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La Strada Verso Di Te
La Strada Verso Di Te
La Strada Verso Di Te
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La Strada Verso Di Te

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About this ebook

Questa sera può essere incredibile.

Il giorno del funerale di suo padre, accadono un paio di cose che Lila non si aspetta.

Prima, scoppia a piangere. Il suo ex la convince a condividere un'avventura pomeridiana. E, ciliegina sulla torta, scopre di essere stata adottata.

Una vecchia lettera porta Lila a una casa abbandonata. Determinata a scoprire chi fosse sua madre, Lila entra. Non riesce nemmeno a credere a quello che trova dall'altra parte della soglia.

Un ragazzo a petto nuda che le lancia un orologio.



* * * 

Ci si aspettava molto da Shepherd Jones. Doveva seguire le orme di suo padre e diventare un pastore.

Tuttavia, le cose non sono andate così.

Quindici mesi dopo essersi liberato della dipendenza che lo ha quasi ucciso, Shepherd si vergogna della persona che era diventato. Ormai si è abituato a vivere da solo. In questo modo, non potrà fare del male a nessuno.

Fin quando Lila Ashbury…Kathryn Davidson…qualunque sia il suo nome, si intrufola nella sua stanza.

* * * 

Lila vuole delle risposte. Shepherd vuole ricominciare da zero. Il loro viaggio in auto per ritrovare la madre di Lila è soltanto un viaggio.

Tuttavia, la strada fino a Houston è lunga e non c'è modo di scoprire se gli ostacoli che incontreranno li uniranno... o li separereranno.

LanguageItaliano
PublisherPiper Lennox
Release dateJan 16, 2019
ISBN9781547562930
La Strada Verso Di Te

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    La Strada Verso Di Te - Piper Lennox

    Per Freeman

    Amare è un rischio.  Che cosa succederebbe se non dovesse funzionare? Ah, ma che cosa succederebbe se lo facesse.

    Peter McWilliams

    Parte I

    Capitolo 1

    Lila

    «Mi dispiace per la tua perdita.»

    Annuisco, con le labbra serrate, mentre un altro collega di mio padre mi stringe la mano. Il suo completo puzza di naftalina.

    «Grazie,» gli dico.  Poi lascio la sua mano, raddrizzo le spalle e mi preparo per il prossimo della fila. Venti sono andati, ne mancano circa quaranta. Questa giornata sembra non finire mai.

    Prima che papà morisse, non avrei mai immaginato che tutte queste persone avrebbero sentito la sua mancanza. Era un brav’uomo, ma non era esattamente l’anima del turno di notte.

    Finalmente, tutti i presenti in chiesa mi hanno porto le condoglianze e si sono seduti. Occupo il posto nella prima panca, accanto alla zia Betty, e mi riprometto di non piangere. Non funziona.

    «Va tutto bene,» mi rassicura, nonostante stia singhiozzando più di me. Papà era il suo fratellino. Inoltre, si commuove facilmente. Ogni evento di famiglia, dai matrimoni ai funerali, persino i battesimi, ha visto Betty piangere.

    Sento il peso degli sguardi compassionevoli sulle mie spalle e porto il volto tra le mani. Le anziane signore dietro di noi schioccano la lingua e sussurrano: «Povera piccolaPiangere di fronte agli altri è già imbarazzante, ma sapere che sono dispiaciuti per me è ancora peggio.

    A gettare il sale sulla ferita è stata la presenza di Donnie. S’intrufola durante una versione radio di Amazing Grace e si siede da solo. Il suo sguardo è quello che percepisco più di tutti gli altri.

    Durante la sepoltura, rimane accanto alla sua auto. Indosso gli occhiali da sole e cerco di avvistarlo tra la folla, ma sono tutti ammucchiati sotto il tendone e lo perdo di vista.

    Oh, beh.  Non che m’importi quello che fa.

    «La famiglia di Richard vorrebbe ringraziare tutti i presenti per essere venuti,» dice infine il pastore, dopo un momento di silenzio. Fisso le rose che ho poggiato sulla bara, sentendo la mancanza delle spine contro le mie dita. È stata l’unica cosa che mi ha distratto dal piangere. «Se qualcuno volesse partecipare, si terrà un ricevimento a casa della sorella di Richard.»

    Betty si asciuga le lacrime con un fazzoletto ed entra in Modalità Padrona di Casa, sventolandolo per aria. «Sì, sì, l’indirizzo è 1402 Maple... girate a sinistra a questo semaforo, seguite la strada per circa un miglio, svoltate a destra, poi a sinistra...»

    Mi rendo conto che, se voglio un po’ di privacy, questo è il momento giusto per andare via. Mi allontano dalla folla mentre tutti ascoltano le indicazioni di Betty, troppo interessati a scoprire dove si trovi il luogo con il cibo gratuito per notare che sto scappando verso l’auto di papà.

    Suppongo che adesso sia la mia.

    La station wagon ha il suo odore. Dovrebbe farmi sentire meglio essere avvolta dal profumo del dopobarba e della sua colazione da fast food, ma mi fa venire i brividi. Quando qualcuno muore, non dovrebbero scomparire anche le loro tracce? Come posso accettare che se ne si andato quando ci sono ancora le sue impostazioni della radio e il suo giubbotto catarifrangente della centrale elettrica è sul sedile del passeggero?

    Calmati, dico a me stessa. Non c’è bisogno di piangere anche durante il ricevimento.

    Inoltre, ci sono abituata. Quando mamma morì, papà non toccò la casa per anni. Non mi permise nemmeno di togliere le luci natalizie dal porticato, soltanto perché le aveva messe lei. Quando a diciassette anni mi rifiutai di portare a casa il mio accompagnatore per il ballo per le foto, a meno che non scomparissero, mio padre cedette. Mentre era a lavoro, le tagliai via con delle cesoie.

    La strada è deserta quando esco dal cimitero. Guido verso casa della zia Betty, ma faccio un’inversione a U a un isolato di distanza. Passeranno venti minuti prima che si accorga della mia assenza.

    Abbasso il finestrino e accendo una sigaretta. Sto cercando di smettere di nuovo ma oggi credo mi sia concesso fare un’eccezione. L’odore del tabacco che sovrasta quello di papà mi aiuta a ricompormi.

    É andato via, penso. Devi accettarlo. Adesso sei sola.

    Ovviamente, non sono davvero sola. Ci sono zia Betty e zio Wayne. Questo è il modo in cui riesco a sentirmi meglio in caso di situazioni critiche: Ripeto la verità fin quando non la accetto. Prima lo farò, prima riuscirò ad andare avanti.

    Qualcuno bussa sul parabrezza posteriore e mi spaventa al punto da farmi cadere la sigaretta. Impreco e la trovo proprio quando ha fatto un buco sul mio unico abito nero.

    Donnie appare sullo specchietto laterale. Non ha nemmeno un ombrello, potrebbe essere una svista, dato che come la maggior parte dei miei ex non è molto responsabile, oppure una mossa pianificata per farlo salire in auto. Al contrario di molti dei miei ex, Donnie è intelligente.

    «Ehi,» dice, avvicinandosi al finestrino. «Che ci fai qui?»

    «Betty non approva il mio vizio,» borbotto attorno alla nuova sigaretta. Cerco di accenderla, ma il mio accendino non funziona. Lo scuoto. È vuoto.

    «Ecco,» dice, passandomi il suo. Lo ringrazio. Rimane lì, con un mezzo sorriso e le gocce d’acqua sul volto.

    Grandioso. Adesso devo invitarlo a salire.

    Trema dalla testa ai piedi quando si siede sul sedile del passeggero. «Grazie.»

    «Come mi hai trovato?»

    «Non l’ho fatto. Ho sbagliato strada e... sono finito qui.» Sorride di nuovo. Mi rimprovero quando penso che il nuovo taglio di capelli e il vecchio piercing al labbro lo rendano sexy.

    Forse sta mentendo. Non sarebbe la prima volta che Donnie mi segue. Tuttavia, sono così sfinita da non avere voglia di discuterne.

    «Mi dispiace,» dice, poggiando le mani sulle ventole per riscaldarsi. «Tuo padre era una brava persona.»

    «Non avrebbe detto lo stesso di te,» sbotto. Una parte di me spera di averlo ferito ma, come sempre, la critica gli scivola addosso.

    Ride. «Già, beh. Non lo sono.»

    «Vero.»

    Questa volta, la sua risata sembra finta.

    «Donnie.» Aspetto fin quando non mi guarda negli occhi. «Perché sei qui?»

    «Ci siamo frequentati per due anni. Non pensi che sarebbe stato poco rispettoso da parte mia se non ti avessi almeno... non lo so, porto le mie condoglianze? So che tuo padre non era il mio fan numero uno, ma lo conoscevo piuttosto bene.»

    «Non ho bisogno della tua compassione.»

    «Lila.»

    «Dico sul serio.» Mi accorgo che i suoi piedi stanno lasciando terra ovunque. C’è un’enorme impronta sul mio grembiule di Hampton, un negozio di specialità in cui dirigo un gruppo di cassieri, ma non sembra più abbastanza. «E sai cosa? Non penso che tu sia qui per questo.»

    Donnie mi guarda prendere un tiro della mia sigaretta, una nube di fumo tra di noi.  «Allora perché pensi che sia tornato?»

    «Penso,» dico lentamente, «che tu voglia tornare con me. So che hai rotto con Valerie lo scorso mese.» Gli lancio un’occhiataccia. «Non ti biasimerei. Stai soltanto tentando la fortuna. Una ragazza è piuttosto fragile al funerale di suo padre.»

    Sogghigna e fissa le sue scarpe eleganti sporche di fango. L’ultima volta che le aveva indossate, era stato per un’udienza in tribunale. Possesso di droga, effrazione, ubriachezza molesta: la sua fedina penale le ha viste tutte, devo concederglielo.

    «Sai, Val e io non facevamo sul serio.» Sento il suo sguardo su di me. «Era un ripiego.»

    «Certo.»

    «No, davvero. Voglio stare con te, Li.» Poggia la mano sulla mia gamba e non perde tempo a farla scivolare sotto il mio vestito, fino ad arrivare al reggiseno. Per qualche strana ragione, glielo permetto.

    «Donnie,» protesto, ma non so che altro dire. Suppongo che potrei, e probabilmente dovrei, dirgli che è un rifiuto umano. Se avesse davvero voluto stare con me, non mi avrebbe tradito, con otto ragazze, per quanto ne sappia io, durante gli ultimi due mesi della nostra relazione. Dopo che papà si ammalò, tornai a vivere con lui per aiutarlo. A quanto pare, Donnie aveva pensato che fossimo diventati una coppia aperta.

    Quando lancio la sigaretta dal finestrino e mi volto verso di lui, sono pronta a dirglielo. Tuttavia, non lo faccio e gli permetto di scacciare via la mia rabbia con un bacio, almeno per il momento.

    «So che ti sono mancato,» sussurra. Abbassa la coppa del mio reggiseno e mi pizzica un capezzolo. Sussulto e lo interpreta come segno del piacere che provo. Quello, oppure non gli importa. Difficile a dirsi.

    «No, non è vero.»

    «Certo,» ride, mentre la sua mano scende sulle mie costole, sul mio stomaco e oltre l’elastico delle mie calze e delle mutandine. Spinge le sue dita dentro di me e, quando gemo, mi rivolge un sorriso arrogante.

    Fuori, la pioggia continua a cadere. Il suono è simile a quello delle api, ogni tintinnio insignificante ma così assordante quando si combina con gli altri.

    «Vieni qui,» dice, poggiandosi al sedile e liberando la sua erezione dai pantaloni del completo. La strofina una volta sola e aspetta. Come se sapesse che me ne prenderò cura e che non ci sia nemmeno bisogno di chiedere. Dio, lo odio.

    Tuttavia, quando sollevo i fianchi dal mio sedile, mi tolgo le calze e mi metto cavalcioni su di lui, proprio come vuole, odio di più me stessa.

    Shepherd

    «Venti dollari? Stai scherzando.»

    «È questo il valore delle leghe. Prendere o lasciare.»

    Guardo di nuovo la collana. Sono piuttosto sicuro che sia oro. Non pensa molto ma di sicuro vale di più di venti dollari.

    «Trenta,» controbatto, stringendola tra le mani.

    «Venticinque. È la mia ultima offerta.» Sputa delle bucce di semi di girasole in una tazza accanto alla cassa e una rimane attaccata al suo labbro inferiore. Disgustoso.

    Tuttavia, non posso lamentarmi della mancanza di decoro in un banco dei pegni.

    «Affare fatto.»

    Tira fuori i contanti dalla cassa e me li passa. Cerco di non pensare alla sensazione di merda che provo quando faccio lo scambio, lasciando cadere la collana nella sua mano.

    «Ci vediamo in giro,» dice, sputando di nuovo nella tazza.

    Non se potrò farne a meno, penso. Tuttavia, probabilmente ha ragione. Pensavo che il ciondolo valesse molto di più e che avrei potuto lasciare il resto della roba in pace. Dopo uno stereo con dei pessimi collegamenti, alcune lampade di lava senza lampadine e persino un’armonica d’epoca, ero sicuro che avrei raccolto abbastanza.

    Mi piace pensare di non essere del tutto senza cuore. Voglio dire, mi dispiace dare in pegno degli oggetti che non mi appartengono. Questa consapevolezza non mi ferma dal farlo, a quanto pare, ma almeno so di avere una coscienza.

    La porta suona quando esco. Prendo le chiavi dalla tasca e mi ripeto che non guarderò dall’altro lato della strada. Non lo farò, non lo farò, non lo farò.

    Lo faccio. Il balcone è vuoto ma intravedo un’ombra attraverso le tende. Forse è la sua. Non riesco a decidere se voglio che esca e mi veda o se preferirei salire in auto e lasciare questo vicinato e questa città.

    Comincia a piovere più forte. La mia contea è un luogo arido, e cerco di individuare dove finisce la tempesta. All’improvviso, tutto si ferma e il sole scioglie le nuvole come se fosse acido.

    Una volta a casa, estraggo di nuovo la foto dalla tasca. Era nel ciondolo; mi era sembrato sbagliato lasciarla lì, sapendo che il proprietario l’avrebbe gettata nella spazzatura.

    È un bambino. Una lei, penso. Forse è Tillie. Potrebbe essere un qualunque bambino. Forse la collana era soltanto un oggetto senza nessun valore che aveva trovato in saldo e che le era piaciuto, invece che un cimelio di famiglia.

    Sei comunque un viscido, dico a me stesso. Ammetterlo mi fa sentire un po’ meglio.

    Capitolo 2

    Lila

    Dopo il ricevimento, trovo mia zia Betty al piano di sopra con dei vecchi parenti lontani, che non vedevo dal funerale di mia madre. Sono seduti per terra e stanno guardando degli album di fotografie che hanno preso da una cesta ai piedi del letto.

    «Oh, questo è Richard che aiuta papà a riparare l’auto,» Betty sorride. Poi si asciuga gli occhi con un fazzoletto prima di notarmi. «Lila, tesoro! Stiamo guardando le foto di famiglia. Vuoi unirti a noi?»

    A dire il vero, no. Ho visto quelle foto e sentito le loro storie fino alla nausea. Tuttavia, non ho altro da fare, salvo che non mi vada di ripulire gli avanzi del buffet, così mi siedo.

    Betty mi passa una foto che conosco molto bene. Ha immortalato il momento in cui mio padre si è addormentato aspettando Babbo Natale. Poi dice: «Qui tuo padre si era addormentato aspettando Babbo Natale, non è dolcissimo?»

    Annuisco e passo alle altre. Mentre le signore partono per la tangente e cominciano a parlare di tutti i Natali in cui io non ero nemmeno nata e di persone che non avevo mai conosciuto, prendo un altro album. Stranamente, non l’ho mai visto prima d’ora.

    «Qui tua madre è incinta di te?» chiede una delle donne, forse la mia prozia, o una cugina di terzo grado, o qualcosa del genere, indicando la foto. 

    Annuisco in automatico. Il vestito che indossa la mamma è morbido e privo di forme, ma è evidente che sia in attesa, quindi devo esserci io lì dentro.

    «Beh, me lo stavo chiedendo,» continua, «perché sembra il cinquantesimo compleanno di Carl.»  Si volta verso la zia Betty. «Tu lo ricordi, Betty. Siamo andati in quella baita a... oh, qual era il posto...»

    Betty mi guarda e dice: «Greenpark.»

    «Sì!  Greenpark.» La donna annuisce e guarda meglio la foto. Sta masticando una pasticca per la gola e l’odore è pungente. «Oh, ma non può essere,» mormora. «Carl ha compiuto cinquant’anni nel... 1977.» Si volta verso di me. «Quando sei nata, cara? Non sembri avere più di venticinque anni.»

    «Infatti, è così.» Guardo Betty. Lei distoglie lo sguardo, fingendo di essere impegnata con un altro album, così riprendo la foto per studiarla.

    Sul retro c’è una data, scritta dalla zia Betty. Richard ed Evelyn, 1977. Carl compie 50 anni!

    «Oh, ecco!» La donna ride. «Avevo ragione!»

    Rigiro la foto e mi accorgo di quanto sia vecchia e i loro vestiti datati. Sono giovanissimi.

    «Zia Betty.» Le punto la foto contro il petto, come se fosse una pistola. «Che cos’è questa?»

    Serra le labbra e capisco che stanno per arrivare altre lacrime.

    «Lila e io abbiamo bisogno di un po’ di privacy,» dice al gruppo. Loro annuiscono come se avessero capito, o forse stanno fingendo, ed escono dalla stanza. Le aiuto a scendere e mi mordo la lingua fin quando anche l’ultima auto non lascia il vialetto.

    «Okay,» dico non appena chiudo la porta, «che sta succedendo?»

    Wayne, che cerca sempre di evitare i conflitti, va a ripulire. Lo sento fare rumore con i piatti.

    Betty sospira e mi chiede di tornare con lei al piano di sopra.

    «Sai che i tuoi genitori erano più grandi quando sei nata,» dice, quasi come se fosse una domanda.

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