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Anarres 1
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Fantascienza - rivista (253 pagine) - Speciale Ursula K. Le Guin - Kim Stanley Robinson - Brian Stableford - Fantascienza classica francese - Primordi della critica in Italia - Utopia e distopia nella sf tedesca - Recensioni

Mentre la fantascienza e in generale il fantastico hanno raggiunto un riconoscimento e pieno diritto di cittadinanza, nella cultura del nostro paese è ancora più grave l’assenza di uno spazio che rivolga in maniera sistematica un’attenzione rigorosa e scientifica al genere. Un vuoto che cerca di riempire Anarres, rivista che si occupa dei generi non mimetici, a partire dall’ambito letterario e ampliando lo spettro di interesse a tutti gli altri media, dando priorità alla fantascienza scritta ma senza limitarsi a essa, e assicurando uno spazio costante al fantastico italiano.
Questo primo numero dedica una sezione monografica a Ursula K. Le Guin, la cui fede laica nell’utopia e nella creazione letteraria di mondi fantastici complessi e articolati, riaffermata attraverso generi e decenni, è un modello insuperato. La traduzione del saggio di Fredric Jameson su Kim Stanley Robinson vuole ulteriormente sottolineare l’interesse (intellettuale e civico) verso l’utopia. Ampio spazio è dedicato a tradizioni nazionali di lingue diverse: questo numero presenta interventi sulla SF statunitense, francese e tedesca. Nel volume sono ospitate recensioni che guardano sia agli interessi presenti, sia a recuperi del passato e di una memoria storica di cui il genere ha senz’altro bisogno.
[Articoli e recensioni di: Vittorio Catani, Massimo Del Pizzo, Alessandro Fambrini, Antonino Fazio, Fulvio Ferrari, Daniela Guardamagna, Salvatore Proietti, Darko Suvin, Igina Tattoni]

Salvatore Proietti insegna Letterature anglo-americane all'Università della Calabria, ed è direttore di Anarres. Fra i suoi lavori più recenti, la cura di Henry David Thoreau, Dizionario portatile di ecologia (Donzelli 2017), e saggi su Samuel R. Delany (Leviathan, A Journal of Melville Studies, 2013) e sui conflitti razziali in Philip K. Dick (in Umanesimo e rivolta in Blade Runner, a cura di Luigi Cimmino et al., Rubbettino 2015), e una panoramica storica della SF italiana (in Science Fiction Studies, 2015), oltre alla riedizione della traduzione di Paul Di Filippo, La trilogia steampunk (Mondadori 2018).
LanguageItaliano
PublisherDelos Digital
Release dateFeb 12, 2019
ISBN9788825408102
Anarres 1

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    Anarres 1 - Salvatore Proietti

    DRM

    Editoriale

    di Alessandro Fambrini e Salvatore Proietti

    Ci riproviamo. È ormai passato più di un ventennio dall’ultimo numero di La città e le stelle, unico tentativo italiano di rivista critica dedicata alla fantascienza.

    Mentre, ci si assicura, la fantascienza e in generale il fantastico hanno raggiunto un riconoscimento e pieno diritto di cittadinanza nella cultura del nostro paese, è ancora più grave l’assenza di uno spazio che rivolga in maniera sistematica un’attenzione rigorosa e scientifica al genere. Troppo spesso si dà per scontato un buon senso comune, sulla fantascienza e sulla letteratura popolare in generale, che si rivela un rifiuto di affrontarle con gli strumenti che normalmente la critica riserva a generi più rispettabili; o, specularmente, un modo per dar legittimità a pochi testi o autori, ammettendoli a malincuore alla periferia del canone negandone comunque le origini testuali e istituzionali, cancellandone dunque la storia.

    Nelle università si moltiplicano le tesi e il lavoro sporadico di molti/e studiosi/e (ufficialmente legati/e all’accademia, o nel mare magnum del precariato universitario, o al di fuori) di vari ambiti disciplinari. Spesso, paradossalmente e incredibilmente, si sono trovate e si trovano occasioni di pubblicare le proprie ricerche su altri mercati, in altre lingue. Così, anche all’estero, in atti di convegni, riviste e raccolte specialistiche, un poco di critica italiana sulla fantascienza e sul fantastico continua a vedere la luce. Ma si tratta troppo spesso di momenti isolati, occasionali per quanto ricorrenti: la fantascienza e il fantastico restano aree di ricerca marginali. E si rischia di vedere disperso un bagaglio di motivazione, passione e rigore scientifico che, semplicemente, non trova spazi che lo rendano visibile e lo promuovano.

    Anarres vuol essere una rivista che si occupa dei generi non mimetici, a partire dall’ambito letterario e ampliando lo spettro di interesse a tutti gli altri media. Riconoscendo e studiando l’esistenza e le distintività specifiche della fantascienza e dei vari sottogeneri del soprannaturale (fantasy, horror, sword & sorcery, realismo magico, ecc.), di ogni provenienza linguistica o nazionale. Dando priorità alla fantascienza scritta, innanzitutto perché a partire da quell’ambito di letteratura popolare si è sviluppato il maggior volume di riflessione critica sui generi non mimetici, ma senza limitarsi a essa. E intendendo rivolgere l’attenzione a elaborazioni teoriche e metodologiche che, in questo come in altri campi, hanno raggiunto una diffusione e una sofisticazione che è giusto promuovere e riconoscere, fermo restando un orientamento verso la (ri)scoperta dei testi.

    Cercando di far da punto di contatto fra la critica accademica e la critica degli insider, si darà spazio a ricerche svolte anche al di fuori dell’università. Con lo scopo di parlare anche a un pubblico non italiano, l’intenzione sarà quella di pubblicare in futuro anche contributi in inglese, e l’ambizione ideale quella della rivista bi— o multilingue, in cui il sito web potrà fungere da risorsa di riferimento e informazione per le attività critiche e didattiche riguardanti la fantascienza.

    Aggiungiamo che Anarres vuol essere una rivista che assicuri uno spazio costante al fantastico italiano, non per sciovinismo ma per portare un contributo allo studio di una modalità della scrittura meritevole, anche nella storia del discorso culturale italiano, di più approfondita esplorazione.

    Richiederemo e accetteremo, dunque, contributi di teoria, critica e storia della fantascienza e del fantastico, anche nell’ambito di numeri o sezioni monografiche. Assicureremo una sezione di recensioni, che facciano centro sulla produzione critica (italiana innanzitutto, ma non solo, senza scartare la possibilità di tradurre interventi critici di cui si reputa importante la diffusione). Riserveremo uno spazio a note, comunicazioni, annunci di iniziative in quest’ambito, a discussioni che si dovessero sviluppare a seguito dei saggi pubblicati.

    Mala tempora currunt, in prosaici termini di finanziamenti agli studi umanistici (dobbiamo davvero ripetere i dettagli?), nel calo del numero dei lettori e dei fruitori di narrativa di ogni forma (osiamo chiederci, una diminuzione casuale o promossa da chi non ama la dimensione civica che appartiene a ogni esplorazione di storie altrui?), e in un mondo a tasso distopico sempre crescente.

    Ma non ci sembra una buona ragione per non (ri)provarci.

    L’allestimento del sito ha richiesto molto lavoro, ma ora confidiamo di avere una struttura grafica in grado di sostenere le nostre esigenze. Non è stato lavoro breve né facile, lo ammettiamo a beneficio di coloro che (con riconoscenza da parte nostra) attendono da tempo questa uscita: come sempre, ciò che conta è la motivazione, e il nostro primo ringraziamento va all’editore Silvio Sosio, che ha sin dall'inizio creduto in Anarres.

    Consapevoli che un primo numero ha sempre un po’ il valore di un manifesto, abbiamo voluto dedicare una sezione monografica a Ursula K. Le Guin. Ci è sembrato che la sua fede laica nell’utopia e nella creazione letteraria di mondi fantastici complessi e articolati, riaffermata attraverso generi e decenni, fosse per noi il migliore di tutti i modelli. A lei va il nostro secondo ringraziamento, per i suoi libri e per il sostegno che ci ha trasmesso via email.

    Abbiamo inoltre scelto di dedicare spazio a tradizioni nazionali di lingue diverse; oltre a quella italiana, su cui insisteremo in maniera particolare, questo numero presenta interventi sulla SF statunitense, francese e tedesca. Anche questa scelta trans-disciplinare è una dichiarazione di intenti.

    La traduzione del saggio di Fredric Jameson su Robinson vuole ulteriormente sottolineare il nostro interesse (intellettuale e civico) verso l’utopia: ribadiamo il nostro grazie al prof. Jameson per averci permesso di tradurlo. Ugualmente, ringraziamo tutti i componenti del comitato scientifico e coloro che hanno agito come referee; su tutti, Darko Suvin ci ha rivolto incessanti stimoli di incoraggiamento. Nostri preziosi sostenitori in varia forma all’inizio, ma purtroppo venuti a mancare, ringraziamo Lino Aldani, Vittorio Curtoni (entrambi per questo numero nell’elenco dei consultants) e Franco La Polla: tre amici a cui dedichiamo il lavoro.

    Nelle recensioni, abbiamo mirato sia agli interessi presenti, sia a recuperi del passato e di una memoria storica di cui il genere ha senz’altro bisogno. Non solo come inizio della sezione miscellanea, la nota finale serve anche a ricordare a noi stessi che le prese di posizione civiche non sono sempre una scelta: ce le impone il mondo di cui le istituzioni culturali fanno parte, ed è giusto che sia così.

    Le cognizioni della Seconda trilogia di Earthsea di Ursula K. Le Guin: Un commentario

    di Darko Suvin

    traduzione di Maddalena Tarallo

    Il ritorno alla materia di Earthsea negli anni Novanta rappresenta un nuovo vertice nella produzione di Ursula K. Le Guin, non meno della classica trilogia degli anni Settanta, e uno dei massimi risultati del genere fantasy negli Usa. Come nella sua SF, emergono il rifiuto delle facili dualità e le ambiguità di ogni promessa utopica, in cui fallibilità equivale ad apertura e ogni equilibrio deve essere instabile. In una revisione femminista, ecologista e anti-individualista dei primi volumi, genere e magia interagiscono in una maniera prettamente laica, permettendo all'approccio politico di affrontare l'ineffabile dimensione metafisica rappresentata dai draghi.

    Un commentario presuppone che il testo di cui parla abbia lo status di classico (Walter Benjamin)

    Accettare uno scrittore classico senza modificarlo significa tradirlo (Heiner Müller)

    Questo articolo trae origine dall’inquietudine che ho provato rileggendo il mio articolo sulla Fantasy: non solo ora mi sembra che i limiti di spazio e tempo mi abbiano costretto a liquidare troppo velocemente Earthsea di Ursula K. Le Guin, ma anche che quanto esposto sia applicabile soltanto ai primi tre libri, imperniati principalmente sul protagonista Ged.¹ È quindi mia intenzione seguire la logica interna degli ultimi tre libri ambientati a Earthsea.² La mia ipotesi di partenza è che questi tre libri (Tehanu, Tales from Earthsea, The Other Wind) costituiscano una Seconda trilogia di Earthsea, il cui elevato interesse risiede proprio nell'aver proseguito e modificato sostanzialmente la prima. La seconda trilogia, pur operando con gli stessi presupposti centrali, equivale a una sua revisione e riscrittura. Nella conclusione, vorrei esaminare gli elementi cognitivi di questa Seconda Trilogia, e la loro struttura.³

    Sezione 1. La creazione di Ea(rthsea), e la sua ri-creazione

    La configurazione geografica del mondo di Earthsea, evidenziata dalla dettagliata mappa riportata all’inizio di quasi tutti i libri di quelle che definirò due trilogie, inizia con il nome Earthsea. Si tratta di un ossimoro o paradosso compresso, simile ad altre coppie binarie come la mano sinistra delle tenebre, ripresa come epigramma in versi nel canto di creazione di questo mondo, nella — o meglio, prima della – prima pagina di Tehanu:

    Only in silence the word,

    only in dark the light,

    only in dying life:

    bright the hawk’s flight

    on the empty sky.

    The Creation of Éa

    [Solo nel silenzio, la parola. / Solo nel buio, la luce. / Solo nella morte, la vita: / luminoso il volo del falco / nel cielo vuoto.

    La Creazione di Éa]

    Il verso Solo nel buio, la luce può essere utile per introdurre i due temi principali della visione di Earthsea secondo Le Guin: primo, gli opposti che si completano, come il buio e la luce; secondo, l’ordine di preferenza di ogni verso, che farebbe sospettare il celarsi di una gerarchia. Diversamente dalla compiuta simmetria taoista di The Left Hand of Darkness (dove la luce era la mano sinistra delle tenebre e le tenebre la mano destra della luce), qui la luce proviene, scaturisce dall'oscurità, la tradizionale Madre Notte di quasi tutte le mitologie (v. anche 57). Inoltre, la parola – allo stesso tempo materia basilare e inizio imprescindibile per ogni scrittore – in Le Guin viene espressamente tematizzata come forza creativa, per esempio nel vero nome segreto di ogni persona che ne condivida l’essenza – ed è pertanto evocata sin dal primo verso. La parola, dunque, esiste, scaturisce e può essere udita solo sullo sfondo dell’avvolgente, materno silenzio. Poiché la luce, sempre secondo tradizione, significa conoscenza, cognizione o comprensione, indagherò in seguito fino a che punto questo concetto si concretizzi nell’intera Trilogia. Quanto alla vita, essa esiste, assume significato e specificità solo come processo, continuamente plasmata dalla contrapposizione a un contesto di morte (la quale diverrà di primaria importanza nell’ultimo libro, The Other Wind). Nella seconda parte della canzone, che ne è anche la conclusione — come suggerito dai due punti — il volo del falco è visibile soltanto (l'avverbio qui è decisamente implicito) sullo sfondo del cielo vuoto.

    Comunque, tutte le opposizioni, i contrasti fra sfondi e primi piani, sono frutto del mio commento: anziché esprimere quello che mi sembra il suo concetto primario come una opposizione [il default inglese sarebbe against], Le Guin qui utilizza su [on the empty sky] o piuttosto in. Perché? La metrica lo richiede (nella ferrea delicatezza dei versi, una sillaba in più spezzerebbe l’equilibrio), ma non credo che questo sia l’unico e neppure il principale motivo. Su – come una linea di volo nel campo visivo – è più intimo, mostra una contiguità senza un’espressa opposizione: se non ci fosse il cielo, il volo non sarebbe possibile, se il cielo non fosse sgombro ma intasato da rumori visivi, si potrebbe percepire il volo solo con difficoltà, oppure per nulla, certamente sarebbe meno importante o degno di nota. Su mi appare molto simile a una riga su un foglio di carta (generalmente una riga nera su carta bianca), e si collega in questo modo ai tre in: la parola (ora scritta), la luce, la vita (ora evidente); in effetti, la riga si trova sopra il foglio o nel foglio? Solo la pigrizia del nostro sguardo dall’alto propende per sopra. I tre binomi di silenzio/parola, oscurità/luce e morte/vita sono contrari ma non opposti, non solo complementari ma intimamente partecipi l’uno dell’altro. E ancora, i versi rafforzano il primato delle prime parole (silenzio, buio/oscurità, morire/morte) che senza eccessivo sforzo potremmo quindi definire genitoriali, procreatrici, materne. I termini parola-luce-vita divengono filiali, giovani, più freschi ed evidenti (o percepibili), mai completamente rilevati e intesi senza la compresenza del fattore originante (e la poesia non suggerisce che questo valga in direzione opposta). I primi tre versi, nella prosodia dei quali il piede finale si contrae progressivamente da tre sillabe a una, assumendo così maggior peso con il progredire della strofa, implicano a mio avviso una progressione di valore: la vita contiene la luce che contiene la parola. Azzarderò l’ipotesi, da verificare nell’intero ciclo di Earthsea, che la vita sussume la conoscenza che a sua volta sussume la scrittura. Questa è, con stupefacente concisione, la gerarchia secondo me qui presupposta.

    Quanto al nome Earthsea, The Creation of Éa afferma apertamente che il mare esisteva prima della terra. Uno sguardo alla mappa di Earthsea conferma che le isole conosciute sono immerse in un avvolgente Oceano del quale non si conoscono il principio e la fine, un parallelo del rapporto tra vita e morte. Anche questa, letteralmente, è una gerarchia. Non è molto evidente nelle narrazioni, che devono concentrarsi su popoli che vivono principalmente sulle terre emerse, ma l’elemento dell’acqua, legato agli alberi e alla Lingua Antica, definisce e permea, in maniere sottili, gli elementi e i poteri di più recente origine. La terraferma, secca ["dry land"] per eccellenza — cioè priva di ogni traccia di umidità (o di luce solare o di contatto con la vita) — è in effetti la terra morta dell’individualismo, tema affrontato sia in The Farthest Shore del 1972 sia in The Other Wind, 30 anni più tardi, gli ultimi due libri rispettivamente della prima e della seconda trilogia.

    La seconda parte della poesia citata, negli ultimi due versi, è connessa alla prima parte come il particolare al generale. Prima ci vengono fornite le leggi del mondo, nell’istante in cui le percepiamo. Poi si passa al flusso degli eventi. Qui il baricentro si è spostato: la funzione genitoriale del cielo sgombro mi appare trascurabile, mantenendo solo una funzione veicolante controbilanciata in qualche modo dal vuoto. L’enfasi è sul volo del protagonista.

    I versi citati, prima di fungere da introduzione a Tehanu, lo hanno fatto per A Wizard of Earthsea. Nella prima trilogia, anche in The Tombs of Atuan, l’eroe era Ged Sparrowhawk, la cui fine era onorevole ma, col senno di poi, luminosa solo nell’eroismo personale, non necessariamente nell’apertura al futuro. L’eroe ripristinava un equilibrio disturbato e la sua funzione era volta alla conservazione. A seconda delle circostanze questa definizione può non essere dispregiativa, ma ora si scopre che proprio quell’equilibrio è molto sospetto. Ora l’eroe, centro dell’azione e punto di vista, è un’eroina dalla duplice natura: Tenar, la componente materna che fornisce vita e porta alla luce Therru, e Tehanu, la bambina-drago che a dispetto di tutto conosce le parole di draghi e uomini. Le strofe, essendo identiche, affermano l’unità delle due trilogie. Però, poiché in Tehanu essi sono posti in un contesto differente – quindi sono differenti per il lettore (come il Pierre Ménard di Borges scoprì nel 19° secolo riscrivendo, parola per parola, il Don Chisciotte) – i versi permettono di modificare la continuità tra il primo e il secondo ciclo vitale di Earthsea. Qualunque fosse il motivo che spinse Le Guin a ripeterli all'inizio di quello che allora riteneva fosse il quarto e ultimo libro di Earthsea, è mia opinione che ora si siano tramutati in un indicatore del radicale cambiamento subito da questa unità. All’interno delle due trilogie, Earthsea è lo stesso mondo, e allo stesso tempo non lo è. La geografia e la cornice magica iniziale sembrano più o meno identiche. Però l’ottica è mutata (cfr. quanto affermato da Le Guin in ER 19-21). Fra le due trilogie è intervenuta ciò che Brecht definirebbe una semi-rivoluzione. Prende il via qui una revisione in chiave femminista o, come la definirebbe Alice Walker, womanist, della prima trilogia, una revisione che "alla conclusione di […] Tehanu (scritto alla fine degli anni Ottanta) si trovava nel punto in cui [l’autrice] percepiva di trovarsi allora" (Foreword a TfE xi) e che prosegue guardando al futuro – o, da un altro punto di vista, al passato più remoto, a un livello superiore della spirale. Ma anche (se posso permettermi questo termine) una revisione dragonista.

    Sezione 2. Tehanu: Cosa accade a Tenar

    Nel primo capitolo, Goha, la vedova di un agricoltore, salva sull’isola di Gont una bambina, stuprata e deturpata dal fuoco, e la chiama Therru. La principessa-prigionera Tenar di Atuan, una volta sacra e in passato a sua volta vittima di violenze, sia pure non così brutali, si trova ora nella posizione precedentemente occupata dal suo salvatore maschio, Ged. L’eroismo di Tenar non risiede in un’aperta dimostrazione di forza, ma nel costante coraggio con cui nasconde Therru – usando sia il sotterfugio che altri strumenti di potere negativo – finchè la bambina non diventa adulta. Lei non ha una rete di uomini a cui appoggiarsi, tranne Ogion, il gentile mago dell’isola, che ben presto muore bisbigliando con gioia Finito – tutto è cambiato (31 e 52). Questo è emblematico del maligno tempo del disfacimento, la fine di un’era (16 e 79); interpreterei infatti la morte di questo amico di Ged come emblematica della morte – o se vogliamo della riconsiderazione qualitativa – dell’universo della prima Trilogia di Earthsea, centrata su Ged, focalizzata sul Mago (leggi: Artista) da Giovane. Nella prima trilogia Tenar si era lasciata alle spalle i giochi di potere e aveva trovato rifugio nel suo ruolo di moglie di un agricoltore. Il mondo è ancora dominato da uomini assetati di potere, ma ora è lei a prendere una decisione cruciale: Li ho serviti e li ho abbandonati […] non permetterò che ti prendano (3). La solidarietà femminile dà forma a questo libro ed è la chiave per la vittoria – con l’importante sostegno di draghi saggi e uomini retti – e per questo motivo è politicamente e psicologicamente superiore alla visione e alla narrazione settaria di The Two of Them di Joanna Russ. Secondo me è anche migliore — più netta e più solida – del tema del bambino maltrattato in una società indifferente presentato in The Ones Who Walk Away from Omelas della stessa Le Guin, e della soluzione indicata in quel titolo. La sovversione anziché l’esodo: La bambina irrimediabilmente umiliata, privata della sua eredità umana – come tanti altri bambini nel nostro mondo, in tutto il mondo – quella bambina è la nostra guida (ER 25).

    Il secondo avvenimento che coinvolge Goha/Tenar è il ritorno di Sparrowhawk, segnato dalla battaglia, che ha ora perduto tutti i suoi poteri magici e si è chiamato fuori dai giochi di potere maschili. Ai margini del patriarcato, su una lontana isola montagnosa e rurale, ci viene mostrato un Ged qualitativamente diverso, in grado dopo la perdita dei suoi privilegi e del potere di classe dominante di recuperare a poco a poco la capacità di comprensione e amore sessuale. Mi è parso assolutamente appropriato che Le Guin si sia astenuta, nella prima trilogia, da un prevedibile epilogo erotico sul modello Teseo/Arianna, anche se questa scelta ha privato Tenar di un ruolo definito dopo aver portato a compimento la sua funzione narrativa di coesistere con l’Anello di matrice toklieniana (fattore che ritengo inutile ma fortunatamente secondario nella prima trilogia di Earthsea, come anche il tolkieniano re giusto e tutto l’abituale contorno della fantasy tradizionale, […] una rigida gerarchia sociale di re, signori, mercanti e contadini [ER 8]).

    Difficile decidere se Tenar, nella prima trilogia, ricoprisse il ruolo di drop-out narrativo oppure sociale, come era difficile decidere se Ged avesse effettivamente salvato il mondo di Earthsea operando scelte in bianco e nero secondo la normatività del canone tolkieniano. Il ruolo politico femminile era rimasto nebuloso, quello degli uomini (i maghi) subordinato all’integrità personale. Dopo essere giustamente ritornata alla storia di Tenar, in questo romanzo Le Guin stava anche modificando la propria posizione: …una scintilla; come la certezza di un concepimento; un cambiamento, una cosa nuova (51). Si scopre che il personale e il politico non sono separabili (le femministe, e prima ancora i socialisti e gli anarchici, hanno fin qui avuto ragione). Forse il mondo può essere salvato da un pericolo incombente attraverso un atto di eroismo, simile alla Seconda Guerra Mondiale antifascista, ma un sistema capillare di potere spietato e privilegio non può essere raddrizzato da un’azione clamorosa – come una massiccia concentrazione di truppe sul campo di battaglia, alla Tolkien – ma solo attraverso una costante e complessa cooperazione tra uomini, donne e draghi (e animali e piante), che duri tutta la vita. Come nel canto della Creazione, si inizia con il più importante concetto della vita, allo stesso tempo basilare e pervasivo: la vita di una ragazza, che poi cambia quelle di Tenar e Ged. Tre persone dall’esistenza segnata che ritrovano sé stesse negli interstizi del potere — anche se la salvezza finale è ottenuta tramite l’arrivo di numerosi dei ex machina. Molti altri elementi mancavano per una coesione fra personaggi ed eventi, fra personale e politico. Questo sarà il tema esplicito degli altri due libri della seconda trilogia, Tales from Earthsea (particolarmente nel racconto The Finder) e

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