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L'incanto di Afrodite (L'Esercito degli Dei #4,5): #eymorphia
L'incanto di Afrodite (L'Esercito degli Dei #4,5): #eymorphia
L'incanto di Afrodite (L'Esercito degli Dei #4,5): #eymorphia
Ebook186 pages3 hours

L'incanto di Afrodite (L'Esercito degli Dei #4,5): #eymorphia

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About this ebook

Durante un banchetto, Discordia si insinua tra gli Dèi e Afrodite viene insultata. Per riparare al torto subito, aprirà la caccia all'unica persona al mondo che il Maximo Nikandros aveva giurato di proteggere. 
Un racconto breve disponibile gratuitamente nel gruppo Facebook L'Esercito degli Dèi e su Wattpad.
Il racconto è successivo agli altri romanzi della saga.
#1 La Chiave di Poseidone
#2 I Figli di Apollo
#3 La Maledizione di Persefone
#3,5 La Scommessa di Zeus
#4 l'Ira di Ade
LanguageItaliano
Release dateJan 28, 2019
ISBN9788832502640
L'incanto di Afrodite (L'Esercito degli Dei #4,5): #eymorphia

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    L'incanto di Afrodite (L'Esercito degli Dei #4,5) - Thalia Mars

    Thalia Mars

    L’INCANTO DI AFRODITE

    thaliamarszj@gmail.com

    Thalia Mars Official FanPage (Facebook official page)

    L’Esercito degli Dei (Facebook group)

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti storici, persone e luoghi reali è usato in chiave fittizia. Gli altri nomi, personaggi, località e avvenimenti sono frutto dell’immaginazione dell’autore e qualsiasi rassomiglianza con avvenimenti e luoghi autentici e persone realmente esistenti o esistite è puramente casuale.

    Copyright © 2018 by Thalia Mars

    Al gruppo Facebook L’Esercito degli Dèi:

    grazie per il vostro immenso sostegno e la forza che solo voi sapete darmi.

    PROLOGO

    And the way she looked

    Was way beyond compare

    So how could I dance with another,

    Oh, when I saw her standing there?

    The Beatles  - I saw her standing there

    E il suo aspetto

    Era incomparabile

    Quindi, come avrei potuto ballare con un’altra,

    Oh, quando l’avevo vista stare lì?

    The Beatles  - I saw her standing there

    Dicembre 2030

    La tavolata era lunga e gli Olimpi sedevano uno accanto all’altro, in armonia. In quella grande vallata, nascosta agli occhi degli umani, dove la natura era ancora selvaggia e nessuno avrebbe potuto trovarli, avevano deciso di riunirsi tutti insieme per una festa.

    A capotavola, Zeus, il Re degli Dèi, sorseggiava vino mischiato ad Ambrosia da uno dei calici d’oro. Una tunica bianca gli copriva i fianchi e metà del petto, finendo con un nodo sulla spalla sinistra. Sotto la folta barba ramata, sulla guancia, aveva lo yemma, la voglia a forma di sole che marchiava chiunque avesse sangue divino nelle vene.

    Alla sua sinistra, la sua consorte, la Regina Era, con un gomito posato sul tavolo e l’aria annoiata, mangiava acini d’uva fragola da una ciotola dorata. I capelli biondi erano raccolti di lato, scoprendo il collo pallido. Indossava una veste rossa, morbida, con cinture d’oro che segnavano il suo punto vita. I lineamenti erano delicati, come le sue movenze, ma tutti sapevano di cosa fosse capace la sua ira.

    Alla destra del Sovrano, sedeva Poseidone. Imponente, con la folta barba scura e i capelli lunghi, il Re dei Mari indossava solo una corta tunica attorno ai fianchi, scoprendo il torace ampio e villoso. Rideva per qualcosa che aveva detto Atena l’ingegnosa, seduta accanto a lui. La Dea aveva una veste blu notte, con il petto rinforzato da una sottile armatura. Corti capelli corvini attorno a un viso affilato, proprio come la sua astuzia.

    Muse vestite d’azzurro e d’arancio servivano il cibo e le bevande, per la gioia di Dioniso, che non smetteva di toccarle: il più giovane tra gli Olimpi, con una corona d’alloro tra i capelli castani e lo sguardo annebbiato dalle droghe, sbiascicava le parole, cercando di attirare l’attenzione delle pudiche serve.

    «Perché non le lasci in pace?»

    Chiese Artemide, seduta di fronte a lui. La Dea della Caccia, madre delle Amazzoni, aveva lasciato sciolti i capelli biondi e, nel viso perfetto, traspariva tutta la sua disapprovazione.

    «Non essere petulante, sorellina» intervenne Apollo, il suo gemello, «Lascia che si diverta.»

    Come il Sole che lo rappresentava, il più bello tra gli Dèi era splendente. Indossava un completo di lino bianco, che sagomava la sua figura alta e longilinea. I capelli gli arrivavano alle spalle e gli occhi erano simili all’azzurro del cielo terso.

    «Non c’è bisogno che tu lo difenda sempre» ribatté Artemide, «È ora che cresca.»

    «Tesoro» intervenne Afrodite, sollevando un calice di vino, «Il fatto che tu abbia deciso di restare vergine, non ti dà il diritto di angustiare tutti noi con la tua disapprovazione.»

    Gli altri Dèi risero e Artemide incrociò le braccia, offesa.

    La Dea della Bellezza indossava una veste trasparente, senza alcun pudore. Lunghi capelli biondo cenere le coprivano i seni generosi, incorniciando il viso più bello dell’intero universo. Creata dalla Natura stessa, Afrodite poteva ammaliare ogni essere vivente con un solo broncio delle labbra rosse o un battito di quelle lunghe ciglia voluttuose.

    «Oh, moglie mia» sospirò Efesto, «Magari tu fossi più simile alla vergine Artemide…»

    Bevve un sorso di vino, posando poi il calice sul tavolo. Il Fabbro degli Dèi era talmente brutto che persino Era, la sua stessa madre, non aveva voluto crescerlo. Aveva capelli radi attorno al viso allungato, occhi piccoli e quasi ciechi e un naso deforme: la sua presenza era una nota stonata in quella sinfonia di perfezione.

    «Non capisco, marito mio» sibilò Afrodite, «Cosa vorresti dire?»

    Dioniso rise, sollevando il calice, e rispose prima del Fabbro.

    «Che dovresti smettere di darla via come se non fosse la tua!»

    Gli Dèi risero, ma Ares saltò in piedi, battendo i pugni sul tavolo.

    «Non osare parlarle in questo modo!» tuonò.

    Il Dio della Guerra era a torso nudo e indossava solo il suo trofeo: pantaloni cuciti con la pelle delle sue stesse vittime. Boccoli castano scuro gli ricadevano attorno al viso d’assassino, in cui occhi di un azzurro glaciale sapevano pietrificare anche il più pericoloso tra i nemici.

    Era bellissimo e mortale.

    «Ovvio» sbuffò Efesto, bevendo ancora, «Figurati se il tuo amante non si precipitava a difenderti.»

    Ares volse gli occhi di ghiaccio verso il Fabbro.

    «Se tu non difendi l’onore di tua moglie, qualcuno dovrà pur farlo.»

    Efesto inarcò un sopracciglio.

    «Non ci sarebbe onore da difendere, se tu non l’avessi insidiata, fratello.»

    «Bambini, adesso basta!» intervenne Era, battendo le mani, «Deve essere un’occasione di gioia, non voglio sentirvi discutere per quella bambola senza cervello, okay?»

    «Ehi!» protestò Afrodite, ma Ares si era già seduto, seppur controvoglia. Le muse ripresero a servire il cibo, quando una voce disse:

    «Immagino che Hermes abbia smarrito il mio invito.»

    Dietro le spalle di Zeus, splendida in una lunga veste di seta nera, una donna si avvicinava a passi lenti. Lunghi capelli castano scuro le ricadevano sulle spalle, morbidi e ondulati. Il suo viso era bellissimo, identico a quello del suo gemello, Ares, e trasmetteva la stessa sensazione di pericolo.

    A ogni passo, la gonna danzava attorno alle sue gambe lunghe e snelle. La veste aveva delle appendici rigide sulle spalle, che si ergevano attorno al suo collo con il disegno di una splendida ragnatela.

    Tra i capelli, diamanti neri rilucevano alla luce del sole.

    «Oh, Eris, piccola mia» sorrise Zeus, «Non credevo saresti venuta.»

    «Solo perché non mi avevi invitata, padre» ribatté la Dea della Discordia, avvicinandosi al tavolo. Osservò gli invitati con stizza, prima di alzare le spalle, «Ma non è una novità, so che non amate la mia compagnia.»

    «Chissà come mai» bofonchiò Atena, guadagnando una gomitata di rimprovero da Poseidone.

    «Siedi con noi» la invitò il Re degli Dèi, «Mangia qualcosa.»

    Eris sollevò il mento, scrutando uno per uno i suoi parenti. Ares era il suo gemello e l’unico con cui avesse ancora dei rapporti: amavano le scorribande tra gli umani, scatenare guerre e nutrirsi del caos che ne derivava. Gli altri, invece, erano poco più che meri conoscenti e questo perché nessuno di loro l’aveva mai voluta intorno. Se avessero potuto, gli Olimpi l’avrebbero scaraventata sulla Terra insieme ai mortali ed esiliata per sempre dal loro regno.

    Non invitarla alle loro cene era soltanto la punta dell’iceberg dell’odio che nutrivano nei suoi confronti.

    «Non sono venuta per restare» disse, «Ma per portare un dono agli invitati.»

    Sollevò la mano e lanciò qualcosa sul tavolo.

    Una mela d’oro rotolò fino al centro del piano, fermandosi solo quando batté contro una ciotola piena di frutta.

    Sulla superficie vi era incisa la frase: Alla più bella.

    Atena inarcò le sopracciglia.

    «Davvero?» chiese, ironica, «Di nuovo?»

    Era si appoggiò allo schienale della sedia, ridacchiando.

    «Dopo quello che è successo a Troia, non mi sembra il caso di rimettersi a giocare con quella mela.»

    «Già» convenne Apollo, «Anche perché stavolta non abbiamo un Paride a cui delegare la decisione.»

    «Non siate malfidate» disse Eris, sorridendo, «Il mio è solo un regalo. Non vuole essere nient’altro.»

    Atena scosse la testa e afferrò la mela, sollevandola.

    «Non ci cascheremo di nuovo» le disse, «Se mi imbrogli una volta è colpa tua, ma se mi imbrogli due volte è colpa mia.»

    Lanciò il frutto d’oro verso la Dea della Discordia, che l’afferrò al volo.

    Eris strinse la mela tra le mani e digrignò i denti, infastidita. Era davvero convinta che il suo piano avrebbe funzionato di nuovo.

    «Te l’ho già detto, sorellina» la sfotté Ares, «Non si usa due volte la stessa arma.»

    Gli Dèi risero e il viso di Eris avvampò per la rabbia; detestava essere umiliata in quel modo. Ma fu solo un istante: ritrovò subito il controllo di sé e dispensò uno dei suoi pericolosi sorrisi.

    «Non importa» disse, ben sapendo cosa le sue parole avrebbero scatenato, «Tanto nessuna di voi avrebbe meritato questa mela.»

    Poi, senza aggiungere altro, svanì nel nulla.

    Colpita più di ogni altra da quella frase, Afrodite inarcò le sopracciglia e prese un acino d’uva da una ciotola.

    «Cosa vorrebbe dire?» chiese, portandoselo alle labbra, «Mi pare ovvio che la mela spetti a me, sono la più bella.»

    Artemide sorrise e si allungò sul tavolo, per poter guardare la Dea oltre gli altri.

    «Forse un tempo, mia cara» le disse, gonfiando il petto d’orgoglio, «Ma oggi, tra le mie Amazzoni, ce n’è una molto più bella di te.»

    E non era solo bella: la giovane guerriera che viveva nel suo accampamento, era tra le creature più splendide che avesse mai visto. Per la Dea della Caccia era un vanto avere una gemma tanto preziosa tra le sue fila: seduceva uomini e donne in egual misura, con estrema semplicità, e gli Olimpi erano disposti a concedere ad Artemide molti favori solo per avere il permesso di incontrarla.

    La Dea della Bellezza, però, non trovò quella notizia altrettanto affascinante.

    «Che cosa?»

    «È vero» assicurò Apollo, «È uno splendore, l’ho incontrata io stesso.»

    Dioniso gli diede una gomitata complice.

    «L’hai solo incontrata?» indagò.

    «Beh» rise il Dio del Sole, «Diciamo che l’incontro è stato piuttosto carnale.»

    E mentre gli Dèi chiedevano più notizie riguardo questa misteriosa e bellissima Amazzone, Afrodite si sforzava di mantenere la calma.

    Lei era sempre stata la personificazione della bellezza, come poteva una mortale superarla?

    Era inammissibile che gli Dèi le concedessero di vivere.

    «Anch’io l’ho vista» ammise Poseidone, «Ed è davvero pura meraviglia.»

    «Quindi, ero l’unica a non sapere di lei?» chiese Afrodite, mascherando la stizza dietro un sorriso.

    «Temo di sì» la sfotté Artemide, «Se ogni tanto distogliessi gli occhi dal tuo riflesso, forse ti accorgeresti anche di ciò che accade nel resto del mondo.»

    La Dea della Bellezza strinse i pugni e masticò con veemenza un acino d’uva, fingendo di sorridere.

    «Starò più attenta, d’ora in avanti.»

    EyMORPHIA

    All the lonely people

    Where do they all come from?

    All the lonely people

    Where do they all belong?

    The Beatles – Eleanor Rigby

    Tutte le persone sole

    Da dove vengono?

    Tutte le persone sole

    A quale luogo appartengono?

    The Beatles – Eleanor Rigby

    Capitolo 1 – Aprile 2033

    Non importava quale fosse la stagione, né se fosse in programma una serata particolare: il Drink up era sempre stracolmo di gente.

    Noah aveva pensato che fosse per via dello scarso intrattenimento in una città piccola come San Lorenzo, ma ultimamente aveva ideato una nuova teoria: gli umani andavano sempre dove era più facile ammazzarli.

    Riusciva a immaginarseli, mentre parlavano tra loro per decidere cosa fare.

    Ehi, c’è un locale gestito da Satiri, che di certo sarà pieno di demoni in incognito pronti a stuprarci, divorarci o bere il nostro sangue! Dobbiamo andarci!

    Che stupidi.

    Posò la Redbull sul tavolino, appoggiandosi i gomiti sulle ginocchia: quel divanetto era scomodissimo.

    E comunque, riflettendoci meglio, sarebbe potuto essere vero anche il contrario. Era più probabile che fossero i demoni a frequentare i luoghi affollati dalle loro prede.

    Tuttavia, preferiva convincersi della stupidità degli umani: era più motivato a proteggerli, se li credeva ingenui.

    Quei piccoli, deboli, portatori di caos.

    Spostò lo sguardo sulla folla che ballava, di fronte alla postazione del dj: erano ubriachi, si strusciavano uno sull’altro, in cerca di emozioni.

    Un moto di invidia gli salì dallo stomaco.

    Quegli stolti non sapevano apprezzare l’impagabile normalità delle loro vite. Volevano di più, bramavano il brivido, l’adrenalina… e finivano sempre per farsi ammazzare dal demone di turno.

    Bevve un altro sorso di Redbull.

    Se lui avesse potuto scegliere, se fosse sopravvissuto fino ai sessant’anni per ritirarsi e vivere una vita da umano… beh, avrebbe condotto un’esistenza serena. Niente guerra, niente adrenalina, nessun tipo di sconvolgimento.

    Solo la pace, i suoi amati trenini elettrici e una casa isolata in cui attendere la morte.

    Bevve ancora, scolando quel che

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