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Un Nero a Valguarnera
Un Nero a Valguarnera
Un Nero a Valguarnera
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Un Nero a Valguarnera

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PRESENTAZIONE
 
 
Il romanzo, Un Nero a Valguarnera, narra il viaggio di Jean, uomo di colore che, dopo quasi cinquant’anni, ritorna in Sicilia per una vacanza.
In realtà, però, la vera ragione è quella di voler chiarire il significato delle parole contenute in una lettera che, smarrita a causa di un disguido avvenuto nella sua casa romana, è arrivata nelle sua mani a distanza di circa trent’anni dalla spedizione.
Oltre al viaggio fisico, in Jean si configura anche un percorso spirituale interiore, sollecitato da un incontro fortuito avuto con uno sconosciuto qualche mese prima; questa nuova condizione mette, improvvisamente, in crisi le sue radicate convinzioni illuministe. Giunto a Valguarnera, grazie al carissimo amico Enzo, scoprirà che, il contenuto della lettera “ritardataria” si riferisce a fatti lontanissimi, accaduti durante il suo primo soggiorno nel paese dell’ennese; di conseguenza viene a conoscenza del mittente, il quale desidera incontrarlo per spiegare il significato nascosto dietro le semplici parole della lettera.
Il tuffo nella realtà siciliana andrà sempre più in profondità, fino a ripercorrere tanti episodi vissuti in quel lontano ed esaltante soggiorno valguarnerese, venato però da
qualche dolorosa esperienza. Attraverso i racconti di Enzo e durante le gite nei dintorni di Valguarnera, vissute insieme agli amici di quest’ultimo, potrà rivivere intensamente tradizioni e vecchi giochi paesani, ai quali aveva partecipato da bambino e che la spessa coltre del tempo, ne aveva offuscato completamente il ricordo. Nel breve periodo della sua vacanza sarà decisivo l’aiuto spirituale di un sacerdote del luogo la cui storia, anni prima, si era incrociata con la sua; frequentandolo scopre la sua forte personalità, grazie alla quale è riuscito a cambiare il corso della sua vita.
Oltre ai luoghi caratteristici di Valguarnera e ai tanti personaggi reali, si inseriscono fatti e persone immaginari nell’intento di rappresentare, in parte, uno spaccato della società valguarnerese di fine anni Cinquanta, rivissuta e rielaborata attraverso gli occhi di sessantenni, pervasi ancora dalla voglia di non perdere la memoria degli entusiasmanti anni della loro fanciullezza.
In alcuni capitoli, una nota di colore - il romanzo si svolge in gran parte a Valguarnera - è data dalle tante frasi dialettali, magistralmente tradotte dal prof. Enzo Barnabà.
 
LanguageItaliano
Release dateNov 26, 2018
ISBN9788887396386
Un Nero a Valguarnera

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    Un Nero a Valguarnera - Rosario Sardisco

    VOLO

    VOS ET IPSAM CIVITATEM BENEDICIMUS

    Capitolo 1

    VOS ET IPSAM CIVITATEM BENEDICIMUS

    Aveva conversato, a più riprese, con il suo compagno di viaggio da quando avevano occupato lo stesso scompartimento; poi, senza una precisa causa, le parole lasciarono spazio al silenzio, rotto solamente dallo sferragliare ritmico prodotto dalle ruote sui binari.

    Quella quiete non era offuscata da nessun imbarazzo; avevano scambiato le solite quattro chiacchiere preliminari che, solitamente per reciproca cortesia, perfetti sconosciuti fanno al primo approccio. Poi, dopo qualche battuta e l’attenta valutazione dell’interlocutore, una sottile sintonia s’insinuò tra i due e, inevitabilmente, il discorso scivolò sul piano personale.

    Dapprima il dialogo era stato incentrato su temi d’attualità, senza rivelare apertamente episodi del proprio passato: in fondo ai nostri cuori, infatti, giacciono tutti gli attimi importanti della nostra esistenza che, sedimentandosi, danno vita a ciò che veramente siamo. Confidare, alla prima persona incontrata, le esperienze più intime e gelosamente custodite, è un’azione che si fa con amici o con conoscenti di lunga data. Gran parte di noi, raccontandosi, quasi senza volerlo, si nasconde dietro ad una maschera; mimetismo che non sempre è negativo ma, inconsciamente, ci dà una certa protezione nel contatto con nuove persone: insomma, lo sconosciuto occasionale, da subito, deve suscitare in te serietà e fiducia autentica.

    Ora, in quell’improvviso silenzio Jean, per alcuni minuti, aveva rivolto tutta la sua attenzione verso il panorama inquadrato dal finestrino.

    I suoi occhi seguivano, con estrema concentrazione, il rapido e costante mutare delle immagini: una sequenza di quadri che lo coinvolgeva con l’ambiente circostante. Però, nonostante fosse nel suo presente, percepito interamente dai suoi sensi, esso fuggiva sempre più velocemente, preda già del passato; rapido, e qualche volta doloroso, come quando si riflette su fatti già accaduti e che non siamo riusciti a vivere appieno.

    Le lontane esperienze giovanili invece restano piantate dentro di noi e, in certi momenti, ritornano struggenti e intatte creando, in ciascuno, un gratificante senso di appagamento dal quale facciamo fatica a staccarci; ci immergiamo in quegli attimi portatori di felicità, anche se sono in realtà l’ombra, a volte distorta, di un vecchio caro ricordo.

    Jean, nella conversazione di qualche minuto prima, non si era esposto più di tanto e si era limitato a parlare della sua vita attuale, senza entrare troppo nei particolari. Alcune volte, infatti, nei rapporti interpersonali con sconosciuti, si era pentito della sua immediata sincerità, non filtrata da una giusta dose di accortezza; nell’economia della sua esistenza, comunque, l’essere stato moderatamente trasparente gli aveva portato più benefici che noie. Di carattere abbastanza forte, preferiva mettere subito in chiaro le cose, per evitare spiacevoli malintesi; non derogava mai sul rispetto verso gli altri, e raramente si nascondeva dietro al classico dito. Sicuramente la ristretta cerchia di amici amava questa sua trasparenza, sopportandola però un po’ meno, quando questa non concordava con le loro idee.

    Un vero amico, però, non gioisce mai delle tue debolezze e dei tuoi difetti, magari si prodiga per attenuarli e, dov’è possibile, dà una mano per risolverli, ma in fondo, ti accetta per quello che sei. Ovviamente, quando l’orgoglio personale viene stuzzicato, esso non è completamente indolore; ma, tra amici sinceri, dopo un primo comprensibile risentimento, ci si capisce e poi si ringrazia.

    Jean incontrava, casualmente, per la prima volta quel simpatico compagno di viaggio e, a pelle, l’impatto era stato positivo: un signore di mezza età molto distinto ed educato. Forse come inizio poteva bastare; alle prime battute anche il suo interlocutore aveva trattato argomenti generici, poi si era lasciato andare a qualche accenno sulla sua fanciullezza. Gli aveva confidato che, per gran parte del viaggio, aveva coccolato ricordi di tanti anni fa. Si spostava per trascorrere una settimana insieme ai suoi anziani genitori, rivedere il vecchio paese natìo e, forse, incontrare qualche amico dei tempi andati. Negli ultimi anni, tranne fugaci rientri di pochi giorni, ne era stato lontano e durante quei lunghi distacchi, causati dalla sua pigrizia o da impegni di lavoro, aveva preferito ospitare i suoi famigliari, specialmente in occasione delle feste natalizie, a casa sua: al freddo Nord.

    Agli inizi della sua carriera lavorativa, lontano dal paese d’origine, si era innamorato di una bella ragazza del posto che aveva ricambiato il suo sentimento e, dopo un breve periodo di fidanzamento, lo aveva sposato.

    Figli non ne erano venuti, e la loro vita era divisa tra lavoro, letture ed escursioni in montagna. Quest’ultima era il secondo amore della moglie, passione ereditata dai nonni materni, vecchi montanari; contagiato da questa sentimento, spesso con un gruppo di amici, condivideva lunghe passeggiate tra i tortuosi sentieri delle vallate alpine, immersi in panorami mozzafiato.

    Non di rado, perdendosi con lo sguardo verso un verdeggiante pianoro o verso un picco innevato, il pensiero più ricorrente era sempre lo stesso: se, per una sorta di magìa, anche i suoi cari avessero potuto vedere quello che lui stava ammirando! Voleva bene ai suoi vecchi genitori con tenerezza infinita. Ultimo di una famiglia non benestante, vissuta dignitosamente con il salario del padre, aveva potuto evitare lavori pesanti, grazie al suo amore per gli studi. Il sacrificio economico dei suoi gli aveva permesso di laurearsi; il costante impegno negli studi, pagato poi con la lontananza dalla sua amata terra, era stato premiato con un impiego importante. I luoghi dell’infanzia, però, gli erano rimasti dentro come un " imprinting", anche se, quel senso di vuoto, compagno dei primi anni di assenza, era stato diluito dal lungo trascorrere del tempo.

    La moglie, pur amandolo sinceramente, preferiva non seguirlo nei suoi sporadici viaggi al suo paese d’origine, se non in occasioni particolari. Voleva che lui vivesse intimamente questo fugace contatto con la sua cultura, senza sovrapposizioni affettive. Così, quando lavoro e nostalgia si abbinavano, un volo di quasi due ore, gli permetteva di trascorrere qualche giorno nella casa dei genitori. La lunga lontananza, aveva quasi del tutto appannato le vecchie amicizie: due chiacchiere e via.

    Qualche passeggiata nei dintorni con il vecchio padre, rompeva la piacevole monotonia di quei pochi giorni, nella speranza di suscitare in entrambi antichi ricordi dei tempi andati. Non di rado qualche paesano, rompendo l’indugio, si rivolgeva al dottore evocandogli, con una certa soggezione, sprazzi del passato. Non era molto, ma poteva bastare.

    Il rumore ovattato del treno occupò per alcuni minuti il silenzio tra i due viaggiatori.

    «Questo è uno di quei periodi che mi appagano l’anima: vado a raccogliere qualche briciola della mia terra» disse il dottor Piazzi, mentre la sua voce tradiva un leggero groppo in gola.

    Per un attimo Jean rimase ancora con lo sguardo rivolto al finestrino; il suo cervello stava elaborando, minuziosamente, parte del discorso di qualche minuto prima. Si girò, ritornò a guardare fuori e, sfiorandosi leggermente il naso con la punta dell’indice, fissò il suo compagno di viaggio e, con misurata cordialità, disse:

    «Ho riflettuto un po’ su quello che lei ha accennato riguardo alla sua terra d’origine e alla sua condizione di emigrato, per certi versi privilegiato».

    Poi si interruppe e si sistemò con cura tra i braccioli del sedile.

    Contemplò la stampa posta sopra la testa del dottor Piazzi, raffigurante l’abbozzo invitante di un paesaggio campestre; non si fece coinvolgere troppo dal disegno e con un tono di voce, velato da un trascurabile imbarazzo, continuò:

    «Non sono per nulla sicuro che sia il caso a determinare la nostra esistenza, almeno nella maggior parte delle situazioni; sono fermamente convinto che tutto, o quasi, sia il prodotto delle nostre scelte individuali, scelte che in parte influenzano quelle di coloro che ci amano e ci stanno vicini: parenti, amici o semplici conoscenti. Ma l’influenza esercitata da noi sugli altri, a sua volta, è determinata dalla nostra fermezza e dal comportamento di coloro che ci circondano».

    Sull’ultima frase si interruppe di colpo; il ragionamento gli era uscito di getto, con naturalezza e senza forzature: pensiero che da tempo gli si era radicato dentro e del quale era pienamente convinto.

    Fece una pausa per riprendere fiato. In quel momento di silenzio, il suo compagno di viaggio lo guardava con aria interrogativa, senza dissimulare la crescente curiosità che incominciava a farsi strada dentro di lui. L’argomento introdotto da Jean lo incuriosiva molto; voleva approfondirlo e, perché no, confrontarlo con qualche sua vicenda personale. Ma la cosa che più lo intrigava era l’estemporaneo dialogo instaurato con lo sconosciuto compagno di scompartimento; il suo aspetto e il modo di presentarsi, denotavano sicuramente diversità di esperienze e di cultura, rispetto alle sue.

    La sua natura, alquanto curiosa, lo spingeva ad interessarsi delle esperienze altrui, evitando sempre di abbassarle a semplice pettegolezzo. Gli piaceva conoscere in quale modo altri individui, in certe situazioni, fossero stati capaci di risolverle e se era stata la scelta giusta. Il concetto sulle scelte di tutti i giorni era un suo pensiero ricorrente; qualche volta gli succedeva, infatti, di indugiare su una decisione, per l’esagerata paura di poter innescare eventi negativi, non solo per sé, ma soprattutto per gli altri, con il rischio di causare un effetto domino non voluto.

    «Lei ha messo in evidenza che, scelte radicali e piccoli fatti possono modificare il corso della vita di ciascuno di noi» disse il dottor Piazzi, dopo la sua breve riflessione. Jean si schiarì la voce per dare più enfasi al concetto che voleva esprimere. Quel signore gli piaceva; gli ispirava fiducia: era attento e misurato; con una certa libertà poteva permettersi di parlare apertamente e scavare più in profondità nei sentimenti.

    «Considero anch’io importante la capacità di prendere decisioni giuste nella propria vita; mi occupo infatti di persone che hanno avuto spesso qualche problema, a causa di scelte sbagliate.

    Come le ho accennato prima, esercito la professione di avvocato e le posso assicurare che, riflettere su questo punto, è sacrosanto; bisognerebbe insegnare ai nostri figli che ogni scelta della nostra vita deve essere fatta con ponderatezza, sorretta principalmente dalla ragione, senza però trascurare i suggerimenti del cuore».

    «Più facile a dirsi che a farsi, non crede avvocato?» disse di rimando, con rinnovato interesse, il dottor Piazzi; poi aggiunse:

    «Proviamo anche a considerare la moltitudine di persone che sceglie per bisogno o perché spinta da cause difficili da dominare e quelle travolte da ragioni affettive, che spesso sfuggono a qualsiasi controllo».

    Sulle ultime parole per un attimo stette zitto, come se volesse dare più tempo all’interlocutore di soppesare il suo articolato ragionamento.

    Guardò fuori: gli alberi sfrecciavano immobili, punti fermi nel terreno; poi, appoggiandosi al piccolo tavolo posto alla sua sinistra, concluse con convinzione:

    «Un esempio per chiarire il mio pensiero: prenda me che, per seguire – e penso giustamente – la mia inclinazione, ho modificato il corso della mia vita. Questo ha determinato anche il mutamento in quella delle persone che mi circondavano. Sapesse la tenerezza e la commozione che mi prende tutte le volte che lascio mia madre con le lacrime agli occhi. Se avessi avuto l’opportunità di vedere tutto ciò in una sfera di cristallo, la mia scelta sarebbe stata la stessa?...»

    Preso dall’emozione del momento stava per aggiungere ancora qualcosa, ma una secca frase lo interruppe:

    «Io credo di sì!»

    Restò per un attimo senza dir niente; doveva elaborare quest’ultima affermazione che, a suo parere, strideva con il discorso fattogli prima da Jean.

    «Ma non capisco! Poco fa lei mi ha fatto intendere che dobbiamo fare attenzione alle nostre scelte che, se sbagliate, possono portare infelicità agli altri».

    «Dottor Piazzi, forse devo aggiungere qualcosa, per chiarire meglio il mio concetto: dobbiamo renderci conto che non viviamo in un mondo perfetto e non sempre la buona volontà viene premiata; sono sicuro che, se potessimo vedere al di là del nostro presente, a volte sbaglieremmo comunque. Grandi e piccole scelte devono essere fatte, perché è la nostra vita che mettiamo in scena e abbiamo il diritto di seguire i nostri sogni ma, per non avere inutili rimpianti, è importante vagliarle, evitando la maggior parte delle negatività che potrebbero scaturire da esse.

    Penso che, quando la nostra scelta non è eccessivamente zavorrata da istinti negativi, ma illuminata da sentimenti sinceri, possa essere una scelta accettabile, pur causando inevitabili e spiacevoli effetti collaterali».

    A queste ultime parole di Jean, pronunciate con calore e convinzione, il dottor Piazzi annuì in segno di approvazione. Non ebbe il tempo di pensare a qualcos’altro che, lungo il corridoio della vettura, echeggiò l’inconfondibile cantilena dell’addetto alla vendita ambulante di caffè e panini.

    Giunto in prossimità della porta del loro scompartimento, con consumata destrezza l’aprì, senza disturbare minimamente gli occupanti.

    «Caffè?» esclamò con tono tranquillo e suadente mentre teneva in mano, in bella vista, un thermos.

    «Avvocato, prende qualcosa?»

    Jean squadrò per un attimo l’inserviente e, mettendo mano in modo automatico alla tasca, disse con tono convinto:

    «A quest’ora un buon caffè non si rifiuta mai».

    «Il mio è proprio un buon caffè, appena fatto», rispose prontamente il giovane.

    Al dottor Piazzi non era sfuggito il movimento della mano di Jean e, con un tono di voce amichevole, disse:

    «Tenga le mani a posto amico mio, oggi lei è mio ospite; ancora qualche chilometro e saremo nella mia Sicilia».

    Sorseggiarono con gusto i loro caffè; l’espressione di entrambi denotava il personale godimento di quel momento. Il piacere del caffè ciascuno di noi lo vive a modo suo; è un rito nel quale esprimiamo, senza accorgercene, parte della nostra personalità più nascosta, perché completamente rilassati. Addirittura gli esperti, e i soliti buoni informati, sostengono che la pausa caffè aiuta a ridurre un po’ lo stress accumulato nelle ore di lavoro.

    In quel preciso istante, inspiegabilmente, la nostra mente si libera da tutti i pensieri e si concentra solo sul piacere, perché sentiamo unicamente nostro quel momento e non si ammettono interferenze; solamente dopo aver degustato il primo sorso, sarà possibile riprendere la conversazione.

    «Grazie, spero di poter ricambiare se dovesse un giorno venire nella mia terra, anche se oramai risiedo da anni stabilmente a Roma e sarà più facile incontrarci lì».

    Il dottor Piazzi aprì lo sportello dei rifiuti e vi gettò il bicchiere vuoto; poi attese che il suo compagno di viaggio facesse la stessa cosa.

    «Le confesso che spesso accarezzo l’idea di fare un giro dalle sue parti, anzi colgo l’occasione per avere un consiglio da lei; il suo continente è decisamente esteso e variegato e a mia moglie piacerebbe visitare la zona del Kilimangiaro».

    «Per ragioni affettive, potrei indirizzarla verso la zona che meglio conosco: il mio paese d’origine, la Repubblica Democratica del Congo ex Zaire, anche se da anni non vi risiedo più».

    «Allora anche lei è dovuto andar via dalla sua terra: scegliere un’altra vita!»

    Jean, in un primo momento, avrebbe voluto evitare di rispondere, tenersi sul vago e non esporsi troppo; ma quel socievole signore gli suscitava fiducia e lo considerava già una persona affidabile.

    Nelle ore passate insieme non si era mai soffermato con indiscrezione sul colore della sua pelle: due persone libere da stupidi preconcetti e, pertanto, decise di rispondere sinceramente, chiarendo la sua vicenda.

    «Ho lasciato la prima volta il mio paese d’origine ai tempi dell’indipendenza dal Belgio, alla fine degli anni cinquanta; mio padre era medico in un ospedale della capitale, favorevole al movimento Evolué, che …»

    « Evolué?» disse meccanicamente il dottore, «scusi l’interruzione, ma è la prima volta che sento pronunciare questo termine».

    «Capisco benissimo che lei non possa essere a conoscenza di quello che succedeva cinquant’anni fa nel mio paese; il movimento accettava che ci fosse un tipo di educazione, a vari livelli, di tipo europeo, per arginare la discriminazione e costituire una società interetnica, ciò era quello che sostenevano i suoi fautori. Poi gli avvenimenti, dopo alterne vicende anche dolorose, portarono verso un regime autoritario. Così mio padre, con rimpianto, decise di andare via, ma non fu una fuga definitiva».

    Il breve racconto di Jean, lasciò il dottor Piazzi per un attimo disorientato, non si aspettava un’esperienza così tormentata; si sistemò con cura sullo schienale del sedile e attese che Jean aggiungesse qualche dettaglio in più, senza manifestare però morbose curiosità.

    Questo atteggiamento mise Jean un po’ più a suo agio e trovò naturale continuare il suo racconto, in modo quasi confidenziale, mentre il treno sfrecciava a grande velocità verso sud. La pausa fu breve. In altre occasioni, forse, avrebbe accennato ad una piccola narcisistica suspense, ma non era il caso:

    «I periodi di lontananza, fino all’età di diciotto anni, sono stati sempre intervallati da lunghi soggiorni, infatti tutte le vacanze le ho trascorse a casa dei miei nonni, spesso in qualche località di mare, insieme ai miei famigliari».

    Ancora una pausa e un fugace sguardo oltre il finestrino.

    «Finito il ciclo delle scuole superiori, presi la decisione, di concerto con i miei genitori, di continuare gli studi, frequentando una facoltà universitaria italiana. L’Italia, è stata la scelta dettata da un nascente apprezzamento per la vostra terra, rafforzata da legami di amicizia, e soprattutto dall’amore per una ragazza: Laetizia, mia moglie.

    Ma per nulla al mondo avrei rinunciato all’abbraccio della mia terra, nella quale m’immergevo sempre con più trasporto, tutte le volte che potevo, facendomi travolgere e ammaliare completamente dai suoi sapori, dai colori, dalla gente e dalla grandiosità dei suoi immensi spazi».

    A questo punto, a Jean parve che per il momento potesse bastare; in quattro parole aveva riassunto parte della sua vita. Sicuramente il suo compagno di viaggio poteva ritenersi alquanto soddisfatto infatti, pur non entrando nei particolari, aveva tratteggiato un piccolo scorcio della sua vita e il perché della scelta. Il dottor Piazzi accennò ad un sorriso senza dire niente, sorriso che Jean interpretò come un gesto gentile ed affettuoso: e lo era.

    Piccole stazioni semideserte e vecchi caselli ferroviari in abbandono, punteggiavano la campagna; scorrevano attraverso il finestrino, senza lasciare nessuna traccia nella memoria: leggerne i nomi, consumati dal tempo, era decisamente proibitivo. Il momentaneo silenzio restituiva a quelle immagini un piacevole senso di libertà: Jean ed il dottor Piazzi potevano goderne e rielaborale, ciascuno per proprio conto, vivendole secondo le rispettive sensibilità. L’inizio improvviso di una lunga galleria, interruppe bruscamente immagini e sensazioni; la luce fastidiosa dei neon inondò lo scompartimento e la fuga nelle proprie fantasie svanì di colpo.

    Distolto dalla sua contemplazione, con un tono di voce leggermente più alto, per superare il rumore prodotto dall’aria che si infrangeva contro la volta della galleria, il dottor Piazzi si rivolse di nuovo a Jean:

    «Non vorrei essere indiscreto, allora lei si sta spostando per lavoro? Di sicuro in treno non è possibile arrivare nella sua terra!»

    Anche lui, per sopravanzare il fastidioso rumore di fondo, accostandosi, disse:

    «No! Mi sono preso una decina di giorni di vacanza».

    Poi, notando l’espressione interrogativa del suo compagno di viaggio, aggiunse:

    «Sono da solo perché la mia è una vacanza un po’ diversa: vado a trovare un vecchio signore ed un caro amico, conosciuti tantissimi anni fa».

    Ma non ci fu spazio per continuare il discorso, perché di colpo la luce abbagliante del mattino, inondò lo scompartimento di prima classe.

    L’improvviso cambiamento cristallizzò per qualche minuto la scena; il magnifico paesaggio li attrasse senza scampo. In meno di un minuto e da dietro l’ultimo promontorio, in tutto il suo splendore mattutino, apparve la costa orientale della Sicilia.

    Oltre il braccio di mare, calmo e lucente, una lunghissima fila di case e palazzi, si specchiava nell’acqua, era l’antica Zancle: Messina.

    La natura non poteva esporre uno spettacolo migliore: a volte si ha l’impressione che i luoghi più belli della terra facciano a gara per rubare la scena a tutti gli altri. Però, se si riflette, senza inutili pregiudizi, appare chiaro che non esiste, in assoluto, un posto più bello; la natura non ha posti esclusivi, come quelli costruiti dagli uomini. Essa si supera di continuo nell’offrirci ambientazioni suggestive e uniche, senza stilare sterili classifiche; spetta alla nostra intelligenza, e soprattutto alla nostra sensibilità, saperle apprezzare e viverle, magari senza sciuparle troppo.

    I luoghi di Sicilia, bellissimi ed unici, qualche volta forse invidiano gli inaccessibili scorci alpini, distese assolate e silenziose, boschi ombrosi e pieni di vita, fiumi sinuosi e mari che si perdono all’orizzonte.

    In questa varietà, che stupisce e sgomenta gli spiriti sensibili, bisognerebbe entrarci in punta di piedi, lasciandosi cullare senza astratte competizioni. E’ naturale che, per ciascuno di noi, i luoghi di origine siano inimitabili e incomparabili, e forse un po’ di verità c’è; ma gran parte di questa convinzione è dovuta a quell’amore e agli affetti vissuti da bambini che ci portiamo dentro: ricordi e sensazioni che neanche la senilità riesce a cancellare anzi, li ricompone e li scompone continuamente, nell’inutile affanno di una impossibile fuga nel passato.

    «In tutta la nostra conversazione non le ho mai chiesto se è la prima volta che viene dalle nostre parti?»

    Jean, quasi a malincuore, staccò la sua ammirata attenzione dai traghetti che già facevano la spola tra Villa San Giovanni e Messina. Si appoggiò soddisfatto allo schienale e rivolgendo ancora una rapida occhiata alla lontana Madonnina, posta all’entrata del porto di Messina, disse:

    «No!»

    Fece una breve pausa e con aria quasi trasognata, che stupì un po’ il dottor Piazzi, aggiunse:

    «Ci sono stato una cinquantina di anni fa insieme ai miei, ospiti presso una famiglia del posto».

    Senza nascondere la sua curiosità e senza lasciare spazio ad altre parole, il dottor Piazzi disse:

    «Scusi la mia invadenza, quale parte della Sicilia ha visitato? Suppongo che abbia avuto l’opportunità di visitare dei luoghi durante il suo soggiorno, ce ne sono un’infinità. Conserva ancora dei ricordi?»

    Si fermò; per un momento capì di aver posto contemporaneamente troppe domande, forse aveva esagerato con la sua curiosità; però lo intrigava conoscere quali sensazioni, la sua amata terra, avesse potuto suscitare in un ragazzino culturalmente così diverso da lui.

    «Sì! I nostri amici ci hanno fatto fare un bel giro

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