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Questo sangue non è mio
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Questo sangue non è mio

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About this ebook

Corpo e anima. Dentro e fuori. Essere e apparire. Carlotta è da sempre in bilico tra queste eterne dicotomie, ad esse sopravvive, con esse convive. Ciò che è oggi non esisterebbe se non ci fosse l'Altra, la voce che da dentro la trascina in basso; ciò che era prima non sarebbe mai esistito se l'Altra non l'avesse plasmata a suo piacimento. Bruttina e goffa, facile vittima del gruppo, la sua unica amica è una voce che le risuona in testa da molti anni, che come un'eco eterna fa da contrappunto a ogni suo pensiero: ed è per seguire questa voce che Carlotta si ritrova, in un infinito oggi, con le mani sporche di sangue. Un sangue che non è suo ma che da lei nasce, dal suo passato, da quello che è stata e che è diventata. In una continua altalena di emozioni e di allucinazioni, percorriamo con Carlotta i cunicoli di una Roma sotterranea. Assieme a lei, dentro di lei, passiamo dal buio alla luce. Dal dentro al fuori. Dal corpo all'anima.
LanguageItaliano
PublisherAlter Ego
Release dateFeb 13, 2019
ISBN9788893331395
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    Questo sangue non è mio - Giovanni Lucchese

    Amos)

    1

    Oggi

    «Hai sentito come urlava?».

    «Non c’è nulla di divertente».

    «Ma come no. L’hai conciata proprio bene».

    «È stato terribile».

    «Per lei di sicuro. Io avrei voglia di mettermi a fare salti di gioia».

    «Guarda che stavolta non ne usciremo facilmente».

    «Preoccupiamoci di uscire di qui, intanto. Stai attenta a dove metti i piedi, questi gradini sono lisci come ghiaccio. Ci mancherebbe soltanto che ti rompessi una gamba cadendo».

    «Sto facendo attenzione, tu cerca di fare silenzio. Ma quanto manca ancora?».

    «Due piani».

    «Mi sembra di non arrivare mai».

    «Due rampe di scale in discesa e hai il fiato corto, la schiena sudata e stai iniziando anche a puzzare. Dio mio, che spettacolo patetico».

    «Smettila di rimproverarmi».

    «Quanto fiato ho sprecato cercando di convincerti a mantenere la forma. Hai passato tutti questi anni a lasciarti andare e adesso guardati».

    «Non mi sembra il momento giusto per quel tipo di rimpianto. Perché non taci una buona volta?».

    «Zittiscimi ancora e ti ci butto io giù da queste scale».

    Malgrado in quel momento avesse cose più terribili su cui concentrarsi, Carlotta non poté fare a meno di ricordare tutte le volte in cui aveva pensato di iscriversi in palestra, mettersi a fare yoga o magari soltanto andare a correre per il quartiere. Adesso si rendeva conto di quanto sarebbe stata una scelta giusta, non soltanto dal punto di vista estetico ma anche pratico.

    Mentre si affannava a scendere le scale le sembrava che il cuore stesse per esplodere e schizzare fuori dal suo torace.

    «Se ti può consolare, hai appena vissuto il tuo momento di gloria. Il gesto che hai compiuto è il picco massimo della tua miserabile vita. Un’opera d’arte, il tuo capolavoro».

    «Io non direi proprio».

    «Ti dico di sì, invece. Stai attenta! Tieniti al corrimano e guarda dove cammini. E smettila di sbattere i tacchi in quel modo! Sveglierai tutto il palazzo, sempre che non lo abbiano già svegliato le urla di quella troia».

    «Mi sembra di sentirle ancora da qui. È stata la cazzata più grande che potessimo fare, altro che momento di gloria».

    «Ti ha praticamente chiesto lei di farlo. La sua aria da puttana di lusso, il modo altezzoso con cui ti rivolgeva la parola, la sua finta dolcezza. Per non parlare del suo appartamento da due milioni di euro. Ogni cosa che c’era lì dentro gridava vendetta».

    «Non dovevamo farlo».

    «È stato un gesto da eroe, mia cara».

    «Beh, queste eroine andranno in galera, puoi scommetterci».

    «Andranno? Guarda che hai fatto tutto tu».

    «Spinta da te, come sempre. Hai mai sentito parlare di istigazione a delinquere?».

    «E tu di processo alle intenzioni? Cosa dirai al giudice, che ti ha convinto la tua inseparabile amica immaginaria?».

    «Potrei farlo, eccome».

    «Faticherai parecchio per portarmi al banco degli imputati. L’infermità mentale ti aspetta dietro l’angolo».

    «Tutto questo non può essere vero».

    «Vuoi scommetterci un processo per direttissima?».

    «Vaffanculo».

    Sbattendo alle sue spalle, il grosso portone di legno fece trasalire Carlotta, che iniziò a camminare a passo spedito nella direzione da cui era venuta. Le mani le tremavano mentre si sistemava il soprabito, con l’adrenalina che le scorreva ancora nelle vene.

    Il sole era sorto da poco e l’aria fresca fece gelare il sudore sulla sua schiena in pochi secondi.

    Fu grata del fatto che fossero le otto di mattina di domenica.

    Nei giorni feriali la strada sarebbe già stata affollata, e un palazzo benestante come quello da cui era appena uscita avrebbe avuto un portiere agguerrito in guardiola che avrebbe notato la sua aria sconvolta mentre usciva, la sua andatura frenetica, e soprattutto il fatto che dalla sua mano destra colasse del sangue.

    Immaginò di potersi svegliare in quel momento come una delle tante donne che abitavano proprio lì, in quel luogo dal quale stava fuggendo, e di poter iniziare a preparare la colazione fantasticando su quali sarebbero stati i progetti per quella giornata di festa.

    Avrebbe dato qualsiasi cosa per essere una di loro.

    «Non farlo, ti prego».

    «Cosa non dovrei fare?».

    «Lo sai benissimo. Mi viene da vomitare a stare qui, nella tua mente ordinaria e mediocre, ed essere costretta ad assistere allo spettacolo di te che invidi l’ovvio».

    «Odio quando mi leggi nel pensiero».

    «Avessi di meglio da fare ti assicuro che non ci sprecherei neanche un minuto».

    «Saranno anche cose banali, ma ti assicuro che negli ultimi minuti hanno acquistato un certo fascino per me».

    «Ma quando capirai che non c’è nulla di meglio dell’essere diversi? Ti vergogni di ciò che invece dovresti usare come un’arma, proprio come hai fatto poco fa».

    «Mi sembri una coach motivazionale da due soldi».

    «E tu una casalinga repressa e frigida».

    «Se fossi una casalinga non mi troverei al punto in cui mi trovo ora».

    «E credi che sia un male?».

    «Cosa?».

    «La tua vita, il punto a cui sei arrivata, il fatto che tutto dovrà cambiare per sempre, che tu lo voglia oppure no. Non pensi che sia una notizia favolosa?».

    «Francamente no».

    «Fidati di me: meglio un giorno da assassina che trent’anni da ragazza perbene».

    «Assassina? Non penserai mica che…».

    «Sia morta? Non saprei, di certo non era messa bene quando ce ne siamo andate. Ma non mi sembra comunque il caso di rimanere qui per scoprirlo, tanto lo verremo a sapere comunque. Forza, dobbiamo muoverci!».

    Una svolta a destra in via Terenzio e Carlotta si trovò di fronte l’arteria centrale del quartiere Prati, via Cola di Rienzo.

    Aveva percorso quella strada così tante volte e in così tante occasioni da sentirsi a casa sua soltanto a guardarla.

    Una piccola fontana all’angolo della strada sembrò richiamare la sua attenzione con il rumore del suo scroscio.

    Istintivamente percepì il liquido viscido e ancora tiepido che le imbrattava la mano.

    Il sangue di quella.

    «Non pensarci nemmeno».

    «Devo lavarmi questa mano o finirò per sporcarmi i vestiti».

    «Pazienza, non abbiamo neanche un secondo da perdere. Dobbiamo andare».

    «Ma così conciata darò nell’occhio. Ci vorrà soltanto un minuto».

    Avvicinandosi, Carlotta pregustò la sensazione di freschezza e rinvigorimento che quell’acqua le avrebbe procurato lavando via quel liquido disgustoso che stava iniziando a rapprendersi tra le sue dita.

    «Ti ho detto di lasciar perdere. Metti quella mano in tasca e tira dritto».

    «Senti, ho preso abbastanza ordini da te oggi. Se è per il solito problema che non sopporti l’acqua, fingi di non vedere, canta una canzone, pensa a qualcos’altro. Fai finta che io non ci sia».

    Carlotta tese istintivamente la mano verso il getto d’acqua avvicinandola ad esso.

    Grosso errore, i movimenti bruschi. Potevano scatenare l’inferno dentro di lei in un attimo.

    «MALEDETTA IDIOTA VUOI STARMI A SENTIRE? TI HO DETTO DI LASCIAR PERDERE LA MANO! ABBIAMO POCHI MINUTI DI TEMPO E DOBBIAMO ANDARCENE IL PIÙ LONTANO POSSIBILE DA QUI, LO CAPISCI? LASCIA PERDERE, LASCIA PERDERE!».

    L’urlo dell’altra era una granata capace di annullare i suoi pensieri all’istante. Un lampo di luce che le offuscava la vista dandole la sensazione che la testa potesse esploderle. Più di una volta aveva perso l’equilibrio rischiando di farsi male al suono di quel grido.

    Era troppo sconvolta per resistere e tirare su una discussione, e comunque doveva allontanarsi da lì al più presto, su questo era d’accordo.

    Ritrasse velocemente la mano dal getto d’acqua e la infilò nella tasca del soprabito, imbrattando anche quella.

    «Ecco, brava. Vorrei non dover usare le maniere forti ma a volte sei più testarda di un mulo. Adesso tiriamo dritto senza fermarci, la polizia arriverà tra pochi minuti».

    2

    Prima

    L’Altra non c’era stata sempre.

    Era arrivata un giovedì pomeriggio di fine ottobre, uno di quei giorni in cui non ci si aspetta che accada nulla di particolare oltre alla solita routine.

    Prima di allora Carlotta era stata una bambina qualsiasi. Amava le sue amiche, i pomeriggi al cinema e le domeniche in giro con sua madre, non le piaceva particolarmente andare a scuola e aveva una repulsione istintiva verso la matematica e i numeri in generale.

    Il suo cuore di bambina amava l’acqua più di ogni cosa, e proprio il giovedì era il suo giorno della settimana preferito, quello in cui aveva la lezione di nuoto nella piscina del quartiere dove abitava.

    Quel pomeriggio si trovava negli spogliatoi, tutta intenta a cambiarsi per indossare il costume da bagno il più velocemente possibile, mentre ascoltava di sfuggita le sue amiche chiacchierare degli argomenti che sembravano appassionare tanto tutte le sue coetanee.

    «Mi ha detto Luca che ha sentito dire da Andrea che forse piaci a Matteo».

    «Chi, io? Ma Matteo chi?».

    «Quello della prima B. Quello carino col ciuffo biondo che porta sempre il Moncler nero».

    «Quello che somiglia a Robbie dei Take That?».

    «Sì, lui!».

    «Ma non sta insieme a Martina? Quella magrissima coi brufoli che fa ginnastica artistica?».

    «Cosa te ne frega, se ha detto che gli piaci tu…! Io mi butterei subito».

    «Ma che sei matta? E comunque ieri a ricreazione ho baciato Carlo».

    «Carlo chi? Carlo Ferrari?».

    «Proprio lui. L’ho trovato dietro la siepe accanto all’entrata della palestra. Fumava una sigaretta e io gli ho chiesto di farmi fare un tiro, così per attaccare bottone».

    «Hai fumato?».

    «No, lui ha gettato il mozzicone a terra, mi ha preso la faccia tra le mani e mi ha dato un bacio».

    «Con la lingua?».

    «Ma no, che schifo! Un bacio a stampo».

    «Ma come, Carlo piaceva a me, lo sapevi. Ti ho fatto leggere il mio diario un milione di volte».

    «Guarda che te lo lascio, tranquilla. E poi quelli che fumano mi fanno schifo, con quell’alito che puzza».

    «Sei la solita stronza».

    «E tu una cretina».

    «Deficiente».

    «Acida».

    «Carlotta aiuto! Difendimi tu».

    Sulla porta dello spogliatoio, con una gamba già fuori, Carlotta si limitò a voltarsi e a gridare verso le due amiche: «Siete cretine tutte e due per me. Cosa ve ne frega di queste cose. Sigarette, ragazzi, baci. Io vado in acqua!».

    Mentre le sue gambe volavano lungo il corridoio che portava alla piscina, sentì le proteste e gli insulti delle ragazze rivolti verso di lei farsi sempre più lontani.

    Durante la solita merenda al bar dopo la lezione le avrebbe ascoltate fingendo un po’ più di interesse; glielo doveva, in fondo.

    Entrando nel grande locale riscaldato che ospitava la piscina, l’odore del cloro le riempì subito i polmoni facendola sentire allegra e rinvigorita. Iniziò a respirare a fondo inalando più ossigeno possibile per prepararsi mentre poggiava l’accappatoio su una panchina al lato della porta e scalciava via le infradito lasciandole cadere alla rinfusa davanti a lei.

    Cercava sempre di allungare quell’ora più che poteva entrando in acqua prima del tempo e restandoci fino a quando l’istruttore non la obbligava a uscire tirandola fuori di peso.

    Bramava l’acqua più di ogni cosa, era il suo elemento naturale.

    Nel suo diario segreto si divertiva a scrivere dei desideri da esprimere nel caso avesse incontrato il genio della lampada, quello con la pelle blu e il pizzetto che l’aveva fatta morire dal ridere nel film su Aladino.

    Si dilungava a immaginare cosa avrebbe potuto chiedergli se lo avesse incontrato, in che modo avrebbe potuto realizzare completamente la sua felicità limitandola a tre desideri soltanto. La regola era quella.

    La sua lista al momento comprendeva una villa con piscina, una spiaggia privata e un veliero tutto suo con dodici posti letto.

    L’acqua era presente ovunque nei suoi pensieri.

    Si avvicinò al bordo della piscina preparandosi al tuffo.

    Di fronte a lei, dall’altro lato della vasca, l’istruttore camminava guardandosi attorno, il fischietto di metallo sempre in bocca come fosse un’appendice del suo corpo.

    Fischiò due volte agitando la mano per salutarla.

    Lei ricambiò il gesto e prese un respiro il più profondo possibile.

    Due ragazze accanto a lei ridacchiavano sguaiatamente mettendo la punta dei piedi nell’acqua e ritraendola subito.

    Tanto dovrete essere dentro comunque tra pochi minuti. Meglio buttarsi senza fare tante storie pensò guardandole con aria di sufficienza mentre piegava le gambe, tirava indietro le braccia e prendeva lo slancio per tuffarsi.

    Un attimo dopo era in acqua.

    Il suo corpo fu investito da un’ondata gelida che la travolse diffondendosi su ogni centimetro della sua pelle, ma al contrario delle altre lei amava quella sensazione. Si sentiva parte della natura, forte e impotente allo stesso tempo. Tutt’uno con il suo elemento preferito.

    Due rapide bracciate e raggiunse il fondo della piscina con il volto rivolto verso di esso. La sua versione perfetta della vita.

    I rumori le arrivavano lontani e attutiti, la luce filtrata dall’acqua assumeva colori e forme fiabesche che danzavano intorno a lei.

    Sospesa a pochi centimetri dal pavimento di piastrelle azzurre le sembrava di volare, si sentiva invincibile.

    Pochi movimenti delle mani e delle gambe la tenevano immobile in quella posizione.

    Aveva ancora un po’ di ossigeno nei polmoni, decise di sfruttarlo per cambiare posizione e mettersi a pancia in su, rivolta verso il cielo che stava oltre il soffitto di quella sala.

    Mosse le braccia e inarcò il busto ruotando su se stessa per voltarsi.

    Il dolore, improvviso e sordo, la colpì al centro del petto.

    Si sentì come se avesse ricevuto un pugno fortissimo da una mano d’acciaio, pensò che qualcuno tuffandosi potesse averla colpita accidentalmente, ma era sola.

    La fitta di dolore propagò i suoi tentacoli, che si diffusero in ogni parte del suo corpo come delle scosse elettriche; sentiva male sulla punta dei piedi, nelle dita delle mani, sullo stomaco. Persino i capelli raccolti nella cuffia sembravano dolerle.

    Lo choc la prese alla sprovvista, per qualche secondo assorbì il dolore senza reagire, poi la sua mente si concentrò su di un pensiero: "Devo

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