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R'acconti di r'esistenze
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R'acconti di r'esistenze
Ebook105 pages1 hour

R'acconti di r'esistenze

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About this ebook

Questi racconti sono acconti di vite autentiche in credito con la realtà in un presente che è già memoria.

Gesti, dialoghi, monologhi, immagini, emozioni, odori e suoni scanditi da un tempo che non esiste, ma che viene coniugato dai personaggi alla voce riesistere.

L'io narrante si scioglie, disseminandosi, e racconta l'amore, il gioco, le scelte, le lotte, la crescita, la morte. Sono vite quotidiane nell'eterno universo di ipocrisia, fatica, solitudine e sogni.

I luoghi si incastrano al logos e recitano il cammino di queste vite che esistono, resistono, si ribellano, emancipandosi.

In definitiva, una pro_vocazione alla libertà.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateDec 24, 2018
ISBN9788827863527
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    R'acconti di r'esistenze - Francesco Giannatiempo

    www.tlaxcala-int.org/francescogiannatiempo

    Lucio una vita sul carrello

    - Oh ziooo! - è il saluto di Lucio ogni volta che incontra un essere animato, sorridendo a mezza bocca e alzando la mano con le dita in segno di rispetto. L’altra mano sempre sul suo petto. Scarno come i lineamenti e come i pochissimi muscoli che lo separano dai vestiti di molte taglie superiori alla sua.

    - Oh ziooo! - è il saluto di Lucio ogni volta che incontra un essere animato, sorridendo a mezza bocca e alzando la mano con le dita in segno di rispetto. L’altra mano sempre sul suo petto. Scarno come i lineamenti e come i pochissimi muscoli che lo separano dai vestiti di molte taglie superiori alla sua.

    Lucio abita un punto imprecisato della città. È un nomade della strada. Lo vedi pilotare un carrello della spesa con dignità, fierezza e attenzione. Segue il senso di marcia delle automobili e, prima di svoltare da un marciapiede all’altro, si gira e indica con gli occhi e col braccio la direzione che sta per prendere.

    Dicono che durante l’inverno passi le notti in un androne di un palazzo. Ho sentito dire che partecipa pure alle spese di pulizia del condominio. Infatti, l’unica volta che l’ho visto arrabbiato mi ha raccontato che una signora era entrata nel supermercato e con un fare da aristocratica e schiavista gli ha intimato di pulire il marmo all’ingresso.

    Era davvero incazzato Lucio. E mi ha chiesto una sigaretta.

    Lucio accompagna le signore avanti negli anni nel tragitto che separa il supermercato e l’auto. Oppure, si spinge fino a casa loro. Puoi sentire le rotelle del carrello in giro per il quartiere. Quanti chilometri al giorno fa Lucio. Eppure, ha sempre un sorriso per tutti. Incluso il gatto che, verso sera, si aggomitola sul cofano o sul tettuccio di una macchina e si gode lo spettacolo dell’andirivieni del consumo.

    Il gatto è grande e ha strie bianche e fulve. Uno dei più sornioni che abbia mai visto: non reagisce a niente. L’unico movimento che gli ho visto fare è stata la reazione al saluto di Lucio.

    Il gatto abita di fronte al supermercato. Pare sia molto abitudinario. E, di certo, deve godere di uno stile di vita molto apprezzabile, visto che non ha mai ceduto alla tentazione di inoltrarsi verso la piazza poco distante e partecipare ai banchetti della gattara della via.

    La gattara è una donna esplosiva. Chissà, magari uno si aspetta una certa sintonia tra chi si occupa di gatti – o felini in genere – e gli animali stessi; forse ci si aspetta di vedere una donna che procede con passo felpato, molto curata e a tratti civettuola.

    O, probabilmente, nell’immaginario comune la gattara è una persona che si lecca le mani e poi se le passa sul viso per ripulirsi dallo smog o dai pensieri. O per scacciare le inquietudini che assalgono ogni persona in questo millennio, dimentiche degli orrori delle guerre contemporanee o di quelle passate.

    No, questa gattara è una donna formosa che saluta tutti con una grande risata. Profonda e stridula allo stesso tempo. Un suono prolungato che, a suo modo, può ammaliare. Gli occhi le scintillano sempre, anche quando è stracarica di buste e contenitori per i suoi amici gatti. La vedi sempre discutere con qualcuno.

    Una volta mi sono attardato nei miei passi e ho cercato di carpire qualche parola di questo dialogo. Ne sono rimasto esterrefatto: teneva un mini-simposio con altre tre persone, una donna e due uomini abbastanza giovani, sul piano regolatore urbano. Sì, stava cercando di manifestare il proprio disappunto a quelle persone, che poi ho riconosciuto essere dei rappresentanti politici locali, sulle nuove varianti al traffico che avrebbero provocato un vero stravolgimento nella comunità felina e, di conseguenza, nella sua organizzazione dei pasti e dell’accudimento di quegli esseri liberi, sebbene dimenticati.

    I gatti liberi si riunivano nella piazza in discesa. E spartivano il loro territorio con i piccioni. I gatti confinati sul lato sud e i piccioni nel centro-nord. Almeno per chi veniva da quella strada.

    Un’altra volta, avevo preso più confidenza col saluto e abbiamo scambiato due parole al volo, mentre ciarlava amabilmente con una signora col cane al guinzaglio. E, nonostante il precedente di qualche tempo prima, mi sorprese: stavano chiacchierando di letteratura. Non che sia poi così tanto strano sentire qualcuno parlare di letteratura. Ma oggi sono più le persone che camminano chine sui cellulari che quelle che interagiscono. Di letteratura, poi.

    E la sorpresa maggiore è stata quando ho capito il tema: letteratura latino-americana. Mi sono quasi commosso. E ho preferito andare via perché questo senso di leggerezza e di condivisione non svanisse ascoltando i dettagli del discorso. Mi sono privato volontariamente dei loro pensieri, del loro sentire per il timore di incappare in una sbavatura: era tutto così perfettamente disegnato quella sera d’estate afosissima, sul bordo di un marciapiede mentre il sole iniziava il tramonto. Eravamo ovattati dal giallo che tendeva al rosso; l’afa impediva pensieri nitidi; i vestiti erano incollati addosso; il cane della signora aveva appena pisciato sulla ruota di un’auto in sosta e annusava le buste della gattara; il guinzaglio molle, quasi inesistente, la signora che si sventolava con la parte inferiore del vestito lungo e largo; la città era stanca. E la gattara parlava di letteratura latino-americana.

    La signora col cane la incontravo molto più spesso. Era come se ci fossimo dati un involontario appuntamento preciso: la incrociavo esattamente quando il suo cane usciva dal portone di casa e disegnava una sinusoide di urina sul muro bucciardato. Se si prova a passare di giorno, si può notare quel disegno. Praticamente, a forza di rinnovarlo, è diventato indelebile. Una traccia. Una memoria visiva, oltre che olfattiva. E mi ha sempre stupito la precisione nel rimarcare gli stessi punti. Come se tra l’uscita della mattina e quella preserale, non aspettasse altro che di svoltare a destra del portone, alzare la zampa posteriore e saltellare per qualche metro svuotandosi la vescica. Un vero maniaco della precisione. Inevitabile la firma alla fine della strada. Sempre sul muro. E stavolta col culo.

    In quel punto, a essere sinceri, non ho mai incontrato Lucio. Eppure per andare dal supermercato alla piazza, l’unica via meno trafficata è proprio quella, visto che la parallela è un lungo corso con marciapiedi scalcagnati tanto che, quando ci cammini dopo giorni che è piovuto, alcune mattonelle in cemento sgusciano via e t’impantani tutto.

    Un giorno gliel’ho chiesto che strada faceva per arrivare alla piazza.

    - Ciao ziooo!

    - Ciao Lucio! Pace e rispetto fratello! - gli faccio.

    - Pace e rispetto a te, ziooo! - mi risponde.

    - Senti, una curiosità: ma che strada fai per andare alla piazza?

    Silenzio. Mi guarda sorridendo e accendendosi una sigaretta tirata fuori da

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