La macchia sul muro
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La macchia sul muro - Danilo Colangeli
Innesti
La macchia sul muro
di Danilo Colangeli
Immagine di copertina: a partire da : architecture-1868378_960_720 by Pexels (Pixabay.com)
Elaborazione grafica: Daniele Picciuti
Editing: Daniele Picciuti
Produzione digitale: Daniele Picciuti
ISBN: 9788885497337
Nero Press Edizioni
http://neropress.it
© Associazione Culturale Nero Cafè
Edizione digitale dicembre 2018
Danilo Colangeli
La macchia sul muro
Indice
I
II
III
IV
V
VI
VII
VIII
IX
X
XI
XII
XIII
L'autore
I
Le graduatorie della Facoltà di Veterinaria vennero pubblicate a metà mese e solo allora Giovanni scoprì di aver superato l’esame di ammissione.
Fu una grande soddisfazione, perché il test era uno dei più impegnativi e per farsi trovare pronto aveva passato buona parte dell’estate a studiare.
A quel punto, non gli rimaneva che prendere in affitto un appartamento.
Ne aveva già visionati alcuni, proposti da un’agenzia immobiliare della zona che si occupava prevalentemente di reperire alloggi a studenti fuori sede. Quella, del resto, era una città universitaria.
In particolare, a Giovanni ne era piaciuto uno, situato al terzo piano di un palazzo di periferia. Era comodo, spazioso, non distante dall’università. Il prezzo, poi, era abbastanza abbordabile, molto inferiore rispetto a quanto chiesto per altri appartamenti che gli erano stati mostrati (i quali, a onor del vero, si trovavano in pieno centro). Il padrone di casa era un certo Mario Ferramonte e Giovanni l’aveva incontrato appena una settimana prima che venissero pubblicate le graduatorie.
L’appartamento gli aveva fatto subito una buona impressione, era provvisto di tutto, mobili (vecchiotti, ma in buono stato), frigorifero, divano, forno a microonde, televisore, telefono, connessione a Internet. L’unica cosa su cui Giovanni aveva avuto da ridire erano le pentole, troppo vecchie e rovinate. Alcuni tegami erano addirittura arrugginiti e pieni di crepe. Roba da farsi male solo maneggiandola.
«Eh, si vede che le abbiamo usate parecchio» si era limitato a commentare Ferramonte quando Giovanni glielo aveva fatto notare. D'altronde, se lo sarebbe dovuto aspettare, le pentole non erano incluse nel contratto.
Nessun problema, ricomprarle sarebbe stato in cima alla lista della spesa, nel caso si fosse trasferito. Ma tutto ruotava intorno al responso del test d’ammissione, sul quale Giovanni era moderatamente fiducioso. L’aveva preso molto seriamente, ci aveva investito tanto in termini di tempo, studio ed energie mentali, e solo dopo averlo terminato si era concesso un sospiro di sollievo. Aveva accantonato i libri scolastici che erano stati la sua croce per tutta l’estate e aveva potuto rilassarsi immergendosi nel suo genere letterario preferito, il fantasy. Di recente, in particolare, si era impegnato in una lunghissima maratona nella saga Game of Thrones, di cui possedeva tutti i libri che erano stati scritti fino a quel momento, in formato digitale, immagazzinati nella capiente memoria del suo e-reader, in attesa che lui trovasse un po’ di tempo per divorarseli.
«Andiamo su, che ti faccio vedere la soffitta» gli aveva detto il proprietario, dopo avergli mostrato anche l’ultima camera.
All’ottavo e ultimo piano c’era un solo appartamento, sulla destra rispetto alle scale. Famiglia Mezzaresi recitava una targa in ottone, posta sulla solida porta blindata. Adiacente all’uscio correva un piccolo corridoio che, come gli spiegò Ferramonte, conduceva alla terrazza. Alla sinistra del pianerottolo stava, invece, una porta bianca con un pomello nero.
Ferramonte l’aveva spalancata senza usare le chiavi.
«La soffitta è sempre aperta, a disposizione di tutti. La si può definire una specie di deposito».
Giovanni l’aveva seguito all’interno, pensando che la vita condominiale sarebbe stata una delle tante cose a cui doveva abituarsi, lui che da quando era nato viveva con i genitori e un fratello maggiore, in una villetta delle campagne marchigiane.
Di certo qui non potrò mettere lo stereo a tutto volume, come faccio di solito, pensò, sorridendo.
La soffitta era un locale a forma di L rovesciata, con un breve andito oltre l’ingresso. Era abbastanza ampia in fatto di superficie, quasi quanto un appartamento, eppure, non appena vi aveva messo piede, Giovanni era stato colto da un senso di claustrofobia, sia perché il soffitto era basso e andava calando progressivamente seguendo l’inclinazione del tetto, sia perché il solaio non aveva finestre (c’era solo un piccolo lucernario, dai vetri lattiginosi), ma soprattutto perché era ingombro di cianfrusaglie di ogni tipo, alcune impilate ordinatamente, la maggior parte accatastate alla rinfusa.
«Come vedi, qui ci ammucchiano tutte le cose vecchie o inutili...» gli aveva spiegato Ferramonte «pensa che alcune erano già qui quando io ero piccolo. Tutta roba di cui non importa niente a nessuno. Potrebbero buttarla in mezzo alla strada e magari sarebbe meglio, magari passa un poveraccio che se l’accatta e ci fa qualcosa di utile. A ogni modo la soffitta dovrà essere sgomberata, prima o poi, o di questo passo potrebbe crollare su quelli del piano di sotto».
Giovanni non pensava che quel locale gli sarebbe servito granché. Se si fosse davvero trasferito lì, contava di portarsi dietro lo stretto indispensabile.
«È un bel posto» aveva detto, al momento di accomiatarsi.
«Sei intenzionato a prenderlo?» gli aveva domandato Ferramonte.
«Dipendesse da me, le chiederei subito di preparare il contratto. Ma prima devo sapere come è andato il test. I risultati ci usciranno solo tra qualche giorno. Certo, se si presentasse qualcun altro che vuole affittare...»
«Per il momento non ho altre richieste, tranquillo» aveva replicato il padrone, bonariamente.
Il giorno stesso in cui, collegandosi al sito dell’università, aveva scoperto di essere stato ammesso, Giovanni aveva contattato Ferramonte.
«Spero che l’appartamento sia ancora libero, perché ho proprio intenzione di prenderlo».
Era libero e lo prese.
II
Circa due mesi dopo che Giovanni si era trasferito, la stampante del suo computer smise di funzionare.
Fu praticamente il primo inconveniente in cui incappò da quando viveva da solo. Per il resto tutto bene, sia all’università, dove aveva seguito lezioni appassionanti e stretto qualche buona amicizia, sia nella nuova casa. Si occupava di tutto lui, faceva la spesa, cucinava, spolverava e lavava i pavimenti, faceva il bucato, pagava le bollette... insomma, tutte quelle incombenze di cui si erano sempre fatto carico i genitori. Gli piaceva, lo faceva sentire più adulto.
Nell’appartamento aveva trovato tutto il necessario. Le uniche cose che aveva dovuto aggiungere di tasca sua furono un aspirapolvere e un set di pentole (roba cinese o coreana, di poco prezzo) per sostituire quelle invereconde che Ferramonte