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Peter Miele in "Attraverso lo specchio"
Peter Miele in "Attraverso lo specchio"
Peter Miele in "Attraverso lo specchio"
Ebook590 pages8 hours

Peter Miele in "Attraverso lo specchio"

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About this ebook

Peter Miele è un ragazzo solo, povero e senza amici. Il suo rendimento scolastico è scarso e in più a scuola è vittima di bullismo. A casa la situazione non è certo delle migliori. Vive nella via più povera della città, via dei Delusi, e il suo appartamento è vecchio e fatiscente. Della sua famiglia fanno parte il fratello Damien, ragazzo autistico, il padre Alfred, che lavora tutto il giorno in una fabbrica, e sua madre Margaret. La tragedia si abbatte sulla famiglia Miele quando la madre scompare nel nulla senza lasciare traccia. Le ricerche infruttuose fanno credere agli abitanti del paese che sia scappata dalla disperazione di avere una famiglia così complicata e di aver trovato un altro uomo. Ma perché? Lei voleva bene alla sua famiglia. Perché allora fuggire? Rosa, la sorella sensitiva, confida disperata a Peter che vede Margaret in un sogno ricorrente tutte le sere. La madre è prigioniera di strane creature di ghiaccio che vogliono da lei un oggetto molto prezioso, un oggetto che Alfred consegna al figlio come ultimo ricordo della moglie prima che sparisse; un ciondolo d'oro che raffigura un sole, trovato ai piedi del grande e antico specchio posizionato in camera sua.

Peter capirà presto che il ciondolo è la chiave per entrare in un mondo fantastico attraverso lo specchio.

Peter scoprirà, non senza difficoltà, dove la madre è tenuta prigioniera in quel bizzarro universo.

Peter combatterà contro le forze del male che useranno ogni mezzo per impossessarsi del prezioso ciondolo. Un male che non mostrerà alcun tipo di pietà per raggiungere il suo scopo e che, alla fine, esibirà il suo vero volto.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateDec 27, 2018
ISBN9788827861813
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    Peter Miele in "Attraverso lo specchio" - Luigi Rizzo

    Indice

    PETER MIELE

    IL MEDAGLIONE

    LO SPECCHIO MAGICO

    IL PAESE DELLE PIANTE

    LA MAGA

    L'INVASIONE

    MISERIA

    LA PERLA DEL DIAVOLO

    TERRORE NEL REGNO DEGLI ANIMALI

    LIBERTÀ

    LO STREGONE MALVAGIO

    L'INCENDIO

    PAURA

    LADY VIOLETTA

    IL SIGNORE DELLE OMBRE

    LA PROVA

    L'INGANNO

    INTRIGHI

    RICATTO

    L'ISOLA DELLE AMAZZONI

    LO SCAMBIO

    KORUS

    DISPERAZIONE

    RIVELAZIONI

    IL DEMONE

    IL GIGANTE

    LA CADUTA DI LORIS

    LA RESA DEI CONTI

    FINE O INIZIO?

    Luigi Rizzo

    Peter Miele in

    Attraverso lo specchio

    Youcanprint Self-Publishing

    Titolo | Peter Miele in Attraverso lo specchio

    Autore | Luigi Rizzo

    ISBN | 9788827861813

    Prima edizione digitale: 2018

    © Tutti i diritti riservati all’Autore

    Youcanprint Self-Publishing

    Via Marco Biagi 6, 73100 Lecce

    www.youcanprint.it

    info@youcanprint.it

    Questo eBook non potrà formare oggetto di scambio, commercio, prestito e rivendita e non potrà essere in alcun modo diffuso senza il previo consenso scritto dell’autore.

    Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata costituisce violazione dei diritti dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla legge 633/1941.

    PETER MIELE

    Il dolore è insopportabile ma lo è ancora di più l'umiliazione che ha subito. Le lacrime scendono lungo le guance come fiumi in piena e alimentano la sua costante disperazione.

    «Mamma! Mamma!».

    Peter piange, con le ginocchia che gli nascondono il viso e le mani intorno alle gambe.

    Si è creato una difesa naturale dal quale non vuole più uscire. Il mondo non gli piace. Il mondo non lo accetta. Il mondo lo deride. E lui non vuole più farne parte. Vuole solo sparire dalla faccia della terra, vuole stare in pace, senza nessuno, in silenzio, da solo.

    L'occhio è gonfio, violaceo e prude. Prude tanto. Ma sa che non deve toccarlo, altrimenti l'ematoma non se ne va più via.

    E non vuole certo dare spiegazioni agli altri.

    Il suo viso sembra stato dipinto da un abile pittore. Un ritocco qui, uno là e voilà. Assomiglia ad uno di quegli animaletti del bosco di cui ama tanto leggere.

    Come si chiamano? Ah si! Sono gli orsetti lavatori.

    Così caratteristici con quelle occhiaie intorno agli occhi. Solo che lui ne ha solo una. E non è il ritocco di un pittore.

    È stato il risultato di un pugno. Dritto sul viso.

    Al solo pensiero Peter scoppia per la seconda volta in lacrime.

    «Oh Mamma! Perché non ci sei più».

    Peter è inconsolabile. Ha il cuore a pezzi. Vede tutto nero. Dopo la scuola non è voluto tornare a casa per la vergogna e ha trovato rifugio sotto un albero nel parco della cittadina in cui vive. Come se non bastasse il cielo grigio e profondo ha scatenato una pioggia continua e martellante.

    È zuppo fino alle ossa ma non demorde. Non vuole muoversi. La rabbia è troppa.

    Fortuna che il parco è deserto così da non attirare l'attenzione dei passanti.

    Il colpevole di tanta disperazione ha un nome: Marco, il bullo della scuola, che lo ha preso di mira per l'ennesima volta.

    «Hey ragazzi guardate un po' chi c'è?».

    Marco alza la voce per attirare l'attenzione degli altri studenti. Le lezioni sono terminate e i ragazzi sono radunati all'ingresso della scuola in attesa di tornare alle loro abitazioni. Nell'aria c'è odore di rissa, e in questo il bullo è un vero esperto.

    Quattordicenne come Peter, Marco è più alto dei suoi coetanei. I suoi capelli neri sono tagliati a spazzola, gli occhi sono scuri e ha un perenne sorriso sfrontato stampato sulla faccia. È di corporatura muscolosa grazie alle ore che dedica al calcio e alla palestra e, cosa che fa nettamente la differenza tra lui e l'ultimo dei suoi insulsi coetanei, è il figlio del sindaco di RoccaBianca, la vivace cittadina dove vive.

    A completare il quadro le sue scarpe sportive firmate, i pantaloni larghi e la maglietta di una taglia più grande gli danno un'aria ancora più spavalda.

    Da stronzo come ama ripetere Peter.

    «Ciao Peter. Perché non ti fermi a farci compagnia? Prometto che non ti farò niente».

    Lo stronzo continua a stuzzicarlo mentre i compagni, o meglio, i suoi seguaci, gli danno pacche sulla spalla e lo invitano a battere il cinque compiaciuti da cotanta audacia.

    Peter non replica. Non ne ha il coraggio. È un debole, e lui lo sa. Nei suoi pantaloni neri fuori moda e nella sua camicia tutta stropicciata il disagio si fa ancora più marcato.

    Vorrebbe essere qualcun altro in quel momento. Vorrebbe essere più grosso di Marco e picchiarlo fino a che ha fiato. Vorrebbe essere un gigante per calpestarlo, vorrebbe essere un coccodrillo per divorarlo, vorrebbe... vorrebbe... vorrebbe essere tante cose ma lui è solo Peter.

    Purtroppo.

    «Perché non parli? Io ti ho salutato e invece tu ti comporti da maleducato».

    Con un forte spintone Marco lo fa cadere a terra.

    «Tua madre non ti ha insegnato l'educazione?».

    Il suo modo di canzonare provoca l'ilarità degli altri ragazzi che si gustano la scena.

    «Oh scusa! Ho menzionato tua madre. Mi ero dimenticato che è scappata via senza lasciare traccia».

    «Lasciami stare!», replica Peter incredulo delle parole che ha appena pronunciato. Non sa come sia riuscito a rispondere ma lo ha fatto. Marco rimane interdetto.

    Come osa questo microbo rispondergli?

    Scatta verso di lui, lo prende per la camicia e lo attira verso di se. Peter, in preda al panico, lascia cadere a terra i libri. È paralizzato dalla paura. Non riesce a pensare, non sa cosa fare.

    Potrebbe azzardare l'idea di ribellarsi ma lui purtroppo è un perdente e i perdenti sono coscienti di una sola cosa, che devono subire e prepararsi al peggio. Possibilmente in silenzio.

    «Adesso mi hai fatto arrabbiare», dice Marco furente. «Come ti sei permesso di rispondere? Tu lo sai a quale categoria appartieni in questa città? Lo sai o no? Te lo dico io allora. Tu sei un emarginato, un poveraccio. Non dovresti farti vedere in giro, nemmeno a scuola. Dovresti stare chiuso in quella catapecchia in cui abiti con quello sfigato di tuo padre e quel cerebroleso di tuo fratello. Come si chiama?».

    Alza di occhi al cielo pensieroso. Poi gli spunta un sorriso ebete sul viso.

    «Damien! Damien il demente», grida soddisfatto di se. Stringe la presa ancora più forte. I due visi sono a pochi centimetri l'uno dall'altro. Peter può sentire il suo alito, il suo calore, il suo sudore. Il cuore gli batte a mille, non c'è la fa più a resistere, vuole andare via.

    Marco lo guarda dritto negli occhi come volesse trafiggerlo.

    «Due figli degni della propria madre. Una madre che a RoccaBianca è considerata da tutti una strega».

    «Non è vero!», ribatte Peter. La voce strozzata in preda ai singhiozzi. Sa che lo stadio successivo saranno le lacrime ma tenta di arginarle con tutte le sue forze.

    «Non è vero!», scimmiotta Marco tra il divertimento generale. «Certo che lo è. Mia nonna lo dice. L'ha vista mentre si aggirava nelle notti di luna piena per la città con un strano pezzo di legno in mano che agitava su ogni strada, su ogni casa, su ogni cosa. Inoltre la strega era tutta vestita di nero. Nera come la notte. Mia nonna ha detto che voleva fare un maleficio a tutta la città. Voleva regalarla al demonio e renderci tutti schiavi. È per questo che è sparita all'improvviso?».

    Ma la domanda non merita risposta e lascia Peter in silenzio. Gli è difficile vivere senza di lei, senza i suoi sorrisi, senza il suo profumo e i suoi dolci sguardi. È difficile anche occuparsi di suo fratello, che va seguito ogni istante. Figuriamoci ritenere la madre una strega che desidera il male altrui.

    A quel punto un po' per insolenza un po' per sfida Peter inizia a sorridere. Non capisce cosa gli sta succedendo, dove trova il coraggio, però sorride.

    Debole o no non può tollerare ancora le angherie di Marco. Un conto è farsi maltrattare da un energumeno privo d'intelletto ma un altro è sentire falsità sul conto della propria madre.

    Inaccettabile persino per un debole come lui.

    Allora continua a sorridere per la disperazione e fissa Marco con uno sguardo di sfida.

    A questo punto chi è il debole? Quale dei due ragazzi sta umiliando l'altro?

    Marco è livido di rabbia. Pensava di averlo sottomesso ma invece non è riuscito minimamente a toccarlo dentro. Lo voleva in ginocchio, coperto di fango e lacrime. Supplichevole. Ma il figlio della strega non si è piegato. Forse era troppo forte anche per lui, il grande Marco, l'adolescente senza rivali.

    Sente i bisbigli degli altri intorno a lui che si fanno sempre più insistenti.

    È solo un pallone gonfiato, tutto muscoli e niente cervello. Alto e tonto. Grosso e scemo.

    Di scatto Marco si volta e li fissa rancoroso. I suoi compagni indietreggiano dalla paura. Poi riporta la sua attenzione su Peter e lo lascia andare.

    Peter ricomincia a respirare normalmente convinto di essere al sicuro. Sta per riprendersi i libri caduti a terra quando a terra ci finisce lui con l'occhio in fiamme.

    Con uno impeto improvviso e vigliacco Marco gli ha tirato un pugno dritto in faccia senza farsi il minimo scrupolo. Poi, soddisfatto per il gesto, gli volta le spalle e si fa largo tra i ragazzi increduli. Dopo pochi passi ci ripensa e si volta verso Peter.

    «Questo è solo l'inizio. Gente come te non la vogliamo in questa città. Te lo ripeto, vattene via».

    Lo voce è carica di disprezzo, di disgusto.

    Poi finalmente se ne va.

    I ragazzi si guardano bene dall'aiutare Peter o dal confortarlo e se ne vanno con un dubbio nella testa.

    E se davvero fosse il figlio di una strega?

    Peter, stanco e sconfortato, rimane a terra solo e dolorante.

    Peter si alza e abbandona controvoglia l'albero prima che diventi la sua nuova dimora. Si sta facendo troppo tardi e sicuramente prenderà anche una sonora sgridata da suo padre.

    Sempre se è in casa.

    Da quando la madre non c'è più ha delegato tutte le incombenze familiari a Gertrude, la governante che si occupa dei fratelli Miele, mentre lui passa gran parte del tempo al lavoro.

    Esce dal parco e s'incammina verso casa accompagnato dalla pioggia che, a intervalli, da il cambio a qualche sparuto raggio di sole.

    Le via di RoccaBianca sono larghe, acciottolate, pulite e ordinate. I palazzi ai lati della strada sono alti tre, forse quattro piani e sono l'uno di un colore diverso dall'altro. Giallo, celeste, rosso, rosa. Un'allegria di colori che danza con il sole pomeridiano e irradia di luce gli occhi (o l'occhio) di Peter e lo rende più calmo e sereno. Anche se l'occhio continua a prudere. Caspita come prude!

    La via termina su una grande piazza circondata da vari negozi con i loro strambi proprietari. Rocco, l'edicolante strillone. Zia Rosa, la bella fiorista. Gigi, il gelataio. Tutti loro conosco Peter e la sua famiglia e gli sono stati vicini quando la madre è sparita.

    La piazza è dominata al centro da un'enorme chiesa con un'ampia facciata dominata da un'imponente rosone circolare raffigurante degli angeli in volo. Al fianco della chiesa si erge la torre che funge da campanile per chiamare i fedeli alle funzioni. A differenza di tutti gli altri edifici del paese la chiesa è bianca. Completamente bianca.

    Peter non è dell'umore giusto per salutare i suoi amici negozianti e prende la via a destra per dirigersi verso casa. Rispetto alle altre vie luminose della città questa è stretta, lugubre, malridotta e buia. Se si alzano gli occhi si vedono palazzine fatiscenti, tutte grigie e in rovina. Panni stesi spuntano dal terrazzo della signora Lucia che non ha fatto in tempo a salvarli dalla pioggia. Tutto ciò però non scoraggia la donna che è sempre affacciata sul terrazzo a controllare chi passa.

    «Buongiorno signora», esclama Peter.

    «Gnogno Peper», ribatte la dolce vecchina priva di quasi tutti i denti.

    Via dei Delusi è la via più povera e malmessa di tutta la città. Il sindaco, ovvero il padre di Marco, nel corso del suo mandato l'ha lasciata all'incuria totale infischiandosene caldamente delle continue lamentele dei residenti. Così facendo il prezzo delle case è crollato e si è fatta avanti la speculazione edilizia. Un piano ben congegnato che in futuro avrebbe dato i suoi lucrosi frutti.

    Peter arriccia il naso. Il tanfo che proviene dalla strada è insopportabile. Vede scorrere sotto i suoi piede un fiumiciattolo melmoso color verde scuro. Deve essersi rotta di nuovo la tubatura delle fogne con il risultato che adesso la strada è invasa da un puzzo maleodorante che si impregna sui muri e sui vestiti. L'ultima volta ci hanno messo tre mesi per ripararla e, visti i risultati, anziché cambiare il tubo, ci devono aver messo sopra una grossa toppa.

    Saltella da una parte all'altra della strada per non sporcarsi le logore scarpe di tela. Un colpo di vento gli spazza la folta chioma nera e riccia e gli scopre gli occhi blu come la notte. Il corpo agile e snello si muove ad ogni balzo. Evita prima una e poi un'altra buca, fino a che arriva davanti a un vecchio cancello grigio il cui accesso da a un fatiscente e spettrale condominio. I muri del palazzo sono incrostati, l'intonaco si sta sfaldando pezzo dopo pezzo e dalla struttura dei piccoli terrazzini fuoriescono barre di ferro. Tutto intorno c'è un mare di spazzatura e lungo il perimetro del palazzo è pieno di tegole cadute dal tetto.

    Ogni tanto ne viene giù una.

    Si notano rattoppi fatti con assi di legno incrociate; misura inutile soprattutto quando arrivano le forti piogge che lavano il palazzo e tutti gli appartamenti da cima a fondo.

    Peter scosta la pesante porta di legno del vecchio palazzo per entrare e questa emette un cigolio da brividi. Ogni volta che la guarda si chiede quanto ancora durerà sui suoi cardini.

    Sale le scale, di cui la maggior parte dei gradini sono danneggiati, e arriva al primo piano, dove vive con la sua famiglia.

    Guarda l'ingresso e titubante si decide a entrare. Non fa in tempo a chiudere la porta che gli arriva incontro Gertrude, la tata-governate-tuttofare inferocita come un rinoceronte.

    E pure il passo è quello!

    Bassa, tonda, ha un grosso nasone che gli copre quasi tutto il volto. Gli occhi sono piccoli e chiari. Indossa sempre un grembiule bianco immacolato e in testa porta un foulard a coprire la sua calvizie. Ma lei dice, con vanteria, che lo usa come complemento di moda.

    Il rinoceronte si ferma e guarda Peter con ferocia. Le sue narici emettono fumo.

    «Signorino Peter, si può sapere dove è stato tutto questo tempo? Oggi è stata una giornata d'inferno. Ho lavato, stirato, preparato da mangiare. Come se non bastasse guardi un po' cosa ha combinato la pioggia».

    Indica tre secchi nel salotto in cui gocciola l'acqua che proviene dal soffitto.

    «E che caspita! Mica posso fare tutto da sola. Inoltre devo occuparmi delle necessità del signorino Damien. O lei per caso si è scordato di avere un fratello? Doveva tornare due ore fa, e io devo andare a fare la spesa altrimenti i signorini qui non mangiano. E che caspita!».

    Poi si blocca tutto d'un colpo e smette di mitragliare di parole Peter. Lo guarda bene e gli avvicina il nasone al viso.

    «E quello che cos'è?».

    Peter indietreggia, s'incolla alla porta e tenta di trovare una giustificazione.

    «Sono caduto dalle scale», gli sorride sornione.

    «Dal quarto piano e di testa?», ribatte lei.

    «Ma no! Sono scivolato a scuola e sono andato a sbattere contro il muro e...».

    «... e poi il muro ha deciso di colpirla dritto sull'occhio senza lasciarle altri segni. Gentile il signor muro, proprio gentile».

    «Gertrude ti prego», piagnucola Peter. «Papà non...».

    «Papà non deve sapere che continua ad azzuffarti a scuola? Oh dei del cielo! Deve smetterla di cacciarsi nei guai. Abbiamo già un'infinità di problemi in questa casa, non ne abbiamo bisogno di altri».

    Si gira e va in cucina. Torna con un fazzoletto a mo di fagotto carico di ghiaccio che gli mette in mano. Peter lo appoggia sull'occhio e la ringrazia.

    «Oh ma si figuri, signorino. Vedrà che tra qualche giorno l'ematoma sparirà. Per quanto riguarda il signor Miele non gli dirò nulla, ha già abbastanza pensieri per la testa. Il lavoro, la casa, i figli. Torna tutte le sere stanco morto e si butta a letto per poi ricominciare il giorno dopo. Non mi sembra il caso di dargli altri dispiaceri».

    Poi sorride e mette in mostra una dentatura piccola e bianca.

    «Meno male che c'è Gertrude in questa casa signorino. E che caspita!».

    Si avvicina al divano e prende la borsetta.

    «Adesso stia qui buono buono e controlli che a suo fratello non manchi nulla. Io vado a fare la spesa».

    Detto fatto apre la porta e se ne va.

    Peter si toglie le scarpe e le lascia vicino l'ingresso. Davanti a lui c'è un divano color crema usurato dal tempo e una credenza in legno piena di vecchie ceramiche posta lungo la parete la cui carta da parati è lisa e strappata. Nel locale a fianco c'è la cucina, piccola e stretta, un tavolo e quattro sedie. Subito dopo il salotto si apre un breve corridoio che porta a due porte, l'una di fronte all'altra, che danno sulle camere da letto di Peter e Damien e del padre. Peter entra in camera sua e posa i libri sulla scrivania. Ci sono due letti singoli, una libreria piena di volumi per adolescenti, un armadio. La finestra da sul cortile interno dove spesso giocano i ragazzi del condominio.

    Peter si butta sul letto e chiude gli occhi. La giornata è stata orrenda. Prima l'interrogazione di matematica a cui non era preparato seguita subito dopo dal tema d'italiano eseguito svogliatamente. Poi, come capolavoro finale, lo scontro con Marco. Per non parlare di tutta l'acqua che ha preso sotto la pioggia. Si gratta la testa e le sue mani affondano nei lunghi riccioli corvini.

    Gli sta venendo un gran mal di testa.

    I pensieri nella sua testa si affollano. Marco, la scuola, le urla di Gertrude, Damien.

    Accidenti! Dov'è Damien?

    È talmente preso dei suoi problemi che si è dimenticato del fratello.

    Si alza dal letto e torna in salotto ma non lo vede. Da un'occhiata in cucina ma di Damien non c'è traccia.

    Per esclusione non rimane che la camera del padre.

    Entra nella stanza e si trova davanti il letto matrimoniale con le molle che escono dal materasso, i comodini ai suoi lati, l'armadio con le ante aperte. La tapparella dell'unica finestra è parzialmente abbassata e lascia la stanza in penombra. Gli occhi di Peter si spostano sul grande specchio collocato a ridosso del muro che si alza da terra per quasi due metri. È in ottone lucido e nelle giornate di sole brilla come un faro. In cima c'è un simbolo che raffigura un sole i cui raggi sembrano emanare calore. Al centro del sole c'è una pietra rossa, color rubino, che sembra essere il suo cuore pulsante.

    Quel simbolo lo ha sempre incuriosito.

    Per quello che ne sa Peter, lo specchio ha origini molto lontane. Antiche. Prima di essere donato a sua madre apparteneva a un suo antenato.

    Vista la precaria situazione economica della famiglia il padre lo voleva vendere, ma la moglie era stata inflessibile. Lo specchio apparteneva alla loro famiglia da sempre e quindi non si toccava.

    Davanti lo specchio, illuminato da un tenue raggio di sole c'è suo fratello, perso in uno sguardo magnetico. Il ragazzo lo sta fissando in modo ossessivo come se fosse catturato da una qualche circostanza importante, tanto che non nota la presenza di Peter.

    Damien ha una storia molto particolare perché lui è un ragazzo speciale. Molto speciale.

    Damien è autistico.

    Grande fu la sorpresa dei suoi genitori quando i medici gli diagnosticarono la malattia, all'apparenza lieve dicevano, ma pur sempre una patologia con cui avrebbero dovuto fare i conti in futuro.

    Dopo il primi anni di vita già si notavano i primi sintomi e le evidenti differenze che c'erano tra lui e gli altri bambini.

    L'isolamento dal mondo esterno e il rifiuto del contatto con gli altri sono una delle caratteristiche della malattia, seguite poi dai disturbi del linguaggio e dalla difficoltà a esprimersi e a esternare manifestazioni d'affetto verso le persone.

    Praticamente Damien vive in un mondo tutto suo, un mondo in cui non lascia entrare praticamente nessuno se non i suoi famigliari e la tata che da anni lo accudisce.

    Damien ha dodici anni, è alto quasi quanto Peter e ha i suoi stessi capelli neri e ricci, ma con un taglio molto più corto. I suoi occhi sono color verde-smeraldo. Occhi così chiari e intensi da lasciare senza fiato.

    Occhi che in quel momento continuano a fissare lo specchio.

    Peter lo guarda inquieto. Questa non è la prima volta che lo sorprende a fissare la sua immagine.

    «Ciao Damien», lo chiama Peter.

    Ma il fratello minore non si muove, come se fosse una statua di cera. Peter si avvicina cauto. Sa che a Damien non piacciono i movimenti improvvisi.

    Quando gli è a fianco gli mette una mano sulla spalla.

    «Ciao piccoletto. Tutto bene?».

    Damien si volta verso il fratello e lo guarda. Sul viso un'espressione confusa e disperata. Apre la bocca e pronuncia frasi senza senso, le parole una sopra l'altra. Si gira e rigira su se stesso e sfarfalla con le mani. È preda di una violenza interiore che monta ogni secondo che passa. Si gira improvvisamente verso l'armadio e lo colpisce con la mano una, due, tre volte. Il rumore che produce è assordante. Ha una forza incredibile che molto spesso non riesce a contenere, e la sua unica valvola di sfogo è colpire gli oggetti.

    «Damien! Perché?», chiede Peter, ma il ragazzo continua a colpire l'armadio fino a che non sente un forte dolore alla mano. Lui sa che quando ha questi momenti di crisi può sfogarli solo sugli oggetti e non sulle persone, men che meno con suo fratello maggiore. Un fratello a cui vuole un bene dell'anima anche se non riesce a dimostrarlo come vorrebbe. Peter, dal canto suo, lo adora e fa qualsiasi cosa pur di rendere felice e meno dolorosa la sua situazione.

    «Mam...ma, mam...ma», balbetta Damien, ora più calmo e sereno dopo essersi sfogato. Lo sguardo si sposta dal fratello allo specchio. Le mani hanno ripreso a sfarfallare ma a un ritmo molto meno frenetico di prima.

    «Si fratellino anche a me manca tanto la mamma», gli risponde Peter con gli occhi lucidi e tristi.

    «No! Peter mam...ma. Tu no capi...re», riprende Damien inquieto. Alza la mano e la punta contro lo specchio.

    Peter nota che il fratello è turbato e suda molto. Non vuole farlo agitare ancora. Non vuole che stia male e soprattutto non vuole che continui a soffrire per l'abbandono della madre. Decide allora di assecondarlo. Con le mani gli prende il viso e gli accarezza le guance.

    «Damien ascoltami. Certo che ti capisco. Tu vuoi parlarmi della mamma. Va bene. Manca tanto anche a me ma vedrai che tornerà. Un giorno sarà di nuovo con noi».

    «Si Peter. Mam...ma con no...i. Mi hai cap...ito?», replica il fratellino, che adesso sfoggia un enorme sorriso di gioia.

    «Si Damien. Ti ho capito, non preoccuparti».

    E lo abbraccia in lacrime.

    «Ti voglio tanto bene».

    Damien, rincuorato dal calore del fratello, crede che Peter lo ha finalmente capito, crede che il fratello adesso conosce il motivo del perché lui fissa così insistentemente lo specchio ogni volta che ci si trova davanti, crede che Peter sa cosa vi si cela dietro e chi si nasconde dall'altra parte.

    Ma si sbaglia. Il povero Damien si sbaglia di grosso.

    Purtroppo non è riuscito a comunicare a Peter quello che vede attraverso lo specchio, quello che solo un ragazzo con la sua sensibilità riesce a percepire.

    Peter, invece, per non provocare altri stati d'ansia in lui, non ha approfondito la questione e non ha compreso tra le sue scarne parole cosa voleva dirgli, cosa lo ha agitato così tanto da mandarlo in crisi.

    Peter non ha capito il messaggio disperato che Damien ha voluto comunicargli.

    Peter non ha capito che il segreto della sparizione di sua madre è celato dentro lo specchio.

    Purtroppo per lui, Peter non ha capito proprio niente.

    IL MEDAGLIONE

    Era ora! Finalmente ha smesso di piovere.

    Peter guarda con soddisfazione il cielo sgombro di nuvole mentre passeggia per le vie della città insieme al fratello. Anche Damien è contento e corre da un lato all'altro della strada incurante degli sguardi dei passanti e dei ragazzi in bicicletta che devono fare grandi slalom come gli sciatori per evitare di travolgerlo. Peter sa che suo fratello è uno spirito libero ma non gli può concedere troppa libertà, altrimenti rischia di farsi del male e finire in qualche guaio. Come l'ultima volta che sono usciti assieme e si è ritrovato a doverlo tirare fuori da un fosso in cui era caduto o quella volta che è entrato in casa di sconosciuti solo perché aveva trovato la porta aperta.

    Caspita che imbarazzo!

    « Damy vieni qui, dammi la mano per favore», lo chiama Peter.

    Il fratello si ferma e si guarda intorno, gira la testa da una parte e dall'altra, senza fissare nulla in particolare. Guarda qualsiasi persona, oggetto o animale senza focalizzarlo.

    Sa che ci sono e basta.

    Damien si avvicina al fratello e guarda per terra. Sorride e si mette due dita in bocca imbarazzato. L'altra mano si agita come se stesse salutando qualcuno. Poi timidamente prende la mano di Peter e lo trascina con se lungo la strada.

    Neanche fosse il fratello maggiore quello da tenere d'occhio.

    Peter sa bene dove vuole andare a parare il fratello e lo capisce una volta arrivato in piazza.

    Il posto è un brulicare di persone che si agitano, si spostano da una parte all'altra, si chiamano e si salutano. Sono tutti intenti a fare compere, a cercare buoni affari.

    Oggi è giorno di mercato e la piazza è invasa da grandi tendoni colorati, l'uno collocato di fianco all'altro. Damien tira il fratello dentro il tendone della frutta e subito dopo entra dentro quello dei tappeti e quello dei vasi di ceramica.

    «Hey fanciulli gradite un po' di mele?», grida nella loro direzione una bionda e robusta signora con il frutto in mano.

    «Un bel vaso di finissima ceramica per il salotto?», li chiama un signore che espone vasi di ogni dimensione.

    «Pasticcini freschi?», gli consiglia una giovane e incantevole ragazza. Peter, ingolosito dall'ultima offerta, sta per fermarsi ma suo fratello non sente ragione e continua a trascinarlo fino a che non escono dal pittoresco mercato e si piazzano davanti a un locale.

    Ecco lo sapevo!

    Peter si trova dinanzi la gelateria dell'amico Gigi.

    Gigi, titolare del negozio è un signore paffuto e gioviale, con occhi neri e un cranio lucido. Adora il suo lavoro, adora inventarsi sempre nuovi gusti di gelato e soprattutto adora i fratelli Miele.

    Si potrebbe dire che i ragazzi sono cresciuti nel suo negozio visto che spesso e vol77entieri passano molto del loro tempo ad ingozzarsi di creme e cioccolato.

    «Oh mio Dio! Peter, Damien. Bentornati».

    Gigi esce di corsa dal banco. I clienti che sta servendo lo guardano con stupore mentre abbraccia i due ragazzi assieme.

    Peter ha la sensazione di essere schiacciato in una pressa per cartoni. Gli manca l'aria e l'unico suono che gli esce dalla bocca sono monosillabe. Damien invece pronuncia incomprensibili parole che unite al sorriso fanno capire che si sta divertendo.

    «Marta Marta! Alza il culo dalla sedia e vai a servire i clienti. Non lo vedi che sono occupato con degli ospiti speciali?».

    Gigi inveisce contro la sua assistente, una ragazza piccola, scialba e noiosa. Talmente noiosa e scontrosa che quando i clienti la vedono arrivare cominciano ad agitarsi e a fare frettolosamente i loro acquisti. Con lei presente vogliono andarsene al più presto.

    «Come state ragazzi?», esclama sornione Gigi.

    «Tutto ok, Gi. Io e Damy siamo usciti a fare un giro e abbiamo pensato di venirti a trovare. Più lui che io comunque», risponde divertito Peter. Con il dito indica il fratello.

    Damien si è rimesso le dita in bocca, in attesa del gustoso gelato che sa arriverà a breve.

    «Ma certo, certo. Mi piace quando venite a trovarmi. Per festeggiare la visita sai cosa faccio? Vi offro due grandi, enormi, invitanti gelati. Vi piace l'idea?».

    Si gira fulmineo verso Marta.

    «Oh Marta! Preparami SUBITO due mega cialde con i gusti fragomalto, blupesca e aranciaviva».

    Poi si rivolge ai ragazzi.

    «Sono i miei nuovi gusti. Creati personalmente dal sottoscritto e sono a dir poco deliziosi», dice Gigi mentre strizza l'occhio a Peter. Non contento rivolge ancora la sua attenzione alla ragazza.

    «Mi raccomando Marta, non dimenticare la panna. Usa quella fresca capito? E mettici sopra anche il biscotto. Quello al cioccolato-limone-menta. E visto che ci sei metti pure le ciliegie».

    Tace per qualche istante ma poi riprende a inveire contro l'insipida ragazza.

    «Vedi di farli bene. Non le tue solite schifezze. Muoviti, dai!». Soddisfatto si dedica completamente ai ragazzi invitandoli a sedersi sulle sedie fuori dal locale incurante di Marta che lo guarda come un lupo famelico che punta la preda prima di saltarle alla gola.

    Damien, trepidante, aspetta impaziente il suo gelato.

    «Grazie Gigi. Ecco i soldi», gli dice Peter mentre mette la mano in tasca per prendere le monete.

    Il gelataio lo blocca contrariato. «Offre il tuo amico Gigi».

    «Mah...», ribatte Peter.

    «Niente ma. Voi siete due ragazzi speciali e meritate le cose più belle di questo mondo. Quando vi guardo vedo in voi vostra madre. Tu sai che siamo cresciuti assieme. Io, lei e tua zia Rosa andavamo a scuola assieme. Frequentavamo gli stessi corsi. Poi dopo ognuno ha scelto la sua strada nel mondo del lavoro ma come puoi vedere ci siamo sempre tenuti tutti in contatto».

    Alza la mano e indica con l'indice il negozio di fiori dall'altra parte della strada che appartiene proprio a Rosa.

    In quel momento la sciatta Marta, visibilmente scocciata, arriva con due enormi coppe di gelato e le posa rozzamente sul tavolo. Gigi la congeda con un brusco gesto della mano e la rispedisce dietro il banco del negozio.

    Damien attacca il gelato come se stesse dando battaglia ad un esercito nemico. Biscotto tra i denti, gelato sulle guance e una spruzzata di blupesca sui pantaloni. Tra un morso e l'altro completa l'opera leccandosi le mani.

    «Damien!», lo rimprovera il fratello. Si avvicina con un set di tovaglioli e lo ripulisce.

    «Sembra gradire il gelato», sorride entusiasta Gigi.

    «In effetti è molto buono. Cosa c'è in questi gusti?», gli domanda Peter.

    «Segreto della casa», risponde misterioso il gelataio mentre si gratta il gran pancione.

    Poi si fa serio e compare una nota di preoccupazione sul suo volto.

    «Tua madre era incredibile. Sempre allegra, raggiante, gioiosa. Non l'ho mai vista arrabbiarsi con qualcuno. Era sempre gentile con tutti, anche con me che ogni tanto ero... ehm... come dire... una testa calda».

    «Si lo so. Poi è successo...».

    Peter lascia la frase in sospeso. Un velo di tristezza negli occhi. Lancia un'occhiata al fratello ancora in lotta con il gelato che sembra non li stia ascoltando. Non vuole parlare della madre davanti a lui.

    «...che è scomparsa», finisce di malavoglia la frase uno sconfortato Gigi. «All'improvviso la cara Margaret è scomparsa. Sparita nel nulla. Io e gli abitanti della città ci siamo messi a cercarla nei boschi e nelle valli che circondano RoccaBianca. Abbiamo guardato dentro ogni caverna, ogni buco, ogni anfratto che potesse nascondere una persona. Ma niente. Di lei nessuna traccia».

    «Tu pensi che ci abbia abbandonato?».

    «No ragazzo mio. Assolutamente no», risponde Gigi mentre gli mette un braccio intorno al collo.

    «Margaret vi voleva un mondo di bene. Ricordo che era felicissima quando i medici gli hanno detto che da lì a breve saresti arrivato tu. Continuava ad accarezzarsi la pancia in attesa di poterti conoscere, di poterti toccare. Ero in sala d'attesa con tuo padre in ansia per il tuo arrivo. Sono stato uno dei primi a vederti, lo sai?».

    Gigi si gira dall'altra parte e una lacrima gli scende sulla guancia. Non vuole commuoversi davanti ai ragazzi.

    «Vedrai che tornerà. Qualsiasi cosa sia successo tornerà. È sempre stata una donna forte e combattiva. Una persona unica. Anche quando ha scoperto la malattia di Damien non si è abbattuta, anzi è stata ancora più contenta di allargare la famiglia con un ragazzo speciale come lui».

    «Hai ragione Gigi, la mamma è una tipa tosta», dice con orgoglio Peter.

    Damien nel frattempo, finito di leccare piatto, dita e tovagliolo si alza e comincia a gironzolare intorno al tavolo sotto lo sguardo vigile del fratello. Gigi lo guarda divertito, contagiato dalla sua giovinezza e dalla sua allegria. Poi la sua attenzione viene catturata dal negozio di fiori. Il viso inizia a incupirsi. Un velo nero gli attraversa il volto.

    Peter se ne accorge e gli chiede il perché di tanta tristezza.

    «Nulla ragazzo nulla». Ma non riesce a stare calmo. Qualcosa lo angoscia. L'agitazione è incontenibile. Ci pensa e ci ripensa ma poi decide di parlare.

    «Si tratta di tua zia Rosa. Ultimamente è molto pallida. Una volta mi ha confidato che non riesce a dormire la notte. Dice che è preda di terribili incubi». Un ragazzino corre davanti la gelateria a perdifiato mentre la madre lo rincorre disperata. Dopo lunghi giorni cupi e piovosi la giornata di sole ha risvegliato la voglia di uscire all'aperto dei più giovani.

    «Secondo me ha solo bisogno di una vacanza. Ha accumulato troppo stress nell'ultimo periodo. Prima la separazione da suo marito, poi la sparizione di sua sorella e adesso questi strani sogni senza significato».

    Peter si fa pensieroso. Sua zia è sempre stata una donna allegra, vivace e spensierata, amante del suo lavoro. Per lei i fiori sono tutto, la gioia stessa di vivere. Non gli sembra possibile che tutto d'un tratto sia diventata tanto infelice. Vuole vederci chiaro.

    «Forse è il caso di andare a trovarla. Io e Damien facciamo un salto da lei. Grazie tante del gelato Gigi».

    Peter si alza dalla sedia e invita Damien a ringraziarlo.

    «...azie Gi...gi».

    Damien mastica le parole più del solito. Ha ancora la lingua impastata dell'ottimo gelato che ha mangiato.

    «Ma figuratevi! Dovere ragazzi. Dovere. Tornate quando volete, mi fa sempre piace veder...».

    CRASSSSHHHHHH!

    Un sonoro rumore di vetri s'infrange sul pavimento della gelateria.

    Gigi si volta e, per quanto la sua mole glielo permetta, corre dentro come un fulmine.

    «MARTAAAA! Possibile che in quella tua piccola testolina sbadata non ci sia un minimo, dico un minimo, un millesimale di cervello? Sempre se di cervello vogliamo parlare quando si parla di te».

    Gigi gesticola come un matto contro la sua dipendente tra lo sbalordimento generale dei clienti.

    Peter prende Damien per mano e insieme si dirigono verso il negozio della zia.

    Il locale, di bell'aspetto, è piuttosto piccolo rispetto alla grande e luminosa gelateria di Gigi, ma molto più colorato. Tantissime varietà di fiori si trovano sia dentro che fuori lungo il marciapiede.

    Rose rosse, orchidee, viole, garofani. Un trionfo di colori che abbaglia Damien fino a renderlo incredibilmente mansueto.

    I colori lo ipnotizzato.

    Ad un certo punto dalla porta esce una ragazza dai capelli lisci, rossi come il papavero, con gli occhi verde scuro e un portamento eretto ed elegante. Emerge dai fiori come una ninfa del bosco.

    È Rosa, la zia dei ragazzi Miele.

    Peter nota subito le grandi occhiaie e l'aria stanca e ciò lo turba molto. Ricorda che quando aveva buttato fuori di casa a calci nel sedere suo Zio (o ex zio!) non aveva mai perso il suo buonumore e, anzi, li aveva invitati a casa tutti e due a mangiare patatine fritte e tante altre schifezze, in una serata incorniciata dai palloncini colorati, dai festoni e da tante caramelle. E poi la musica, tanta musica come quella delle discoteche. E come ballava bene la zia!

    Riusciva a trascinare anche Damien nel salotto adibito a pista da ballo e a farlo ballare con lei.

    Adesso invece sembra l'ombra di se stessa.

    La camicetta viola mette in risalto le sue ossa mentre i pantaloni neri sembrano di una taglia più grande.

    Rosa li vede arrivare e posa subito a terra un vaso di gardenie. «Buongiorno ragazzi, che bello vedervi. Ciao Damy, lupacchiotto mio».

    Gli scocca un affettuoso bacio sulla guancia. Poi si avvicina a Peter e bacia anche lui.

    «Ciao zia. Come te la passi?», esclama Peter, anche se poi ripensandoci capisce che non è stata la migliore frase per esordire.

    Rosa abbassa gli occhi esausta. Tenta di trovare le parole giuste per rispondere.

    «Stanca. Molto stanca», replica sfinita. «Ultimamente ho parecchio lavoro. Preparare i fiori, pulirli, realizzare le composizioni. I clienti sono sempre molto esigenti. Questo sì, quello no, quel colore non mi piace, troppo rosso, troppo giallo, troppo tutto. Purtroppo sono sola nel mio lavoro. Inoltre devo anche fare le consegne. Con il tempo che mi rimane metto in ordine il negozio e vado a letto presto».

    Peter avverte la sua inquietudine e tenta di incoraggiarla con un sorriso.

    «Ma zia tu sei fortissima. Ti ricordi di quando siamo andati a nuotare al lago? Ci dicevi di non allontanarci dalla riva mentre tu nuotavi senza tregua da una parte all'altra, come un tonno».

    Poi si accorge della fesseria appena detta.

    «Ops, forse non ci sono i tonni nel lago vero?».

    «No Peter, non ci sono», risponde debolmente Rosa mentre evoca ricordi che le sembrano lontani anni luce. «Adesso non so più se avrei la forza per farlo. Meglio lasciare l'acqua ai pesci».

    Damien è intento ad annusare una gardenia e a litigare con alcune api per delimitare il controllo del territorio. Rosa lo guarda con tenerezza; vorrebbe tornare agli anni in cui era così spensierata.

    «È un periodo in cui non dormo tanto e mi sveglio spesso in piena notte. Forse tua zia sta diventando vecchia».

    Con la mano si liscia nervosamente i capelli.

    Peter continua a guardare le occhiaie che la zia ha cercato di mascherare sotto uno spesso strato di trucco. I solchi sono spessi. Evidenti. Quella non è vecchiaia, ma sofferenza. E vuole capire perché la zia sta così male.

    «Io e Damien prima siamo stati da Gigi e lui ci ha parlato di te. Era molto preoccupato».

    «Quel chiacchierone. Gli avevo detto di stare zitto. Perché non tiene la bocca occupata con tutto il suo gelato?», ribatte scocciata la zia.

    «Zia dai non fare così. Cosa c'è che ti preoccupa? Per caso riguarda la mamma?».

    L'ultima parola richiama l'attenzione di Damien che guarda entrambi.

    «Io, io. Non so cosa mi sta capitando. Oh Peter!».

    Gli getta le braccia intorno al collo e piange. Le lacrime le scorrono copiose sul viso.

    «Gli incubi Peter, gli incubi. Quei maledettissimi incubi non vogliono andarsene via».

    Rosa, rispetto a Margaret, è sempre stata la più emotiva delle sorelle, nel senso che la sua sensibilità la porta a guardare dentro l'animo delle persone tramite l'interpretazione dei loro sogni.

    In altre parole Rosa è una sensitiva.

    La sua dote è un segreto che è rimasto dentro le mura di casa, conosciuto solo dai suoi famigliari e dagli amici più cari. La città di RoccaBianca non ha certo la mentalità aperta per accettare persone, come lei e Margaret, dotate di poteri fuori dal normale.

    «Forse è meglio se entriamo in casa», dice Rosa ancora scossa. Tira fuori il fazzoletto dalla tasca e si asciuga le lacrime.

    Chiude a chiave il negozio e guida i ragazzi fino ad una scala dietro il bancone che conduce all'appartamento al piano di sopra. L'appartamento è una grande mansarda arredata in modo semplice con un lungo divano colorato con motivi floreali, una cucina piccola e funzionale e un mobile su cui tiene diversi vasi per i fiori. Sulla parete a spiovente una grande finestra illumina l'ambiente e porta la luce anche nella stanza a fianco dove c'è la camera da letto.

    Rosa mette a bollire l'acqua per la tisana mentre i ragazzi si siedono sul divano. Poco dopo si siede anche lei e porge ai ragazzi due tazze fumanti di tisana al sambuco.

    Damien senza tanti preamboli se la porta alle labbra e si scotta.

    Si lamenta e agita ripetutamente la mano vicino la bocca per il dolore.

    Peter lo squadra con aria di biasimo ma la scena fa sorridere la zia.

    «Come tu sai Peter io ho il potere di interpretare i sogni degli altri. Capirli, decifrali, dare delle risposte alle tante domande che mi vengono poste dalle persone».

    Rosa deglutisce e poi riprende.

    «Il sogno può riguardare uno stato fisico o anche emotivo. Magari un desiderio rimasto inappagato. Un'ambizione o una fantasia. Durante il sogno compaiono visioni che non sono altro che momenti vissuti nella nostra vita o desideri futuri».

    Peter fa una strana espressione perché teme di aver perso il filo del discorso mentre Damien è già perso nel suo mondo.

    «Va bene ragazzi, adesso arrivo al punto. I sogni che mi vengono rivelati normalmente fanno parte di fantasie che una qualsiasi persona può desiderare. Ma si tratta di sogni di questa terra, di questo mondo. Capite?».

    Prende la tazza e sorseggia un po' di tisana.

    «Gli incubi che mi perseguitano nell'ultimo periodo sono praticamente assurdi».

    «Che tipo di incubi sono, zia?», chiede Peter.

    Rosa tiene stretta la tazza nelle sue piccole mani e inizia a tremare. Peter la guarda preoccupato perché non ha mai visto la zia così spaventata.

    «Quali sono questi incubi che ti assillano?».

    «Peter io vedo tua madre. Margaret mi chiede aiuto. Tutte le notti».

    Peter fa cadere a terra la sua tisana e scatta in piedi sgomento.

    Ha gli occhi sbarrati e gli tremano le mani. Sei mesi di ricerche infruttuose alla ricerca di sua madre, le notti insonni per la preoccupazione di non rivederla e la disperazione del fratello lo aveva sconvolto. Addirittura si era messo in testa che la madre aveva abbandonato la famiglia per andare a vivere da un'altra parta in un luogo dove non avrebbe più dovuto sopportare una vita fatta di stenti e di privazioni. Un luogo dove avrebbe potuto vivere in una bella casa piena di comodità e non nel misero appartamento in cui era costretta a vivere. Ma soprattutto Peter credeva che la decisione di andarsene era stata causata proprio da Damien.

    Chi mai avrebbe voluto occuparsi di un ragazzino autistico pieno di problemi?

    Si volta e guarda con compassione Damien che gioca con il cuscino del divano. Lo lancia in aria e poi lo riprende. Ride e batte i piedi per terra.

    Peter è consapevole che sarà lui a occuparsi del fratello.

    Fino alla fine dei suoi giorni.

    «Zia ascoltami. La mamma se n'è andata di casa. Ci ha abbandonato. Non vuole più vederci e io non voglio più parlare di lei», dice Peter con le lacrime agli occhi.

    Damien percepisce la tristezza del fratello. Si alza e appoggia la fronte sulla sua spalla. Subito ne riceve una carezza sulla testa.

    «Si è fatto tardi. È arrivato il momento di tornare a casa».

    Va verso la zia e le da un bacio sulla guancia.

    «Tua madre non vi ha abbandonato. Margaret è prigioniera, Peter. Non può tornare a casa perché gli viene impedito. Nel mio incubo compaiono anche strane creature guidate da una forza malvagia. Vorrei aiutarla ma non so come fare».

    Rosa si copre il volto e scoppia ancora in lacrime. Peter gli mette una mano sulla spalla e cerca di confortarla.

    «Dai zia non fare così, ci sarà una soluzione a tutti i tuoi incubi».

    «Questi incubi hanno un fondo di verità. Lo sento. Tua madre è tenuta prigioniera contro la sua volontà dentro una cella. Nell'incubo vedo feroci creature fatte di ghiaccio il cui capo, un essere dal viso crudele e con una corona in testa, interroga Margaret con insistenza. Vuole sapere dove è nascosto un oggetto particolare. Mia sorella però si rifiuta di parlare con lui e la creatura s'infuria e la minaccia di farla marcire in prigione».

    S'interrompe per riprendere fiato e beve un altro po' di tisana che nel frattempo si è raffreddata.

    «Sempre nello stesso incubo compare un ciondolo. Un ciondolo d'oro, sferico, su cui è inciso un sole con al centro un piccolo cerchio rosso».

    Peter subito ricorda dove ha già visto quel simbolo.

    Quello è il simbolo che è inciso nella cornice dello specchio. Il sole con la pietra rossa. Cosa collega il sogno della zia con

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