Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

Il 6 di Oxford Street
Il 6 di Oxford Street
Il 6 di Oxford Street
Ebook519 pages7 hours

Il 6 di Oxford Street

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

Un agghiacciante segreto aleggia sul numero 6 di Oxford Street… L’amore tra Georgiana e Lucas sarà più forte del destino avverso?

Inghilterra 1817. Lucas Benedict e Georgiana Eagle, finalmente marito e moglie, si godono la luna di miele nel Mediterraneo a bordo della Thalia. Non tutto, però, procede secondo i piani. Nonostante i numerosi scali e le distrazioni offerte dal viaggio, Georgiana non riesce a non pensare alla sua famiglia: la mancanza di notizie dall’Inghilterra le fa sospettare che qualcosa di terribile sia accaduto ai suoi cari. Come se non bastasse, anche Lucas si comporta in modo anomalo, alternando nei confronti della moglie inspiegabili fasi di ostilità a momenti di inarrestabile passione. Georgiana ignora che un terribile segreto lo perseguita da molto tempo e rischia di compromettere il loro futuro insieme. L’oscuro e raccapricciante passato del capitano Benedict, infatti, è tornato a farsi vivo, e il tormento legato alla sua casa natale, il 6 di Oxford Street, rende Lucas insicuro e spietato, pronto a qualsiasi cosa pur di evitare che la sua adorata moglie ne rimanga invischiata.
Riuscirà l’amore tra lui e Georgiana a essere più forte del destino avverso e a contrastare la dispotica Lady Asheby, capace di tenere sotto scacco ogni mossa di Benedict?
LanguageItaliano
Release dateDec 20, 2018
ISBN9788833750156
Il 6 di Oxford Street

Related to Il 6 di Oxford Street

Related ebooks

Historical Romance For You

View More

Related articles

Related categories

Reviews for Il 6 di Oxford Street

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    Il 6 di Oxford Street - Deborah Begali

    ISBN: 9788833750156

    Edizione ebook: giugno 2019

    © 2019 by Deborah Begali

    © 2019 by Sergio Fanucci Communications S.r.l.

    via Giovanni Antonelli, 44 – 00197 Roma

    tel. 06.39366384 – email: info@leggereditore.it

    Il marchio Leggereditore è di proprietà

    della Sergio Fanucci Communications S.r.l.

    Indirizzo internet: www.leggereditore.it

    Proprietà letteraria e artistica riservata

    Tutti i diritti riservati

    Progetto grafico: Grafica Effe

    Questa copia è concessa in uso esclusivo a

    [customer_name] ordine numero: [order_number]

    Nec sine te nec tecum vivere possum.

    ovidio

    Alla settima arte che mi ha insegnato a vedere.

    Morgengabio

    La chiesa di Southwark non era propriamente il luogo dove qualcuno avrebbe gradito convolare a nozze, ma per Georgiana non faceva molta differenza. Era pronta ad accettare ogni stravaganza di quel matrimonio nato da una proposta più che stupefacente. Ci ripensò a lungo prima della cerimonia ed enumerò tutte le eccentricità che avrebbero accompagnato il suo sì al capitano Benedict.

    Per prima cosa gli unici ammessi a quell’evento erano la sorella Jane, il cognato Irving Cavendish, la madre Anne Eagle e altri due signori. Questi due individui, lei, non li aveva mai visti né conosciuti. Si trattava dei testimoni di Lucas Benedict che la signorina Eagle aveva avuto modo di conoscere solo pochi giorni prima della fatidica data.

    Il perché di tutto ciò fu spiegato proprio dal suo futuro sposo mentre Georgiana era ancora ospite in Oxford Street per la sua lunga convalescenza.

    «Mia zia ha usato ogni sua influenza per farmi sentire escluso e indegno di qualsiasi considerazione da parte dei miei parenti, siano essi prossimi o lontani» aveva dichiarato lui pochi giorni prima. «Quello che Lady Asheby non sa è che mi sta di gran lunga facilitando ogni cosa. Non avevo alcuna intenzione di avere con me le meschinità di tutti loro il giorno del mio matrimonio» aveva concluso.

    E, quando Benedict aveva finito di parlare, a Georgiana era parso che l’idea di nozze che aveva avuto fin da bambina – una magnifica celebrazione, una fastosa colazione e forse anche un grande ballo per il fidanzamento – fosse davvero inappropriata. Cambiò idea in modo repentino e fu subito sicura che una cerimonia semplice avrebbe fatto al caso loro. Dopotutto avevano già destato anche troppo scandalo. Nonostante ciò, ella decise di sversare un’accennata rimostranza nell’intimità delle lettere che indirizzava alla sua cara e vecchia governante Gerty. Quest’ultima venne quindi messa a parte di tutta una serie di circostanze che avrebbero portato alle nozze tra Georgiana Eagle e Lucas Benedict. Gerty ricordava benissimo ciò che era successo nell’Essex. Georgiana e Benedict si erano conosciuti a Headston Park, nella residenza di lui, durante un ballo che celebrava il suo ritorno in patria dopo le guerre contro Napoleone. I due si erano odiati prima, mal sopportati poi e infine innamorati. Benedict, inasprito da battaglie e anni di lontananza da casa non avrebbe mai e poi mai voluto legarsi a una signorina di così bassi natali, eppure alla fine l’aveva cercata disperatamente e, come in ogni storia di orgoglio calpestato che si rispetti, l’aveva ritrovata senza alcuna intenzione di lasciarsela sfuggire di nuovo. Ma la malattia di Georgiana aveva messo i bastoni tra le ruote ai propositi di Lucas Benedict. Lui si prese cura di lei sanandola sia nel corpo che nello spirito e, alla fine, a quanto apprendeva Gerty, i due si sarebbero probabilmente sposati con una cerimonia che ammetteva pochissime persone, proprio per evitare che se ne parlasse più del dovuto. A partecipare sarebbero stati solo i parenti più prossimi di lei.

    La signorina Eagle, infatti, abitava ancora sotto lo stesso tetto del suo futuro marito: lì era rimasta per far fronte alla lunga convalescenza seguita alla guarigione dalla pericolosa influenza che l’aveva colpita. In quel preciso istante Georgiana si trovava nella sala da pranzo assieme a Lucas ed entrambi stavano consumando una cena piuttosto frugale. Georgiana non si era ancora del tutto ristabilita e per lei zuppe e minestre erano all’ordine del giorno. Lucas mangiava dall’altro capo del lungo tavolo, scuro in volto e contrariato da tutta una serie di incombenze che lo opprimevano. Prese il coltello e lo affondò nelle carote, poi dichiarò: «Nemmeno mia madre sarà presente, se n’è andata in Cornovaglia» e lasciò cadere la conversazione senza aggiungere altro. La signorina Eagle fu con lui molto comprensiva e non disse nulla. Era ammaliata dalla padronanza con la quale Lucas stava affrontando quella situazione e non poteva che accettare ogni singola parola uscisse dalle sue labbra.

    L’idillio fu spezzato dall’annuncio di due ospiti. Furono fatti attendere in biblioteca e la coppia li raggiunse poco dopo. Benedict entrò nella stanza mostrando una certa confidenza e presentò loro la futura sposa.

    «Cara, questi sono il signor Robert McTigly e il signor Morris Ambrose.» Georgiana non poté che stringere loro le mani con calore. «Saranno i miei due testimoni. Volevo li conoscessi. Non mi pareva il caso che capitassero in chiesa venerdì senza che tu non li avessi nemmeno mai visti.» Poi precisò: «Lavorano per il ministero della guerra.»

    «È un vero piacere signora, ehm, signorina» disse McTigly e si aprì in un grande sorriso che illuminò il suo volto grassoccio. L’altro, Ambrose, non parlò.

    Sembrarono alla signorina Eagle una ben strana coppia. Il primo corpulento e sudato, il secondo smilzo e freddo.

    «Il capitano ci ha parlato molto di voi...» insistette McTigly.

    Ma Benedict li interruppe: «Grazie signori. È stata una giornata pesante e Georgiana deve tornarsene a letto. A venerdì, dunque» e così furono congedati.

    Il capitano aveva parlato loro con distacco e lei non ci mise molto a capire che Lucas sembrava non conoscerli affatto. Nonostante ciò non volle arrecargli ulteriori dispiaceri perciò non gli confidò nulla riguardo ai propri sospetti. Le importava davvero chi sarebbe stato presente alle sue nozze? No. E questa era la risposta che continuava a ripetersi mentre, quella sera, fu aiutata da Nancy a spogliarsi e a prepararsi per la notte.

    Dopo che settimane prima avevano passato una notte intera sul divanetto della stanza col camino, Benedict non aveva più voluto dormire accanto a lei. Fino al matrimonio non sarebbe più accaduto, come è ovvio. Da quel giorno era proseguita la convalescenza di Georgiana e ora la sua salute volgeva al meglio. No, a lei non interessava nulla circa il modo in cui sarebbe divenuta la signora Benedict. Voleva solo sposarlo, desiderava unicamente stare con lui sempre, senza destare scandali, senza dover rendere conto nella corrispondenza settimanale con la cugina Mabel del perché si trovasse a casa del capitano Lucas Benedict. Di certo Georgiana non avrebbe fatto alcuna obiezione riguardo alla scelta degli invitati o alla chiesa in cui si sarebbe celebrata la cerimonia: a Southwark per la precisione, nella cappella di Harvard.

    La chiesa era in sé deliziosa, non vi era alcun dubbio. Così arroccata tra il Tamigi e High Street, St Saviour dava proprio il senso di riservatezza che il capitano voleva imprimere a tutta la questione. Georgiana, mentre tentava di prendere sonno una di quelle sere, cercò di difendere la scelta di St Saviour.

    Aveva scorto la chiesa tempo addietro e nei suoi ricordi era elegante e prestigiosa. Il campanile, le guglie, i finestroni riccamente ornati, le preziose vetrate. Da fuori poteva dirsi un vero splendore attorniato da un verdissimo giardino, forse un ricordo delle antiche vestigia clericali. Erano memorie di una giovane donna che di rado era passata a sud di St Paul e che aveva scorto l’edificio dal London Bridge a qualche iarda di distanza. Georgiana sorvolò sul fatto che quel quartiere poteva definirsi piuttosto popolare e di sicuro molto rumoroso. Era lontano da Oxford Street e lontanissimo dai quartieri eleganti.

    Da quel che era venuta a sapere facendo fare in segreto qualche sopralluogo alla sorella Jane, St Saviour sembrava versare da anni in uno stato pietoso: la gente che frequentava la parrocchia proveniva da tutta la zona sud della città, un borgo formato da commercianti ciarlieri e fanfaroni. Eppure, ella restò legata ai suoi ricordi giovanili e al romanticismo che le ispirava un luogo tanto inusuale rispetto alle ben più illustri cappelle a est di Hyde Park.

    Georgiana, dunque, cercò di non badare più di tanto al parere di Jane e della madre sull’inadeguatezza di un luogo del genere. Per lei la cappella di Harvard era solo un mezzo per un fine, ovvero la partenza verso terre lontane. Sì, perché Benedict aveva dichiarato che la loro partenza sarebbe stata imminente e che sarebbe subito seguita allo scambio dei voti nuziali. Il capitano voleva lasciarsi alle spalle Londra, la malattia, la sua famiglia e anche le ingerenze dei Cavendish. Egli desiderava avere sua moglie tutta per sé e bramava il mare più d’ogni altra cosa.

    Insomma, la particolare collocazione di St Saviour e la dubbia fama del quartiere divennero particolari trascurabili se paragonati alla gioia che sarebbe seguita al loro matrimonio.

    Persino le questioni legate alla licenza matrimoniale passarono in secondo piano.

    A Georgiana veniva il mal di testa ogni volta che ci pensava. Benedict spariva per ore, a volte per giorni interi da Oxford Street e si giustificava sempre dicendo che le questioni burocratiche relative al loro matrimonio erano gravose. Egli aveva mosso tutte le sue più influenti conoscenze per ottenere una licenza speciale proveniente dall’arcivescovo in persona. In primis perché St Saviour non era la loro parrocchia, in secondo luogo perché aveva talmente accorciato i tempi che le pubblicazioni non erano nemmeno state fatte. Ne avevano parlato giusto qualche giorno prima.

    «Spero non ti sia costato troppo» aveva detto Jo in risposta alle poche parole del futuro marito. Era molto curiosa su quanto si potesse sborsare per ottenere un foglio che permettesse loro di fare più o meno ciò che volevano. Benedict non l’aveva nemmeno guardata ed era tornato a occuparsi del mare di corrispondenza a cui doveva far fronte.

    «Dove devi andare oggi pomeriggio?» chiese lei mentre si sistemava un pesante scialle scozzese sulle spalle.

    Egli proseguì a sfogliare una lettera dopo l’altra e rispose: «Da un notaio, con Cavendish. Dobbiamo sistemare la spinosa questione della tua rendita personale.»

    Ecco qual era l’altra gravosa faccenda cui dovevano far fronte. Tali parole suonarono ironiche e sembrava proprio che si stesse prendendo gioco di lei e delle sue ben note umili origini.

    Georgiana, in passato, avrebbe risposto in modo piccato, magari appioppandogli una battutina poco felice. Ma se ne restò zitta a contemplarlo mentre, con decisione, sceglieva un pezzo di carta e scriveva qualche riga. Non si era nemmeno seduto. Era chino sul tavolo come se non avesse alcuna voglia di dedicarsi alla penna.

    Georgiana, dunque, non riusciva proprio a prendere sonno mentre rimuginava su tutte le cose che erano successe da quando, in fin di vita, aveva varcato la soglia del sei di Oxford Street. Si rigirò nel letto ancora una volta. La sua concentrazione si spostò sulle tante faccende che aveva ancora da sbrigare prima delle nozze. Doveva occuparsi di una serie di dettagli piuttosto rilevanti come la scelta di un guardaroba accurato che potesse soddisfarla per ben due mesi nel Mediterraneo.

    Ben poco aiuto le aveva riservato la famiglia che sembrava ancora incerta. Volevano davvero affidarla a un uomo del tutto incostante come il capitano? Jane, in particolare, si era dimostrata scettica sulle questioni più pratiche e la signorina Eagle s’era sobbarcata anche il compito più difficile per una sposa: la scelta dell’abito nuziale.

    A consigliarla era stato direttamente il sarto con l’ausilio di tre brillanti modiste; alla fine c’erano riusciti: l’avevano persuasa a confezionare uno splendido abito color crema. Quel quartetto malefico aveva utilizzato una girandola di parole per indicare quanto le donasse il colore, quanto morigerata e allo stesso tempo sfarzosa sarebbe stata, quanto bello fosse quel satin. E la fusciacca color oro, poi?

    Nel giro di mezz’ora si era convinta e anche Benedict fu soddisfatto della rapidità con la quale si era risolto il tutto: aveva speso più del necessario solo per far dimenticare a Georgiana l’assenza di Jane in un momento tanto importante.

    La signorina Eagle, anche se non lo ammetteva, non riusciva a comprendere il continuo negarsi da parte della sorella. Jane adduceva le scuse più fantasiose per evitare Oxford Street e, se dapprima Georgiana aveva pensato a una diffidenza generale nei confronti della sua unione con il capitano, capì ben presto che qualcosa di più radicato covava nel cuore della sorella. Era stato lo stesso Benedict a suggerirglielo.

    Un giorno, poco dopo che Georgiana aveva letto ad alta voce un biglietto in cui Jane rifiutava l’ennesimo invito, questa fu bersaglio del malcontento di Lucas che così le parlò.

    «Lady Fletcher ha un nuovo garzone proveniente dall’India. È imperativo che le signore debbano pensare a come istruirlo e allo stesso tempo schernirlo a dovere» aveva detto il marito ironizzando sulle ipotetiche incombenze che tenevano lontano Jane da Georgiana.

    Quest’ultima non aveva nemmeno alzato gli occhi dalla lettera, il bordo di carta tagliente le si infilò sotto un’unghia palesando il nervosismo che l’affliggeva. «Non essere ridicolo. Mia sorella non s’asterrebbe dal vedermi per andare a fare visita a una persona insulsa come Lady Henrietta Fletcher» sentenziò succhiandosi il dito.

    Ma il capitano non aveva altro da aggiungere e, così, lasciò che ella riflettesse.

    Georgiana finse di riprendere in mano il suo lavoro di cucito, poi si alzò composta e si diresse verso la propria stanza. Benedict avrebbe voluto seguirla, magari dirle qualcosa di tenero per rimediare all’afflizione che le poteva aver causato. Ma pensò che avrebbe dovuto abituarsi a ciò che la gente pensava di loro e all’indifferenza che avrebbero suscitato nei tempi a venire.

    Nel suo intimo Georgiana sapeva che la sorella non avrebbe mai rinunciato alla posizione che si era conquistata negli ultimi tempi a Londra e lei non le avrebbe di certo chiesto di lasciare i salotti più influenti; questi, probabilmente, avrebbero chiesto a gran voce una forte presa di posizione contro quel matrimonio davvero scandaloso. La cosa che più la urtava era, però, sapere che Benedict potesse pensare a Jane come a un’ingrata. Dopotutto si trattava di pochi giorni ancora. Poi se ne sarebbero andati entrambi e una volta tornati, ne era certa, altre indecenze avrebbero di sicuro preso il posto nel panorama aristocratico londinese.

    La mattina delle sue nozze Georgiana si alzò felice. Un’emozione pura e semplice, scevra da ogni condizionamento.

    Era giunta in Hanover Square, la casa della sorella, la sera prima perché, per quanto le più comuni convenienze non venissero rispettate da tempo, almeno l’ultima notte da nubile Georgiana la voleva passare dalla sorella.

    Sua madre e Jane entrarono in camera di buon mattino con un numero imprecisato di cameriere. Tutte erano al servizio di Georgiana quel venerdì e tutte erano in fibrillazione: sentimento che solo un matrimonio in casa poteva portare. La signora Eagle volle dare un’occhiata al vestito prima che lei lo indossasse. Inforcò un paio di occhiali e passò in rassegna ogni singolo drappo di stoffa.

    «Mia cara, avrei scelto un tessuto più leggero. Siamo in piena estate e all’ora di sera ti farai trovare troppo accaldata.»

    Georgiana alzò gli occhi al cielo: «Mamma, è satin, più leggero di questo e mi sarei dovuta sposare in vestaglia da camera.»

    La madre arricciò il naso disgustata. «E poi lo trovo un po’ troppo semplice. È più un abito da pomeriggio. Ora che sei ricca non vedo perché accontentarti di qualcosa di così dozzinale» concluse.

    La signorina Eagle non aveva intenzione di imbarcarsi in discussioni di quel genere. A lei era stato detto che quella stoffa proveniva da una partita di ricercato raso cinese: l’abito era costato molto più di quanto maman pensava.

    «Be’, questo però cambia tutto!» esclamò Jane alzando tra le mani il contenuto di una piccola scatolina di velluto blu.

    «Stupefacente!» le fece eco la madre.

    Georgiana non disse nulla ma nel profondo era compiaciuta per l’ammirazione che stava suscitando in loro. Forse il suo matrimonio non sarebbe stato un sogno ma, per molti versi, poteva dirsi più che fortunata. Sorrise e lasciò che le due donne si passassero un incredibile girocollo l’una nelle mani dell’altra. Erano perle luminescenti, non troppo grandi, ma di pregevole fattura riunite in un doppio filo che avrebbe avvolto la base del collo. Incastonate poi c’erano delle pietre chiare e splendenti.

    «Diamanti...» sussurrò Jane estasiata.

    «Jane cara, non fare l’impertinente e fatti sistemare i capelli da Clodette» disse la buona madre per chiudere ogni discorso, ma anche lei tentò di dare un ultimo sguardo al costoso monile.

    I preparativi si protrassero per circa un’ora e mezza. I capelli di Georgiana furono intrecciati con alcuni boccioli di fresia bianca e poi raccolti. Infine, fu pronta. Jane scese per andare a controllare che Cavendish avesse predisposto la loro carrozza mentre la signorina Eagle rimase con la madre nella sua stanza.

    «Piccina mia» disse lei avvicinandosi alla figlia. La commozione la stava sopraffacendo, ma riuscì a resistere.

    «Mamma ti prego...» rispose Georgiana sospirando.

    «Vorrei solo che tu sapessi che non sei in debito con nessuno. Il signor Benedict si è imposto in maniera a tratti inammissibile, gli siamo tutti molto grati per una tale devozione nei tuoi confronti, ma...» e non trovò altre parole per proseguire.

    Georgiana aggrottò la fronte. «Non c’è nessun ‘ma’: devo a Lucas ciò che lui deve a me. Siamo entrambi obbligati l’uno all’altra. Debitori di felicità, mamma.»

    La signora Eagle deglutì e si morse le labbra ricacciando indietro ciò che voleva dire.

    Jane interruppe quel momento: «Siamo pronti per partire. Dunque, se ho capito bene, ci recheremo a St Saviour e tu e Benedict ci raggiungerete laggiù?» riassunse gesticolando.

    Jo annuì e fu lasciata sola in attesa del suo sposo che tardò parecchi minuti. L’angoscia che la rapì in quei minuti mise a nudo le sue incertezze nei confronti di Lucas. Come diavolo si poteva arrivare in ritardo il giorno delle proprie nozze? E se non fosse mai venuto? Cosa avrebbe fatto lei?

    Il ricordo che le si presentò alla mente con prepotenza riguardava un ballo, molto tempo prima. Era lei, ferma, in attesa che il signor Benedict venisse ad aprire le danze. Se non fosse giunto prima dell’inizio della contraddanza tutti avrebbero riso di lei. Eppure, proprio qualche istante prima della formazione delle coppie, era apparso, le aveva preso la mano e l’aveva accompagnata verso il centro della sala. Era stato il loro primo momento insieme. Un passato così lontano che allo stesso tempo le pareva così prossimo.

    Alla fine, Benedict fu annunciato a Hanover Square.

    Non era di buon umore: Georgiana lo percepì non appena scostò le tendine al secondo piano della residenza. Guardò dabbasso e lo vide percorrere il vialetto e salire le scale, per poi tornare indietro e insultare il postiglione. Non ne capì il motivo ma si rabbuiò osservandone l’insensata collera. Georgiana aveva sperato che, almeno per quel giorno, il cielo l’avrebbe favorita. Così non sembrava, pertanto si rassegnò.

    Scese al piano terra e si incamminò verso l’uscio. Benedict era voltato dall’altra parte quando lei uscì. Dentro di sé urlava ‘guardami’ ma sembrò che il richiamo non avesse alcun esito.

    Poi Lucas smise di occuparsi del cocchiere e finalmente la vide arrivare. Egli trovò pace nell’attimo in cui posò gli occhi su di lei e non ebbe più alcun motivo per dubitare della strada più breve da percorrere per arrivare a destinazione; smise anche di scrutare circospetto i dintorni.

    Il capitano si concentrò su quanto fosse radiosa la sua bella che sorrideva sorniona verso di lui. In definitiva trovò che fosse di una bellezza sconfortante. Fu sopraffatto dal desiderio di strapparsi il cuore pur di donarle un matrimonio degno di cotanta grazia, ma doveva fare i conti con quell’altro suo lato indecifrabile che l’aveva portato a organizzare quella cerimonia breve e forse troppo asettica.

    In risposta al viso di lei, disteso e allegro, il capitano strinse i denti e deglutì. Diamine! Doveva controllarsi!

    Perciò a Georgiana giunse null’altro che una risata sghemba, quasi irritata.

    Lucas ritenne fosse il momento di riprendersi. Le prese la mano, la baciò e la aiutò a salire sulla carrozza.

    «Signorina Eagle...» disse ponendo particolare enfasi sul suo cognome.

    «Signor Benedict...» rispose lei ridacchiando. E si accomodarono all’interno.

    Non era un calesse come ci si sarebbe aspettati. Una bizzarra decisione che rabbuiò per un attimo l’umore di lei, come se tutto le ricordasse quanto fosse indegna agli occhi della società. Ma era ovvio. Non ci si poteva aspettare che entrambi scorrazzassero rumorosamente lungo Oxford Street in modo da destare l’attenzione di tutta Londra.

    Infine Jo ritenne fosse meglio così. Nessuna signora Cattermore che avrebbe potuto prenderli di mira con qualche battuta di pessimo gusto.

    Mentre partivano Lucas armeggiò qualche secondo con la tasca della giacca e infine ne fece uscire un sacchettino.

    «Per te» disse e glielo posò in grembo. Poi si voltò dall’altra parte a guardare fuori, quasi fosse disinteressato dal gesto che aveva appena compiuto.

    La mano di lei, avvolta in un leggero guanto bianco, sfiorò il pacchetto.

    «Non ti pare un po’ anticipato come morgengabio?» annunciò furbescamente.

    «Direi che sono in ritardo da mesi» rispose arricciando il naso, sempre senza guardarla. Alludeva, infatti, alla prima e unica volta in cui i due si erano uniti fino a toccarsi l’anima, l’inverno precedente.

    Georgiana scartò il regalo e ne trasse un libricino con copertina rigida, di un metallo simile al rame.

    Benedict tornò a squadrarla: «Così ci potrai scrivere le tue impressioni sul nostro viaggio. Sono sicuro che troverai le parole più adatte per descrivere l’Europa, le isole e tutte le altre cose che cattureranno la tua attenzione» affermò sicuro lui.

    Georgiana lo guardò piena d’amore. «Grazie, è bellissimo» rispose a bassa voce.

    Il capitano, dunque, si avvicinò e la tirò verso di sé. Le aveva afferrato il capo ma Georgiana si irrigidì: «Mi spettinerai!» disse infastidita. «Dico sul serio!» insistette.

    «Non credo che importerà a nessuno» rispose secco visto che veniva rifiutato con così poco rispetto. Georgiana spostò lo sguardo verso il basso, mordendosi le labbra.

    «Intendo dire...» proseguì lui «che sono l’unica persona a cui dovrebbe importare, e non m’importa se arriverai in ordine o meno.»

    Lei lo guardò facendogli intuire che non se l’era presa, ma in realtà si sentì ferita.

    «Ho un’altra cosa per te, ma l’avrai dopo» seguitò.

    Lei lo osservò per bene. In divisa di gran festa, con quei bottoni dorati che risaltavano sul blu profondo della giacca e la feluca sottobraccio: non gliel’aveva mai vista addosso.

    I capelli biondi erano più ordinati del solito, il barbiere gli aveva reso particolare attenzione questa volta; sotto al bavero portava una sciarpetta candida sciolta. Georgiana gli avrebbe perdonato qualsiasi cosa. Ne era certa.

    All’altezza di Newgate Street, Benedict si fece irrequieto. Mancava ancora un buon quarto d’ora all’arrivo ma egli sembrò prendere coscienza di ciò che sarebbe accaduto a breve.

    Georgiana pensò che dovesse essere in ansia per l’imminente sposalizio, in realtà scoprì che era in disaccordo con il cocchiere riguardo alla strada da percorrere. Lui cercò di spiegarsi a lei con scarsi risultati. «Avremmo dovuto percorrere il ponte di Southwark e poi svoltare in Clink Street...» rispose seccato. Georgiana non intervenne. Non conosceva affatto quella parte di Londra, perciò si affidò a ciò che diceva lui.

    La cappella di Harvard

    Percorsero il London Bridge e scorsero la chiesetta alla loro destra. Benedict fece accostare la carrozza e Georgiana poté finalmente ammirare il luogo in cui si sarebbe sposata.

    L’incanto durò qualche minuto, almeno fino a quando non scese.

    Era così rapita dai suoi sogni amorosi che non si era accorta della folla che brulicava attorno al quartiere già prima di aver attraversato il Tamigi. Non appena mise piede a terra fu travolta da una corpulenta signora che trasportava una stia piena zeppa di oche. La strada era un viavai di cameriere e signore che dovevano occuparsi dell’approvvigionamento di case ricche in Grosvenor Place.

    Una banda di ragazzini che si stava occupando di alleggerire il carico di un carretto poco distante osservò la signorina Eagle con stupore.

    «Andiamocene via da qui» disse Lucas strattonandola verso le mura di cinta di St Saviour.

    Varcarono i cancelli e le orecchie di entrambi ottennero il sollievo che stavano cercando.

    Il giardino della piccola chiesa riuscì nell’intento di far dimenticare alla futura sposa la spiacevole visione di tutto quel trambusto. In piena estate il parco dava il meglio di sé in quanto ad alberi da frutto e alti arbusti che attutivano i rumori.

    Lucas si fermò e le lasciò il polso, poi cercò di riassettarsi prima dell’ingresso.

    Sarebbero entrati dalla porta a nord, avrebbero percorso la navata laterale sinistra per poi giungere nella cappella di Harvard.

    Il capitano voleva assicurarsi che tutti fossero ai loro posti, mentre Georgiana desiderava solo che si lasciasse andare a qualche dolce effusione, anche solo una parola di incoraggiamento.

    Lui la guardò di sfuggita mentre la prendeva sottobraccio e la accompagnava dentro.

    La grande chiesa era molto buia. Se il giardino poteva essere definito paradisiaco, l’interno era cupo e poco invitante. Alcune impalcature dominavano sulla navata centrale e le bellissime vetrate di cui lei aveva un così bel ricordo erano annerite dal persistente fumo di candela. Un contrasto, quello tra interno ed esterno, che non fece altro che acuire la sensazione che si stavano per unire in matrimonio due anime diverse quasi quanto luce e ombra.

    La coppia percorse in fretta lo spazio che la separava dalla porticina di legno, infine Jo e Benedict entrarono nella deludente cappella. Era molto piccola, poco illuminata anch’essa e dava la terribile sensazione di schiacciare, sotto le possenti mura in pietra, tutti i presenti. La sala era più larga che lunga, davvero inusuale per quel tipo di edificio.

    La famiglia Eagle-Cavendish, rappresentata dai tre partecipanti, era riunita nelle vicinanze dell’altare. I signori Ambrose e McTigly, invece, sostavano sulle panche, all’incirca a metà della stanza. La coppia entrò nel silenzio più assoluto. Si sentirono risuonare solo i pesanti passi dello sgraziato capitano. Jane sorrise forzatamente al passaggio degli sposi, Cavendish non riuscì ad assecondarla.

    Il pastore li guardò aprendosi a un sorriso piuttosto nervoso uscendo dall’ombra dell’angolo destro della cappella. Si trattava di un uomo molto alto, magro e untuoso con il viso scavato che lasciava trasparire una malattia in atto. Eppure, si muoveva sinuoso e risoluto.

    Georgiana e Lucas percorsero sottobraccio i pochi passi che li dividevano dall’altare e quando furono abbastanza vicini il pastore iniziò la formula di rito: «Miei cari, siamo qui riuniti davanti allo sguardo di Dio e a quello di questa congregazione per unire in matrimonio quest’uomo e questa donna...» Il suo discorso proseguì in modo tradizionale e Georgiana sentì che man mano la tensione le si scioglieva nel petto. Quel parroco, dopotutto, non era poi così sgradevole come le era parso dapprima, anzi, abbozzò anche un sorriso mentre pronunciava i loro nomi.

    Persino Lucas sembrò distendersi non appena la cerimonia iniziò. Lei lo guardava di sottecchi e sembrava concentrato e serio, ma a un certo momento si avvicinò con la spalla contro la sua e sembrò infonderle una giusta dose di coraggio.

    «...Primo, l’istituto è stato ordinato per la procreazione dei figli...»

    Lei notò che la cappella quasi vuota faceva in modo che quelle parole fossero maggiormente udibili e, in fin dei conti, più pregnanti di significato.

    «Terzo, è stato ordinato per l’aiuto reciproco, che uno deve all’altro, nella prosperità e nelle avversità...»

    Un raggio di sole riuscì a farsi strada tra la polvere e lo sporco della vetrata a est, sopra di loro. Giunse a illuminare parte del vestito chiaro di Georgiana. Sì, ella pensò che dopotutto era un momento bellissimo.

    Il pastore aprì un libricino e lesse: «Vuoi tu Lucas Willem Benedict prendere in moglie questa donna come tua legittima sposa per vivere assieme davanti a Dio nel sacro vincolo del matrimonio? La amerai, conforterai, onorerai e la terrai con te in salute e in malattia finché morte non vi separi?»

    Benedict rispose senza alcun indugio: «Lo voglio.»

    «Vuoi tu Georgiana Alexandrina Eagle prendere quest’uomo come tuo legittimo sposo nel sacro vincolo del matrimonio? Gli obbedirai, lo servirai, onorerai e lo terrai con te in salute e in malattia finché morte non vi separi?» domandò l’uomo malaticcio di fronte a loro.

    Eccolo; giunse il momento in cui tutto sarebbe cambiato, nel quale Georgiana sarebbe stata per sempre di Lucas, ogni giorno in questa terra. E l’unica cosa che le si presentò alla mente fu il ricordo di lui che le sospirava nell’orecchio per poi baciarla.

    «Sì, lo voglio» tagliò corto imbarazzata, poi deglutì.

    Jane scoppiò a piangere. Georgiana si voltò per lanciarle un’occhiataccia, ma la signora Eagle aveva già provveduto a ristabilire la calma nel terzetto di invitati.

    «Almeno le campane! Se non le farà suonare sono sicura che non potrò trattenermi oltre e inizierò di nuovo a disperarmi» rispose Jane al commento non udibile della madre.

    La signorina Eagle, anzi la signora Benedict, in quel momento sospettò che la commozione potesse aver avuto la meglio sulla sorella. Ciò che in realtà stava succedendo era che, a poca distanza dall’atto d’unione dei due sposi, si stava consumando una tragedia in quattro atti, nei quali Jane enumerava la mancanza di qualsivoglia decoro nell’organizzazione di siffatte nozze.

    «Posso comprendere che la questione sia spinosa, eppure non è accettabile che non vi sia almeno un viticcio di rose prima dell’ingresso. E poi avrei fatto stendere un tappeto fuori, giusto per evitare che i petali si arrischino all’interno» si lamentò con la madre ad alta voce.

    «Quali petali mia cara...» affermò Cavendish alzando gli occhi al cielo.

    E la buona madre tentò di porre fine alla questione in quel momento poco opportuno. «Non è come il tuo matrimonio Jane cara, è il suo. Sai benissimo che il carattere di Georgiana non s’accosta a orpelli del genere» rispose secca la madre.

    Tutto quel brusio infastidì il capitano Benedict che chiuse gli occhi per diversi secondi espirando.

    La signora Benedict cercò di lanciare qualche segnale impercettibile dietro di sé ma con scarsi risultati. Alla fine lo stesso parroco richiamò il silenzio.

    Lucas strinse forte i denti e lanciò un’occhiata severa alla moglie quasi imputando a lei la responsabilità per quell’irritante siparietto. Georgiana lo odiò. Era mai possibile odiare qualcuno dopo avergli appena promesso amore eterno? Ulteriori speculazioni furono rimandate perché era il momento di scambiarsi gli anelli.

    «Con questo anello io ti sposo» disse lui mentre le prendeva la mano. Al suo tocco lei rabbrividì dimostrando che era già stato perdonato. Poi lei ripeté la stessa formula: mancava poco alla conclusione.

    «Alea iacta est» disse Benedict non appena entrambi furono di nuovo nel giardino di St Saviour. Georgiana lo sentì appena perché Jane si stava congratulando con lei piuttosto imbronciata e pure la madre sembrava subire l’influenza negativa della figlia più giovane.

    Cavendish intervenne: «Ricordati che Hanover Square rimane sempre casa tua.»

    Lo diceva ribadendo un concetto che Georgiana aveva rifiutato da tempo, fin dai giorni che aveva trascorso a Dover l’inverno precedente.

    «Grazie Irving» rispose lei aprendosi a un largo sorriso di soddisfazione.

    McTigly si avvicinò per porgerle i propri omaggi e la celebrò con tali degne parole: «Una sposa davvero eccellente, davvero!»

    Non così calorosa fu la famiglia di Georgiana con il capitano. Vi furono poche strette di mano e qualche augurio formale perché tutti sembravano timorosi che egli cambiasse umore.

    Benedict, però, parve piuttosto calmo mentre si accingeva a far risalire la novella sposa a bordo della carrozza.

    «Spero si mangerà in abbondanza» bofonchiò Cavendish a entrambe le signore rimaste nel cortile di St Saviour. «Ho bisogno di bere un paio di bicchierini» concluse greve. E Jane, strano a dirsi, non aveva nulla da ribattere.

    Mentre i Cavendish e la signora Eagle erano partiti alla volta del sei di Oxford Street, la carrozza degli sposi era ancora ferma in mezzo al tanfo di Southwark. Benedict, infatti, dopo aver fatto accomodare la moglie, era tornato in chiesa per sbrigare alcune questioni con il pastore.

    Georgiana non vedeva l’ora di lasciarsi quel luogo caotico alle spalle e, per ingannare l’attesa, si distrasse a guardare quel viavai di persone intente ognuna a farsi gli affari propri. Ormai erano quasi le undici e le diverse botteghe di High Street erano in fermento. L’insegna della Tea, Coffee and Cocoa Trade Company invitava le massaie ad acquistare una mezza pinta del più pregiato caffè americano. Alcuni uomini si arrabattavano attorno ad altrettante cassette traboccanti di pesce mentre il gruppo di ragazzini che Georgiana aveva visto prima di entrare in chiesa sedeva vicino a delle botti semivuote sporche di pece nera. E poi c’era Borrough che sostava sul marciapiede, proprio di fronte alla parete riservata ai manifesti.

    Borrough? Aveva visto bene? Lo sguardo vacuo aveva viaggiato lungo i profili di tutte quelle insulse persone e aveva localizzato un volto noto quasi senza accorgersene, poi però Georgiana si era resa conto che quel paio di occhi scuri, quell’ammasso di capelli corvini e quella posa traballante e insicura dovevano proprio appartenere a Francis.

    Dunque si sporse; finì quasi per schiacciare il naso contro il vetro e una nuvoletta bianca si impresse sul finestrino. Guardò di nuovo ma non vide nessuno accanto ai manifesti, c’era soltanto parecchia gente che si muoveva. Georgiana non aveva una visuale completa e quei ragazzetti prima seduti ora avevano iniziato a schiamazzare attorno a un donnone che portava una cuffietta rossa. Tutto ciò la stava distraendo. Poi Lucas aprì il portello e si sedette di fronte a lei procurandole uno spavento non necessario.

    «Che diamine stavi facendo?» disse lui quando Georgiana emise un gridolino di stupore.

    «Ho visto... cioè credo di aver visto Borrough» rispose lei accaldata.

    «Borrough?» chiese lui arricciando il naso.

    «Sì, in piedi laggiù. Ma c’è troppo baccano, io... era laggiù vicino ai manifesti» concluse.

    Lucas guardò più lei che fuori dal finestrino, e questo la lasciò parecchio interdetta.

    «Dico davvero...»

    Ora Jo iniziava proprio a risentirsi.

    «Perché non è venuto oggi? Anzi, perché non si è più fatto vivo dopo che sono guarita?» lo rintuzzò lei.

    «Andiamo!» gridò Benedict al postiglione fuori e la carrozza si mosse.

    «Dicevi, cara?» anche se non sembrava avere la minima voglia di ascoltarla.

    «Perché Borrough evita Oxford Street?» seguitò lei passandosi una mano sul collo come se la questione, tutto a un tratto, avesse assunto connotati più che importanti.

    «Sant’iddio, cos’è questa? Ingenuità? Falsa modestia?» abbaiò lui e la scrutò con intransigenza. Georgiana distolse lo sguardo. Stavano passando proprio nel punto in cui l’aveva visto.

    «Benedict... Eccolo!» gridò lei in un misto di soddisfazione e agitazione.

    «Sì, lo vedo...» disse calmo Lucas, ma non si scostò dalla sua posizione.

    «Fermiamoci dunque...» supplicò lei e lo guardò con occhi enormi.

    «Non credo proprio sia il caso... Come dicevo, sei davvero sconsiderata se pensi che possa infliggergli una pena così grande. Francis è ancora irrimediabilmente innamorato di te e sono certo che non vorrebbe affatto che mi fermassi per metterlo ancor più in difficoltà.»

    La bocca di Georgiana si aprì per controbattere qualcosa, prese anche fiato, ma non le uscì niente. Così tornò veloce a guardare fuori per scorgerlo un’ultima volta: era lui, in uniforme scarlatta e bastone da passeggio. Sembrò quasi che fosse stato invitato anch’egli alle loro nozze ma che all’ultimo non avesse avuto il coraggio di presentarsi.

    Borrough, dal canto suo, osservò inerte la carrozza passare, senza salutare, senza muoversi.

    La signora Benedict fissò quell’immagine nel cervello e vi tornò con il pensiero anche quando stavano per entrare in Oxford Street mezz’ora dopo. Era quasi certa che Borrough avesse tra le mani qualcosa. Un involto? Un foglio? No, le era sembrato fosse qualcosa di più leggero, laccato di rosso. Sì. Il comandante Borrough, quando lei l’aveva visto scivolare via sulla destra, aveva una lettera in mano. Aveva alzato il braccio nella sua direzione e, anche se con pochissimo convincimento, le aveva allungato qualcosa mentre la carrozza lo stava oltrepassando.

    La casa di Benedict in Oxford Street era stata acquistata trent’anni prima da suo padre: l’avvocato Lewes William Benedict. Nel primo lustro del XIX secolo la zona dove sorgeva, che venne poi denominata Fitzrovia, prometteva di essere uno dei luoghi più effervescenti del panorama londinese, ma la crisi immobiliare che era seguita all’inizio della guerra con Napoleone segnò la fine dello splendore del quartiere e tutto il bel mondo iniziò a spostarsi a ovest verso Grosvenor e Hyde Park. Benedict figlio non fu tra questi.

    Sebbene in Cumberland Street possedesse una proprietà di un certo valore, Lucas Benedict preferì affittarla per non correre il rischio di essere tentato di risiedervi. Per lui sarebbe stato intollerabile dover incrociare tutte le mattine qualche membro del parlamento troppo chiacchierone mentre se ne usciva da quella scomodissima via chiusa.

    Fitzrovia e la zona del sei di Oxford Street si dimostrarono un luogo più adatto al suo carattere. Divenne ben presto un’area frequentata da artisti, ubriaconi e prostitute. Lucas era molto soddisfatto di quella gente ai margini della società e ciò lo rese, agli occhi di quegli sprovveduti, il simbolo di quell’aristocrazia maledetta, tanto vicina al loro stile di vita e tanto lontana dalle rigide regole dettate dall’etichetta.

    La residenza Benedict al sei di Oxford Street splendeva come una gemma tra i rifiuti, incorniciata da un lato da Tottenham Court Road e dall’altro dal resto di Oxford Street. Qui, la colazione che venne offerta per festeggiare il matrimonio fu di gran lunga superiore alle aspettative di Irving. C’era anche l’anatra e perciò i pochi convitati poterono dirsi soddisfatti. Ognuno aveva preso posto a tavola nel grande soggiorno e la conversazione rasentò come al solito le più ovvie banalità. Jane sottolineava ancora una volta la mancanza di decoro nel fatto che non era stato nemmeno preparato un appoggio dove esporre i regali di nozze con altrettanti bigliettini. Cavendish le lanciò uno sguardo torvo e lei tornò a rimestare la fetta di torta bianca e spumosa che aveva nel piatto.

    «Dobbiamo considerarlo un vostro primo pranzo ufficiale?» domandò la signora Eagle mentre si versava della cioccolata nella tazza. Nessuno rispose a quella domanda facendo calare un silenzio straziante sulla tavola imbandita. Tanto valeva versarsi un altro bicchiere di brandy, pensò Irving che trangugiò tutto con foga.

    Benedict era insofferente, seduto al capo di una tavola così lunga e stretta: voleva che tutto finisse presto, voleva prendere quei dannati cavalli e portarli verso le pools of London, per salpare al più presto a bordo del suo schooner.

    Georgiana, dall’altro capo del tavolo, cercò di godersi gli ultimi scampoli della compagnia con i suoi familiari ma era turbata, eccitata e allo stesso tempo speranzosa che da quel momento in poi le cose avrebbero preso il verso giusto.

    Il congedo con i Cavendish e con la madre fu più difficile di quanto avesse mai pensato. Non li stava lasciando per un breve periodo in città, li abbandonava per sempre e rimetteva la sua felicità interamente al marito. Jane non perse occasione per piangere ancora una volta. Cavendish parve meno sentimentale, ma a Georgiana non sfuggì la preoccupazione di cui era preda. Sua madre sembrò la più assennata e pratica: si avvicinò alla figlia stringendole le mani, baciandola sulla guancia e salutandola con affetto. Poi uscirono tutti, non prima che Irving avesse intrattenuto un’altra lunga conversazione con Lucas nel suo studio al piano di sopra. Dopo questo breve ma indispensabile incontro Georgiana fu di nuovo sola con Lucas.

    «È tutto pronto?» chiese lui a Margot, la governante, quando si trovarono soli nel salotto. Georgiana, infatti, si era ritirata in una delle stanze che le erano state assegnate a suo

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1