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Gli addormentatori di via del Cocomero
Gli addormentatori di via del Cocomero
Gli addormentatori di via del Cocomero
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Gli addormentatori di via del Cocomero

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About this ebook

Una storia quasi “gialla”, ambientata nella Firenze del 1859, a cavallo tra la partenza del Granduca Leopoldo II, familiarmente chiamato Canapone, e il referendum che sancisce l'unificazione al nuovo Regno d'Italia, non può essere banale, e tale infatti non è quella che ci racconta Alberto Pestelli in questo romanzo che ha, come protagonista, il giovane Primo, un “gittatello” abbandonato dalla madre nella Ruota degli Innocenti e cresciuto dalle suore, che nella vita ha due sogni: quello di fare lo “speziale”, ovvero il farmacista, e quello di ritrovare i genitori. Li coronerà entrambi, indagando con l'amico Romualdo, sergente della Guardia Civile, sugli strani casi di rapine e rapimenti avvenuti nel centro della città, tramite lo stordimento delle vittime con un'essenza misteriosa, ma dovrà pagare un prezzo assai alto, che lo sconvolgerà nel profondo...
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateJan 18, 2019
ISBN9788827867334
Gli addormentatori di via del Cocomero

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    Gli addormentatori di via del Cocomero - Alberto Pestelli

    sfondo).

    I

    Valle del Mugnone, martedì 9 giugno 1840

    Nato e abbandonato

    La giovane, praticamente una fanciulla, non aveva ancora diciassette anni quando partorì il suo bambino. Le acque le si ruppero che era appena passata la mezzanotte da qualche minuto. La donna, un’anziana levatrice, che la ospitava da quasi un anno si precipitò a chiamare il fratello che viveva nel vicinissimo convento di Santa Maria Maddalena¹. Nonostante l’età e la sua stazza non trascurabile, percorse di corsa il tratto di strada che separava la sua casa dal luogo di preghiera e di studio senza provar fatica e affanno. Un frate le aveva aperto la porta del convento e, dopo che la donna gli ebbe spiegato il motivo della sua presenza, era andato a svegliare il fratello della partoriente.

    Il giovane studente, che era ospite dell’ordine dei domenicani, si era presentato subito all’uscio.

    «Come sta mia sorella?», le aveva detto mentre, insieme, si stavano avviando in direzione dell’abitazione della donna.

    «Non temete, sta benone. È tranquilla! Piuttosto... voi mi sembrate agitato.»

    «Mi sembra normale... non avrà chiamato altre persone, vero?», le disse cambiando discorso per celare il suo nervosismo. La donna scosse la testa senza parlare.

    La levatrice, il cui nome era Giulia, aveva mantenuto la parola: nella stanza c’erano solo loro due, oltre la partoriente. Per motivi di riservatezza e di onorabilità nessun altro fu chiamato. Nemmeno un medico per ogni eventualità.

    L’anziana ne aveva messi tanti al mondo che sapeva benissimo che cosa fare in caso di bisogno. Andava così fiera del suo primato. Tra tutti i bimbi che aveva fatto nascere in trent’anni di onorata carriera, ne aveva perduti solo una ventina al momento della nascita. Per non parlare delle partorienti: si contavano sulle dita di una sola mano le donne morte di parto. E dire che Giulia sapeva appena leggere e scrivere...

    Avendo ospitato la giovane per molti mesi, la levatrice aveva potuto seguire la sua gravidanza giorno dopo giorno accudendola e curandola se si presentava l’occasione di sottoporla ad una cura particolare. Sin dall’inizio, Giulia aveva notato che la ragazzina era forte e sanissima. È una macchina sforna figli... aveva detto un giorno al fratello per tenerlo sereno.

    «Supererà senza problemi la prova del parto. E con lei anche il bambino...», aveva aggiunto.

    «O la bambina...»

    «Sì, certo... ma io credo che sia un maschietto. Io vedo certi segni caratteristici...»

    «Quali segni?»

    «Oh... sapete quanti ce ne stanno di questi segni? Tanti che sinceramente mi fa un po’ fatica elencarli tutti quanti... ma state tranquillo, è un maschietto!»

    «Bah, se lo dite voi²...»

    Entrarono nella camera della giovane. La trovarono serena, quasi per niente spaventata da quello che sarebbe accaduto.

    «Eccovi, era ora!», esclamò vedendoli avvicinarsi al suo letto.

    «Non sono stata via tanto... dieci minuti, credo. Non ho l’abitudine di contare i passi. Adesso, piccola tira giù le lenzuola e solleva la camicia da notte... Signorino, voltatevi», disse al giovane che divenne rosso osservando sua sorella mezza nuda.

    «Che cosa posso fare?»

    «Sapete far bollire dell’acqua?»

    «Sì, certo.»

    «La mia cucina la conoscete e sapete dove tengo tutto il necessario. Accendete il fuoco e mettete l’acqua in un pentolone grande. C’è anche una tinozza... mi servirà per lavare il nascituro.»

    «Quanto tempo ci vorrà?»

    «Per bollire l’acqua non molto... per vedere la testolina del bambino spuntare fuori c’è da aspettare ancora un bel po’!»

    Dopo un po’ lo studente tornò nella camera. Intuì subito che suo nipote non sarebbe nato di lì a breve. Si mise a sedere vicino alla finestra. Poteva fare ben poco se non pregare ogni dieci minuti e accarezzare, ogni tanto, con lo sguardo, la fanciulla.

    Il giovane, più grande della sorella di qualche anno, aveva solo qualche vaga somiglianza con la ragazza, riscontrabile nelle dimensioni del naso e la fattura della bocca. Per il resto nessuno avrebbe sostenuto che i due erano consanguinei. Lei era delicata nei tratti del volto. Lui era pieno di spigoli. Lei era biondissima e lui moro con una precoce alopecia sulla sommità della testa come se avesse la classica tonsura dei frati. L’unica cosa in comune con i religiosi del giovane studente, tuttavia, era una grande fede che rasentava, a volte, il bigottismo.

    Dopo essere rimasto seduto per un paio di ore, si alzò un attimo e si accostò alla sorella. Le baciò la fronte.

    «Vedrai... tutto andrà per il verso giusto. Sei in buone mani. Giulia sa il fatto suo.»

    «Se lo ripetete ancora vi tiro un moccolo³... – disse l’anziana levatrice facendo un gesto scaramantico – Non l’abbiate a male, ma è meglio che stiate in silenzio. Devo concentrarmi... credo che tra pochino inizierà la parte più complicata. Certo, so quel che devo fare, ma non voglio sbagliare proprio adesso. Piuttosto, tornate a controllare l’acqua sul fuoco... a forza di bollire sarà scemata di livello. Va aggiunta altra acqua. Quando bollirà nuovamente la verserete nel grande catino. Rimettete altra acqua a bollire.»

    «Va bene... vado!», rispose il fratello della partoriente facendosi il segno della croce.

    «Controllate che l’acqua del catino non sia bollente quando vi chiederò di portarlo nella stanza. Altrimenti il bambino si lessa...»

    «Ho inteso, ho inteso... controllerò la sua temperatura ogni tanto usando il gomito», le rispose il giovane tirandosi su le maniche della camicia. Uscì dalla stanza intonando un Ave Maria a voce alta.

    «E tu bambina mia, stai serena...»

    «Grazie, Giulia. Mio fratello a volte è troppo pesante. Da quando è ospite dei domenicani..., beh, meglio non aggiungere altro. Se non altro non mi ha scomunicata per quel che ho fatto. In fondo, anche se è diventato un bacchettone, è un bravo ragazzo. Solo per il fatto che ha tenuto nascosto il mio stato ai nostri genitori meriterebbe un monumento...»

    «So che si accontenterebbe di un cero alla Vergine.» La fanciulla annuì senza parlare.

    Suo fratello era stato davvero molto paziente con lei. L’aveva accudita quando i genitori erano partiti per Vienna al seguito di un importante funzionario del Granducato di Toscana. Essendo il padre il segretario particolare dell’alto funzionario, non poteva rifiutarsi di accompagnarlo nella capitale del più importante impero del vecchio continente. Un impegno di un anno e poco più che li avrebbe tenuti lontani dai due figli più grandi. Con sé avevano portato due bambini di otto e sei anni. Troppo piccoli per essere affidati ai due figli maggiori.

    La giovane si era trasferita in casa di Giulia, una lontana parente del padre che abitava a due passi dal convento di Santa Maria Maddalena in una località chiamata Caldine⁴ non distante da Fiesole. Suo fratello stava per finire i suoi studi umanistici e presto avrebbe iniziato lo studio delle erbe medicinali. Aveva scelto di stare in quel convento per trovare la giusta concentrazione e soprattutto quiete.

    La giovane era libera, o quasi, di far quel che voleva, sempre sotto la stretta sorveglianza di qualche contadinella dei paraggi. Contadine che avevano figli e figlie della sua stessa età. Fece velocemente amicizia con loro. Fu lì che conobbe Filippo, un ragazzotto di due anni più vecchio di lei che la sapeva lunga in fatto di donne. Se ne innamorò a tal punto che non seppe resistere e successe quel che successe.

    Fu proprio la vecchia Giulia ad accorgersi, dopo qualche tempo, che c’era qualcosa di strano nella giovane. La sottopose ad un interrogatorio e controllò se la sua virtù era intatta. Così non fu!

    «Da quanto non hai le mestruazioni?»

    «Da un bel po’!»

    «Cara mia, tu aspetti un bambino... dovrò dirlo a tuo fratello che ti piaccia o no. Sei sotto la sua responsabilità...»

    Inizialmente il giovane si era arrabbiato non poco. Fu tentato anche di darle uno schiaffo. Ma trattenne la sua mano che si era alzata. Il suo sguardo si era addolcito e aveva abbracciato la sorellina.

    «Dovremo trovare una soluzione...», le aveva detto.

    «E quale soluzione?», aveva chiesto la ragazzina.

    «Non lo so... abbiamo ben nove mesi per pensarci. Però tu, quando si inizierà a notare il pancione, dovrai rimanere in casa. Nessuno deve sapere, al di fuori di te, di me e di Giulia, che tu aspetti un bambino. Pensa se la notizia giungesse a Vienna alla mamma e al babbo... specialmente al babbo!»

    Con il passare del tempo avevano deciso insieme di lasciare il nascituro alla ruota degli Esposti⁵ dello Spedale di piazza di Santissima Annunziata non distante dalla loro abitazione. L’avrebbe portato lui alla ruota per poi tornare al convento di Caldine la notte stessa. Aveva un vecchio calesse e un cavallo che gli avrebbero permesso di non coinvolgere altre persone.

    «L’unico problema – le aveva detto dopo aver preso la decisione – è spiegare perché non sei più vergine. Ma vedrai che risolveremo anche questo. Troverai un buon partito che non starà a guardare tanto per il sottile. Ci penserò io ad occuparmi di questa faccenda secondaria quando saremo di nuovo a Firenze al ritorno da Vienna di babbo e mamma.»

    «Chi si occuperà di mio figlio?», gli aveva chiesto.

    «Le suore dello Spedale ed io... ma non saprà mai di te o di me. A meno che tu, un giorno, decida di farlo! E potresti anche... per il bene del bimbo.»

    «Non lo so. Forse è meglio di no! Non oso pensare a quello che i nostri genitori potrebbero farmi!»

    «Conoscendo nostro padre... va bene! La decisione è presa. Ma con il tempo puoi sempre farti avanti e conoscerlo. Quando potrò ti porterò sue notizie. Sempre detto che tu lo voglia.»

    «Credo che sia troppo presto per dirlo... pensiamo a oggi. Al domani... chissà?»

    II

    Firenze, mercoledì 27 aprile 1859

    Addio, Babbo Leopoldo...

    Primo non era esattamente il suo vero nome, ma la maggior parte dei suoi conoscenti lo chiamava così. Per ironia della sorte Primo era il secondo nome che, per sua sfortuna, non era mai stato registrato nei libri dell’anagrafe e tanto meno nel registro dei battezzati.

    Il giovane era un gittatello⁶. Era stato abbandonato appena nato alla Ruota degli Esposti di Piazza Santissima Annunziata.

    L’abbandono, come testimoniato dalla suora che stava dietro la ruota, era stato effettuato in piena notte, tra il dieci e l’undici giugno del 1840. Il bambino portava in un ripiegamento delle fasce, una lettera. Era stata scritta presumibilmente dalla madre. Aveva vergato due righe spiegando il suo gesto disperato. Il bambino, a cui non era stato dato un nome, era nato all’alba del nove giugno in una catapecchia nel territorio di Fiesole. Non poteva tenere il neonato a causa dell’estrema povertà della famiglia e della sua giovanissima età.

    Preso in custodia dalle suore dello Spedale, dopo poco tempo fu fatto battezzare da Don Massimiano Ferri, il prete che in seguito divenne tutore del bambino. Costui era un omone grande e grosso che intimoriva chiunque lo vedesse per la prima volta ma, quando veniva conosciuto nel modo giusto, ci si rendeva conto di avere davanti una brava persona. Tuttavia ad essere intimoriti dal suo aspetto erano per lo più gli adulti e mai i bambini dello Spedale che gli volevano bene come se fosse stato il loro padre. Aveva un faccione ricoperto da una folta barba brizzolata e in testa una capigliatura di ugual colore da far invidia ad un leone dalla ricca criniera. Aveva un nasone sempre rubizzo – ed era uno che non eccedeva nel bere – che era oggetto dei giochi dei bimbi più piccoli che lo sfregavano come se fosse stato quello del Porcellino⁷ della omonima fontana al Mercato Nuovo di Firenze. Don Massimiano rideva con loro. Scherzava sulle dimensioni del suo naso ma se era un adulto ad additare quella sua caratteristica fuori dal comune, si adirava rispondendo per le rime anche se si trattava di una delle tante suore dello Spedale di cui, a volte, non aveva molta fiducia anche se, alla fine, era costretto al loro volere come nel caso della ricerca del nome per il piccolo che era stato abbandonato una settimana prima.

    Le religiose, dopo una discussione che si era prolungata per giorni, avevano stabilito di chiamarlo Efremio in quanto era nato il giorno in cui ricorre Sant’Efrem il Siro⁸. Don Massimiano, mosso a pietà, vi aggiunse un altro nome.

    «Care sorelle, Efremio non si può sentire... almeno lo aveste chiamato semplicemente Efrem, posso capirlo... – disse il prete che aggiunse sottovoce ad un novizio dei frati domenicani, suo conoscente, senza farsi udire dalle suore –, solo delle teste fasciate potevano pensare ad una cosa del genere!»

    Poi, alzando di nuovo la voce, aveva ribadito: «Ci vuole un altro nome che non attiri gli sberleffi delle persone maligne... e voi sapete che ce ne sono tantissime a giro, specie in questa città. Quindi, per non scontentare voi terremo come nome principale quello che avete scelto. Come secondo nome si chiamerà Primo. San Primo si festeggia come Sant’Efrem il 9 giugno. Primo il Fiesolino... mi pare bello!»

    Tuttavia, Don Massimiano Ferri, nonostante i buoni propositi, si era dimenticato di registrare il secondo nome all’anagrafe per cui il bambino risultava chiamarsi Efremio Innocenti⁹.

    Il fanciullo, che per decenza continueremo a chiamare Primo, crebbe sano e forte grazie alle cure delle balie, agli scappellotti delle suore e ai buoni consigli di Don Massimiano e di Padre Albino Monterchi, quel novizio di cui si è parlato in precedenza, che nel frattempo era diventato un frate del vicino convento dei Domenicani in piazza San Marco. Il frate sembrava più vecchio di quello che era in realtà. Non aveva più un capello in testa a causa di una calvizie precoce che era iniziata sin dall’adolescenza e che con gli anni era cresciuta. Aveva compensato la perdita dei capelli facendosi crescere la barba che teneva incolta e abbastanza lunga. Una volta all’anno la spuntava un poco per evitare i commenti negativi dei confratelli e dei propri parenti. Quando era piccolo, Primo si divertiva a tirare la barbaccia incolta che ricopriva il mento del frate.

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