Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

La nuvola purpurea
La nuvola purpurea
La nuvola purpurea
Ebook305 pages9 hours

La nuvola purpurea

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

Se, di ritorno da un lungo viaggio, scoprissimo che ogni affetto, ogni amico, ogni uomo o donna che abbia mai camminato su questa terra fosse ridotto a una muta statua di carne?
Pubblicato per la prima volta nel 1901, precursore di due tra i generi letterari più fortunati della letteratura contemporanea – il postapocalittico e la climate fiction – La nuvola purpurea è la cronaca in prima persona dell’estinzione dell’umanità. Scrivendo con la foga del più potente tra i tornado, Matthew Phipps Shiel ci porta per mano nei recessi più oscuri dell’animo umano, raccontando la discesa agli inferi della follia di Adam Jeffson, l’ultimo uomo sulla terra, costretto a vivere ogni gradazione di delirio e allucinazione.
La nuvola purpurea è il romanzo che ha ispirato cinque generazioni di scrittori, da H.G. Wells a Richard Matheson, fino a Kim Stanley Robinson, e che ancora oggi riesce a stupire per la sua capacità di immergerci in un mondo i cui confini sembrano solo linee astratte.
LanguageItaliano
PublisherD Editore
Release dateFeb 12, 2019
ISBN9788894830378
La nuvola purpurea

Related to La nuvola purpurea

Related ebooks

Classics For You

View More

Related articles

Reviews for La nuvola purpurea

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    La nuvola purpurea - Matthew Phipps Shiel

    Matthew Phipps Shiel

    La nuvola purpurea

    La nuvola purpurea

    di Matthew Phipps Shiel

    Prefazione di Roberto Paura

    Immagine di copertina di Martina Marzadori

    Traduzione di Emmanuele J. Pilia

    Correzione di bozze di Adria Bonanno

    Ufficio Stampa, Roberta De Marchis

    Questo libro è stato edito da D Editore per la collana STRADE MAESTRE

    Copyright D Editore © 2018. Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere fotocopiata, riprodotta, archiviata memorizzata o trasmessa in qualsiasi forma o mezzo – elettronico, meccanico, reprografico, digitale – se non nei termini previsti dalla legge che tutela il diritto d’autore.

    D Editore

    Roma

    Contatti:

    Telefono: +39 320 8036613

    www.deditore.com

    info@deditore.com

    ISBN: 9788894830378

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    Prefazione di Roberto Paura

    Prologo

    La nuvola purpurea

    Note

    Prefazione di Roberto Paura

    Archeologia dell’Antropocene: guida alla lettura di La nuvola purporea

    Nel 1880, il giorno del suo quindicesimo compleanno, Matthew Philip Shiell (che in futuro avrebbe firmato i suoi romanzi come M.P. Shiel) fu incoronato re di Redonda – poco più di un largo scoglio di due chilometri quadrati al largo delle isole di Nevis e Montserrat, nei Caraibi – da un vescovo locale. Il padre, pastore metodista e commerciante, aveva rivendicato l’isolotto per figlio (l’unico maschio dopo otto femmine) fin dalla sua nascita in nome della regina Vittoria, ma già ben prima dell’incoronazione ufficiale il governo inglese aveva liquidato bonariamente la vicenda affidando a M.P. Shiel un titolo meramente onorifico, annettendo lo scoglio al vasto Impero britannico, di cui all’epoca le Piccole Antille facevano parte col nome di Inde occidentali britanniche [1].

    Alcuni critici e biografi hanno visto in questo episodio il primo segnale della formazione della personalità egotista, imperialista e persino razzista di M.P. Shiel [2]. Non li seguiremo in questa strada, perché – contrari alla linea dello psicologismo nella critica letteraria – ci interessa qui mettere in luce il contesto socio-culturale in cui si è sviluppato il romanzo che state per leggere, La nuvola purpurea. Tuttavia, è indubbio che per uno scrittore abituato un po’ per scherzo un po’ per orgoglio personale a definirsi re di un isolotto disabitato (al punto da nominare pari del regno e a cedere ufficialmente nel suo testamento la corona al poeta e scrittore John Gawsworth), l’idea di diventare re di una Terra disabitata doveva apparire piuttosto seducente. Toccherà al suo alter-ego in questo romanzo, Adam Jeffson (che come Shiel è un medico di formazione), sperimentare tale condizione: accertatosi che, dopo la diffusione della misteriosa nuvola purpurea su tutto il pianeta, non restano altri esseri umani in vita, scenderà a patti con questa condizione decidendo di imitare i satrapi orientali, godendo di ricchezze e lussi che altrimenti gli sarebbero stati preclusi, e vivendo così per lungo tempo una vita da sovrano assoluto e indiscusso (non essendoci né sudditi né pretendenti al trono capaci di scalzarlo), finché, nell’ultima parte del romanzo, non sarà chiamato a più alti destini.

    A dispetto dei suoi natali periferici nei Caraibi, e del fatto da lui passato sotto silenzio di aver avuto una madre mulatta, una schiava liberata forse dal padre prima di sposarla [3], M.P. Shiel fu un autore orgogliosamente tardo-vittoriano, convinto sostenitore della superiorità della civiltà europea e della razza bianca di cui si sentiva membro a tutti gli effetti, profondo conoscitore della letteratura decadentista che negli anni della sua formazione fiorì tra le due sponde della Manica, e infine pioniere della letteratura di fantascienza insieme al suo connazionale e coetaneo H.G. Wells. La nuvola purpurea, pubblicato inizialmente in sei puntate su The Royal Magazine nel 1901 e poi riedito in forma più lunga nel settembre dello stesso anno in volume, assorbe pertanto tutti i topos di quell’epoca e rappresenta un esempio perfetto di una mentalità che, come vedremo, ha più di un punto in comune con i nostri tempi.

    La sindrome dell’ultimo uomo

    Nel 1805 Jean-Baptiste Cousin de Granville pubblicò Le dernier homme, tradotto l’anno successivo in inglese con il titolo The last man: la storia racconta di Omegarus, figlio del Re dell’Europa, ultimo maschio nato sulla Terra ormai morente e sterile, e della sua ricerca di Syderia, l’ultima donna nata in Brasile, con cui spera di rifondare la razza umana. A dissuaderlo dal piano è Adamo, il primo uomo, che come l’Adam di La nuvola purpurea si è ormai convinto che per l’umanità il tempo sia giunto e che bisogna rifuggire dalla vana speranza di ripopolare il pianeta con una specie degenerata e abbandonata da Dio. Nel 1816, l’anno senza estate così chiamato a causa del raffreddamento del pianeta prodotto dall’eruzione, l’anno prima, del supervulcano Tambora, nell’arcipelago indonesiano della Sonda, il poeta George Gordon Byron compone Darkness, angosciante poema sulla fine della specie in una Terra piombata nell’oscurità a causa del Sole morente, credenza che si diffuse in quei mesi in cui la luce crepuscolare e la fredda estate convinsero molti che il motivo fosse da rintracciarsi nel rapido spegnimento della nostra stella [4]. Una visione che ispirò i versi del poeta scozzese Thomas Campbell intitolati The Last Man, del 1833, e una prima evocativa versione di un celebre quadro del pittore romantico John Martin intitolato anch’esso The Last Man, in cui un uomo in tunica assiste all’ultimo tramonto di un piccolo sole che getta la sua luce rosso sangue su un pianeta morto (la versione più completa, un dipinto a olio del 1849, mostra dietro di lui una donna riversa ormai morta sulla fredda pietra).

    Negli stessi giorni in cui Lord Byron componeva Darkness a Villa Diodati, sulle rive del lago di Ginevra, un’altra ospite di quella casa buttava giù le prime idee che sarebbero confluite nel suo capolavoro, Frankenstein. Dieci anni dopo, tuttavia, Mary Shelley avrebbe pubblicato una corposa opera direttamente ispirata ai versi di Byron, anch’essa intitolata The Last Man, e ambientata in un futuro in cui una terribile epidemia ha sterminato l’intera umanità, chiudendosi con la rocambolesca sopravvivenza di Lionel Vernay, l’io narrante e l’ultimo uomo vivente sul pianeta. Con questo romanzo, La nuvola purpurea ha più di un elemento in comune: in particolare, Mary Shelley attribuisce la storia raccontata nel romanzo a una raccolta di profezie rivenute nel 1818 durante una sua visita all’antro della Sibilla a Cuma, da lei riadattate per creare una storia raccontata in prima persona. Analogamente, la storia raccontata da Shiel e narrata da Adam in prima persona è stata trascritta durante una sessione di scrittura remota da una medium in grado di viaggiare nel tempo, che ha potuto leggere il diario dell’ultimo uomo sulla Terra e riportarlo fedelmente al dottor Arthur Lister Browne, che a sua volta ne spedisce il testo all’autore del romanzo.

    Come spiegare il successo di un tema – quello dell’ultimo uomo vivente – che godeva evidentemente ancora di grande popolarità a cavallo del secolo, quando Shiel scrive il suo romanzo? Se le storie dei primi decenni del XIX secolo possono essere fatte rientrare nel clima romantico di quegli anni, il romanzo di Shiel ha sicuramente molto a che fare col decadentismo inglese, ma è anche influenzato da preoccupazioni tipiche degli intellettuali tardo-vittoriani sul destino dell’Impero. Il quadro di Arthur Streeton The Centre of the Empire (1902) mostra Trafalgar Square immersa nella nebbia londinese, con i fumi delle ciminiere in lontananza; quello di Niels Moller Lund The Heart of the Empire (1905) si allarga a fornire uno sguardo panoramico sul quartiere della City, monumentale come un Foro Imperiale dei tempi moderni, ma con fosche nubi che si addensano all’orizzonte [5]. La fulgida gloria dell’impero più vasto del mondo, esemplificata dalla sobria grandezza della città più popolosa del mondo, sarà anche lo sfondo di una parte importante delle peregrinazioni di Adam nel romanzo di Shiel. È qui che la piaga invisibile, rappresentata dalla misteriosa nuvola purpurea e da un ancor più misterioso odore di peschi, ha mietuto nel modo più macabro le folle isteriche che hanno riempito le chiese, i vagoni dei treni e le soffitte dei palazzi nel vano tentativo di sfuggire alla morte. È qui che i popoli dell’Impero, descritti da Shiel come orde selvagge di barbari nei loro tipici costumi orientali, si sono accalcati in un biblico esodo dai primi territori a est colpiti dai veleni della nuvola, conclusosi inevitabilmente al centro di quell’Impero che essi ritenevano posse salvarsi dalla fine, ma che si è rivelato impotente di fronte all’ira sterminatrice di Dio.

    Non è un caso che Shiel citi, all’inizio del romanzo, un passo dal Declino e caduta dell’Impero romano di Edward Gibbon. La convinzione che l’Impero britannico fosse prossimo alla caduta proprio nel momento del suo massimo fulgore era condivisa da molti intellettuali negli anni in cui esce La nuvola purpurea: un riflesso delle difficoltà inusitate che gli inglesi dovettero affrontare nelle Guerre Anglo-Boere [6], o dei timori per le conseguenze di un’estensione territoriale troppo vasta (una delle cause attribuite da Gibbon alla caduta dell’Impero romano), o delle paure dei popoli sottoposti al giogo imperiale, immaginati da Shiel come i nuovi barbari (nel 1898 lo scrittore pubblicò Il pericolo giallo, che dava voce ai timori – mai sopiti – per la crescita demografica della Cina). Una delle principali paure di cui La nuvola purpurea è espressione è quella per l’isteria delle folle. Nel romanzo, Shiel indugia in lunghe descrizioni di folle che si accalcano nelle miniere e lì si calpestano e si uccidono a vicenda nel tentativo di conquistare il posto più profondo possibile, per sfuggire alla morte; o che riempiono fino all’orlo i vagoni dei treni, o i cui cadaveri riempiono le strade di Londra. Scrive la storica Joanna Bourke:

    Il grande spauracchio dei disastri era il panico – non l’isteria individuale, ma la più pericolosa follia collettiva. Tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, la gente era ossessionata dalla paura della folla, come non era più accaduto dai tempi della rivoluzione francese. La preoccupante propensione della folla a farsi prendere dal panico al minimo accenno di pericolo era in parte una risposta a un importante cambiamento nel significato dato ai flagelli sociali. Lo spettro della sciagura si era quasi completamente scollato dalla sua connotazione religiosa, trasformandosi gradualmente in qualcosa di profano e umanistico. Più che indicare una rottura tra uomini e Dio, il disastro manifestava la fragilità delle conoscenze e delle procedure scientifiche [7]

    Terrae incognitae

    La diagnosi di Bourke si ritrova nel romanzo di Shiel, che era un positivista sui generis. Convinto assertore del progresso tecnico-scientifico, come molti autori positivisti del periodo Shiel non mancava di trattare tematiche come l’occultismo e lo spiritismo, né manca nella sua produzione, e in particolare ne La nuvola purpurea, una messa in discussione degli assiomi positivisti, in particolare il desiderio umano di conquistare ogni punto della Terra, inclusi i due poli, all’epoca ancora (per poco) terrae incognitae. Il flagello destinato a spazzare via l’umanità sembra essere strettamente correlato con il proposito di conquistare il Polo Nord, impresa che il protagonista del romanzo riuscirà infine a realizzare non senza sacrifici. Già il predicatore Mackay, citato all’inizio e in altri punti della storia, aveva messo in guardia l’umanità dai rischi di violare quelle che erano considerate le porte dell’Eden, le ultime colonne d’Ercole della civiltà umana. La conquista del Polo assume in questo romanzo lo stesso significato della violazione da parte di Adamo ed Eva del divieto posto da Dio relativo all’Albero della Conoscenza del Bene e del Male. Anche qui, Adam sente due voci interiori che egli attribuisce al Bianco e al Nero, ossia al Bene e al Male, che cercano di orientare la sua volontà per compiere il destino che Dio ha assegnato all’umanità. La succinta ma straordinariamente evocativa descrizione di quel che Adam troverà nel punto più a nord del mondo rappresenta forse il passo più bello del romanzo, e ispirerà profondamente la poetica di H.P. Lovecraft [8].

    La «terra del ghiaccio e dei rumori sinistri dove non si scorgeva essere vivente» tratteggiata da Samuel Taylor Coleridge nella celebre Ballata del vecchio marinaio (1798) influenzò generazioni di scrittori, tra cui Mary Shelley, che farà ritrovare il mostro di Frankenstein proprio tra i ghiacci polari [9], e un’opera che influenzò molto Shiel, ossia Le avventure di Gordon Pym di Edgar Allan Poe (1838), che terminano con l’incontro dell’eroe eponimo con la misteriosa creature che abita il Polo Sud:

    Ma noi già precipitavamo nell’amplesso della cataratta, dove si spalancò un abisso pronto a riceverci. Ed ecco sorgere sulla nostra rotta un’ammantata figura umana, di proporzioni ben più vaste di qualunque abitante della terra. E la pelle di questa figura aveva il colore delle nevi immacolate [10]

    Ritorneranno su quell’incontro sia Jules Verne nel suo La sfinge dei ghiacci (1897) che, più tardi, H.P. Lovecraft in Le montagne della follia (1936) [11]. L’orrore ignoto che Adam scopre nel romanzo di Shiel e che risveglia la venefica nuvola purpurea destinata a sterminare l’umanità si situa al Polo Nord, meta di sei spedizioni fallimentari che si erano succedute tra il 1893 e il 1900, alla vigilia dell’uscita del romanzo. Ma la questione non cambia: nella letteratura gotica e tardo-vittoriana, e nelle sue successive mutazioni fantascientifiche, entrambi i poli appaiono come «i luoghi in cui la natura rivela la sua orripilante indifferenza all’umanità; dove l’umanità stessa viene meno, abbandonando gli uomini alla loro discesa nella follia e nella violenza; soprattutto, dove il sogno di dominio universale viene catastroficamente meno» [12].

    Positivismo e catastrofismo

    Nel corso delle sue peregrinazioni successive allo sterminio dell’umanità, Adam assiste a tramonti spettacolari che non hanno comparazione con quelli del passato. Troviamo qui una chiara eco della sensazione che destò la più potente eruzione vulcanica dei tempi moderni, quella del Krakatoa, anch’esso come il Tambora situato nella Sonda, in Indonesia, nel 1883. La cenere proiettata in atmosfera produsse per un paio d’anni tramonti di straordinaria luminosità anche in Europa e raffreddò nuovamente le temperature. Shiel, che era nato del resto in un’isola vulcanica, dovette certamente subire l’inquietante fascino di quell’evento. Le due grandi eruzioni vulcaniche del XIX secolo avevano spinto gli intellettuali in quegli anni a chiedersi quali conseguenze catastrofiche avrebbero potuto provocare, nel passato della Terra, eruzioni ancora più spaventose. La notorietà dell’eruzione di Pompei, i cui scavi archeologici erano iniziati nella metà del XVIII secolo, era stata diffusa in Inghilterra dal romanzo di Edward Bulwer-Lytton Gli ultimi giorni di Pompei (1834), e da una serie di grandiosi dipinti catastrofici come quello di Karl Bryllov che ispirò il romanzo di Bulwer-Lytton o il precedente The Destruction of Pompeii and Herculaneum (1822) di John Martin, lo stesso autore di The Last Man (e nel quale, peraltro, il Vesuvio e l’intera scena è circondata da una spaventosa nuvola color porpora che copre la luce del sole).

    Le notizie relative alle catastrofiche eruzioni vulcaniche che ritroveremo anche in questo romanzo andavano a corroborare la teoria del catastrofismo. Prima del 1880, quando la prima attestazione della parola extinction appare in un testo dell’evoluzionista Alfred Russel Wallace, non esisteva nemmeno un termine in inglese per definire il fenomeno oggi a noi ben noto dell’estinzione delle specie viventi [13]. La teoria del fissismo, che affondava le sue radici nella Genesi biblica e nella conseguente convinzione che tutte le specie viventi fossero state create da Dio il quinto giorno della Creazione, fu definitivamente abbandonata solo con il successo della teoria dell’evoluzionismo di Darwin. Ma anche quando l’evoluzionismo fu definitivamente accettato, perlomeno tra gli uomini di cultura, non accadde la stessa cosa col catastrofismo. Certo, numerose specie si erano estinte nel passato, tra cui i mammut e i dinosauri; ma nulla dimostrava che queste estinzioni non si fossero verificate su scale geologiche, piuttosto che nei tempi ristretti di una grande catastrofe. L’idea era venuta al naturalista francese Georges Cuvier, agli inizi dell’Ottocento, e nel 1832 William Whewel, presidente della Società Geologica di Londra, aveva coniato il termine catastrofismo [14]. Ma per molti il catastrofismo non era che un tentativo di rilanciare il letteralismo del testo biblico fornendo prove pseudo-scientifiche del Diluvio universale.

    Nella metà del XIX secolo, tuttavia, la fisica compì il primo di una serie di grandi balzi in avanti che avrebbero caratterizzato la storia della scienza fino ai primi decenni del secolo successivo. La formulazione della seconda legge della termodinamica e del conseguente concetto di entropia da parte di Lord Kelvin ebbe grande impatto sulla società dell’epoca. Kelvin non si sottrasse infatti all’ingrato compito di applicare il senso di quella legge al destino dell’universo. In un periodo finito di tempo, egli annunciò, la Terra sarebbe diventata inospitale per gli esseri umani, a causa dell’inesorabile degradazione termica dei processi energetici [15]. Essendo il sistema solare e, su più ampia scala, l’intero universo un sistema chiuso, in un futuro ancora più lontano non ci sarebbero stati più posti abitabili per l’Uomo e per le altre specie. L’intero universo è destinato alla morte termica e la nostra specie alla lenta estinzione. «This is the way the world ends. Not with a bang but a whimper», avrebbe sintetizzato T.S. Eliot nel 1925 [16]. Un articolo degli anni Novanta del XIX secolo, firmato da H.G. Wells, titolava esplicitamente The Extinction of Man. Restava solo da capire il come e il quando di questa estinzione [17].

    Narrativa dell’Antropocene

    Tra il 5 e il 9 dicembre del 1952 la città di Londra fu avvolta dalla più spessa coltre di smog e nebbia della storia, bloccando completamente le attività e provocando la morte di quasi 12mila persone. Quest’incredibile ecatombe non rappresentò che il climax di una serie di eventi simili che videro protagonista il deadly smog della capitale britannica. Nell’inverno 1879-1880, in sole tre settimane, duemila londinesi furono uccisi dallo smog. Quell’anno, lo scrittore William Delisle Hay pubblicò The Doom of the Great City, in cui lo smog uccideva l’intera popolazione di Londra. Nel 1892 Robert Barr pubblicò sulla rivista Idler il suo racconto The Doom of London, che rilanciava lo stesso plot [18]. I fumi delle ciminiere che compaiono nel quadro The Centre of the Empire rappresentano perfettamente i due lati della medaglia del progresso tecnologico alla base del successo dell’Impero britannico, esemplificato dalla rivoluzione industriale resa possibile dal carbone, evento che il chimico Paul Crutzen ha proposto, nel 2002, come il momento d’inizio di una nuova era geologica, l’Antropocene, nella quale oggi ci troveremmo a vivere. Gli spettacolari successi dell’avanzamento tecnologico non cessavano di destare preoccupazione. In modo del tutto analogo ai nostri tempi, il ritmo accelerato del progresso tecnologico alimentava da un lato grandi narrazioni progressiste (come le esposizioni universali e i romanzi di proto-fantascienza) e dall’altro le inquietudini di una prossima catastrofe dovuta proprio allo sviluppo scientifico, forse un’eco del mito della Torre di Babele o di quello di Atlantide. Il progetto di costruzione del canale di Panama, che dopo ripetuti sforzi sarebbe stato coronato dal successo solo nel 1920, destò per esempio timori legati alla possibilità che l’opera deviasse la corrente del Golfo, condannando il Regno Unito a una nuova glaciazione, come si legge in The Decline and Fall of the British Empire di Henry Crocker Marriot Watson (1890) e in The White Battalions di Fred M. White (1900) [19].

    Una possibile interpretazione della nuvola purpurea eponima a cui Shiel affida il compito di estinguere la specie umana è che essa rappresenti ciò che oggi definiamo rischio esistenziale di natura antropogenica, vale a dire un fenomeno imprevisto dello sviluppo tecnologico prodotto dall’Uomo destinato a minacciare l’esistenza stessa della specie umana o della sua civiltà tecnologica. Il concetto di rischio esistenziale è estremamente recente, e di fatto ha assunto rilievo solo in seguito alla consapevolezza di trovarci nel corso di una nuova estinzione di massa, la sesta per la precisione, causata dall’impatto antropico sulla biosfera [20]. Oggi sappiamo quel che Shiel e i suoi contemporanei potevano solo sospettare o temere: che nella storia della Terra le specie viventi sono state terminate non da una, ma da ben cinque estinzioni di massa, in più di un caso legate a fenomeni estremi e repentini, del tutto imprevedibili. Questa consapevolezza ci spinge ad attribuire ancora più verosimiglianza alla letteratura apocalittica e post-apocalittica e a immaginare con maggiore versatilità e rigore scientifico i possibili modi in cui la nostra specie potrebbe estinguersi in futuro. Non si tratta solo di asteroidi o di eruzioni di supervulcani (come i Campi Flegrei), cosa che Shiel o Wells già temevano ai loro tempi. Si tratta della possibilità che l’Uomo stesso si trasformi in carnefice non solo delle altre specie viventi, come sta già accadendo da decenni, ma di sé stesso. Quando Adam giunge nel Polo Nord varcando i confini posti da Dio al genere umano, egli innesca il meccanismo distruttivo che spazzerà via l’umanità dalla Terra. Con La nuvola purpurea siamo pertanto al parossismo tanto del concetto di rischio esistenziale quanto della recente letteratura dell’Antropocene: un solo uomo, con la sua arroganza e avventatezza, è responsabile della fine del mondo, o perlomeno dell’umanità.

    La nuvola purpurea sprigionata da Adam è lo smog di Londra, è il fallout radioattivo che sarebbe stato scoperto in tutta la sua drammaticità solo quaranticinque anni dopo, con il test atomico di Bikini, è la pandemia virale che stermina la specie umana in Io sono leggenda di Richard Matheson (1954) lasciando Robert Neville solo nella sua isola di civiltà ridotta alla dimensione di un villino a due piani in un mondo abitato da vampiri, è l’epidemia che trasforma gli uomini in zombie in Word War Z (a più riprese nel romanzo di Shiel il protagonista immagina che i cadaveri che disseminano strade e abitazioni si risveglino e prendano a inseguirlo, un’eco dello spiritismo ma anche una prefigurazione dell’apocalisse zombie contemporanea). È, in sostanza, per noi lettori moderni, un prezioso reperto archeologico del primo Antropocene, una profezia che ci parla del nostro possibile futuro, alla stregua del celebre explicit di un grande classico della nostra letteratura, La coscienza di Zeno di Italo Svevo (1923), in cui «un uomo anche lui fatto come tutti gli altri, ma degli altri un po’ più malato» [21], sarà responsabile, similmente ad Adam Jeffson, della fine del mondo.

    Prologo

    Circa tre mesi fa, ossia alla fine del maggio di quest’anno, mi arrivò per posta il pacco di manoscritti più straordinario che mi sia capitato tra le mani. Il mittente era un amico, il dottor Arthur Lister Browne. Il pacco consisteva di quattro quaderni fittamente coperti di simboli stenografici che, visti nell’insieme, ricordano uno sciame di insetti svolazzanti. Per altro, scritti a matita e senza vocali. Decifrarli non è stato facile. C’era una lettera allegata ai manoscritti, anch’essa stenografata, che ho deciso di pubblicare qui, come introduzione al terzo quaderno.

    Ecco la lettera di Browne:

    Caro vecchio mio,

    poco fa ero sdraiato sul letto e pensavo a te. Mi sarebbe tanto piaciuto che tu fossi qua per poterti dare un’ultima stretta di mano prima di… andarmene. Già, me ne vado da questo mondo. Quattro giorni fa mi prese un dolore alla gola, e decisi di fare un salto allo studio chirurgico del vecchio Johnson per farmi dare un’occhiata. Quello borbottò qualcosa come laringite membranosa, il ché mi fece sorridere. Ma di ritorno a casa mi accorsi di essere diventato rauco e ormai non sorridevo più. Verso sera, comparvero la dispnea e lo stridore laringeo. Allora feci venire Morgan da Londra, e tra lui e Johnson si sono presi la fatica di aprirmi la trachea e di verniciarmi internamente con l’acido cromico e col cautere. Ma sono un lupo troppo vecchio per non sapere come stanno le cose: i miei bronchi sono lesi, troppo lesi. Mi pare che Morgan accarezzi ancora l’idea di aggiungere il mio caso alla sua statistica di tracheotomia riuscite, ma la prognosi è sempre stata il mio forte, e se una soddisfazione ricaverò dalla mia morte sarà soltanto quella di sconfiggere uno specialista nel suo proprio campo. Vedremo.

    Stamattina stavo mettendo un po’ di ordine tra le mie cose, quando a un tratto mi ricordai di questi quaderni: erano mesi che volevo darteli, ma conosci l’abitudine che ho di rimandare tutto. Inoltre, la signora che me li aveva dettati era ancora in vita. Adesso è morta, e sono certo che, come scrittore e come uomo, il loro contenuto dovrebbe interessarti, se riuscirai a decifrarli.

    In questo momento, sono sotto gli effetti della morfina, sdraiato, in un piacevole stato di languore, e poiché posso scrivere, ti racconterò qualcosa di lei. Si chiamava Mary Wilson. Aveva trent’anni quando la conobbi. Quarantacinque quando morì. Quindici anni, dunque, di Mary Wilson. Sai qualcosa della teoria della trance ipnotica? Quella fu infatti la nostra relazione: ipnotizzatore e soggetto. Prima di conoscere me, era in cura da un altro. Soffriva di un tic al quinto nervo. Le avevano già strappato tutti i denti, e inoltre c’era stato un tentativo di asportarle il nervo stesso, a sinistra, mediante recisione esterna. Ma non era servito a niente: l’orologio dell’inferno continuava a battere nella mascella di quella poverina, e per lei fu una vera fortuna imbattersi in me: a quanto pare, la mia personalità poteva facilmente controllare la sua, e con pochi suggerimenti mi riuscì di espellere la sua legione di diavoli.

    Bene, sono certo che non avrai

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1