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Ti amo, ma...
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Ti amo, ma...

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About this ebook

«Sere, io sono contenta per te, vorrei solo trovare qualcuno che mi faccia sentire come ti senti tu adesso.» 
«Secondo me devi cominciare con l’eliminare il poster che hai da Amanda.» 
«In che senso?» 
«Ti svegli tutti i giorni guardando quel gran pezzo di ragazzo, dannatamente bello e ricco, praticamente perfetto, ma che non potrai mai avere. A confronto tutti i ragazzi che conosciamo sembrano degli sfigati. Se inizi ad abbassare un po’ il target e a tornare nella vita reale magari scopri che Simone non è poi così male!» 
«Perché non lo potrò mai avere?» 
«A meno che tu non abbia intenzione di pedinarlo fuori dal set, e anche in quel caso sarà circondato da guardie del corpo, ti pare che lo possiamo incrociare un giorno per caso per le vie di Arona?»

E se capitasse? 
E se un giorno la tua vicina di casa conoscesse accidentalmente il tuo attore preferito in aeroporto e lui ti chiamasse per farti gli auguri di compleanno?
E se fosse lui quello attratto da te e dalla tua normalità?

Primo dei tre libri che seguono la storia di Anouk & Matt, pubblicato in versione cartacea nel 2015. Seguono: Happy 4 U del 2016 e 10 A, la cui prima parte è caricata gratuitamente sulla piattaforma Wattpad.
LanguageItaliano
Release dateDec 20, 2018
ISBN9788829580125
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    Ti amo, ma... - Nicoletta Puricelli

    Nicoletta Puricelli

    Ti amo, ma...

    Questa edizione ebook è stata realizzata su gentile concessione di Pietro Macchione Editore e corrisponde integralmente all'edizione stampata dallo stesso nel giugno 2015 con ISBN 978-886570-265-9 , tuttora in commercio.

    Non è pertanto possibile richiedere la stampa di questo ebook, ma è possibile comprare la versione cartacea originale in libreria o ordinandola online.

    UUID: 0459a098-0452-11e9-9031-17532927e555

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Dedicato a mio padre:

    so che quel giorno in aeroporto eri tu

    travestito da passeggero.

    Capitolo 1

    Caffè

    Una noia tremenda, un giorno grigio quanto il cielo uggioso che si intravede dalle vetrate poste oltre la soglia del negozio, senza dover fare nemmeno troppa fatica a farsi strada visivamente tra i passeggeri: oggi il terminal è abbastanza vuoto, febbraio non è certo un mese affollato in aeroporto e il martedì è il giorno con meno affluenza in assoluto. In programmazione, poi, c’è l’inventario generale e questo contribuisce notevolmente al bisogno di caffeina.

    Per fortuna sono in turno con Asia, che seppur non sia famosa per la sua voglia di chiacchierare e scherzare, è una gran lavoratrice e non si tira mai indietro di fronte a lavori lunghi e faticosi. Questa mattina lei e Monica hanno già fatto due terzi del lavoro, lasciando come al solito la parte più impegnativa per ultima: gli accessori.

    Sono le quattro e una rapida occhiata all'esterno mi conferma che anche i pochi passeggeri presenti nella piazza dove siamo locati sembrano tristi, seduti nelle poltroncine ad aspettare la comparsa del numero del gate del loro volo; ingannano il tempo leggendo quotidiani e riviste, qualche uomo d’affari ne approfitta per proseguire il lavoro sul proprio portatile, un paio di coppie stanno prendendo un caffè al bar, pochi altri vagano per negozi. Tra un’oretta dovrebbe cominciare ad affollarsi e, reprimendo la voglia di un caffè, proseguo a buon ritmo per cercare di finire il prima possibile: solo un paio d’ore e Asia se ne andrà lasciandomi sola. In lontananza si sente la pioggia che cade fitta e corposa, ormai sono tre giorni che non ci dà tregua e io sbadiglio.

    «Seta rossa tredici pezzi, seta blu navy quindici pezzi, navy rigato quattro. Ok, cinture e cravatte finite. Rimangono solo guanti e cappelli» afferma Asia.

    «Yuppy!» commento io con un disgusto tale che entrambe scoppiamo a ridere.

    Caffè, ora ho decisamente bisogno della bevanda nera per poter proseguire e tra dieci minuti la mia valida socia mi abbandonerà. La piazza si sta riempiendo e i passeggeri iniziano ad entrare nei negozi alla ricerca di qualche occasione, i saldi sull'abbigliamento sono ancora in essere e passeggiare guardando le vetrine è sempre una grande attrattiva per le donne, anche se all'interno di un’aerostazione.

    «Torno in un attimo, ti porto qualcosa?»

    «Un caffè macchiato, grazie. Vado al cinema più tardi e mi servirà per stare sveglia dopo questa giornata!»

    Al bar c’è un po’ di coda e la gente mi sembra un po’ più rumorosa del solito, il ragazzo dietro a una delle due casse aperte sembra stia utilizzando buona parte della sua pazienza per gestire le lamentele di un cliente.

    «Mi dispiace signore che il suo volo sia in ritardo, ma io non so proprio dirle qual è il motivo. Deve rivolgersi al banco informazioni.»

    «Il banco informazioni è vuoto e io devo essere a Chicago per domani a mezzogiorno.»

    «Comprendo signore, ma io non so dare risposte alle sue domande» replica paonazzo, mentre l'altra cassiera gli viene in soccorso.

    Deve essere appena stato assunto, non l’ho mai visto.

    «Non ci posso credere: per una volta che decido di muovermi mi trovo contro pure il meteo!» sbotta una ragazza che sembra essere in preda ad una crisi di nervi, rivolta al fidanzato che cerca di consolarla sfoggiando un dolce sorriso.

    «Non ridere, sapevo che non dovevo darti ascolto!»

    Ecco, un’altra scenata isterica come tante se ne vedono qui.

    « Mamma, quando partiamo per andare da papà?» chiede una bimbetta di 5-6 anni con dei grossi boccoli biondi nella fila accanto alla mia, tirando la giacca della signora accanto a lei. Ormai quasi non mi accorgo quando qualcuno sta parlando in inglese, al lavoro è forse la lingua che uso più della mia lingua madre e se il discorso è comprensibile il mio cervello ragiona in inglese per formulare delle risposte, tralasciando la traduzione in italiano.

    « Tesoro, l’aereo parte tra due ore, e quando arriveremo ci sarà tanta neve che faremo un bel pupazzo di neve con papà.»

    «S iii

    La risposta entusiastica di quella bambina mi fa sorridere e la guardo a lungo un po’ incantata, come fosse un piccolo arcobaleno in mezzo a quel monocolore un po’ tetro dato dall'umore generale. Non mi accorgo quindi che è arrivato il mio turno finché un tossicchiare con voce più alta del normale, dalla coda dietro me, mi risveglia da quell'attimo pacifico e, nell'intento di vedere chi avesse emesso quel rumore poco simpatico, incrocio lo sguardo di un ragazzo, nella fila accanto alla mia, con un cappello di lana blu scuro calzato sulla testa e il bavero del giubbotto rialzato che lascia intravedere poco del suo viso; deve aver avuto la mia stessa reazione sia per la bambina che per quello che si rivela essere un uomo sulla cinquantina, basso, vestito con un elegante completo a righe e la cui mano a palmo alto, unita al suo sguardo accusatorio, mi indica un punto davanti a lui, oltre me, con una faccia che può avere un solo significato: Ti muovi?.

    Mi giro di scatto e vedo lo spazio libero tra me e il nuovo barista e mi affretto ad occuparlo arrossendo leggermente. Incrocio di nuovo lo sguardo del giovane, che mi fa un sorriso e alza le sopracciglia in una buffa espressione, guardando prima il signore e poi di nuovo me, come a voler dire com'è antipatico quel tipo!. Gli sorrido di rimando.

    «Un caffè, grazie» ordino «e uno macchiato da portare via» aggiungo di fretta. Quasi mi stavo dimenticando di Asia pensando ancora alla scena.

    «Lavori qui?»

    «Sì» dico mostrando il badge.

    «Ciao, io sono Guido» dice con un ampio sorriso e la faccia un po’ arrossata dalla coda che si è formata. Lo capisco, i primi giorni non sono mai facili se non sei abituato ad avere a che fare con tanta gente tutta assieme, particolarmente quando lavori in un bar.

    «Ciao Guido» dico spostandomi velocemente mentre mi dà il resto per evitare di sentire un altro colpo di tosse perché sono troppo lenta.

    Mi avvicino al bancone dove incontro lo sguardo di Irma dall'altra parte, la barista più chiacchierona e pettegola del gruppo; si può star certi che se una mosca vola nella direzione sbagliata lei lo sa, anche perché non ti fa andare via se prima non le hai raccontato tutto l’accaduto del giorno. Perlomeno coi suoi modi molto spartani porta sempre un po’ di allegria in zona.

    Fortunatamente c’è tanta gente e non ha il tempo di interrogarmi; avendo perso minuti preziosi in coda devo rientrare velocemente, le ordino i caffè e mentre lei si gira a prepararli il ragazzo col cappello blu si avvicina al bancone. Ora che non ho l’omino in giacca e cravatta a mettermi fretta gli do un’occhiata un po’ più approfondita e noto che è vestito con jeans, felpa bianca e giubbotto blu, tutto di una nota marca di abbigliamento sportivo, anche lo zainetto che ha sulle spalle; ha un bel fisico, dei bellissimi lineamenti per quel che riesco a vedere e uno sguardo da cartellone pubblicitario, in effetti potrebbe essere un modello o qualcosa di simile. Avrà poco più di vent'anni, ma promette decisamente bene per il futuro.

    «Che prendi, bello?» si sente Irma urlare per farsi sentire da lui, guardandolo intensamente mentre mi posa i due caffè.

    « Un cappuccino, per favore.»

    « Subito, tesoro» risponde allegramente.

    «Ammazza quanto è bello! Ma io questo l’ho già visto, fammici pensare un attimo e ti dico chi è, poi magari mi faccio dare il numero di telefono!» mi dice facendomi l’occhiolino e il mio sguardo rimane fisso su di lei con la bocca leggermente aperta dallo stupore, che non dovrei più avere, per la sua tanta malizia e sfacciataggine. Se avesse trent'anni di meno e trenta chili in meno probabilmente riuscirebbe anche nel suo intento.

    «Non ho tempo di scoprirlo, vado di fretta. Buon lavoro!» dico bevendo d’un sorso la bevanda che mi dovrà sostenere fino alle ventuno. Afferro il caffè nel bicchiere di plastica e mentre mi giro, diretta verso il mio negozio, incrocio il suo sguardo che mi fissa; per un secondo rimaniamo in quella posizione, poi le sue labbra formano un piccolo sorriso e subito gli occhi si abbassano quasi imbarazzati.

    Quel sorriso lo conosco, l’ho già visto, ne sono sicura, ma non ho memoria fotografica e non sono mai stata brava a riconoscere dei personaggi famosi neanche quando li ho serviti io stessa, per cui potrebbe essere chiunque o semplicemente un ragazzo carino. Mi farò raccontare da Irma se ha scoperto chi sia.

    Distolgo lo sguardo e cammino a passo veloce verso Asia che mi aspetta dietro alla cassa, protendendo le mani verso il caffè che beve mentre si cambia le scarpe, dandomi gli ultimi aggiornamenti sul lavoro svolto.

    «Buona fortuna, pare che ci siano forti ritardi e cancellazioni sui voli per il Nord America; una cliente mi ha detto che c’è una tormenta di neve e hanno dovuto chiudere diversi aeroporti nei dintorni di New York, quindi saranno tutti arrabbiati!»

    «Fantastico!» dico sarcasticamente. «Avevo intuito qualcosa del genere al bar, ma non avevo visto il tabellone dei voli, fammi dare uno sguardo».

    Mi dirigo ai monitor che sono collocati proprio di fronte all'ingresso, un sacco di ritardi per i voli serali, a quanto pare anche il nord Europa non è messo molto bene col meteo: il Londra delle venti è cancellato, Parigi spostato di un paio d’ore, gli ultimi voli intercontinentali ancora non hanno segnalazioni. Se per un passeggero un volo in ritardo è un contrattempo, per un negoziante è una possibilità di guadagno in più perché i clienti hanno più tempo da dedicare allo shopping, ma richiede anche una forte dose di pazienza per sorbire le lamentele su circostanze non causate da lui stesso.

    «Grazie del caffè, ci vediamo giovedì.»

    «Buona serata e divertiti al cinema.»

    Eccomi qui, ancora tre ore prima della fine turno. A noi cari guanti!

    Il negozio in cui lavoro si trova all'angolo tra la piazza principale su cui fronteggiano le boutique e l’ingresso al lungo corridoio che porta ad uno dei satelliti coi gate d’imbarco; c’è un ingresso su ognuno dei due lati liberi e una coppia sulla cinquantina, vestita Armani, entra dal lato che affaccia sulla piazza, così interrompo i miei conteggi per servirla: stanno cercando una camicia da uomo. Mentre lui è in camerino a provare i due capi che gli ho consigliato appare, di fretta, come se arrivasse da una corsa, un uomo dall'altro ingresso e si posiziona nell'angolo interno delimitato dalle due aperture, attaccandosi con la schiena alla parete attrezzata, come volesse mimetizzarsi con la stessa. Mi volto a guardarlo e il suo sguardo supplichevole si accompagna ad una richiesta di non dire niente, fatta col suo dito indice davanti alla bocca. Per un attimo rimango basita: è il ragazzo col cappello blu del bar e mi sta chiedendo di far finta che non esista. La coppia non se ne è accorta perché nello stesso istante il marito è uscito dal camerino ed entrambi si sono diretti allo specchio.

    «Questa veste molto bene, il taglio classico si abbina perfettamente alla giacca. Provi anche l’altra e vediamo quale le piace di più.»

    «Sì, questa mi piace e starebbe bene anche col completo nero» osserva l’elegante signora rivolta al suo compagno.

    Il rumore di passi veloci precede la vista di due ragazzine che percorrono speditamente il perimetro esterno del negozio, prima lungo l’apertura di sinistra e poi lungo quella di destra, lanciando uno sguardo veloce, ma piuttosto perlustrativo, all'interno. Proseguono nel corridoio schiamazzando ad alta voce; sembrano americane dai vestiti e dall'accento, ma non riesco a capire cosa dicono perché se ne vanno di fretta.

    Lui, la cui faccia per un attimo si è fatta attenta e preoccupata, si è chinato fin sotto l'altezza del tavolo da esposizione, per riemergere poco dopo scrutando l'orizzonte; sembra ora distendersi e tornare a respirare, ma non accenna a muoversi da quella posizione, quasi fosse un nascondiglio sicuro da chissà quale pericolo.

    Poiché la moglie distoglie lo sguardo dal camerino e sta per voltarsi nella sua direzione, mi faccio venire in mente un’idea per non farle porre troppo interesse su quello che parrebbe più un intruso che un cliente qualunque.

    « Buona sera, quel maglione che sta guardando è in offerta speciale e credo proprio che dovrebbe provarlo perché è un taglio molto giovanile e le starebbe bene addosso. Venga l’accompagno alla cabina di prova

    Credo che dire sorpresa riferita alla sua espressione possa essere riduttivo, ma, per non so quale ragione, ha deciso di assecondarmi e farsi accompagnare a quello che sembra essere un altro camerino, posto di fianco a quello dove si trova il primo cliente, il cui ingresso però affaccia sul fondo del negozio; in realtà altro non è se non un ripostiglio dotato della stessa stoffa usata per la cabina ufficiale. Scosto la tenda con grazia e lo invito con la mano ed un enorme sorriso ad entrare, come fosse un normalissimo luogo in cui poter ospitare un prestigioso cliente di una boutique; lui, vedendo le file di scatole impilate, mi lancia uno sguardo interrogativo senza riuscire a proferire parola dalla bocca.

    « Prego» lo incito proseguendo col sorriso sempre più tirato. Apre la bocca per dire qualcosa, ma la chiude subito dopo, ed entra nel ripostiglio con nonchalance facendo poi scorrere gli anelli alle sue spalle.

    Per fortuna che il marito ha finito di provare la seconda camicia e ci toglie dall'imbarazzo uscendo dalla postazione di prova; mostra il nuovo capo alla moglie, ma all'unisono i due si guardano e concordano che il primo fosse davvero perfetto.

    «Ne prendo due, signora.»

    Mi affretto a cercare un’altra camicia identica, troppo consapevole di avere appena relegato in un angusto e piccolo meandro del negozio un misterioso sconosciuto. Fatico un attimo a concentrarmi e a prendere il modello corretto, ma ecco che riesco a tornare alla cassa mentre l’uomo si è rivestito ed esce soddisfatto della sua scelta da quello che è un vero spogliatoio; ripiego la camicia da lui provata e mi preparo a farlo pagare.

    «Ho sentito che parlava di un maglione in offerta, me lo fa vedere?»

    Com'è che l’unica volta che vuoi che dei clienti terminino i loro acquisti velocemente sembrano decisi a non andarsene tanto in fretta?

    «Certo, subito. È questo.»

    Prendendolo in mano ora mi accorgo che, tra tutte le cose carine e di classe che vendiamo, questo è proprio un modello orrendo, di quelli che sembrano errori di fabbricazione o creati in uno stato di forte irrazionalità. Come posso avergli dato proprio questo modello? È vero che non lo avrà nemmeno provato, ma non rendo comunque giustizia al marchio d’alta moda per cui lavoro!

    «Guardi, non credo sia nel mio stile, vanno bene le due camicie.»

    La faccia un po’ disgustata di lei mi conferma che non sono la sola a pensare tali cose di quel povero pullover.

    Finalmente, accompagnata la coppia all'uscita, vado a vedere se nel frattempo il mio ospite non si è dato alla fuga senza che me ne sia accorta o se non stia segretamente chiamando il 112 per tentato sequestro. No, non credo conosca il 112, al massimo chiamerebbe il 911 e in Italia non funziona. Questo stupido pensiero mi solleva.

    « È tutto ok?» chiedo un po’ ansiosamente avvicinandomi.

    « Non c’è nessuno in negozio?»

    Controllo a destra e sinistra.

    « No

    La sua parlata è molto chiara e lo capisco perfettamente.

    Lentamente, come se non si fidasse delle mie parole, scosta la tenda lasciando intravedere solo dal collo in su e si guarda intorno, anche se deve completamente affacciarsi per vedere il negozio che si trova alle sue spalle per accertarsi che ho detto la verità. Torna, sempre con movimenti calmi, a guardare me e d’un tratto tira la tenda lateralmente e fa un passo avanti come se uscisse da una torta regalo, a braccia aperte ed esclama con un sorriso che mostra i suoi denti da lato ad altro: «Com'è?».

    Non ci credo: ha indossato il maglione che gli ho piazzato in mano e adesso vuole anche sapere come sta. I miei occhi si chiudono per un attimo cercando la maniera migliore per dirglielo, ma tutto quello che esce dalla mia bocca è: «Orrendo! Questo maglione è tremendo!»

    Un istante di silenzio passa prima che una sonora risata da parte sua venga subito seguita dalla mia.

    «Mi dispiace, non volevo farti provare l’unico capo brutto che abbiamo in negozio, ma ti ho visto in preda al panico ed è stato l’unico modo che mi è venuto in mente per salvarti! E non avevo neanche intenzione di farti entrare nel nostro ripostiglio, ma il camerino era occupato e non sapevo dove farti nascondere. Ti volevi nascondere, vero?»

    Fai che dica di sì o mi

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