Società a responsabilità capitalistica
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Questo sistema economico pervasivo in ogni settore della nostra vita non ha certo una “responsabilità limitata” siamo in una “Società a responsabilità capitalistica”, una Src, come la definisce Giuseppe Beghini. Se gli Stati del mondo hanno cominciato a muoversi in parte per risolvere alcuni problemi, la lentezza nel promulgare nuove leggi, riforme e correzioni di rotta, i continui conflitti tra gli stati, reali o ideologici, rallentano molto il processo di cambiamento, che ormai la maggior parte delle persone informate sa essere urgente e indilazionabile. L’attenta analisi si conclude con la speranza e l’auspicio che si possano cambiare le cose, nel rispetto reciproco e nella solidarietà perché, come già diceva Aristotele duemila anni fa, abbiamo tutti un obiettivo che è la ricerca della felicità.”
Tiziana Viganò
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Book preview
Società a responsabilità capitalistica - Giuseppe Beghini
Note
Prefazione
E’ interessante e stimolante comporre una presentazione a questo lavoro. Perché tenta di mettere insieme concetti e ideologie ben conosciute, come la sempre attuale analisi marxiana della società e delle dinamiche sociali, con le problematiche odierne che esulano da questo criterio di indagine, come i cambiamenti climatici e gli inquinamenti.
Fenomeni che sono in grado di distruggere completamente la vita sul pianeta, almeno la vita umana, nel giro di poco tempo, fenomeni di cui non c’è una coscienza di massa, che sono generati dalla logica della comodità e del profitto, e che nonostante tutto questo continuano a essere nutrite dal modo di produrre, di vivere, di consumare.
Chi sono le prime vittime di questi fenomeni moderni? Le classi sociali più basse, che non sono i lavoratori, gli operai, oggi quasi dei privilegiati, anche se tuttora vengono derubati del profitto del loro lavoro. Oggi le vittime sono nei paesi del sud del mondo, vittime di espropriazione delle terre e di imposizione estranee alle loro tradizioni sia etiche che alimentari.
Quando l’agricoltura si trasformò, passando da tradizionale a industriale, dall’uso dei fertilizzanti naturali ai fertilizzanti chimici, dai (pochi) pesticidi naturali a quelli di sintesi chimica, dalle aziende a ciclo completo alla monocultura, la giustificazione fu che c’erano da sfamare milioni di persone, e per un po’ funzionò, ma ora il numero dei sottonutriti è ancora uguale non per mancanza di cibo ma dell’accesso al cibo, mentre ci sono un miliardo di persone iperalimentate.
La rivoluzione verde mise in campo due teorie contrapposte, secondo la prima ogni innovazione porta ricchezza e maggior quantità di cibo, la seconda invece sostiene che forzare gli equilibri naturali determina un impoverimento del sistema. La scoperta e l’uso dei pesticidi, anche quello che si sta ancora facendo adesso, è in sintonia con la prima, ed è ancora la teoria guida in agricoltura, l’applicazione diretta del riduzionismo meccanicistico, se manca un minerale si aggiunge, se c’è un parassita si elimina. Purtroppo questa teoria presuppone che sia le risorse del pianeta sia la capacità di sopportare gli scarti, i rifiuti siano infiniti.
Queste tesi si sono confrontate per un secolo, e sono state di supporto allo sviluppo di diversi sistemi economici e sociali. Da una parte la privatizzazione delle risorse e delle terre coltivabili con il monopolio delle sementi e della chimica, che porta alla finanziarizzazione dei terreni, alla produzione di commodities
e non di cibo, alla espulsione delle popolazioni dalla terra, alla urbanizzazione selvaggia, alle migrazioni di masse enormi.
Questa teoria è stata definitivamente sepolta anche dalla FAO nel recente congresso di Roma, dove si è iniziato a parlare di agroecologia
termine che finalmente unisce due concetti inseparabili. La FAO è stata l’ideologo
della rivoluzione verde mentre ora inizia ad aprirsi ad altri orizzonti. Questa pratica pesca nelle tradizionali agricolture di comunità che hanno nutrito e tuttora nutrono la maggior parte dei popoli del sud del mondo e ha come caratteristiche fondamentali tipo la salvaguardia del territorio, la biodiversità, il rispetto degli ecosistemi, la presenza fisica sul territorio, l'azienda a dimensione non grande, la presenza degli animali (non di allevamenti industriali), la valorizzazione delle produzioni per le quali il territorio è vocato, una distribuzione che rispetti i produttori, non basata sulla finanza, le coltivazioni dedicate solo alla produzione di buon cibo per persone sane, che sia in definitiva buona, pulita e giusta
.
Invece la realtà è ben diversa. L’humus è la vera materia prima più importante per gli esseri viventi. Anche la parola uomo
, umano
deriva da esso, ed è la più importante fonte di cibo, di regimentazione delle acque, di equilibrio acido-base del terreno. E’ la vera cassaforte, è il migliore investimento che l’umanità possa fare. Per costruire cinque centimetri di humus ci vogliono 1000 anni del silenzio dei boschi, e se agli inizi del ‘900 il terreno agricolo ne conteneva il 5 o 6% ora raggiunge a malapena l’1,5 o 2%, quando la soglia di desertificazione è l’1%.
Per questo l’agricoltore serio, lungimirante, che pensa alla successive generazioni, non nutre le piante ma nutre il terreno.
Mentre invece ci troviamo con acqua, terra, aria colmi di residui, con gli elementi fondamentali alterati, con l’agricoltura vittima e carnefice dei cambiamenti climatici, carnefice per l’enorme uso di energia fossile, vittima per l’avanzare della desertificazione.
Bisogna interrogarsi sul concetto che non si può fermare la creatività umana della scienza (anche rischiosa, o negativa), che è affiancato a un altro concetto, in sostanza un criterio di etica delle innovazioni. Se queste producono un beneficio individuale o un beneficio sociale globale c’è una enorme differenza. Negli ultimi cento anni l’industria ha immesso nell’atmosfera, e nell’ambiente centinaia di migliaia di nuove molecole, di CO2, di metalli pesanti, che influiscono pesantemente sullo sviluppo e sulla salute degli esseri viventi. I cambiamenti ambientali che sono avvenuti in un milione di anni sono probabilmente inferiori di quelli avvenuti negli ultimi cento anni e questo esercita una pressione enorme sull’epigenoma umano, sul patrimonio più intimo dell’essere umano.
La semplice presenza di xenobionti, sostanze estranee attive sui metabolismi, può indurre modificazioni fenotipiche imprevedibili, che stiamo già osservando, come la crescita esponenziale dei tumori e delle malattie dismetaboliche, che ormai colpiscono, sia nel nord che nel sud del mondo, con percentuali che mettono in crisi non solo le strutture sanitarie ma il concetto stesso di cura, perché per esse non esistono cure, esiste solo la prevenzione. Tempi bui, ma confidiamo nella saggezza, anche se all’ultima ora, nelle giovani generazioni, nei popoli emarginati dal potere, nella connessione planetaria di idee e percorsi virtuosi.
Dott. Giovanni Beghini
Introduzione
Con questo saggio intendo indagare sulle conseguenze che il capitalismo ha avuto nei confronti di ognuno di noi: vuole rappresentare una critica costruttiva a una società che abbiamo costruito col tempo perseguendo errori fatali, una