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Mulini a vento e robot giganti. Il significato degli oggetti negli anime e nei manga
Mulini a vento e robot giganti. Il significato degli oggetti negli anime e nei manga
Mulini a vento e robot giganti. Il significato degli oggetti negli anime e nei manga
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Mulini a vento e robot giganti. Il significato degli oggetti negli anime e nei manga

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Saggi - saggio (303 pagine) - Dalla tradizionale scatolina per il pranzo alla corazzata Yamato i "personaggi" inanimati nell'animazione e nel fumetto giapponesi


Nelle opere di Hayao Miyazaki viene sempre valorizzata una tecnologia benefica e non inquinante, incarnata da quei mulini a vento che appaiono in alcuni suoi lavori a tema utopistico (Conan il ragazzo del futuro, Nausicaä della Valle del vento). Altri autori si son dimostrati maggiormente affascinati dalla possibilità di creare bambole asservite al nostro volere (androidi, robot giganti), per non parlare della possibilità di collegare l'uomo alla macchina per creare una nuova formidabile entità cibernetica (Mobile Suit Gundam, Ghost in the Shell, Neon Genesis Evangelion).

Al di fuori di simili atteggiamenti speculativi, se non proprio tecno-feticistici, non mancano però approcci di carattere romantico, come quelli di Leiji Matsumoto, il quale fa rivivere come astronave la corazzata Yamato e ci porta in viaggio tra le galassie a bordo di una locomotiva. Ebbene se lo storico Antonio Costa, al termine del suo studio sul senso delle cose nei film, ci regala un breve elenco su cui basare un ipotetico dizionario degli oggetti, sulla medesima falsariga riguardo agli animanga potremmo citare: aerei, bento (scatola per il pranzo), mulini, robot giganti e treni. Non tanto per comporre una semplice lista, quanto piuttosto per proporre un'inedita chiave di lettura per poter interpretare in modo nuovo gli anime (cartoni animati) e i manga (fumetti).


Claudio Cordella è nato a Milano il 13 luglio del 1974. Si è trasferito a Padova dove si è laureato in Filosofia, con una tesi dedicata all'utopismo di Aldous Huxley, e in seguito in Storia, con un lavoro imperniato sulla regalità femminile in età carolingia. Nel 2009 ha conseguito un master in Conservazione, gestione e valorizzazione del patrimonio industriale dopo aver svolto uno studio incentrato su di un canapificio storico; situato a Crocetta del Montello (Treviso), compiuto assieme a Carmelina Amico.

Scrive narrativa e saggistica; ha partecipato a diversi progetti antologici e ha collaborato con alcune riviste. È stato il vice direttore del web magazine Fantasy Planet (La Corte Editore). Nel 2012 ha partecipato all'ottavo Congreso Internacional de Molinologia, che si è svolto a Tui (Galizia), con un intervento intitolato Il mulino di Villa Bozza, la conservazione possibile, attraverso un progetto imprenditoriale, dedicato alla storia di un mulino padovano e scritto in collaborazione con Camilla Di Mauro.

Recentemente, per LA CASE books, è uscito Fantabiologia. Dai mondi perduti a Prometheus, un saggio di storia della cultura popolare da Jules Verne a Sir Ridley Scott.

LanguageItaliano
PublisherDelos Digital
Release dateDec 11, 2018
ISBN9788825407679
Mulini a vento e robot giganti. Il significato degli oggetti negli anime e nei manga

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    Mulini a vento e robot giganti. Il significato degli oggetti negli anime e nei manga - Claudio Cordella

    9788825404203

    Infatti sei proprio una bambola, tu ti comporti come una bambola e per questo io ti odio da sempre!

    Neon Genesis Evangelion, Ep. 22, Almeno, essere umano

    Normalmente gli oggetti messi in evidenza dalla regia cinematografica, ma allo stesso modo anche quelli lasciati sullo sfondo, servono a fare qualcosa o, quanto meno, servono a qualcosa nel contesto in cui compaiono.

    Antonio Costa, La mela di Cézanne e l'accendino di Hitchcock. Il senso delle cose nei film, Torino 2014, p. 34

    Alla memoria di Jiro Taniguchi (1947-2017) e di Isao Takahata (1935-2018).

    1. Introduzione

    Hayao Miyazaki, artista di fama mondiale nel campo dell'animazione e del fumetto, si è sempre dimostrato critico nei confronti dell'industria, in particolar modo di quella bellica, anteponendovi i suoi ideali pacifisti e ambientalisti. Al contrario Katsuji, suo padre, è un uomo d'affari che è riuscito ad arricchirsi nel corso della Seconda guerra mondiale, durante la quale ha lavorato come direttore nella fabbrica di proprietà del fratello. Quest'ultima, la Miyazaki Airplane, ha contribuito attivamente allo sforzo bellico costruendo componenti per aerei, compresi quelli necessari ai temibili caccia Mitsubishi A6M Zero. Hayao, nato il 5 gennaio del '41, crescendo maturerà un autentico senso di colpa riguardo all'origine delle fortune famigliari. Nella serie d'animazione del '78 Mirai shōnen Konan (Conan il ragazzo del futuro), ispirata ad un romanzo per ragazzi di Alexander Key (The Incredible Tide), l'attività industriale viene demonizzata come l'incarnazione di tutto ciò che c'è di malvagio e di corrotto. Di contro, l'agricoltura viene giudicata alla stregua di qualcosa di naturale, apporta solo benefici e persino il fatto che i campi siano lavorati a mano, senza l'ausilio né di fertilizzanti chimici né di macchinari, ci viene presentato in termini positivi.¹ L'utopia agreste di High Harbor, doppio speculare della distopia di Industria, non possiede né armi né macchine più evolute dei mulini a vento e delle barche a vela. I suoi abitanti sono felicissimi di vivere come semplici contadini, di zappare la terra e di mietere il grano solo con l'ausilio delle loro braccia. Inoltre seppure in Miyazaki l'atto del volo assuma un significato simbolico pregnante, in quanto espressione di libertà e di meraviglia, le macchine volanti in sé mostrano l'intrinseca ambiguità di qualsivoglia frutto di una tecnologia avanzata.

    In Conan il Giganto è un immenso bombardiere, il quale incarna nelle sue lamiere l'eredità maledetta della guerra globale che ha sconvolto il mondo. La sua distruzione diventa prioritaria per assicurare un futuro di pace all'intero genere umano. Dopo che questo mortale pericolo è stato annientato, trasformato in un immenso uccello di metallo arso dalle fiamme, destinato al riposo eterno nelle profondità dell'oceano, l'umanità potrà incamminarsi gioiosa verso il suo radioso domani. Un avvenire la cui prosperità viene assicurata non solo dalla scomparsa di Industria, anch'essa inghiottita dai flutti, ma anche da quella dei suoi scienziati. Questi bravi vecchietti, piuttosto che offrire le loro inestimabili conoscenze come patrimonio per la costruzione di una nuova società, si giudicano inadatti a prenderne parte e preferiscono espiare i loro peccati morendo assieme alla loro patria (Ep. 24, Giganto; Ep. 25, La fine di Industria).

    Quest'ultimo, senza alcun ombra di dubbio, sarà un mondo pacifico, libero dagli incubi della guerra e della tirannia, ma non possiamo fare a meno di chiederci come potrà evitare di essere perseguitato dagli spettri tipici delle società agricole pre-industriali: le carestie e le pestilenze. Il vivere allegri a contatto con la natura, beneficiando unicamente dei raggi del sole, temo abbia dei costi ben precisi sui quali l'autore tende a sorvolare. La ferocia nichilista con cui si scaglia contro alcuni oggetti-simbolo dell'industrializzazione, quali fabbriche e mezzi bellici, lo porta a ignorare come potrebbe essere realmente la vita di un pugno di sopravvissuti privi di qualsiasi comodità moderna: senza illuminazione elettrica, acqua corrente, riscaldamento centralizzato, trasporti veloci, comunicazioni via radio, università e ospedali, etc.

    Ritornando al tema del volo, nel manga (fumetto) più famoso del sensei (maestro) Miyazaki, il bellissimo Kaze no tani no Naushika (Nausicaä della Valle del vento), dal quale il nostro ha tratto un'omonima pellicola, la messianica principessa Naushika/Nausicaä è solita spostarsi a bordo di una piccola ala volante (mehve, mowen).² Un mezzo di trasporto più che adatto ad uno spirito libero come il suo, capace di cavalcare il vento con estrema naturalezza. In poche parole l'azione del volare, quando è affidata alla tecnica, ha una valenza duplice, simile in questo a qualsiasi conquista dell'ingegno umano, potendo esser usata per il bene così come per il male. Altro discorso quando entra in gioco la magia, come nel favolistico Majo no takkyūbin (Kiki-Consegne a domicilio), laddove non solo ciò che è antiquato è bello (come i vecchi forni a legna) ma quel che è soprannaturale serve a risolvere i guai provocati da una tecnica fallace. Starà alla streghetta Kiki, a cavallo di una scopa come da tradizione, a salvare un amico che è rimasto appeso ad un dirigibile fuori controllo. Qui un semplice oggetto domestico, grazie ai poteri della magia e dell'amore, risulterà essere migliore di qualsiasi macchinario.

    Persino quello che nel momento in cui scriviamo risulta essere l'ultimo film di quest'artista, Kaze tachinu (Si alza il vento), sviscera alla perfezione tutte quelle tematiche a cui abbiamo già fatto cenno relativamente alla guerra, all'industria e al volo.³ Jirō Horikoshi (1903-1982), il miope ingegnere protagonista, sogna sin da piccolo di poter volare, ma ben presto, a causa dei suoi difetti di vista, dirotta le sue ambizioni dal miraggio del diventare pilota alla progettazione di aeroplani. Sin qui i suoi desideri potrebbero sembrare puri e incontaminati, espressione di un insopprimibile anelito di libertà, incanalato verso qualcosa di costruttivo. In realtà Jirō non vuole rendersi conto in che maniera viene impiegato il talento di geni come lui, ovverosia per costruire macchine di morte. Qualcosa di fondamentalmente buono è stato corrotto, volgere il capo dall'altra parte non è una soluzione e alla fine il nostro artefice dovrà farsi carico delle proprie colpe. L'aver chiuso gli occhi, a proposito del reale scopo del suo lavoro, così come riguardo ai crimini commessi dal Giappone imperialista, non servirà ad eludere le sue responsabilità morali. Sin qui il maestro Miyazaki, invece un'altra figura autorevole del mondo dei manga e degli anime (cartoni animati) è Leiji Matsumoto (pseudonimo di Akira Matsumoto), autore di svariate serie a fumetti di successo, è il creatore di personaggi iconici, entrati a buon diritto nell'immaginario mondiale, basti pensare al pirata spaziale Harlock. Quest'ultimo attinge a tutta una variegata tipologia di oggetti e manufatti industriali, componendo un'elegia della meccanizzazione, laddove treni a vapore, cannoniere, dirigibili, persino semplici viti, giroscopi e puntatori di bombardieri, vengono trasfigurati da un lirismo romantico.⁴ Eppure Matsumoto è tutt'altro che un tecnofilo disinibito, se si prendono in considerazione i volumi del suo manga Ginga Tetsudō 999 (Galaxy Express 999), al quale sono legate diverse produzioni animate, assieme all'elogio dell'era delle vecchie ferrovie a vapore, ci imbattiamo in un messaggio esistenziale di stampo umanistico: la meccanizzazione non deve intaccare né i nostri corpi, né tanto meno le nostre anime.⁵ Al contrario dobbiamo abbracciare la finitezza che caratterizza la nostra natura di esseri viventi, contraddistinta dal nascere così come dal morire, considerandola come un valore piuttosto che disprezzarla. Il sogno tecnologico, prigioniero del suo desiderio di perfezione, si spinge sino al punto di voler sostituire la fragile corporeità umana, fatta di carne e sangue, con il metallo e la plastica, eppure non si tratta in alcun modo di una soluzione accettabile. Matsumoto, fumettista non privo di tratti conservatori e nazionalistici, rifiuta l'idea dell'uomo-macchina, rivendica uno spazio per un'umanità che sia genuinamente tale, forte, coraggiosa, capace di sognare e di pensare con la propria testa. Al tempo stesso trasforma locomotive a carbone e dirigibili in astronavi, revolver da cow-boy in armi ad energia; persino la corazzata Yamato, affondata verso la fine della Seconda guerra mondiale, viene coinvolta in una metamorfosi similare.⁶ Un'operazione che coinvolge tanto il design, quanto il valore simbolico del manufatto preso in esame, con un lavoro che coinvolge la dimensione mitica degli artefatti interessati.⁷

    La Yamato matsumotiana, seppur non completamente depurata da tutte le valenze simboliche patriottarde che il suo nome reca con sé, diventa una fiaccola di speranza per l'intera specie umana piuttosto che rimanere il mero vessillo di un vetusto eroismo bellicista. Al contrario Katsuhiro Otomo, un'altra figura fondamentale per l'universo del fumetto e dell'animazione made in Japan, pare vedere le cose in modo assai diverso. Otomo miete i suoi primi significativi successi nel corso della penultima decade del Novecento, dapprima con l'horror d'ambientazione urbana Dōmu (Domu-Sogni di bambini) e di seguito con il cyberpunk Akira. Quest'ultimo è un monumentale manga di culto, trasformato in un kolossal d'animazione diretto dal suo stesso autore, una pellicola potente quanto farraginosa, capace di segnare un'epoca nonostante tutti i suoi limiti.

    La ghianda da cui nasce Akira è la novella Fire Ball, la quale offre ai suoi lettori lo squarcio di un futuro prossimo assai fosco, liberticida e disumano, condito con elementi catastrofisti e paranormali.⁹ In effetti, già a partire dagli anni '70, Otomo riesce a dar vita a delle interessanti distopie (utopie negative) sociologiche, satire che guardano agli hippy capelloni con un misto di simpatia e di ironia beffarda, non prive di un certo graffiante umorismo, come possiamo constatare dalla lettura di Electric Bird Land ed Hair. Talvolta la narrazione di una tragica vicenda, come l'avventura fanta-militare di Farewell to Weapons (Addio alle armi), oppure l'odissea in un mare inquinato di Minor Swing (Leggermente mosso, può concludersi con un finale traboccante di humour nero.¹⁰ Nel primo caso un fante sopravvissuto all'attacco di un robot nemico, dopo che si è liberato della sua armatura cibernetica, non viene più riconosciuto come combattente dal suo antagonista che intanto ha sterminato tutti i suoi compagni di battaglione. Snobbato, si vede persino consegnare un volantino di propaganda, con tanto di caloroso invito ad arruolarsi in una fazione avversaria. Alla fine, fuori di sé dalla rabbia, sarà costretto a inseguire la macchina, mentre senza alcun successo tenta di attirarne l'attenzione con insulti e sassate. La duplice citazione di due miti letterari del calibro di Ernest Hemingway (1899-1961) e di Robert A. Heinlein (1907-1988), l'uno un gigante novecentesco del mainstream e l'altro una figura chiave della narrativa popolare fantascientifica, arricchisce una narrazione che è allo stesso tempo drammatica quanto indicibilmente spassosa.¹¹ Il finale della sua recente trasposizione animata, a firma di Hajime Katoki, è se possibile ancor più demenziale e cupa dato che il soldato superstite, incolume ma disarmato, preso dalla disperazione si scaglia contro l'automa usando una testata termonucleare come corpo contundente. Si pensi anche al film Robotto Kānibaru (Robot Carnival), opera collettiva le cui scene introduttive, realizzate da Otomo e da Atsuko Fukushima, ci mostrano una similare vena sarcastica. Nel corso di questo siparietto iniziale, possiamo osservare l'avanzata di un immenso carro robotizzato che procede lentamente nel deserto. Si tratta del veicolo di un circo, al suo approssimarsi gli abitanti di un minuscolo villaggio, costruito in mezzo al nulla, non resta che darsi disperatamente alla fuga. I contadini, affatto propensi a godersi lo spettacolo degli artisti meccanici (per altro associato a fuochi d'artificio tutt'altro che innocui), non possono che assistere impotenti alla distruzione delle loro misere casupole, le quali vengono schiacciate dalle lettere dei titoli di testa del film. Il nome di questa megalomane compagnia viaggiante, il quale campeggia sul vettore cingolato, non è altri che Robot Carnival. Il suo incedere non implica solo il suo arrivo al paesello sopracitato, ma anche l'inizio della pellicola.

    Specularmente, al termine dell'ultimo episodio di questo lungometraggio antologico, ritroveremo questo carrozzone meccanizzato nei guai. Bloccatosi tra le dune, non riuscirà più a fuggire da quella prigione di sabbia, contemporaneamente allo scorrere dei titoli di coda, questa macchina gigantesca esplode. Nel corso delle ultime scene di chiusura, sempre a firma di Otomo e della Fukushima, uno sfortunato viaggiatore del deserto, frugando tra i suoi rottami, avrà la bella pensata di portarsi a casa come souvenir una specie di carillon robotico, con l'unico risultato di saltare per aria assieme a tutta la sua cenciosa famigliola. Del resto persino sul Robot Carnival, che intuiamo aver passato giorni migliori quando metteva allegria alla gente piuttosto che terrore, deve calare impietosamente il sipario. Invece in Purezensu (Presence) di Yasuomi Umetsu, forse uno degli episodi più interessanti che compongono Robot Carnival, veniamo catapultati in un mondo in cui i robot antropomorfi costituiscono la norma. All'onor del vero le inquadrature iniziali di Presence sono grottesche, cariche di un greve humour nero, eppure nonostante la loro sgradevolezza ci consentono di immergerci all'istante in questo bizzarro universo.¹² Qui un costruttore di giocattoli, un tipo quieto e malinconico, vive in un bel villino costruito in mezzo al verde assieme alla moglie e alla figlioletta. Ogni mattina, salito a bordo di un'inconsueta auto volante, percorre le strade campestri per recarsi a lavoro in un futuristico complesso industriale, una fabbrica di proporzioni titaniche di cui mal sopporta le ferree regole e i ritmi. Essendo continuamente incalzato da bizzarri orologi volanti, strampalate creazioni dal sapore steampunk che hanno il compito di seguirlo in ogni momento durante l'arco della sua giornata lavorativa onde promuoverne il rendimento. Non tardiamo a scoprire come il nostro eroe non sia del tutto soddisfatto dalla sua consorte, a suo parere una donna in carriera sin troppo assorbita dal mondo degli affari. Il segreto di quest'ometto, apparentemente felice e sereno ma in realtà ricolmo di frustrazioni e parecchio represso, è presto detto. Nei suoi pochi momenti liberi, in una bicocca fatiscente persa in mezzo ad un bosco, lavora alacremente all'assemblaggio di un androide dalle fattezze femminili. Il suo creatore l'ha plasmata quale forma di compensazione sia per non esser stato a suo tempo sufficientemente amato dalla madre, sia a causa del suo attuale legame matrimoniale con una donna manager forte e determinata che ha più successo di lui. Eppure, con suo grande disappunto, non tarda ad accorgersi come questa ragazza meccanica sia in grado di pensare con la propria testa. Caparbia e determinata, si innamora di chi l'ha costruita, facendosi portatrice di un'indomita passione che non ammette di essere messa in secondo piano da niente e da nessuno. Un sentimento davanti al quale il nostro inventore si sente del tutto impreparato, trovandosi per di più accusato di infantilismo da parte di questa ribelle meccanica. Del resto quest'ultimo è il primo ad ammettere di non averla programmata per sapere che cosa voglia dire innamorarsi, nonché di essere sorpreso di come abbia potuto sviluppare una coscienza.

    Trattandosi a conti fatti di un automa privo di diritti e non di una persona in carne e ossa, la soluzione che il nostro imbarazzato inventore sceglie per risolvere i suoi problemi è la più spiccia di tutte. L'androide femmina viene colpita con forza con un manrovescio e scaraventata a terra, a quel punto pare quasi sanguinare da un labbro come un vero essere umano, uno spettacolo terribile a vedersi che però non serve a placare la furia selvaggia del suo aggressore. Il quale si accanisce impietoso senza alcun riguardo su di lei con un corpo contundente, abbandonandone poi i rottami in quella stamberga che è solito usare come laboratorio privato. Svariati decenni dopo, diventato un pacifico nonnino in pensione la cui solitudine viene piacevolmente interrotta dalle visite della figlia e dalla nipotina, lo spettro della ginoide ritornerà per turbarlo. Al di là di ogni logica, accantonando qualsivoglia verosimiglianza e sconfinando nel fiabesco, non solo questo roboticida accetterà l'amore di questa donna meccanica ma costei lo trascina con sé in una misteriosa dimensione ultraterrena.

    I robot, tormentati per divertimento, gettati senza tanti complimenti nei cassonetti dei rifiuti quando non funzionano più, distrutti a piacimento dagli umani che gli considerano dei meri oggetti, diventano sia lo sfogo per maschi con problemi emotivi, sia metafora del genere femminile che viene sin troppo spesso trasformato in un mero balocco. Ritornando ad Otomo, nell'episodio Koji chushi meirei (Interrompete i lavori!), da lui diretto e facente parte del lungometraggio Manie Manie Meikyû monogatari (Manie-Manie-I racconti del labirinto), l'impiegato di una multinazionale viene inviato per una missione urgente in un cantiere nella giungla.¹³ I lavori di costruzione, interamente affidati ai robot, sono un disastro e a causa di un golpe la congiuntura politica è diventata sfavorevole ai progetti dell'azienda, di conseguenza diventa prioritario bloccare tutto. Come se non bastasse, non si hanno più notizie del responsabile di questa fantomatica Area 444, che non ha ancora risolto l'inconveniente. Il mistero è presto svelato, imperterrito, perfetto simbolo di un'automazione impazzita, il capo cantiere robot non vuol sentir ragioni e non ha alcuna intenzione di fermarsi, continuando a gettar via materiali e costosi robot da costruzione. Chi in precedenza aveva già tentato di farsi ubbedire, rassegnato, non aveva trovato altra soluzione che quella di darsi alla macchia. Frustrato, ridotto all'impotenza e imprigionato, il nostro ometto si risolverà a passare alle maniere forti proprio quando all'esterno la situazione è cambiata. Inutilmente i suoi superiori cercano di contattarlo per revocare gli ordini datagli in precedenza. Il loro fedele manager, armatosi di un'ascia, non può ascoltarli perché si è lanciato in una spedizione luddista in piena regola. Negli anni '80, con l'emergere della rivoluzione informatica, altri autori osano esplorare le implicazioni legate allo sviluppo dei computer, per non parlare della robotica e della possibilità di applicare innesti cibernetici al corpo umano.

    Masamune Shirow (pseudonimo di Masanori Ota), fumettista cervellotico quanto brillante, è uno di loro. Kōkaku Kidōtai (Ghost in the Shell), è forse il suo manga più noto, imperniato sull'instaurarsi di un nuovo genere di rapporto mente/corpo in una civiltà laddove entrambi sono stati riplasmati dalla scienza. Interrogativi scientifico-filosofici, sulla natura della vita e dell'anima, punteggiano la narrazione. Il concetto di ghost impiegato da Shirow è un esplicito riferimento al saggio The Ghost in the Machine (Il fantasma dentro la macchina) di Arthur Koestler (1905-1983), grazie al quale egli rielabora a suo modo (anche alla luce degli elementi animistici dello scintoismo) le intuizioni; condividendo l'assunto di fondo che descrive i fenomeni psichici come qualcosa di fisico piuttosto che di metafisico. Volendo potremmo definirlo un intricato fanta-thriller, che ha ispirato ben più di una trasposizione animata e che ora è diventato persino una pellicola hollywoodiana in piena regola diretto da Rupert Sanders, con la diva Scarlett Johansson nel ruolo della cyber-eroina attorno a cui ruota la vicenda. Segnaliamo qui come l'omonimo anime film di Mamoru Oshii, seppur negletto in patria, si sia concentrato in particolar modo sul rapporto memoria/identità, aggiungendo un pizzico di misticismo al lavoro di Shirow, con tanto di citazioni evangeliche.¹⁴

    Le prospettive recate con sé dalla rivoluzione informatica, per quanto meravigliose possano sembrarci, ci spingono a ridisegnare la mappa delle nostre conoscenze riguardanti il nostro essere e a ciò che sappiamo del mondo. Perché se il nostro corpo può essere ricostruito, mentre al contempo le nostre memorie possono essere duplicate e falsificate come un qualsiasi pacchetto dati, allora il rischio di non sapere più chi siamo diventa un pericolo concreto, non è più una mera questione da dibattito accademico. Al culmine della paranoia potremmo persino esser spinti a ipotizzare di vivere in una colossale simulazione, una realtà virtuale talmente perfetta che non potremmo mai esser in grado di scoprire l'inganno in cui siamo tutti quanti avvolti. Si tratta dei medesimi dilemmi che in Occidente si pose Philip K. Dick (1928-1982), in seguito tradotti su pellicola a suo modo da sir Ridley Scott con il cult-movie Blade Runner (1982), liberamente ispirato da un romanzo dickiano del '68 Do Androids Dream of Electric Sheep? (Cacciatore di androidi). Siamo difronte a tematiche talmente cogenti che le ritroviamo sia nelle speculazioni riguardanti la sottile linea di confine tra reale e virtuale di un anime classico del 1998 qual è Shiriaru Ekusuperimentsu Rein (serial experiments lain), così come in produzioni più recenti. Persino il sofisticato Sukai Kurora (The Sky Crawlers-I cavalieri del cielo) di Oshii, pur essendo qui lontanissimo dalla precedente estetica cibernetica alla quale si era accostato con Ghost in the Shell, rilancia simili quest esistenziali.¹⁵ Dal punto di vista iconografico emerge una passione per il volo dal sapore miyazakiano, ricordandoci per alcuni versi sia Si alza il vento che il precedente Kurenai no buta (Porco Rosso), per non parlare dell'ucronico Tenku no shiro Rapyuta (Laputa: castello nel cielo), mostrando un analogo interesse per la storia dell'aviazione.¹⁶

    Strappare il velo di Maya che ci separa dall'intima essenza delle cose, onde liberarci dalle illusioni che ci avvolgono, come si decide a fare il pilota Yūichi Kannami di The Sky Crawlers, non è mai semplice e può avere dei risvolti assai spiacevoli. Il protagonista, già di suo un prodotto di laboratorio, imprigionato in eterno nelle sembianze di un ragazzino, costretto a partecipare a dei pericolosi war games a bordo di vecchi aerei, scopre di stare vivendo all'interno di una grande bugia, tesa a nascondergli la sua reale identità e il suo passato. Qui abbiamo a che fare con guerre fittizie che sostituiscono quelle vere in nome della pace, spettacoli durante i quali la gente muore in diretta nel corso di seguitissimi reality show, vittime di questi giochi mortali sono degli eterni adolescenti, impossibilitati a crescere e ad avere una vita normale.

    Questi sono i temi che Oshii riesce a intrecciare tra loro, in una pellicola a tratti lenta ed enigmatica ma pregna di significati. Simili perplessità, riguardanti la pervasività della tecnologia moderna, emerge con forza anche nella produzione dello scomparso Satoshi Kon (1963-2010), in particolar modo nel suo film Papurika (Paprika-Sognando un sogno.¹⁷ Laddove la possibilità di intervenire sui nostri sogni grazie ad un apposito congegno, la DC Mini, apre sia l'opportunità di un'analisi psicoanalitica eseguita dall'interno del nostro io, tanto quanto uno sfruttamento commerciale della dimensione onirica. Purtroppo, dopo aver conseguito un simile traguardo, sconvolgere la mente del prossimo, imprigionandola in fantasie create ad hoc, diventa assai semplice e in queste condizioni la stessa trama della realtà incomincia a sfaldarsi. Similmente è quel che vediamo accadere in Mōsō dairinin (Paranoia Agent), serie a firma dello stesso Kon, nella quale il disagio mentale causato dallo stress provoca la materializzazione dei frutti malati della nostra psiche. Le urban legends prendono vita, assieme alle nostre paure e alle nostre speranze, generando un puro caos delirante.¹⁸ Tra le icone degli anime giapponesi dobbiamo annoverare anche i cosiddetti robot giganti (mecha), le cui fattezze possono richiamare antichi guerrieri (samurai, cavalieri medievali), così come certe espressioni dell'arte moderna.¹⁹ Di volta in volta, a seconda dell'autore e dell'epoca presi in esame, questi automi possono incarnare desideri di avventura e sogni di onnipotenza, oppure essere dei semplici prodotti di fabbrica, progettati per venire incontro alle esigenze belliche di domani. Un percorso che procede dai titani-samurai degli anni '70 di Go Nagai (pseudonimo di Kiyoshi Nagai), campioni di iper-tecnologici duelli cavallereschi, sino ad arrivare ai successivi eserciti di massa di Yoshiyuki Tomino, con le sue legioni di fanti sacrificabili mandati a morire. Quest'ultimo, grazie al leggendario Kidō Senshi Gandamu (Mobile Suit Gundam), introduce nelle fiction robotiche nipponiche la necessaria verosimiglianza, le armi antropomorfe che vi compaiono, i mobile suit, versioni giganti delle power suit di Heinlein, costituiscono l'equipaggiamento di forze armate in lotta tra loro. Solo i prototipi sono modelli unici, destinati in seguito a venir replicati, con le varianti progettistiche del caso, nelle versioni per l'uso bellico.²⁰ Tutti quanti vengono assemblati in apposite fabbriche, piuttosto che essere costruiti in fantasiosi laboratori scientifici simili a fortezze medievali, così come invece accadeva nelle serie precedenti. Quest'evoluzione, proseguita nel tempo attraverso altri titoli variamente collegati al primo Gundam, così come da altre serie che ne avevano raccolto la fiaccola come Chōjikū Yōsai Makurosu (Fortezza superdimensionale Macross), subì ulteriori metamorfosi negli anni '90 grazie ad Hideaki Anno. Il suo Shin seiki Evangerion (Neon Genesis Evangelion), innovatore sia dal punto di vista narrativo che da quello iconografico, porta sugli schermi dei robot biologici longilinei, per certi versi simili a delle astrazioni artistiche.²¹

    Le cabine di pilotaggio di questi titani sono dei grembi uterini sintetici che possono condurre alla follia, sorta di esplicita metafora delle nostre paure e dei desideri repressi che ci portiamo dentro. L'unione mentale tra il pilota e queste terrificanti macchine biologiche, le Unità EVA, associate alla giovane età di questi combattenti, degli adolescenti destinati ad una vita di sofferenze continue, incarnano alla perfezione alcune valenze simboliche proprie del genere robotico giapponese. In particolare quelle legate alla percezione di un mondo degli adulti avvertito come estraneo, ostile e competitivo, le quali procedono di pari passo con il desiderio di una nuova corporeità, un guscio tecno-scientifico che consenta di difendersi dalle minacce esterne. Il successo di Evangelion, che ha generato tutta una variegata produzione multimediale relativa, come lungometraggi, fumetti e videogiochi, è stato planetario. I robot giganti, così come gli aerei miyazakiani, divengono degli oggetti fortemente iconici, riassumendo in sé tutte le ambiguità e le contraddizioni della contemporaneità. La variopinta galassia degli anime e dei manga, quella realtà delineata dalla produzione animanga, come la definisce Fabrizio Fabbri con questo termine collettivo, carica di significati peculiari le cose che pervadono la nostra quotidianità; dai più sofisticati macchinari ultra-moderni sino al cibo spazzatura che troviamo nel supermercato sotto casa. Tutti quanti, dall'androide senziente alla merendina dei distributori automatici, hanno una storia da raccontarci.


    ¹. Sull'arte di Hayao Miyazaki: Marco Pellitteri, Mazinga Nostalgia. Storia, valori e linguaggi della Goldrake-generation, Roma 1999, pp. 400-403; Helen McCarthy, Hayao Miyazaki: Master of Japanese Animation, Berkley 1999; Anna Antonini, L'incanto del mondo: il cinema di Miyazaki Hayao, Udine

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