sue parti, dove era nato e vissuto fino a trenta anni, lo avevano chiamato il canterino, ma qui, ne La Santa
gli avevano dato il soprannome di Ciapino: il Ciapino del borgo; e dovunque andasse, in qualunque locale si presentasse, per tutti era il Ciapino! Ora La Santa
era un borgo, appena un grappolo di case, nascosto sulle colline nei pressi della grande città. Traeva origine il nome, da un’antica leggenda che voleva, in quei luoghi, la vita eremitica e fortemente mistica, di una donna, Elide, la quale passò i suoi giorni dentro una grotta, vivendo di elemosina e di preghiera. Era, a quei tempi, costumanza gloriosa di alcune famiglie nobili della città, salire su per una collina e arrivare, ogni giorno del Signore, ai piedi della grotta, stare lì in preghiera con la Santa e donarle un po’ di cibo, necessario per i giorni che seguivano. Accettava, la Santa, il povero cibo, ma lo dava anche a qualche contadino di passaggio, poiché lei, il venerdì della passione e morte di Nostro Signore, digiunava completamente e tormentava il proprio corpo con il cilicio. Or una domenica, essendo il nobile Jacopo da Quarto salito su verso la grotta, con i serventi e gran numero di amici, vide Elide in fin di vita: aveva le mani giunte, il corpo supino sul povero giaciglio, un respiro affannoso e stanco e un fil di voce che diceva: Signore Gesù, accogli la mia povera anima peccatrice; perdona i miei molti peccati… perdona i miei molti peccati.
Al che il nobile Jacopo da Quarto molto si meravigliò che una donna così pia, religiosa e devota si sentisse grandemente peccatrice. E le disse, ginocchioni, avvicinandosi all’orecchio della Santa: Pregate per me, pregate per noi; siamo noi i poveri peccatori e non voi.
Ma Elide con un cenno del capo intendeva dire: No, no.
E nel far così alzò gli occhi e spirò. Il nobile Jacopo da Quarto rimase in ginocchio, addolorato e contristato, ma più ancora colpito dalla soprannaturale umiltà, volle che di lì a poco tempo al posto della grotta sorgesse una chiesetta in onore della Santa. La chiesa sorse, in alto a un campo terrazzato, piccola, a forma rettangolare; il corpo della Santa venne deposto sotto l’altare maggiore e in alto alla porta d’ingresso venne scolpito lo stemma del nobile Jacopo da Quarto: un cavallo in atto d’impennarsi e proteso alla corsa. Attorno alla chiesa sorse poi, nel volgere di anni e anni, un borgo, luminoso e aperto alla prima luce del sole mattutino. E venne chiamata ‘La Santa’ in onore di Elide, donna pia, devota e votata alla penitenza.
Il Ciapino diceva di essere nato nel paese delle favole poiché lì, nei piccoli paesi dei monti, tutte le storie diventano favole e tutti gli uomini diventano attori; e che a furia di stare sotto il sole cocente e tra i ruderi di greche memorie, anche lui aveva preso l’abitudine di raccontare storie vere o inventate o che comunque anche se vere apparivano sempre dentro un alone di antica leggenda. A tal modo parlava e raccontava, che gli abitanti, suoi concittadini, lo avevano chiamato canterino, come colui il quale, alla maniera degli uccelli, cinguetta e canta a volontà, senza dar segni di stanchezza.
Aveva appena frequentato le prime tre classi delle elementari, come tanti suoi coetanei, e sapeva leggere e mettere la firma. Ma l’orecchio attento e lo spirito pronto gli permisero di udire e tenere a mente tante storie che raccontavano i vecchi. Ricordava, in modo del tutto particolare, la zia Filippa, che zia proprio non era, ma era talmente affezionata al piccolo Sirio e ai suoi fratelli da essere considerata e amata come una di famiglia, la quale, le sere d’inverno, seduta, le spalle appoggiate sulla ‘cascia’ di casa, raccontava e raccontava, e non solo storie paesane e fatti edificanti, ma anche eroiche gesta dell’Orlando Furioso, della Gerusalemme liberata, dell’Iliade, dell’Odissea, dell’Eneide… al punto che nella fantasia di Sirio, adulto e poi vecchio e Ciapino del borgo, la memoria delle gesta di Ulisse, della forza di Polifemo, della pietà di Enea gli era tanto familiare.
I casi della vita lo avevano poi condotto lontano dalla terra nativa, appunto nella collina de ‘La Santa’ e qui era vissuto fino alla morte. Visse povero e semplice nei modi e aveva un suo mestiere, quello di falegname, che esercitava con valentia. Ma l’amore del vino e della buona tavola talvolta tradiva la sua bontà: capitava così che quando aveva una pila di centesimi e di lire, l’andava a consegnare alla fattoria del borgo; tra una risata e l’altra, tra una facezia e l’altra rimaneva privo di lucidità e di soldi; a notte fonda alcuni amici (pietosi amici!)si prendevano cura di accompagnarlo a casa, che poi era una stalla, tra il fieno e la paglia, che alcuni vicini gli avevano dato, per pietà: almeno ha un tetto, dicevano, sotto cui poter dormire la notte e ripararsi quando piove.
Un giorno accadde che volendo il Ciapino recarsi di là del fiume che separava ‘La Santa’ dal Mulin del Piano, prese la nave, che altro non era se non un rudimentale barcone molto simile a una zattera, e salutando Ciano, il barcarolo, si mise accovacciato, solo soletto da una parte, senza pronunciare parola. Ma Ciano s’avvide che qualcosa non andava o che di proposito Ciapino si fosse chiuso nel silenzio, come raramente faceva.
E che tu hai, Ciapino, hai perso la parola?
Eh si, mio barcarolo. Che quando si è in molti e tu vuoi star da solo, c’è sempre qualcuno che raggirati con dolo…
E che è successo?
L’è, l’è… che mi voglion far prender moglie, ma a me dal capo niuno me lo toglie che qui c’è la zampino del pievano delle morte foglie.
Quello di Remole, intendi dire?
"Proprio così; e Ciapino di qua, e Ciapino di là, e metti su casa… e ci son brave figliole. Ma lui non sa che Chi ha moglie allato, sta sempre travagliato."
"Ah, Ciapino, ma si dice anche: Senza moglie allato, l’uom non è beato."
Ah, si, ma io son come l’uccel di bosco… libero, libero di volare fino al cielo.
Ma va, ma va, Ciapino, che il tempo passa e più non hai la voglia.
Ah, Ciano, ti ci metti anche tu. Piuttosto non ho una lira con cui pagarti.
Perché
– chiese Ciano.
Perché, perché… chi va alla trattoria, impara l’arte e perde la via.
Eh, Ciapino, non aver paura, ci rifaremo un’altra volta.
Ma non so se un’altra volta riconoscerò la tua parola stolta.
Si, si, Ciapino, va bene, ciao!
E nel frattempo, arrivati all’altra sponda, Ciapino scese dal barcone e si avviò verso il Mulin del Piano per certi lavori da falegname; e per strada tutti lo salutavano e gli chiedevano un motto, un verso, un’aria da cantare; e lui, dall’andatura vispa e gongolante come un ballerino, non faceva in tempo a rispondere a uno che doveva badare a un altro e poi a un altro ancora.
Vanga piatta, poco attacca;
vanga ritta, terra ricca;
vanga sotto, ricca il doppio.
Quando il grano è nei campi
È di Dio e dei Santi.
Non ti mettere in cammino
Se la bocca non sa di vino.
Dio ti guardi da furia di vento,
da frate fuor di convento,
da donna che parla latino
e da nobile poverino.
E nel far così arrivò là dove erano in piedi i ruderi di un Oratorio, a poco più di cento metri dalla parrocchiale su un poggerello di fronte a essa, e messosi in ginocchio cominciò a pregare la Vergine Maria che lo liberasse dai nemici, gli facesse trovare sempre amici e che – se proprio