M'am(m)a non m'ama
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Book preview
M'am(m)a non m'ama - Lidia Di Pasquale
Nardo
PREFAZIONE
Quando, nel ‘68, il mondo conosceva la rivoluzione culturale e dei costumi, forse più importante del Novecento, nelle province dell’Italia più profonda una giovane donna doveva appellarsi a una trasmissione televisiva per provare a mettere a tacere bigotti e malelingue. Campobasso, Italia, a ben pensarci neanche troppo tempo fa. La giovane Maddalena vive una vita che si fa di giorno in giorno più insostenibile. Non basta non aver mai conosciuto suo padre, ed essere figlia di una donna egoista e assente, una donna che fa la vita
. Oltre a dover gestire il complicato rapporto con sua madre, a cui nonostante tutto continua a voler bene, deve anche convivere col peso del pregiudizio insito nella mentalità della gente. In quanto figlia di quella donna, la pubblica morale vuole che sia per forza una poco di buono anche lei; ogni uomo si sente autorizzato a molestarla, mettendole le mani addosso e pretendendo qualcosa in cambio se si trova a farle anche un piccolo favore; ovunque vada è guardata con sospetto, e nonostante lo studio e l’impegno, anche la carriera lavorativa le è preclusa. Decide così di smettere di subire e di raccontare la sua verità.
Se quella del ’68 è una ragazza ancora giovane, ma determinata a far valere le sue ragioni, quella che si racconta ai giorni nostri a una giornalista, dando vita a questa intervista-confessione, è una signora anziana e ammalata, intenzionata a chiudere, una volta per tutte, i conti col passato. Si averte tutta l’urgenza di mettere le cose in chiaro, ripercorrendo lucidamente tutte le tappe della sua esistenza. La Maddalena di oggi è ancora sospesa tra la voglia di perdonare e l’impossibilità di dimenticare; ha un marito che è stato importantissimo per lei, ha dei figli, ma ha ancora l’amaro in bocca e tanta forza d’animo a sostenerla.
Quella Telefonata
Ho incontrato Maddalena (la chiamerò così per tutelare la sua privacy) la prima volta alcuni anni fa.
Lavoravo allora per il mensile Qui Donna. Durante una delle riunioni di redazione un collega propose di realizzare un servizio sulla prostituzione locale; un sottobosco che, per quanto ben nascosto, era stato ed era ancora piuttosto fiorente.
Il titolo era tutto un programma: Lucciole per lanterne.
Il Molise è un fazzoletto di terra e la Campobasso degli anni ’50/’60 ne rappresentava, metaforicamente parlando, un ricamo quasi impercettibile. Così, come succedeva nelle piccole e isolate realtà, tutti conoscevano tutti e tutti la storia di ognuno.
Sapevo che Maddalena aveva una storia molto forte e dolorosa alle spalle; una storia fatta di pregiudizi, che poco aveva in comune con i movimenti socio-culturali del ’68. Eppure lei, Maddalena, era riuscita a scavalcare i confini della malvagia Peyton Place e a incollare tantissimi italiani allo schermo della televisione, semplicemente raccontando la sua storia.
Quando ho contattato Maddalena, la prima volta, non ha avuto un attimo di esitazione nel rendersi disponibile. In lei ho intravisto subito la donna orgogliosa e ostinata che è sempre stata, anche se in quella occasione ho avuto solo un piccolo assaggio di ciò che poi avrei scoperto.
Oggi, con il famoso e non retorico senno del poi, e dopo aver scritto assieme a lei queste pagine, capisco che quel fiume in piena esprimeva, già allora, un bisogno profondo di scotomizzare anni e anni di tormenti e frustrazioni.
Ero a Milano quando mi è arrivata, inaspettata, la telefonata di un collega di Campobasso che mi informava che una certa Maddalena mi stava cercando. Dopo tanti anni…
, ho pensato. La cosa mi ha sorpresa e nello stesso tempo incuriosita.
La ricordavo bene Maddalena, la sua storia mi aveva colpito molto, più di tante altre storie vissute negli anni in cui pensavo di fare il mestiere più bello del mondo: la giornalista.
Insomma, dopo qualche telefonata interlocutoria… il nostro primo appuntamento.
Non abitava più nella casa dove l’avevo incontrata la prima volta, ma in una sobria villetta fuori città circondata dal verde, da tanti gattini e da un cane nero che mi accoglieva sempre scodinzolando, ma con una prudente dose di diffidenza. Quello che ho percepito subito è l’affetto da cui era circondata.
Giuseppe, suo marito, era lì ad aspettarmi sul ciglio della porta. Giuseppe, sempre presente e sempre al suo fianco. Una coppia come ce ne sono poche. Di lui ricordavo la presenza discreta e silenziosa… e con la sua abituale gentilezza mi ha invitata a entrare in casa. In fondo alla stanza c’era lei: Maddalena.
Facendomi strada nel soggiorno ho notato subito che qualcosa era cambiato dall’ultima volta che ci eravamo incontrate: le rughe sul viso e la lentezza dei movimenti, colpa di una salute che l’aveva abbandonata da un po’ di tempo. Devo dire che vederla così mi ha messo un po’ di tristezza.
Respirava a fatica Maddalena e aveva una flebo attaccata al braccio; al suo fianco un girello a cui appoggiarsi per camminare. Ma i suoi occhi avevano una luce intensa, come allora, e la sua voglia di chiudere i conti con il passato era più forte di quando ci siamo lasciate nel lontano 2000…
Nessun imbarazzo, abbiamo iniziato la nostra conversazione davanti a una tazza calda di thè, preparato amorevolmente da Giuseppe, e diventato poi un vezzo essenziale durante i nostri incontri.
Unico momento d’impaccio che mi diverte raccontare è stato dopo la mia richiesta di darci del tu. Ecco, in quell’attimo, e solo in quello, ho visto Maddalena andare in crisi. Infatti, per tutto il tempo, e ancora oggi, ha continuato ad alternare il tu
al voi
!
Mi è bastato darle il la
perché si trasformasse in uno tsunami di parole che ha travolto al suo passaggio tutti i margini e i confini che lei, faticosamente, aveva alzato per difendersi e difendere la sua famiglia.
*****
Credo sia doveroso sottolineare che non ho nessun merito in questa vicenda, se non quello di avere ascoltato in religioso silenzio (tra un pianto e qualche rara risata) la storia di Maddalena e di aver dato voce alla sua atavica disperazione attraverso la mia penna.
Nella testimonianza che segue, Maddalena parla in prima persona, perché le sue parole e le espressioni da lei utilizzate, a volte molto crude, arrivino dritte al cuore delle persone, così come la sua voce ha scosso tutti i miei sensi.
Maddalena e Giovanni (I Nonni)
La mia memoria risale a quando avevo 4 anni.
Inizia così a raccontare la sua storia Maddalena, dalle origini, con lo sguardo rivolto verso il basso, in un punto immaginario da cui tenta di tirar fuori i suoi più reconditi pensieri e sentimenti.
Prima di questo periodo ho pochi ricordi. So che dalla mia nascita ho vissuto con la nonna Maddalena, mentre nonno Giovanni è morto prima che io venissi al mondo.
Il cognome di mio nonno, in realtà, non era il suo vero cognome. Fu trovato avvolto in un panno di lino davanti casa di una famiglia di Casalciprano. Lui non ha mai saputo chi fosse la sua vera madre, l’ho scoperto io, dopo tanti anni, attraverso una ricerca fatta presso l’archivio di stato di Campobasso, grazie anche a un amico che lavorava lì.
Dalla ricostruzione fatta attraverso le carte, sembrerebbe che nonno Giovanni fosse figlio di una ragazza di 16 anni, appartenente a una famiglia benestante di Casalciprano, e di un soldato inglese.
Durante la guerra succedeva spesso che i soldati stranieri (ma non solo) frequentassero le ragazze del luogo dove sostavano per un po’ di tempo. Purtroppo, molte di queste ragazze venivano abbandonate e i