Il Commissario Sartori. La bambola di gomma
By Franco Enna
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Il Commissario Sartori. La bambola di gomma - Franco Enna
2018
LA BAMBOLA DI GOMMA
Capitolo I
Dopo l’ultima curva spuntò il paese, avvolto nel verde della campagna, con casette antiche che si ripiegavano sulla strada dalla collina così a scivolo che le tegole pareva dovessero staccarsi da un momento all’altro.
Il commissario Sartori stava gustando quella passeggiata, imprevista fino a poche ore prima. Forse perché era nato in settembre, amava l’autunno, e ottobre era già arrivato da qualche giorno con un gran mantello di foglie gialle.
Quella missione per lui aveva il sapore di un premio.
Quella mattina stessa il Questore lo aveva chiamato nel suo ufficio e, mentre sorbivano insieme una tazza di caffè appositamente preparato per il Capo dal barista del commissariato, gli aveva esposto il caso con la sua parlata irriducibilmente partenopea, con quella bonomia spontanea che lo rendeva simpatico a tutti. Anche ai criminali.
«Neh, Sarto’! Un pezzo grosso del governo è nei guai e ha fatto il suo nome per avere una mano... Si vede che anche a Palazzo Chigi leggono i giornali.»
Sartori aveva ascoltato in silenzio, aveva preso appunti sbirciando di tanto in tanto oltre la finestra aperta su una Roma allagata di colori.
«D’accordo, signor Questore. Partirò tra due ore. Come ha detto che si chiama il paese?»
Non molto lontano. Verso i Monti Ausoni, tra Fondi e Terracina. Un paese di poche migliaia di abitanti ma dotato di una stazione di carabinieri comandata da un maresciallo, il quale lo stava già aspettando.
Alle prime case trovò un contadino disposto a indicargli la caserma, situata in una palazzina nuova, dalla facciata bianca, con persiane rosse e un giardinetto ben tenuto, dove facevano spicco cespi di rose gialle.
Alla sua scampanellata il portoncino si aprì per mano di un carabiniere giovanissimo e biondiccio, che col suo accento rivelò di essere nativo di una delle tre Venezie.
«Sono il commissario Sartori, della Sezione Omicidi di Roma. Ho un appuntamento col maresciallo Scopelliti.»
Il carabiniere si irrigidì sull’attenti e fece sbattere i tacchi.
«Agli ordini, signor commissario! Si accomodi, signor commissario.»
Le stanzette che attraversarono erano linde e pulite e i mobili, quasi nuovi, avevano qualcosa di casalingo, di intimo, che gli portò alla memoria una folata di ricordi tenerissimi. E si rivide bambino, poi ragazzo, nelle tante caserme di carabinieri dov’era cresciuto al fianco di suo padre maresciallo, tra uomini in uniforme che lo coccolavano, scàlpiti di cavalli nelle scuderie e tintinnare di sciabole e di speroni.
Il maresciallo Scopelliti gli andò incontro calmo e sorridente e lo introdusse nel suo ufficio, dove lo invitò a prendere posto in una poltroncina di legno chiaro. Era un uomo sulla quarantina, di aspetto severo, elegante nell’uniforme di panno scuro.
«Ha una bella sede», disse Sartori, accettando una sigaretta.
«Da un anno a questa parte. Quella che avevamo prima era una topaia.»
Risero.
«Se vedesse il mio ufficio a Roma», disse il commissario.
«Brutto?»
«Orribile. Buono forse per conservarci patate.» Risero ancora. Il carabiniere, che si chiamava Barselon, portò caffè e cognac.
«Stavo pensando al suo nome», disse il maresciallo. «Mi ricorda qualche cosa...»
«Allude a quello che hanno scritto i giornali su di me ultimamente?»
«No. Mi scusi, ma lei è parente del maresciallo Sartori, dei carabinieri?»
Il commissario avvertì un leggero fremito.
«Sono suo figlio», disse dopo una breve esitazione.
«Oh!» proruppe Scopelliti, posando le mani sulla scrivania. «Ma guarda il caso!... Io ho conosciuto suo padre, sono stato alle sue dipendenze come vicebrigadiere, a Villafranca in Lunigiana. Lui comandava quella stazione... Mi creda, commissario, quel periodo è stato tra i più belli della mia carriera, proprio perché ero col maresciallo Sartori. Non mi è più capitato di incontrare un uomo più giusto e più comprensivo di suo padre...»
Sartori annuì a occhi bassi. Le parole dell’uomo che aveva di fronte gli portavano una dolcezza infinita nel cuore.
«È ancora vivo, spero...»
«Purtroppo no. È morto otto anni fa.»
«Come mi dispiace!»
Si sentiva che Scopelliti era sincero.
Il commissario vuotò il suo bicchierino e si spostò un momento fino alla finestra spalancata sulla strada.
«Mi ha insegnato a essere prima uomo e poi poliziotto», stava proseguendo il maresciallo alle sue spalle. «Mi ha insegnato soprattutto a capire gli uomini... Spesso mi diceva: Non dobbiamo trattarli come criminali, ma come malati...
. Una volta arrestammo un uomo ricercato per omicidio. Aveva ucciso il seduttore della figlia. Non era un meridionale, stavolta, ma un povero diavolo di piemontese, una persona onesta. Eravamo suo padre, io e un carabiniere. L’omicida si rivolse a suo padre e gli chiese se poteva rivedere la moglie e la figlia, ma senza manette e non accompagnato dai carabinieri. Era una richiesta pazzesca, ma ancora non avevo imparato la lezione. Con grande meraviglia mia e del carabiniere, suo padre accettò di lasciarlo libero sulla parola, per ventiquattro ore. Non volle che lo sorvegliassimo neppure. Io ero sicuro che suo padre avrebbe avuto delle noie per quella decisione. Ebbene, allo scadere della ventiquattresima ora quell’uomo suonava alla porta della caserma...»
Sartori lottava con se stesso per ricacciare indietro le lacrime.
«Grazie, maresciallo», disse di scatto voltandosi, «grazie per avermi voluto regalare questo momento felice. Io adoravo mio padre».
«Lo so. Lui me lo disse più di una volta. Quando ero a Villafranca, lei si trovava in Sicilia, all’università. Non abbiamo mai avuto l’occasione di incontrarci allora. Poi suo padre andò in congedo e lei non ebbe più motivo di venire a Villafranca.»
I due uomini si guardarono negli occhi e col silenzio si dissero una improvvisa amicizia.
«Un altro bicchierino?» propose il maresciallo.
«Con piacere.»
Dopo aver bevuto, Sartori trasse di tasca la fotografia della ragazza dai capelli rossi e la porse al maresciallo dicendo: «Questa è la ragazza che cerco. Crede che il cadavere sia il suo?»
«È difficile dirlo sulla base di una fotografia. Inoltre, questa foto è piuttosto vecchiotta... La ragazza che abbiamo trovato morta in un fossato era un tipo piuttosto raffinato, come questa d’altronde...»
«Quella che cerco io, ha una voglia rossa sul polpaccio della gamba sinistra», indicò Sartori.
«Il referto medico non accenna a una voglia rossa sul polpaccio, ma potrebbe trattarsi di una omissione involontaria. Che ne dice di fare una corsa fino all’obitorio? La salma è ancora qui. Nessuno l’ha chiesta. D’altronde è appena un giorno che il cadavere è stato rinvenuto.»
«D’accordo.»
Mentre indossava il cinturone con la pistola, il maresciallo proseguì: «Stamattina mi ha telefonato il generale comandante in persona per annunciarmi la sua venuta. Ne sono rimasto piuttosto sorpreso. Per muoversi lui ci dev’essere qualcosa di grosso».
«Non come può sembrare», disse Sartori alzandosi. «Uno dei nostri ministri ha un’amichetta. Niente da ridire. Sono uomini anche loro. Ieri stava facendo un viaggio in automobile insieme a lei. La ragazza, di cui le ho mostrato la fotografia, deve avere un caratterino piuttosto pepato. Hanno avuto una discussione più animata delle precedenti e ha aperto lo sportello della macchina ancora in moto. Per poco non si è fatta male. Insomma, lo ha piantato e se n’è andata per conto suo, senza borsetta e senza niente. Il ministro, per darle una lezione, è ripartito. Quando è tomato, circa una mezz’ora più tardi, non l’ha più trovata.»
«Erano in questa zona?»
«Sulla strada che da Terracina porta a Fondi, e che attraversa questo paese. Niente di più facile che la ragazza abbia trovato un passaggio.»
Il maresciallo prese il berretto.
«Non si spiega perché sia scesa dall’automobile, allora», disse.
«Forse l’automobilista avrà tentato qualche approccio piuttosto pesante... Ora, siccome la ragazza non è ancora tornata a casa, l’amico è preoccupato. Quando ha letto sui giornali la notizia del rinvenimento del cadavere nel suo territorio, si è allarmato e ha chiesto a me di fare una piccola indagine per accertare se il cadavere sia quello della sua amichetta o no.»
«Vedo.»
Uscirono, accompagnati fino alla porta dal piantone. Il sole stava avviandosi al tramonto. Automobili, trattori e animali da soma tornavano dalla campagna.
Salirono in una camionetta militare, che il maresciallo stesso avviò verso la periferia. Dopo le ultime case, infilarono una stradina priva di asfalto, in fondo alla quale si scorgeva il cancello di un piccolo cimitero.
«Non disponiamo di un obitorio vero e proprio», spiegò il maresciallo. «Utilizziamo una stanzetta del cimitero. C’è sempre un guardiano.»
«Che età poteva avere la ragazza?»
«Dai venticinque ai trent'anni. E quella che lei cerca?»
«Ventisette. Questa com’era vestita?»
«Un abito a giacca di lana a quadretti piccoli e una camicetta rosa.»
«Quella che cerco io indossava una gonna scura, un maglioncino leggero di lana bianca e aveva sul braccio una giacca di renna.»
«La morta non può essere lei, allora», disse il maresciallo.
«Pare anche a me. Il medico legale ha precisato le cause della morte?»
«Infarto. Strano per una ragazza così giovane, vero?»
«Già!... Ma tutto è possibile.»
Il maresciallo fermò la camionetta davanti al cancello e scese, imitato da Sartori.
«Ha due ecchimosi alla faccia, ma deve essersele fatte cadendo nel fossato», soggiunse Scopelliti.
Sotto la sua spinta, il cancello si aprì cigolando. La breve distesa di lapidi era illuminata parzialmente dal sole.
Un vecchio uomo in maniche di camicia si mostrò da un viale, tenendo una vanga nella destra. Zoppicava.
«Buonasera, Michelino», lo salutò cordialmente il maresciallo.
«È venuto per quella poveretta?» s’informò il guardiano.
«Eh, sì!»
Il vecchio li precedette verso una casetta in fondo al cimitero, che comprendeva l’alloggio del guardiano e una camera nuda, con un tavolo di marmo nel centro, sul quale si trovava il cadavere della sconosciuta.
La giovane donna sembrava che dormisse. Era stata composta abilmente. I lunghi capelli rossi le circondavano il volto magro, scendendole fino ai seni piuttosto piccoli. Era vestita come il maresciallo l’aveva descritta.
«Non è la ragazza che cerco», disse Sartori, dopo aver guardato un’altra volta la fotografia.
«Peccato!» mormorò il maresciallo. «Questo lascia il problema insoluto.»
«D’altronde», proseguì Sartori, «non è neppure rossa naturale. L’attaccatura dei capelli è scura, la carnagione piuttosto olivastra...»
«Vogliamo dare un’occhiata al polpaccio?»
«Tanto per scrupolo.»
Non c’era nessuna voglia. Ormai non potevano sussistere dubbi: la ragazza trovata morta non era l’amichetta del ministro. I due uomini uscirono. Il guardiano richiuse la porta e rimase come in attesa di una spiegazione che non arrivava. Quando il maresciallo incontrò il suo sguardo, scosse la testa dicendo:
«No, Michelino, resta purtroppo ancora senza un nome, quella poveretta».
«Non mi dispiace poi tanto», disse il vecchio con un sorrisetto poco definibile. «Mi ci sono affezionato, a quella lì.»
Sartori scambiò un’occhiata col maresciallo. Questi, quando ebbero distanziato il guardiano, disse sottovoce: «Non pensi male di Michelino. È un ometto inoffensivo e corretto».
«Mi sento più tranquillo», disse Sartori con un sorriso. «Non dev’essere allegra la vita di quell’uomo...»
«Crede? Michelino ha una filosofia tutta sua personale. La morte lo fa sentire più vivo.»
«Come lo invidio!»
Risalirono sulla camionetta, che ripercorse il