Le Cripte dell'Eden
By Rick Jones
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About this ebook
Nel Sud-Est della Turchia, nel luogo in cui si incontravano quatto grandi fiumi, viene scoperto sotto le sabbie del deserto, un magnifico tempio costruito 14,000 fa. Si crede sia stato creato a traverso tecnologie oramai perdute, viene velocemente riconosciuto come il centro di Eden, popolato da una illustre civiltà e culla del genere umano. Ma cosa accadrebbe se si venisse a sapere che Eden non è il Paradiso descritto nei testi? Cosa accadrebbe se nascondesse oscuri segreti e realtà terribili? Mentre l’esperta archeologa Alyssa Moore e la sua squadra di esperti vanno alla scoperta delle vere origini dell’uomo, scoprirà che il segreto giace nelle tombe site nel tempio. Ma il viaggio verso questa verità non sarà tranquillo e senza ostacoli … Qualcosa cammina con loro, nascosto in anfratti oscuri.
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Le Cripte dell'Eden - Rick Jones
LE CRIPTE DELL’EDEN
Rick Jones
ebook-logo© 2012 Rick Jones. Tutti i diritti riservati.
Questo è un lavoro di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi ed eventi son il prodotto dell’immaginazione dell’autore o utilizzati in modo fittizio e non devono essere considerati reali. Ogni somiglianza ad eventi, luoghi, organizzazioni o persone reali, viventi o non, è puramente casuale.
Nessuna delle parti di questo libro può essere riprodotto in qualsiasi maniera senza un consenso scritto, tranne che per brevi citazioni in articoli di critica letteraria o recensioni. Per maggiori informazioni spedite i vostri quesiti alla e-mail: rick@rickjonz.com
Visitate Rick Jones sul sito internet:
www.rickjonz.com
Contenuti
Prologo
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
Capitolo 26
Capitolo 27
Capitolo 28
Capitolo 29
Capitolo 30
Capitolo 31
Capitolo 32
Capitolo 33
Capitolo 34
Capitolo 35
Capitolo 36
Capitolo 37
Capitolo 38
Capitolo 39
Capitolo 40
Epilogo
PROLOGO
Da qualche parte nella Turchia Orientale
––––––––
Il vecchio era euforico dopo aver scoperto il tempio nascosto di Edin.
Tre giorni più tardi, stava scappando per salvarsi la vita.
Con una mano sul cuore che minacciava di esplodergli nel petto, il Professor Jonathan Moore
corse attraverso un cancello rugginoso mentre, con il suo aiutante Montario, fuggiva a gambe
levate da qualcosa dentro ai tunnel.
Di qualsiasi cosa si trattasse, era rimasto sempre ai margini delle zone illuminate, torturando il
professore con brevi e fugaci apparizioni, ma senza mai mostrarsi interamente a lui. Era veloce,
silenzioso, accorto nell’avvicinarsi, aveva catturato ad uno ad uno i membri del gruppo trascinandoli via, nell’oscurità, lasciando solo le loro urla morire man mano che si allontanavano.
Il professore stava perdendo terreno e lo spazio tra lui e Montario, aumentava. Montario, sei troppo veloce!
Montario si bloccò e si girò, puntando la lanterna dietro al professore, verso il velo di tenebre.
In quel momento, un altro avvistamento, una veloce apparizione della bestia, con la sua falda diafana attorno alla testa, come fosse un collare Elisabettiano che vibrava. Dopo un istante, era
svanito, subdolo come un messaggio subliminale, con la coda sinuosa tra i coni di luce, lasciandosi
dietro solo un muro d’oscurità.
E’ dietro di lei, professore!
Lo so!
urlò, col fiato corto. Lo sentivo avvicinarsi man mano che rallentavo!
Montario puntò la luce nella direzione della fuga. Non c’era alcuna luce, da nessuna parte,
nemmeno un lieve bagliore che avrebbe potuto far loro sperare di trovare, lungo il corridoio, una
qualsiasi apertura che consentisse la fuga.
Va avanti,
disse il professore. E’ da qui che siamo entrati.
Ne è sicuro?
Montario iniziò a guardarsi attorno con la lampada. I muri, il soffitto, i pavimenti—erano tutti
uguali, tutti in silice nera, liscia come la superficie di un vetro.
Va avanti,
lo incitò il vecchio, spingendo Montario in avanti.
I corridoi erano un labirinto, ciascuno intersecato o incrociato con l’altro.
Ma il professore non esitò un istante, usando la sua memoria ed il suo intelletto come fossero le
braccia di un compasso, girò un angolo dopo l’altro fino a che non videro una luce brillare alla fine
del lungo corridoio.
Laggiù,
disse il Professo Moore indicando. Ecco l’uscita!
Il professore fece una smorfia, cadde a terra su di un ginocchio, portando una mano al petto.
Montario si chinò e cercò di rimettere in piedi il vecchio, ma fallì. Ci siamo quasi,
gli disse
pacatamente.
Un sussurro arrivò dall’oscurità. Montario alzò la lampada ma non vide niente.
Entrambi sapevano che era lì, in attesa.
Non ci lascerà andar via, vero? Moriremo qui.
Il vecchio strinse i denti aspettando che la dolorosa pressione che aveva in petto,
passasse. Quanti anni hai tu, Montario? Ventiquattro? Venticinque?
L’aiutante lo guardò dubbioso. Ho ventott’anni.
Il vecchio annuì. Lascia che ti dica una cosa,
disse, cercando a fatica di rimettersi in piedi. "Hai
molti anni davanti a te quindi, non dire così." Nel pallore della luce, Montario vide che dalla
camicia sudata del professore, si cominciavano ad intravedere le macchie di Rorschach sul petto, sulla schiena e sotto le braccia. Il suo volto si stava facendo sofferente e grigiastro, come la pancia di un pesce.
Andrà tutto bene,
gli disse Montario a bassa voce. Starà bene.
Il professore finse un sorriso. Lui lo sapeva. Quanto dobbiamo camminare ancora?
Montario puntò la lampada in direzione della luce. Non troppo,
rispose.
Il professore osservò quella distanza e poi, Per me, potrebbe anche esserlo. Ma, non si sa mai.
Mise la sua mano ossuta nel taschino della camicia, prese un piccolo libretto nero e lo tirò fuori, nel
pallore della luce della lampada. Voglio che tu prenda questo,
gli disse, e che lo dia ad Alyssa.
Professore, la prego—
Montario, ti faccio solo rallentare!
Montario alzò lo sguardo ad osservare l’oscurità dietro di lui.
Ma il vecchio attirò nuovamente l’attenzione di Montario battendogli sul petto il suo indice ossuto
. Voglio che tu dia questo ad Alyssa,
ripeté lui agitando il libretto. "E voglio che tu le dica
che l’essere esiste," Spinse il libro nel palmo della mano di Montario, poi gli piegò le dita, così che il suo aiutante comprendesse di averne ora il possesso.
Professore, può darglielo lei stesso.
Cercò di respingere il libretto, ma il professore lo rifiutò.
"Senti, Montario. Io sono vecchio, ed ho vissuto una bella vita. Se non ce la facessi ad uscire
di qui, voglio che tu le dica la verità su Edin, hai capito? Voglio che tu dica ad Alyssa che quel che
abbiamo scoperto qui, è ben lontano dal paradiso biblico che ci hanno fatto credere che avremmo
trovato. Dille che è un luogo lugubre e freddo, che nasconde orribili segreti."
La prego, Professore—
"E dille delle cripte. Dille di seguire il passaggio criptato nel diario come fosse una mappa. La
condurrà alle cripte sotto il tetto del tempio. E dille di prepararsi, gli disse.
Scoprire chi
veramente vi giace all’interno potrebbe portarla a mettere in dubbio la sua fede."
La prego, Professore! Dobbiamo andare adesso!
Il professore si voltò a guardarsi dietro le spalle, ma non vide altro che un velo oscuro, totale ed
assoluto. Sarò dietro di te,
disse lui. Poi afferrò l’aiutante per il gomito e lo avvicinò a se. "Ma se
ti rallento, Montario, allora lasciami qui, hai capito? Lasciamo qui.... Indietro."
Montario annuì.
Sono serio Montario. Fa solo sì che Alyssa riceva questo libretto.
Si mise il libretto nel taschino della camicia, riluttante. Sarà lei stesso a darglielo.
Qualcosa dietro di loro, fece rumore, come il suono di un artiglio che toccava la nera silice del pavimento.
. . . Tic-Tic . . . Tic-Tic . . . Tic-Tic . . .
Qualsiasi cosa fosse, si avvicinava sempre più ai margini della luce—qualcosa di più scuro del
buio.
Storcendo il viso mentre si teneva il petto, il Professor Moore spinse Montario verso la luce alla
fine del corridoio. Muovi il culo e non guardarti indietro!
L’apertura si fece più brillante, ampia, mentre il professore lo conduceva dall’oscurità verso la
luce della speranza.
La piastre di silice nera dei muri brillavano, come anche il pavimento ed il soffitto, una meraviglia
dell’archeologia, secondo gli standard di oggi, considerando che era attribuita ad una
cultura che si riteneva vecchia di quattordicimila anni.
Edin esisteva veramente. E dalle interpretazioni dei geroglifici cuneiformi scoperti nel tempio di
Göbekli Tepe, appartenente ad una civiltà che, al giorno d’oggi, si stima sia vecchia di 12,000
anni; il professore era stato capace di decifrarne una parte in cui ci si riferiva ad "una città
tecnologicamente avanzata a nord" che precedeva Göbekli Tepe di duemila anni. Seguendo le
indicazioni dei cuneiformi, dei testi religiosi e delle antiche scritture, dopo anni di prese in giro da
parte di studiosi che consideravano Edin una città mitologica al pari di Atlantide, il professore finalmente era riuscito a trovare il suo Santo Graal. Le scoperte che aveva fatto in precedenza, da quel momento, non ebbero più alcuna importanza. Ne i tesori, ne i reperti antichi—niente poteva essere paragonato alle cripte contenute all’interno di questo tempio.
Assolutamente niente!
Il vecchio si destò dai suoi pensieri, ritrovandosi ancora una volta ad essere rimasto indietro.
Montario lo aspettò. Ma il professore gli fece gesto di proseguire. "Cosa ti ho detto? Ti ho detto di
non fermarti!"
Il professore continuò a camminare in maniera scomposta, tenendosi il petto. Poi gli cedettero le
gambe, che si piegarono sotto di lui, facendolo cadere in ginocchio. Appoggiò una mano contro al
muro per tentare di tirarsi su, ma fallì.
Montario tornò indietro, andando contro al volere del professore, il vecchio continuava a fargli
gesto d’andarsene, mentre il suo volto si contorceva in una smorfia d’agonia. "Non preoccuparti di
me! disse lui.
Prendi il libretto—" Il vecchio si strinse il petto, digrignò i denti, il suo corpo,
adesso tremava dal dolore. Dai il libretto ad Alyssa e basta.
Montario alzò la lampada di fronte a se ed iniziò a correre verso il professore e lontano dalla luce.
Girati, dannato sciocco!
Avvicinandosi al professore, vide che il vecchio teneva una spalla premuta contro al muro mentre
stava seduto a terra, il volto appeso, l’uomo era esausto.
Alzò la lampada. Profess—
Si zittì.
Ciò che li aveva tormentati fino a quel momento, faceva ora il suo ingresso nel cono luminoso.
Con la testa, entrava ed usciva dai margini della luce, così da testarne l’intensità. Per la prima volta,
erano capaci di dare una buona occhiata al loro predatore. La pelle era spessa e di un colore grigio
peltro, gli occhi giallo oro erano traversati da una striscia verticale nera, come una pupilla, i suoi artigli
erano perfidamente ricurvi e affilati, ovviamente disegnati per strappare e lacerare.
Entrò nel cono di luce, con la testa abbassata, si avvicinò al professore con cautela, tirando fori e
dentro la lingua, saggiando l’aria attorno a lui, il suo olfatto gli diceva che la sua preda era ferita.
Come per pararsi, il Professor Moore alzò la sua mano e bisbigliò, Corri, Montario.
L’aiutante rimase a guardare, paralizzato dal terrore, quella cosa che si avvicinava a loro.
Montario, corri!
Quell’urlo improvviso mise la bestia in agitazione. La sua falda si spalancò di scatto attorno alla
sua testa ed iniziò a vibrare intensamente. Aprì la bocca, una ragnatela di saliva univa la parte
superiore a quella inferiore. Poi si lanciò in avanti, portando via il professore dal cono di luce.
Il vecchio, un momento era lì, ma l’istante dopo, se n’era andato. L’unica cosa che indicava la
presenza in quel posto del professore, erano le sue urla che si affievolivano man mano che la
creatura lo trascinava nell’oscurità.
Mentre Montario ancora cercava di capire cosa fosse successo, alzò la luce puntandola nello
spazio vuoto in cui prima, c’era il professore.
Ora era rimasto l’ultimo del suo gruppo.
Quando realizzò che il professore, era ormai scomparso, Montario andò verso la luce in fondo al
corridoio, sperando che il cuore del vecchio si fermasse prima che la creatura lo portasse in chissà
quale angolo utilizzava per consumare le sue prede.
Con le dita che tracciavano la sagoma del libretto nel suo taschino, iniziò a correre.
Mentre si lanciava nella fessura d’ingresso, venne colpito da un inospitale onda di calore, il sole
era caldo e bianco, poi si voltò a guardare l’apertura di forma amebica dalla quale era uscito, una
apertura verso mortali conseguenze per chiunque vi si fosse avventurato.
Strisciando ventre atterra, si allontanò immediatamente, prima di fermarsi e voltarsi sulla schiena.
Sopra di se, vide degli uccelli volare in tondo contro il blu uniforme del cielo, ed ascoltò il fruscio
del vento, che sembrava sussurrargli all’orecchio.
Poi, ripensò al professore, passando un dito sui bordi del libretto nel suo taschino.
Il libro era sempre al suo posto.
Dopo aver guardato la lampada come fosse un oggetto alieno, la gettò lontano. Rotolò giù dalla
duna del deserto di sabbia e rocce, prima di fermarsi completamente ai suoi piedi. Si alzò, osservò il
duro e brutale deserto, poi si diresse a piedi verso sud.
Si voltava spesso a guardarsi dietro le spalle per controllare che nessuno lo inseguisse, e, constatando che non c’era nessuno, si sentiva sollevato.
CAPITOLO UNO
Göbekli Tepe, Sed-Est Turchia
Quattro Giorni Dopo
––––––––
Alyssa Moore era magra ed atletica, con braccia e gambe forti dopo anni in cui, per lavoro, dava
picconate e sollevava badilate di terra nei siti di scavi archeologici. Aveva capelli neri, occhi a
mandorla e pelle bruna, ereditate dalla madre filippina, le sole cose che aveva ereditato dal padre,
erano le sue ambizioni. All’età di ventisei anni, era già un’archeologa senior dell’Istituto
Archeologico di New York per i Reperti Antichi, l’AIAA, associazione che capitava fosse gestita
dal padre, l’inimitabile Professor John Moore.
Come rappresentante dell AIAA e collaboratrice dell’Istituto Archeologico Tedesco di Istanbul,
stava fotografando in digitale i bassorilievi lungo le colonne dell’antico tempio di Göbekli Tepe,
l’anfiteatro di quella civiltà stimata essere antica di 12,000 anni.
Nel 1995, un archeologo di nome Klaus Schmidt iniziò a scavare un lato della collina che
appariva innaturale nel paesaggio e finì per dissotterrare delle colonne a forma di T che
circondavano venti strutture tondeggianti. La cosa che lo colpì fu che le colonne calcaree erano state
scolpite con strumenti del Neolitico, perlopiù primitive punte in silice. Esami più accurati nel
sito—suggeriti dalle numerose stratificazioni—rivelarono chiaramente vari millenni di attività che
risalivano al periodo Mesolitico, 12,000 anni prima, quindi 8,000 anni prima che i Greci e gli
Egiziani gettassero le basi delle prime civilizzazioni.
Di conseguenza Göbekli Tepe cambiò tutto, diventando la nuova culla dello sviluppo della civiltà.
Alyssa fotografò da ogni angolo il rilievo di una lucertola che usciva da una delle colonne. La
testa era rivolta verso il basso, ed una lunga coda gli si attorcigliava lungo il corpo. Era uno
dei molti ritratti di animali come cinghiali, serpenti, volpi, lucertole e orsi—segno che il paesaggio
intorno a Göbekli Tepe ospitava una fauna del genere qualcosa come dodicimila anni fa.
Quando ebbe finito, seguì la figura della lucertola con le dita. Chissà per quale motivo era la
figura principale di quelle colonne. Era ritratta anche nei pittogrammi e nei cuneiformi sulle pareti
del tempio.
Sig.na Alyssa.
Noah Mainscot era un ex archeologo britannico del Reale Istituto di Archeologia della Gran
Bretagna ed ora, membro anziano dell’AIAA, al suo quindicesimo anno. Era solito essere uomo
di spirito elevato, gioviale premoniva sempre che ‘quel giorno’ avrebbe portato qualcosa di
meraviglioso o che quella ‘scoperta’ avrebbe portato l’AIAA in alto, era sempre la voce della
speranza.
Ma oggi appariva serio.
Sig.na Alyssa, posso parlarle un istante?
Immediatamente lei notò la sua espressione; vide il suo volto depresso invece che solcato dal
l’esplodere del suo sorriso. Per lei, Noha, certamente. Perché? Che succede?
MI conceda di dirle prima che, il Sig. Montario è tornato dalla spedizione.
E sta bene?
Lui si,
le disse lui. E’ disidratato, ecco.
Lei notò il nervosismo nella sua voce. Dov’è?
L’anziano archeologo esitò un istante prima di risponderle, come se cercasse le parole giuste. "Ho
paura ci siano brutte notizie, disse.
Il Sig. Montario vorrebbe parlarle."
A proposito di cosa?
Noha passò da un piede all’atro, visibilmente non a suo agio. Era vecchio come suo padre,
sessantadue anni—un collega che le dava molto appoggio e che era paterno nei suoi confronti almeno quanto suo padre. Era educato e gentile e si atteggiava ad aristocratico, anche se non vi erano tracce di nobiltà nel suo lignaggio.
A quel punto il volto di lei cadde come una maschera di gomma. "Si tratta di mio padre, vero?
Gli è successo qualcosa?"
La prego, Sig.na Alyssa, non posso dirle altro: ma credo si debba preparare,
disse, tirandola a se
per abbracciarla. Ho paura che quelle che sta per sentire, non siano buone notizie.
Lei premette il viso sulla sua spalla e, inalando la dolcezza del suo sudore, iniziò a piangere.
––––––––
Ospedale Universitario di Kahramanmaras Sutcu Imam
Sud-Est Turchia
––––––––
Quando Alyssa arrivò all’ospedale, Montario era già seduto sull’orlo del lettino. Aveva il viso
rosso e bruciacchiato, con la pelle del naso e delle guance piene di bolle e spellature. Le labbra
erano rotte e gonfie, i tagli sulla pelle sembravano causati da un rasoio.
Quando vide Alyssa, cercò di sorridere, ma quando allagò le labbra senti una scossa di dolore, lo
shock improvviso mutò il sorriso in una smorfia di dolore agghiacciante.
Montario.
Alyssa avanzò verso di lui con la mano tesa, perché la prendesse. Come ti senti?
Stanco,
disse lui. Il dottore ha detto che mi rimetterò—ero solo un po’ disidratato. Mi hanno dato della soluzione salina per riprendermi.
Si abbracciarono: poi si allontanarono l’una dall’altra, guardandosi con aria avvilita.
Con un tono di profonda tristezza nella voce, Montario disse, Mi dispiace, Alyssa. Mi dispiace per tuo padre.
Il mento di lei iniziò a tremare. Come...
fu tutto ciò che riuscì a dire.
Montario aveva un’espressione dolorosamente imbarazzata. Come si dice a qualcuno che il padre è caduto vittima di un qualcosa che occupa un posto più alto nella catena alimentare?
Montario, cos’è accaduto a mio padre?
Per un istante, rimase immobile come una statua greca.
Lei l’osservò con attenzione, chiedendosi se era il camice dell’ospedale che era troppo grande e lo faceva sembrare minuto, o se fosse deperito come suggerivano i lineamenti scolpiti del suo volto. Le clavicole sporgenti sulle spalle erano forse la testimonianza del suo corpo divenuto magro ed emaciato a causa di quello che era successo? In qualsiasi caso, Montario sembrava rimpicciolito dall’ultima volta in cui si erano visti, solo qualche giorno prima.
Lui scivolò indietro sul lettino. Tuo padre,
iniziò, "ha trovato quel che pensava essere l’Eden ... ma ha scoperto molto di più.
Si tratta di un posto che non puoi nemmeno immaginare,
le disse. E’ del tutto surreale. All’inizio era tutto a posto. Poi abbiamo iniziato a sentire strani rumori e ticchettii, un ticchettio cadenzato che veniva dall’oscurità. Ogni volta che il ticchettio si fermava e niente accadeva, noi andavamo avanti. E’ andato avanti così fino alla seconda notte. A quel punto eravamo andati molto avanti all’interno del tempio.
Guardò in basso, verso il pavimento, incapace di guardarla negli occhi. Era tardi, così siamo andati tutti a dormire, tranne tuo padre. Era su di giri, come al solito. Così prese una lampada e si addentrò ancora più profondamente finché non trovò quello che lui chiamava la Camera Principale. All’interno scoprì qualcosa di eccezionale.
Del tipo?
Pittogrammi di cripte,
rispose lui. Disse che i pittogrammi rispondevano a ogni domanda sulla vera natura dell’Eden. Disse che era un luogo freddo ed oscuro, assolutamente diverso da quello che descrivono i vari testi religiosi.
L’Eden è stato descritto come metafora, come insegnamento,
gli disse lei. Non era considerato un luogo o una civiltà di rilevanza storica.
Montario andò avanti. La notte in cui tuo padre entrò nella Camera Principale, mi disse che aveva avuto l’impressione di non essere solo. Pensava ci fosse qualcosa lì dentro assieme a lui, qualcosa che lo osservava da vicino.
Di cosa stai parlando?
"C’è questa ... cosa. Non abbiamo mai saputo cosa fosse perché siamo riusciti solo a vederlo di sfuggita. Ma in poche ore, mentre dormivamo, è riuscito a prenderci, una alla volta. All’inizio ha preso quelli lontani dalla fonte di luce che avevamo con noi, trascinandoli nell’ombra. Le loro urla ci hanno svegliati così, ci siamo uniti, tenendoci vicini le lampade. Ma qualsiasi cosa facessimo, continuava a tornare—trascinando via le persone dal cerchio di luce che avevamo creato, portandole in qualche nicchia oscura. Anche ora, riesco a sentire i loro lamenti. La guardò con occhi tristi.
Non credo riuscirò mai a togliermeli dalla testa." Poi chiuse gli occhi, lasciandola immaginare che ancora, li stesse sentendo.
Poi: Quando siamo rimasti soli, tuo padre ed io,
aggiunse, questa, cosa, ha iniziato a tampinarci, palesando la sua presenza col ticchettio delle sue unghie sul pavimento, facendoci sapere che era vicino, che ci stava osservando. Quando tuo padre ed io, finalmente abbiamo trovato l’uscita, quando ci siamo avvicinati, è stato allora che è uscito dall’ombra e l’ha portato via.
Per quanto avesse provato a prepararsi a notizie terribili, i suoi occhi si velarono. Il colpo era troppo doloroso, la verità, una pugnalata al cuore, la sensazione del peso sulle sue spalle era tale che nemmeno Atlas avrebbe potuto sopportarlo. Chiuse gli occhi e cadde tra le braccia di Montario, che la strinse a se.
Mi dispiace, Alyssa. Era un brav’uomo. E sta certa che quando ci ha lasciati, lo ha fatto solo dopo aver trovato quello a cui aveva dedicato la sua intera vita—anche quando nessuno gli credeva. Ha finito per sbugiardare tutti.
Lei si tirò indietro con le lacrime che le rigavano le guancie, provando angoscia ed orgoglio, allo stesso tempo.
Montario, in ogni modo, non le aveva parlato del libretto nero.
Anche se non aveva idea di quale fosse l’esatta posizione dell’Eden, Alyssa aveva fatto delle foto aeree per suo padre, di un’anomalia geografica nel Sud-Est della Turchia. Era un’area arida, un ambiente duro di rocce e sabbia e, uno dei tre luoghi che suo padre considerava essere il sito dell’Eden, dopo aver seguito le indicazioni dei testi religiosi.
Se non troviamo le prove delle sue scoperte,
disse finalmente, sarà morto invano.
Lui la guardò per un lungo tempo, osservando la bellezza del suo viso a tratti diafano. Io non ci torno laggiù, se è a quello che alludi.
Montario, tu amavi mio padre almeno quanto lui amava te. Non possiamo permettere che le sue scoperte vadano perdute senza esaminarle ulteriormente. Lo sai. Niente di quel che mi hai detto ha valore se non lo confermiamo. Altrimenti rimarrà un pettegolezzo su un povero e vecchio uomo che insegue il suo mito. Ora, è possibile tu sia stato in un luogo che può essere o meno l’Eden,
continuò lei, ma io non ho intenzione di distruggere la reputazione di mio padre facendolo sbattere sulla prima pagina di qualche giornalaccio scandalistico. Ho bisogno che mi mostri la strada.
Io non devo mostrarti niente,
disse stizzito. E non usare quel che provavo per tuo padre come arma per convincermi ad affrontare un viaggio che non ho intenzione di fare. Io lì ci sono stato, Alyssa. So quanto può essere pericoloso.
Mio pare non era pronto ad affrontare pericoli,
rispose lei. Ma noi lo saremo.
Non esiste preparazione a quello,
gli disse. Tuo padre, che riposi in pace, non mi perdonerebbe mai se ti mettessi in qualche pericolo.
E’ lì che ti sbagli,
dichiarò enfaticamente. A volte, nella ricerca dell’evidenza dei fatti, qualche rischio va pur preso. Lo diceva sempre, Montario. Lo sai bene.
"A volte, enfatizzò lui.
L’hai detto tu stessa. A volte qui è la chiave. Non ha detto sempre. Non ha detto tutte le volte. Ha detto a volte. Quel che voglio dire è che ci sono posti che non andrebbero mai scoperti. E poi, dopo una breve pausa:
E l’Eden è uno di questi posti."
Ti prego, Montario.
Non esiste motivo al mondo che mi riporti lì,
le disse lui. Non esiste.
Poteva vedere il fastidio sul suo volto, la vena ad Y le pulsava sulla fronte, cosa che accadeva sempre quand’era frustrata.
Allora dammi le coordinate.
Lui si rifiutò.
"Montario, ti prego, ti scongiuro.