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Nel mondo della musica. Vol.3 - Tomo III. Opera e musica strumentale tra Sei e Settecento
Nel mondo della musica. Vol.3 - Tomo III. Opera e musica strumentale tra Sei e Settecento
Nel mondo della musica. Vol.3 - Tomo III. Opera e musica strumentale tra Sei e Settecento
Ebook365 pages4 hours

Nel mondo della musica. Vol.3 - Tomo III. Opera e musica strumentale tra Sei e Settecento

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About this ebook

Tra Seicento e Settecento la musica occidentale raggiunge esiti straordinari, fissando forme e regole che costituiscono il linguaggio tonale, un linguaggio musicale che avrà lunga vita, e che tutt’oggi mantiene ancora buona parte della sua efficacia. Per questo motivo la produzione di quei secoli può sovente venir utilizzata in versioni rock o simili che incontrano facilmente il gradimento del pubblico (dalla celebre Toccata e fuga in re minore BWV565 di J. S. Bach al Canone in Re maggiore di J. Pachelbel, passando dai concerti di A. Vivaldi e di molti altri compositori settecenteschi).

Per lo stesso motivo non sarà infrequente, fra i titoli e gli autori citati, scoprire prodotti che sorprendono per quanto siano facilmente ascoltabili, e con un certo piacere.

Anche l’opera in musica, nata nel Seicento, è destinata fin da subito ad un radioso futuro, ed ancor oggi gli amanti del genere sono moltissimi.

Il libro percorre questi due secoli seguendo autori ed opere nel loro contesto storico, e nello stesso tempo analizzandone le caratteristiche musicali: può essere quindi una lettura narrativa e storica, ma anche una più attenta disamina del linguaggio e dei prodotti dell’arte musicale.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateJan 11, 2019
ISBN9788827867440
Nel mondo della musica. Vol.3 - Tomo III. Opera e musica strumentale tra Sei e Settecento

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    Nel mondo della musica. Vol.3 - Tomo III. Opera e musica strumentale tra Sei e Settecento - Emiliano Buggio

    Sommario

    Premessa

    Il testo

    Appendici, spartiti e materiale online

    Come fare storia della musica

    Il terzo Tomo

    Capitolo XI

    L’opera in musica nel Seicento

    Precedenti e presupposti

    Le sacre rappresentazioni

    Tragedie, commedie, favole pastorali ed intermedi

    A Firenze

    La camerata fiorentina. Recuperi filologici.

    Ferrara e Venezia

    Monodia e basso continuo

    L’anno milleseicento

    Testo e musica

    Aria e recitativo

    Opera da Principi

    A Roma

    A Venezia: l’impresario

    La struttura economica

    Monteverdi a Venezia

    Ancora sulle convenzioni

    Francesco Cavalli

    La Didone di Cavalli

    L’opera si diffonde nella penisola

    La diffusione oltralpe

    La tragédie lyrique

    Appendice al Capitolo XII

    Strumenti musicali e musica strumentale

    Studio e classificazione degli strumenti

    Nella notte dei tempi

    Le antiche civiltà

    Altrove

    L’Europa prima dell’anno Mille

    Gli strumenti dopo il Mille

    Il Rinascimento

    La musica strumentale e il suo ambiente

    Trattati

    La musica

    Le prime intavolature

    In Italia. Ricercare e canzone

    La musica per organo in Italia

    Musica per complesso strumentale

    Capitolo XII

    Musica, teoria, prassi nel Seicento

    Il contrappunto e la teoria musicale. Il Rinascimento

    Antichi e moderni

    Bologna: Pareja, Burzio, Spataro

    Gioseffo Zarlino

    Il Seicento

    La didattica

    La musica della chiesa cattolica

    Girolamo Frescobaldi

    La Messa della Domenica

    I due libri di Toccate

    L’oratorio in lingua volgare

    L’oratorio in latino

    Una questione di parole: barocco e concerto.

    Capitolo XIII

    All’alba del Settecento. Il Concerto

    La rivoluzione scientifica

    Tentazioni mistiche e studi scientifici

    Il sistema temperato

    Il concerto e il pubblico

    Verso il concerto grosso

    La Sinfonia avanti l’opera

    Il violino

    Il Concerto grosso

    Arcangelo Corelli

    Opera VI: i Concerti grossi

    Oltre a Corelli: forme e autori

    Antono Vivaldi

    Il mercato editoriale

    L’Estro armonico op. III

    Il Concerto in re minore, RV565

    La forma con ritornello

    L’orchestra

    Capitolo XIV

    L’opera da riformare

    Il funzionamento del teatro

    L’aria

    Le altre parti musicali

    Cantanti, belcanto e divismo

    La riforma dei letterati

    Apostolo Zeno

    Reale e verisimile

    Alessandro Scarlatti

    I melodrammi

    Metastasio

    La vita

    I drammi per musica

    A Napoli

    L’opera seria

    Pergolesi

    Capitolo XV

    Händel e Bach

    Händel

    A Londra

    Oratori

    Altre composizioni

    Johann Sebastian Bach

    Musica vocale

    La produzione per strumenti a tastiera

    I concerti e la musica cameristica di Bach

    Le opere speculative

    La produzione per strumenti a tastiera

    Le scuole cembalo-organistiche tedesche

    In Francia

    Invenzione e riciclo

    Appendice al capitolo XV

    Armonia e polifonia

    Il preludio e fuga in do maggiore BWV 547

    Il soggetto inverso

    La Triosonata in do minore, n. 2, BWV 526

    Emiliano Buggio

    Nel mondo

    della musica

    Volume 3 – Tomo III

    Opera e musica strumentale tra Sei e Settecento

    Premessa

    Il testo

    Questo è il III volume, e dal momento che è un terzo volume, ci sono due volumi che lo precedono.

    Ma potrebbe aver senso leggerlo senza aver mai visto quei primi due volumi.

    I primi due volumi hanno l’obiettivo di porre le basi cognitive e metodologiche, quasi fossero una sorta di grammatica del linguaggio musicale storico: con il terzo volume inizia il vero racconto della storia della musica. 

    La materia è costitutivamente multidisciplinare. Ma chi scrive intende la multidisciplinarietà non come una serie di finestre da aprire, temporaneamente, sul campo di una disciplina più o meno affine. Né come la pretesa, di volta in volta, di fare brevi sunti di quanto gli studenti affrontano in altre materie.

    Si è preferito parlare di storia della musica, e quando necessario, non interrompere il discorso per una digressione, un collegamento ad altra materia, aprendo una finestra all’interno di quanto si stava trattando. Studiando la musica del Trecento in Italia, si darà per scontato che in Italiano sia stato affrontato Dante; che gli studenti conoscano la Divina Commedia; che abbiano letto almeno qualche novella di Boccaccio. Non sarà certo necessario riempire una pagina con un più o meno approssimativo riassunto di quanto han fatto, e meglio, con il docente di italiano: si faranno richiami, più estesi quando necessario ai fini degli argomenti musicali.

    Allo stesso modo, nel trattare Sant’Agostino, non si pretende certo di chiarire il pensiero del grande filosofo cristiano: ci si concentra sulle questioni musicali (in genere tralasciate dai manuali di filosofia), mentre per tutto il resto si farà riferimento alle lezioni di Filosofia.

    In sintesi, per multidisciplinarietà si intende, qui, l’apporto delle diverse discipline ad uno specifico  argomento, e non il richiamo, attraverso schede ed approfondimenti, ad argomenti studiati, o che si studieranno, in altre discipline.

    Lo stesso cinema non è mai un pretesto per riempire una pagina con regista, interpreti e trama di un qualche film che in svariati modi può avere a che fare con un autore trattato; la produzione cinematografica (cui è dedicato un capitolo intero nel I volume) è intesa come il distillato dello spettacolo del XX secolo, e sfrutta convenzioni che, dal momento che sono ampiamente condivise, rappresentano il nostro modo normale di intendere un racconto. Quindi, eventuali digressioni al riguardo saranno inserite non come escrescenze rispetto a quanto si sta dicendo, e senza far  riferimento ad un particolare film come se rappresentasse una fonte musicale da cui attingere informazioni, bensì ritenendo i meccanismi cinematografici delle strutture narrative e di pensiero, utili per comprendere i meccanismi del fare musicale.   

    In questo modo il discorso può procedere sempre continuo, senza interruzioni. Ed anche questo è un obiettivo del presente testo: un’esposizione organica ed omogenea, non frastagliata in elenchi, schemi e glossari.

    Per quel che riguarda le analisi dei brani musicali, sono semplicemente fondamentali. A volte si limitano ad un generico richiamo alla forma del brano; altre volte si concentrano su dettagli minuti; altre ancora abbracciano parti cospicue. La loro funzione è sempre quella di chiarire quanto si va dicendo della storia della musica.

    Appendici, spartiti e materiale online

    Le Appendici sono e veri e propri capitoli, che ampliano quanto contenuto nei capitoli di cui sono, appunto, appendici. 

    Spartiti, partiture ed immagini indicate nel testo si possono reperire QUI.

    Come già per i volumi I e II, non sono stati allegati spartiti o partiture, né antologie di brani. Questo è un libro di Storia della musica, non una silloge di spartiti. Si preferisce far riferimento o al negozio di musica sotto casa (nella speranza che ci sia), oppure a siti internet che forniscono una quantità di materiale impossibile da eguagliare per qualunque antologia. Ricordiamo almeno il sito http://imslp.org/

    Quasi la totalità dei brani citati è lì reperibile.

    I brani citati sono in buona parte vocali: internet, in questo campo, non ha eguali, e ci limitiamo a suggerire il solito Youtube... Il grande pregio del web è poter avere numerose versioni dello steso brano, con interpreti differenti, strumenti vari, luoghi diversi…

    Come fare storia della musica

    Come in ogni libro che in qualche modo si occupa di storia, chi scrive ha dovuto fare delle scelte.

    Nel nostro caso, si doveva scegliere che tipo di storia raccontare: una coinvolgente narrazione un po’ romanzata, con carrellata delle maggiori personalità della storia della musica (pratica desueta ma non priva di fascino e sicuramente efficace; pensiamo a quanti libri servirebbero per compensare, quanto ad efficacia su giovani discenti, un solo film come Amadeus …) oppure considerare come protagonista principale l’opera (messa in relazione alle opere precedenti, o ai fattori politici, sociali, economici, o alle modalità di composizione e ricezione, ai gusti e valori dominanti), o ancora occuparci più in generale di generi, forme e stili (inquadrandoli in comode periodizzazioni già confezionate in altre discipline); fare riferimento allo spirito di una data epoca, oppure considerare l’opera come oggetto astorico in grado di sopravvivere alle contingenze del periodo che l’ha vista nascere; dar fiducia alla nozione di causa-effetto (e come negarne la validità?); ispirarsi al modello organicista (ogni cosa nasce, ha un’infanzia in cui è imperfetta, primitiva, raggiunge poi la maturità e la perfezione, quindi decade e muore); fare uso di parole come capolavoro, compositore canonico, o rappresentativo, o significativo etc., con il rischio di presumere valori gerarchici, espliciti od impliciti, oppure evitare ogni giudizio di valore…

    Purtroppo, fare delle scelte sembra spesso significare schierarsi.

    La musica la fanno i musicisti, e i musicisti sono uomini, con i vantaggi e (a volte) gli svantaggi che questo può comportare. Quindi nel narrare la storia della musica si narra una storia di uomini, e di questo bisogna tener conto.

    La storia inoltre, ogni storia, la scrivono gli uomini, con i pro e (purtroppo) i contro che questo comporta.

    Trattandosi di un manuale, l’obiettivo sarà quello di avere un discorso scientifico, in senso ampio, sulla storia della musica. Ma chissà per quale ragione, nel dire scientifico vengono in mente anche parole come imparziale ed oggettivo. È però difficile pretendere che chi si sta occupando di una serie di opere musicali possa rimanere imparziale, ed evitare di essere contaminato da tentazioni di giudizio personale: è addirittura incongruo essere asettici trattando di musica, o di arte in generale! Osservare ed analizzare un brano musicale non è come sezionare una rana…

    Anche chi si dedica all’astronomia lo fa per passione, e perché da bambino rimaneva incantato a rimirar le stelle: cresciuto, applica formule e calcoli, algoritmi ed equazioni, ma non viene mai a mancare lo stupore di fronte alla meraviglia del Cosmo. È bello immaginare Pitagora che si emoziona di fronte a due cateti che, al quadrato, si sommano per dare il quadrato dell’ipotenusa! Ma ancor più significativo è che la stessa emozione egli la trasmettesse ai suoi allievi…

    Questo libro è destinato, in particolare, agli studenti del terzo anno del Liceo Musicale Italiano. Sono quindi musicisti che hanno scelto un percorso in cui storia della musica ha un peso significativo. Per questo motivo il percorso scelto è ricco, vario, e sempre accompagnato da riflessioni e commenti, ed anche giudizi, che quando vengono espressi vengono esplicitamente indicati come tali. Intitolare un capitolo Händel e Bach e citare in una sola riga Johannes Ghiselin, è già dare un giudizio, di valore.

    Il terzo Tomo

    Per la versione digitale il terzo volume è stato diviso in tomi. Questo ha permesso di mantenere una dimensione accettabile dei singoli libri.

    Il terzo tomo si occupa:

    Capitolo XI

    L’opera in musica nel Seicento

    Il capitolo può essere diviso in tre parti. La prima è una rapida panoramica su forme e generi che in qualche modo hanno contribuito alla nascita dell’opera in musica: sacre rappresentazioni, laude drammatiche, intermedi, ma anche il canto monodico e il basso continuo.

    La seconda parte si occupa dell’esperienza raffinata e colta di quelle corti che ad inizio del Seicento mettono in scena i prototipi dell’opera musicale.

    La terza parte osserva l’affermazione a Venezia di quella struttura produttiva caratteristica dell’opera italiana, che dal 1637 arriva sino al XXI secolo, e ne elenca le particolarità.

    Il capitolo si chiude con uno sguardo alle esperienze d’oltralpe, laddove il modello italiano ha attecchito in diversi modi. 

    QUI esempi e partiture online

    Nel I volume, capitolo V, abbiamo trattato dell’opera in musica. Abbiamo anche studiato il Don Giovanni di Mozart, Il barbiere di Siviglia di Rossini, il Rigoletto di Verdi, Tristan und Isolde di Wagner, Turandot di Puccini, e qualche estratto dall’Orfeo di Monteverdi. Già questo è indizio di quanto l’opera pesi nella storia della musica.

    L’opera italiana appare nel XVII secolo, e da allora ha conquistato grandi fette del pubblico musicale. Ancora oggi, nel XXI secolo, i cartelloni dei principali teatri sono riempiti ricorrendo ad opere in musica, o opere liriche, o melodrammi. In genere ripescati dai secoli passati.

    Questa forma di spettacolo ha una storia secolare, costellata di riforme, critiche, mutamenti di gusto, capolavori e fiaschi, tentativi di imitazione più o meno riusciti, e prima di studiare come, quando e perché nasce, è bene fare alcune premesse.

    La prima è che si tratta di uno spettacolo complesso: la musica è uno degli elementi che lo costituiscono, ma non è l’unico, e spesso avremo l’impressione che non sia nemmeno quello principale. Se anche i suoi natali son decisamente nobili, e vede la luce in raffinate corti di cui è colto passatempo, dovremo considerarne la forma che si imporrà per secoli, forma in cui la questione economica, il bilancio tra entrate ed uscite, ha un peso imprescindibile. L’impresario deve rendere conto della sua attività, deve rientrare delle spese, e spera in un margine di guadagno, motivo per il quale si è impegnato nell’impresa teatrale.

    Nello stesso tempo è forma artistica di primo piano, e per questo è oggetto di mille attenzioni da parte degli intellettuali, in particolare letterati, sempre pronti a deprecarne ogni atteggiamento troppo commerciale.

    Il pubblico è un elemento dello spettacolo: i suoi soldi, innanzitutto, in quanto motore del meccanismo complesso che ne permette la messinscena. Ma anche i suoi gusti, le sue abitudini, le sue aspettative. Se scopo dell’impresario è riempire le casse, dovrà per forza scendere ad un compromesso con i desideri del pubblico pagante, evitando inutili astruserie e complicazioni, o sperimentazioni avanguardistiche che, lodevoli forse per gli artisti più impegnati e colti, lasciano indifferente lo spettatore medio, o al massimo lo sbigottiscono: e la sera successiva quello spettatore si recherà altrove.

    Già nel I volume abbiamo più volte insistito sui numerosi paralleli possibili tra opera musicale e industria cinematografica. E come allora, non dobbiamo limitarci ad un superficiale confronto notando in entrambi il ruolo di spettacolo di massa. I legami sono ben più profondi e ramificati.

    I soggetti messi in scena sono in entrambi piuttosto codificati: alla fin fine le storie son sempre quelle, il che permette al pubblico di seguire con facilità la trama, e godere delle leggere varianti apportate di volta in volta.

    Di grande importanza sono le scenografie e gli effetti speciali: fanno immediatamente presa sullo spettatore, e sono le impressioni che più facilmente egli ricorda.

    I dialoghi appaiono in genere piuttosto neutri e prevedibili: nel cinema sono le immagini a reclamare una funzione fondamentale, mentre nell’opera è la musica che aspira a quel ruolo.

    Il bilancio di cassa è imprescindibile per entrambe: l’impresario da una parte, la casa di produzione cinematografica dall’altra investono denaro con la pretesa di averne un guadagno, il che comporta tutta una serie di comportamenti volti a limitare, ove possibile, le spese, ed aumentare le entrate.

    Il fenomeno del divismo è caratteristico di tutt’e due i settori, e la composizione di un cast che sia  di richiamo, pur non sforando il budget, è forse una delle voci cui la produzione dedica più attenzione.

    Ne deriva un continuo equilibrio tra l’aspetto economico, commerciale, di bilancio puro, e quello artistico. Nel cinema come nell’opera le pretese culturali sono a volte assai alte: non di rado fra chi ha collaborato compaiono nomi di tutto rispetto in ambito intellettuale. E alcuni prodotti vantano contenuti profondi, d’avanguardia. Un film come 2001: Odissea nello spazio ha risvolti intellettuali che ne fanno spesso oggetto di studio in più settori. Nello stesso tempo il pubblico medio, pur riconoscendone con timorosa devozione il valore, lo evita perché un po’ noioso. È la stessa sorte che a volte, forse di più un tempo che oggi, tocca ai drammoni di Wagner…

    In questo capitolo rimarremo ben ancorati al XVII secolo: ma non potremo dimenticare mai i molteplici aspetti che l’opera italiana porta sempre con sé.

    Precedenti e presupposti

    Vi sono forme di teatro ed esperienze musicali che in molti modi anticipano alcune caratteristiche che saranno proprie dell’opera in musica di tipo italiano.

    Il termine precedenti, se utilizzato in senso ampio, è legittimo per quelle forme che mirano alla messa in scena di vicende e racconti, e che utilizzano in diversi modi la musica. Vi sono composizioni, quali i canti carnascialeschi, le mascherate, i balletti, che tendono ad assumere un atteggiamento di tipo drammatico-narrativo a partire dal loro congenito potenziale mimico e coreografico.

    Ma è lo stesso teatro letterario che si mostra spesso disposto ad accogliere in varie forme l’intervento della musica. Si tratta di tragedie, commedie, favole pastorali, intermedi, sacre rappresentazioni in cui si inseriscono interventi musicali, cantati e suonati, a vario titolo:

    - canzoni, intonate da personaggi o cori, inserite nella trama. Si tratta in genere di divinità, semidei, persone irreali, personaggi particolari per i quali l’apparire sulla scena cantando non appare come cosa del tutto irreale (si pensi ad un Orfeo: il fatto che canti è addirittura naturale);

    - canti o concerti di introduzione o come intermezzo, utili per i cambi di scena e il mutamento delle scenografie; 

    - momenti di canto e suono estranei, inseriti in vario modo. Si tratta degli intermedi, che hanno la funzione di brillanti diversivi fra gli atti dello spettacolo principale.

    Con "presupposti intendiamo invece tecniche musicali necessarie all’opera di tipo italiano: se tutti i dialoghi vanno cantanti; se ogni personaggio/attore/cantante deve avere una immediata identificabilità; se la musica deve assecondare forma e contenuto del testo; se il pubblico preferisce un canto florido e piacevole… tutti questi se" hanno bisogno di tecniche musicali particolari, quali il canto a voce sola con accompagnamento del basso continuo, o l’aria, intesa come forma musicale di tipo strofico, monodica, dalla linea melodica ben definita e riconoscibile. In questo senso opere quali i Concerti di Ludovico Grossi da Viadana e le Nuove Musiche di Giulio Caccini trovano posto fra quei presupposti.

    Sarà forse lapalissiana una riflessione, ma proprio perché scontata sarà bene farla. Tutti gli elementi che considereremo in questa prima parte del capitolo hanno in qualche modo contribuito alla nascita ed all’affermazione dell’opera in musica. Ma la loro esistenza non aveva questo fine: nascono come forme autonome, spinte a loro volta da altre esperienze e diverse considerazioni. Poi i primi autori di drammi musicali ne hanno fatto uso perché ottimi strumenti in vista del loro scopo: mettere in scena una vicenda tutta cantata (e guadagnare denaro da quella messinscena…). Quindi, attenzione ad uno sguardo troppo teleologico: non è mai esente da sviste.

    Le sacre rappresentazioni

    Della pratica di cantar laude durante incontri di preghiera in senso ampio abbiam (brevemente) trattato nel capitolo VI. Spesso quelle riunioni erano promosse dalle Confraternite, associazioni di vario tipo sorte con scopi perlopiù assistenziali. Celeberrima confraternita, che si diffuse in numerose città, fu quella dei Disciplinati, che erano soliti andare in processione cantando e, nel frattempo, flagellandosi per espiare i mali del mondo. Lo spettacolo doveva essere davvero inquietante. Una altrettanto inquietante impressione la potete ricavare dalla celebre sequenza del film Il settimo sigillo di I. Bergman, dove ad uno spettacolo di giullari (e un contemporaneo  adulterio dietro le quinte) fa subito seguito l’arrivo di una processione di penitenti e flagellanti. Cantano la sequenza Dies irae, non una lauda, ma l’effetto è decisamente gotico: d’altro canto il regista in questione pare davvero portato per quel nordico clima da imminente Apocalisse.

    Più che quelle processioni, qui ci interessano alcune particolari rappresentazioni. Si tratta di vere e proprie messinscene, con attori, comparse, e cori che alternano passi recitati ad interventi cantati.

    Il nucleo è la lauda polifonica: trova spazio al di fuori della liturgia, durante incontri organizzati per promuovere un rinnovo spirituale che la stessa Controriforma non farà che sollecitare. E, cosa ancor più importante, i testi sono in lingua volgare, non in latino, il che differenzia queste rappresentazioni anche dai drammi liturgici.

    Vi sono Laudari (raccolte manoscritte di laude) che contengono i copioni di queste rappresentazioni, e se ne trovano in diverse città. I primi provengono da Perugia, poi L’Aquila, Roma stessa (dove Innocenzo VIII nel 1486 ha riunito le varie confraternite nell’arciconfraternita di Santa Maria del Gonfalone), Siena, Firenze, Orvieto.

    Roma è caso certo particolare, ma che può esser esempio per la libera sontuosità con cui a volte queste celebrazioni erano organizzate. Le rappresentazioni canoniche sono la Passione e la Resurrezione di Cristo; luoghi deputati le chiese di San Giovanni in Laterano e di San Pietro, ma anche il Colosseo. Nell’anfiteatro romano veniva costruito un palco su cui erano posti i vari edifizi: il Calvario, il Monte Oliveto, il Sepolcro, il Tempio, il Tribunale di Pilato, ma anche l’Inferno, e sopra il Paradiso, realizzati con pezzi di tela e tavole dipinte. Si faceva uso anche di instrumenta ignifera per la simulazione di scoppi (poi si ricorrerà all’artiglieria fatta venire da Castel Sant’Angelo…). Gesù era posto sulla croce con delle staffe, e attorno venivano posizionati angeli finti. Si ricorreva anche a semplici macchine teatrali per far apparire le nuvole del Paradiso, o per farvi ascendere Gesù risorto.

    A Perugia la Rappresentazione della Creazione del mondo non era da meno, con due palchi sovrapposti (cielo e terra), folle di comparse e trama ricca di eventi. Il termine spettacolo non è fuori luogo per indicare queste messinscene.

    Inizialmente i testi fanno ricorso al verso ottonario ed alla forma della ballata. Si arriva a Firenze, dove nel XVI secolo si afferma definitivamente l’ottava di endecasillabi, forma consueta per la poesia epica e narrativa (è il metro dell’Orlando di Ariosto). E sono i testi stessi, nelle didascalie, a scandire l’alternarsi di parti recitate e di brani da cantare (tutti insieme, col solo coro, o per i solisti).

    Lo scopo di queste rappresentazioni è intuitivo: si mettono in scena episodi tratti dalla Bibbia, rendendoli facilmente fruibili da parte di tutti i fedeli, più o (e soprattutto) meno colti, in una veste di forte impatto su chi vi assiste. L’intervento della musica è sempre utilissimo quando si tratta di creare forme di spettacolo che siano potentemente suggestive (già, il cinema lo sa bene….). In questo modo, attraverso dilettevoli peripezie, eroici personaggi, sorprendenti effetti speciali, meravigliose scenografie, vengono trasmessi i valori religiosi: bontà e giustizia di Dio, il sacrificio di Gesù, la santità di Maria…

    Varrà la pena richiamare almeno quel che disse la monaca Rosvita quando decise di utilizzare il piacevole stile di Terenzio per celebrare con le forze modeste del mio ingegno la lodevole purezza delle sante vergini cristiane. (appendice IV). Ogni mezzo appare lecito se lo scopo è quello di edificare l’animo dei fedeli.

    Tragedie, commedie, favole pastorali ed intermedi

    Parallelamente, anche al di fuori degli ambienti religiosi si organizzano feste, rappresentazioni e messinscene in cui la musica ha un ruolo, a seconda dei casi più o meno ampio. Vediamo almeno qualche esempio, di vario tipo.

    Un caso storico è Orfeo di Angelo Poliziano, in scena a Mantova nel 1471: il musicista Germi mette in musica la canzone di Aristeo, il coro delle Driadi, la preghiera di Orfeo, il coro delle Baccanti. Si tratta pertanto di parti del testo che sono musicate perché lo richiede l’intreccio stesso. Casi simili si hanno per la Rappresentazione di Febo e Pitone (o di Dafne), Mantova, 1486, o per il Paradiso di Bernardo Bellincioni, dato a Milano nel 1489 in occasione del matrimonio tra Galeazzo Sforza e Isabella d’Aragona (sotto la direzione di Leonardo da Vinci).

    L’intervento della musica all’interno delle rappresentazioni (in ampio senso) teatrali è testimoniata molto spesso dalle fonti letterarie che ne riportano, con un frequente tono sbigottito ed esterrefatto, descrizioni mirabolanti, iperboliche, e ci mostrano un pubblico attonito ed affascinato da quelle meraviglie di musica e di macchinari per gli effetti speciali.

    L’altra tendenza, quella degli intermedi musicali, prevede allegoriche messinscene, o commedie in cui intervengono canti e danze ad interrompere

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