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Perfect Vol. 3: Homo optimus
Perfect Vol. 3: Homo optimus
Perfect Vol. 3: Homo optimus
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Perfect Vol. 3: Homo optimus

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About this ebook

Il capitolo finale della saga di Perfect conduce il lettore alla scoperta degli ultimi continenti del mondo post-apocalittico introdotto nei primi due libri. Si conclude l'epopea delle caste di Cisatlantica e Transatlantica e del loro difficile, spesso contraddittorio rapporto con l’eternità artificiale garantita dal siero Wirthmann.
Nel cuore di Antartica il Divo-dittatore si fa causa diretta del pubblico assassinio del primo protagonista della trilogia, mentre sempre più irresistibilmente è attratto dai misteri di Pacifica e dell’ultimo segreto di cui sono depositari i Nomadi, eredi dei primi uomini e fondatori della mitica Edenia. Qui un nuovo, insospettato eroe accetterà il destino di “deus ex machina” prospettatogli dall’Anziano, portando così a termine il percorso di iniziazione che lo vedrà insperato salvatore del suo popolo a un passo dalla guerra globale.
Tra chiaroscuri e drammatiche scelte, matura la complessa personalità dell’eroina Lara Gray, alle prese con la tragica fine dell’amore di una vita e il tormentato, impegnativo ruolo di madre.
Nella seconda parte siamo proiettati a dieci anni dalla caduta di New Wolrd City (la New Harmony di un tempo), proprio mentre Greta ricalca le orme della sua seconda madre nella difficile scelta tra l’onore della casta immortale a cui è legata dall’irradiazione in giovanissima età, e la passione per il Comune simbolo del suo difficile e traumatico passato, impersonato dal vecchio compagno di prigionia Thorvlad Lindholm.
Nel bel mezzo dei cambiamenti che stravolgono l’assetto politico di Arborea, alle soglie della nuova catastrofe che si abbatterà su Olympia e della minaccia di Lucetius che avanza su Heaven Harbor, si risveglia il mai sepolto orgoglio invidioso: risorge dal sangue dello stesso Maximus Lucetius, secondo Homo Optimus della storia, la speranza di un’umanità fiera del suo status “mortale”, alla riconquista delle radici democratiche del mondo antico.

Laureato in lingue e culture internazionali, Raffaele Isolato applica le sue ricerche in campo etico ed epistemico a novelle e romanzi che spaziano dal fantasy al noir, al filone avventuristico, alcuni dei quali già pubblicati in rete e cartaceo. In attesa di pubblicazione sono altre raccolte di saggi e i più significativi esperimenti poetici. Tra i titoli pubblicati su Amazon: Attacco al potere (La Saga dei Perfetti e degli Imperfetti vol.I), Chi vuole andare in TV?, Viaggio a Nord, Dall’altra parte del nulla, Lineamenti di religione universale, Inferno XXI (poema didascalico-allegorico in trenta canti), Il nulla imperfetto, Nati alla luna nuova, Viaggio a Lost City, L’angelo dalle ali di carta, La pietra e lo scandalo (raccolta di novelle d’argomento erotico), Il Presidente (tragedia in cinque atti in versi sciolti).
LanguageItaliano
PublisherPasserino
Release dateFeb 12, 2019
ISBN9788893455404
Perfect Vol. 3: Homo optimus

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    Perfect Vol. 3 - Raffaele Isolato

    Olympia

    Prologo

    A.D. 2292

    Ancora buio, ancora freddo. Il gelo trapassava la pelle, penetrava nella carne e nelle ossa come stiletti di ghiaccio, al punto che la Mater del Divo Lucetius, ospite permanente della villa ai limiti della capitale dell’Unione Transatlantica, fu costretta a richiamare i due Servitori che un’ora prima avevano attizzato il fuoco nel camino principale, terminando quel che restava del deposito di legna dell’atrium.

    - Di questo passo saremo costretti a chiedere altri rifornimenti a Palazzo. Non avrei voluto inviare ambasciatori… non prima di un’altra settimana. – rifletté ad alta voce, mentre l’ancella si scaldava le punte delle dita osservando la fiamma che lentamente perdeva luce e calore.

    - Maximus non le ha mai negato un carico di legname, signora.

    - Sai bene quello che voglio dire. Non mi piace essere costretta a sentirmi in debito al di fuori dei giorni concordati.

    - Ma lei è sua madre…

    - Io sono il suo burattino, Flavia. Lo siamo io, tu, Naevius, e tutti gli Aristoi intrappolati in Acropoli.

    - Ho sentito di popolazioni della stessa Unione che se la passano anche peggio…

    - Ma che non sono costrette a subire i capricci di un folle.

    Quando era di cattivo umore, la Mater poteva controbattere ai suoi tentativi di conversazione con osservazioni sempre più amare e disperate; Flavia sospirò e richiese nuovi ciocchi da ardere al Servitore accorso alla chiamata.

    - Non ci sono stati spettacoli in Arena, da quando il Divo ha il suo nuovo giocattolo. – riprese dopo essersi seduta accanto a una delle torce che illuminavano l’ampio triclinium.

    A questo sarebbe stato difficile obiettare con un altro commento pessimistico. La verità era che gli spettacoli all’Arena sorpassavano in crudeltà e sadismo qualsiasi altra tortura di cui l’ancella avesse mai sentito parlare. Maximus Lucetius giocava a fare l’imperatore onnipotente e capriccioso, e questo nei secoli aveva calato su Olympia una cappa di terrore e disagio anche sui cittadini più illustri e tradizionalmente inviolabili.

    La Mater tornò dalla finestra che dava sul giardino-serra del peristilio e si sedette pesantemente sulla sedia accanto al focolare. In mano aveva ancora la maschera dorata delle serate a corte; da un po’ di tempo a quella parte aveva preso a lucidarla ossessivamente ogni mattina, forse con l’intento di cancellare qualche macchia immaginaria.

    - Preghiamo che non sia soltanto una moda passeggera. So che dovremmo preoccuparci per quel poverino, ma almeno la sua presenza in città sta allungando la vita di molti condannati.

    Flavia accostò la piccola panca a quella della Mater, contenta di aver scelto finalmente un più piacevole argomento di conversazione.

    - E la sua innamorata? La Perfetta in arrivo dal Nord?

    - Si chiama Chloe, Chloe Gray, e a quanto pare in passato è stata una vera celebrità, a New Harmony.

    - Peccato sia caduta così in basso.

    - Dicono che il suo uomo sia stato un eroe. Questo dovrebbe essere sufficiente per restaurarne la dignità.

    Flavia se ne stette per un po’in silenzio, l’ago col filo dorato che usciva e rientrava dall’orlo della stoffa che stava decorando. Quel che le premeva sapere era ben altro, e sperava che la Mater non la ritenesse troppo indiscreta.

    - Sarà lui il primo contaminato? Potrà davvero camminare nelle terre di fuori senza maschera, e senza Scorpioni?

    La signora le rivolse un freddo sorriso di commiserazione:

    - Flavia… Quel ragazzo sarà fortunato se, quando Maximus avrà finito con lui, riuscirà ancora a reggersi in piedi.

    Con il suo mega impianto di climatizzazione e depurazione dell’aria a cielo aperto, Olympia era la prima città al mondo a usufruire di una temperatura pressoché personalizzata e di una difesa permanente contro l’inquinamento atmosferico. Ai quattro punti cardinali della sua imponente cerchia di mura erano posizionati i giganteschi Mulini, che soffiavano verso l’esterno l’aria viziata della capitale, mentre i depuratori della cerchia mediana immettevano in direzione dell’Acropoli i cosiddetti venti catabatici, successivamente discendenti lungo le pendici dell’altura per diffondersi prima nei quartieri degli Aristoi, poi in quelli dei Perfetti.

    Gli effetti spettacolari dati dal miscuglio di correnti erano noti in entrambe le Unioni, e avevano dato al Divo il soprannome di Zeus d’Antartica. Ad Olympia le nubi non solo erano divenute una realtà, ma erano persino in grado di dare origine a vere e proprie precipitazioni di carattere essenzialmente nevoso.

    Quando le migliorie all’impianto di condizionamento atmosferico avevano dato i primi frutti, meno di cinquant’anni prima, gli abitanti della capitale avevano creduto di vivere in un mondo a parte, privilegiato e lontano anni luce dal resto di un pianeta ai limiti della rovina ambientale e geologica. Poi erano arrivate la stanchezza, la sofferenza fisica, la malinconia di una vita passata in un regno di freddo e crepuscolo costante. Quand’era stata l’ultima volta che si era lasciato carezzare il viso dai tiepidi raggi del sole di mezzanotte? Il Pater, Naevius Lucetius, passeggiava assorto tra i filari di ulivi che adornavano il giardino-serra, l’unico luogo della villa, e probabilmente dell’intera capitale, a godere di una temperatura quasi estiva per tutto l’anno. Il Divo sapeva, ma per qualche strana ragione aveva scelto di concedere alla sua famiglia quella sorta di oasi fuori dalla sua giurisdizione: era forse soltanto l’ennesima dimostrazione di favoritismo a beneficio della sola famiglia imperiale.

    Naevius aveva l’abitudine di passare almeno sei ore al giorno all’ombra dei folti rami che curava con l’aiuto di una piccola squadra di giardinieri addestrati personalmente. Tutt’intorno, le fiaccole del peristylium immergevano l’orto in una luce innaturale, di festa campestre al chiaro di luna. Un tempo era sembrato tutto così romantico: il decreto del Divo di vietare l’uso dell’energia elettrica a tutta la superficie metropolitana (eccettuati quindi i locali sotterranei adibiti a laboratorio) non aveva stupito nessuno, vista la risaputa ammirazione dei Lucetii per la grandezza degli antichi Romani d’età imperiale. Olympia era il simbolo del lusso senza tempo, di una Roma rinata e ben più inviolabile della sua antenata. Nessuna orda di barbari avrebbe osato minacciarne la potenza, nessun popolo interno o confinante con l’Unione Transatlantica aveva anche solo propagandato un attacco a tutto ciò che la roccaforte dei Perfetti rappresentava dall’annus funestus in cui il cataclisma climatico aveva cambiato per sempre l’intero pianeta. Eppure…

    Quand’era stata l’ultima volta che il Divo aveva chiesto la presenza di suo padre al Senato? Il Pater non metteva più piede in Acropoli da quando più di cinque anni prima il presidente in persona l’aveva bandito ufficialmente dalle aule affrescate dove si riuniva l’organo legislativo dell’Unione, per via di certe banali discordanze in materia di politica interna. Perché quel cocciuto di suo figlio non voleva accettare che la Transatlantica rischiava di scindersi, e che se continuava questo stato d’incuria amministrativa, avrebbero rischiato la secessione delle terre a Nord dell’equatore? Quello che era successo nella piana occidentale era stato soltanto un avvertimento. Certo, avevano sedato la rivolta, ma a quale prezzo? Quanti Perfetti e cittadini mortali avevano perso la vita, quanti ancora avevano smarrito la fiducia nei loro legittimi governanti?

    - … e ora questo pubblico affronto ad Arborea. Maximus sa bene che non possiamo permetterci di indebolire anche i rapporti diplomatici con l’Unione Sorella. Non in questo momento.

    Plinio Cornelius, Senatore all’Acropoli e uno dei pochi membri influenti del governo a intrattenere ancora rapporti amichevoli con la familia dei Lucetii, sputò quel che restava del rametto di rosmarino raccolto nel recinto delle spezie. Rivolse l’attenzione al bagliore che arrivava da sud est, appena oltre il colonnato dell’impluvium: erano fuochi d’artificio sull’Acropoli.

    - Qualcuno ha ridato inizio alle danze. Il nostro imperatore festeggia qualcosa. – interruppe il discorso del Pater, con l’intento di smorzare le sue legittime preoccupazioni.

    - E da quando non spreca più un’occasione per darsi alla pazza gioia? Sembra che di tutto quel che accade fuori da Antartica non gli importi nulla.

    - Non è stata una mossa astuta quella di permettere l’arrivo del giovane Engstrom a Olympia, Naevius. Ormai devi esserci arrivato anche tu.

    Il Pater si voltò bruscamente, fissandolo dall’ulivo contorto a cui aveva poggiato la spalla. La luce della fiaccola più vicina nascondeva nell’ombra l’altra metà del viso affilato, completamente glabro:

    - Avresti avuto il coraggio di biasimarmi, quando feci quella proposta a te e agli altri? Avevamo bisogno di rafforzare la dipendenza di Arborea dalla nostra linea politica!

    - Non senza conquistarci il pieno appoggio di Maximus.

    - A Maximus non importava nulla di chi sarebbe stato il prossimo presidente della Cisatlantica, dopo la scadenza del mandato di Bjorn.

    La voce di Naevius era improvvisamente calata. Continuavano a passeggiare verso il centro del giardino: la piccola statua in bronzo del loro imperatore era lì in mezzo, in cima a una sottile colonna d’alabastro che non riusciva a riflettere il bagliore del porticato.

    - Ora pare che gli importi moltissimo. Quanto meno di Karl. – insinuò il Senatore, che continuava a godersi le fiamme purpuree che sprizzavano scintille dagli scoppi, all’orizzonte.

    - Ci sta ricoprendo di disonore! Che rinchiuda i suoi vizi tra le mura del Palazzo, e non coinvolga i nostri unici alleati d’oltre dorsale!

    - Karl è un ragazzino orgoglioso, ho avuto modo di conoscerlo… Non correrà a piagnucolare da suo padre, vedrai.

    - Credi che sia così semplice? Potrebbe portarne i segni a vita.

    - Ormai è un Perfetto. Non avrebbe alcun motivo di lasciare Olympia.

    - Se non per scappare… e metterci contro tutti gli altri Engstrom. Sarebbe una catastrofe, Plinio. Vedremo sfumare tutto il lavoro svolto per anni assieme all’ambasciatore Howe.

    Al vedere il Pater fremente d’ira, il Senatore si credette in dovere di prospettargli una via d’uscita, qualcosa che desse entrambi almeno la speranza di una risoluzione a breve termine.

    - Ne hai parlato con Claudia?

    - Non c’è ragione di turbarla con quest’altro grattacapo. Sai bene che ha già per le mani le richieste d’aiuto di più di sessanta condannati ai giochi dell’Arena.

    - Potrebbe utilizzare la stessa procedura d’evasione che ha già testato con gli altri. Stamane è arrivata un’altra carovana di Nomadi mercanti da Nord; i loro Carri sono in grado di percorrere parecchi chilometri senza ricambi d’aria. Potrebbero lasciare Antartica in meno di due settimane.

    Messo alle strette dall’insistenza di Cornelius, Naevius inspirò a fondo l’odore d’acqua di rose che proveniva dalle terme private di sua moglie. Non avrebbe mai voluto coinvolgerla in quella storia, ma se c’era in ballo la secolare alleanza tra le Unioni sorelle…

    - Sei sicuro che il ragazzo non ha ancora parlato coi suoi?

    - Abbiamo ricevuto una chiamata da Arborea dieci giorni fa. Elina Engstrom ha parlato con lui, sempre sotto la supervisione della Milizia.

    - Nessun riferimento ai costumi della Domus?

    - Karl era piuttosto taciturno, ma credo che sua madre abbia attribuito tutto a uno stato di soggezione per trovarsi nella cosiddetta città perfetta.

    Cornelius sorrise beffardo, alludendo all’opinione che il resto del mondo conservava di una delle metropoli più misteriose e affascinanti della Terra. Olympia: la città più seducente, bella senza paragoni, che catturava lo straniero con lo splendore dei suoi marmi, ma che ormai stava lentamente sprofondando assieme al suo tiranno in una lenta e sanguinosa decadenza.

    - Va bene. Ne parlerò con Claudia. Ah, amico mio?

    - Sì?

    - Tieni d’occhio il ragazzo, ti prego.

    - L’alleanza con gli Engstrom sta a cuore anche al senato, Naevius. Il nostro accordo non sfumerà per i vizi di un capo indegno.

    Il Pater ricambiò il sorriso, per la prima volta da quell’incontro semi-clandestino. Chiamò uno dei Servitori che attendevano in ombra tra le colonne del peristilio, e lo pregò di scortare l’ospite fino all’uscita. Aveva parecchio da discutere con sua moglie, prima della fine di quella lunga giornata da prigioniero in casa propria.

    ***

    A Flavia non era mai piaciuto girare di notte per l’intrico di stradine e giardini che contornavano l’Acropoli. Il quartiere di rappresentanza della capitale era situato su di un’altura isolata nel mezzo di una valle scavata dall’erosione di un antico ghiacciaio; una quantità esorbitante di fiaccole e focolari ardevano lungo le vie principali e agli incroci per illuminare i punti più bui e pericolosi per i passanti. In più, visto che a settimane alterne la neve cadeva fitta e insistente anche per parecchie ore, si correva sempre il rischio che parecchie zone restassero isolate e impercorribili finché non si fosse proceduto alla sostituzione della legna inumidita.

    Tutto il resto era bellissimo. Immacolato e splendente come uno di quegli antichi, leggendari blocchi di ghiaccio che in una lontanissima epoca imprigionavano l’intero polo sud in una scintillante gabbia d’acqua gelata. Solo che ora il ghiaccio era marmo, e il freddo non giungeva col vento tagliente delle notti di bufera: era tutto calmo, algido, liscio come se arazzi e tappeti di candido raso fossero stesi sugli edifici dell’Acropoli, sui templi dagli imponenti colonnati, sui propilei che facevano ala all’ingresso alla Domus imperiale. Finanche le insule e le domus riservate ai Perfetti che abitavano i quartieri più periferici della capitale, erano rivestite di lastre di marmo fatto giungere dalle terre più lontane dell’Unione. Tutto doveva essere d’un bianco puro e incontaminato, a imitazione dell’infinita distesa di neve di cui Lucetius avrebbe voluto adornare, nelle sue più azzardate fantasie, le terre dei suoi possedimenti unitari. Poco prima dell’arrivo alla scalinata sorvegliata dai militi, Flavia spense la torcia elettrica che la Mater le aveva passato sottobanco. Se una delle guardie l’avesse sorpresa a Olympia con un aggeggio a batterie, come minimo sarebbe stata imprigionata e costretta a soddisfare la fame d’intrattenimento dell’imperatore sul pulpitum del Teatro o nel bel mezzo dell’Arena.

    - Claudia Lucetia invia sete e stoffe pregiate al Divo. – annunciò ai militi che stazionavano in divisa e lancia di rappresentanza sui primi gradini.

    - E a noi non porti niente, bellezza?

    Flavia elargì intorno qualche sorriso civettuolo, poi si concesse un sospiro di sollievo quand’ebbe superato anche il secondo posto di guardia. La Mater non si era sbagliata: le fu comunicato che avrebbe trovato Maximus alle terme private, quelle adiacenti ai bagni riservati agli Aristoi e ai Senatori che abitavano l’Acropoli. Aveva varcato le soglie di quel mondo incantato già molte volte, eppure non riusciva mai a togliersi del tutto la soggezione e il senso d’impotenza che la pervadevano ai piedi del tempio alla Gloria Maxima. L’imperatore l’aveva fatto erigere alla sua fortuna trent’anni prima, in occasione della proclamazione del suo culto personale (almeno sulla carta) in tutte le città d’Antartica. Aveva voluto che il monumento superasse in fasto e dimensioni lo stesso Partenone dell’antica e dimenticata Atene, e c’era riuscito. Dai piedi del basamento su cui si elevavano le colonne in stile dorico, Flavia non riusciva neppure a intravedere gli elaborati bassorilievi dorati che adornavano il timpano e le metope della trabeazione.

    Oltrepassò il basamento del Colosso, il recinto del Circo, percorse il lungo porticato che fiancheggiava il lato più esterno della Domus, e finalmente raggiunse l’ingresso delle terme imperiali. Qui le venne detto di aspettare mentre uno dei Servitori si premurava di avvertire il Divo della visita inaspettata; Flavia passeggiò per le piastrelle smaltate sul bordo piscina del frigidarium, la grande vasca d’acqua fredda per le ultime abluzioni del presidente/imperatore. La luce delle lanterne sospese che filtrava dalle vetrate a mezzaluna proiettava sui marmi policromi fasci di luce che accendevano piccole aree del pavimento a scacchiera, rimbalzando sull’acqua della vasca in un’armonica successione di onde aranciate, celesti, rosa pallido.

    - Il Divo Lucetius è in piscina coi suoi pueri. Ha chiesto che fossi introdotta. – la sorprese il Servitore, sussiegoso nonostante fossero ormai soltanto in due nella sala.

    Flavia si guardò bene intorno prima di avvicinarglisi:

    - Sai bene perché sono qui, Laelio. Il ragazzo è con lui?

    L’altro alzò un sopracciglio e si finse infastidito da quel repentino cambio d’atteggiamento, poi abbassò la voce fino a sussurrarle all’orecchio:

    - È assieme agli altri. Non sembra per nulla godersi le sue attenzioni, poverino.

    - La Mater lo sospettava. È per questo che mi ha chiesto di tenerlo d’occhio. Credi sia possibile portarlo a stare da noi, per qualche giorno?

    - Fossi in te non mi intrometterei.

    - È un Engstrom, Laelio! Avrà pur diritto a un minimo di riguardo…

    - E noi siamo Servitori. Non ci interessa altro che quel che poggia sulla lingua e sulla mano dei nostri diretti superiori, Flavia.

    Si scambiarono una lunga occhiata tesa, poi il giovane le fece cenno di seguirla. Flavia raccattò l’involto coi rotoli di tessuto e fece ticchettare i sandali dalla suola rialzata sul pavimento lucidato a specchio.

    - Anche in te la paura può più della pietà, Laelio.

    - Ma la saggezza assai più della paura.

    Continuarono a beccarsi fino al calidarium, dove il getto d’aria calda costrinse l’ancella a portarsi una mano alla bocca per impedirsi di tossire. Percepì il calore che le arrivava alle caviglie e su per le gambe dalle piastrelle riscaldate ai limiti della sopportazione, poi il sottile strato di sudore che immediatamente le ricoprì le braccia e il viso. Attraverso la spessa cortina di vapore intravide il mezzobusto di un adulto (l’imperatore, probabilmente) disteso languidamente in piscina, circondato da un gruppo di fanciulli dal fisico esile, longilineo o semplicemente troppo infantile per risaltare tra le statue e le erme che adornavano le colonnine perimetrali.

    - Entra pure. Ti manda la tua padrona? – le giunse ovattata una voce dolce e cortese ai limiti del laconico. Era lui, il mostro.

    - Aspetterò che terminiate il bagno. Così potrete ammirare le stoffe rare portate questa mattina dai Nomadi di passaggio. – gridò alla nebbia l’ancella, quasi isterica per l’agitazione. Laelio si era già dileguato, lasciandola in balia di quei fantasmi appena visibili in mezzo al fumo.

    - Lasciale pure nel vestuario, allora. E porta i miei ringraziamenti a Claudia Lucetia, naturalmente.

    - Sarà fatto…

    Flavia ancora indugiava sulla soglia, quando percepì la figura di un giovinetto che le sfrecciava accanto, seminudo e scalzo, la pelle lucida di sudore al bagliore debole delle fiaccole.

    - Karl! – sussurrò correndogli dietro alla cieca, fino al corridoio di collegamento con gli ambienti del tepidarium. Abbandonò la sporta, rialzò la veste per non inciampare nell’orlo.

    - Karl? Aspetta, ti prego. Sono qui per te…

    Il ragazzino si era già accovacciato dietro la base di una delle colonne in marmo grigio, l’ombra che lo tradiva nel bel mezzo del passaggio alle terme pubbliche.

    - Mi manda la Mater. È in pensiero per il tuo soggiorno a Palazzo. Ascolta, non devi avere paura.

    Flavia si inginocchiò accanto a lui, sorridendogli apprensiva. Il faccino spaventato del dodicenne, gli occhi strabuzzati dietro una cascata di riccioli umidi, le provocarono una stretta al cuore e un moto improvviso di rabbia per quello che (i muri avevano occhi e orecchi) si diceva avesse subito.

    - Ti va di dormire da noi, stasera? In villa c’è spazio a sufficienza. Avrai anche una stanza tutta per te.

    Karl continuò a fissarle le caviglie fasciate dalle strisce di cuoio, le braccia strette attorno alle ginocchia.

    - Voglio tornare a casa. Riportatemi ad Arborea, vi supplico. – implorò con un filo di voce, prima di scoppiare a piangere sul grembo dell’ancella.

    ***

    - Crede di ingannarmi con questi stracci? Davvero è caduta in basso, amico mio. Tenga pure il suo rampollo cisatlantico, se lo desidera.

    Nel suo spogliatoio privato, Maximus Lucetius terminava di asciugarsi le membra robuste, tonificate dalla lunga sosta termale, con le stoffe iridate appena consegnate dalla Servitrice di sua madre. Lo assisteva l’amico e Aristos di lunga data, Junius Rufinus, ormai ospite fisso della sontuosa Domus in Acropoli.

    - Povero pulcino. Teneva tanto a diventare un Perfetto, e poi quando gli capita una fortuna del genere…

    - Ci sarà tempo perché impari a essermi riconoscente, vedrai.

    - C’è sempre tempo. Un Perfetto ha tutta un’eternità per espiare i propri debiti.

    Junius aiutò il Divo ad applicare la lozione idratante sulla schiena e sul capo liscio, indugiò coi polpastrelli sulla pelle morbida come quella di un bambino e lo fece notare compiacente al suo imperatore.

    - Hai poi saputo del dono che mi avevi promesso? – tagliò corto Lucetius, quando ebbe fermato la fascia di lino attorno ai lombi, pronto per l’ultima tappa delle sue abluzioni quotidiane.

    L’Aristos lo imitò avvolgendosi i fianchi poderosi e il ventre spropositato con una lunga asciugamano di cotone, poi anticipò l’informazione che custodiva gelosamente da quella mattina con un’espressione grottesca del volto paffuto, carica di ambigua suspense:

    - Ti aspetta nel frigidarium, Maximus. Avevo pensato tu volessi concludere in bellezza una giornata così ricca di soddisfazioni…

    - Ah, non per me, amico mio. Grato che di tanto in tanto ci sia almeno tu a risollevarmi il morale.

    - Alludi al ritardo della delegazione occidentale?

    Lasciarono insieme il vestuario, diretti al labirinto di cubiculi che isolava gli ambienti più caldi delle terme.

    - Il capitano della spedizione, quel Dave non so cosa… Avrebbe dovuto essere già per via, non è vero?

    - Sono sicuro che sarà qui a giorni.

    - Ma io devo essere sicuro della verità! Ha o non ha trovato la città dei Nomadi? La capitale di pietra nera?

    - Sono soltanto leggende, Maximus…

    Junius capì troppo tardi di esser stato azzardato. Il Divo scattò contro di lui come una saetta, avvicinandosi sino a premere la fronte unta sulla sua: lo fissò con gli occhi talmente sbarrati da fargli temere gli schizzassero via dalle orbite:

    - Edenia esiste. Esiste, capito? È lì che pianterò il fulcro del mio nuovo impero, quando mi sarò stancato di questo.

    - L’Unione ti appartiene, Maximus… È la tua casa…

    Finalmente si allontanò; già l’aria fresca proveniente dalle aperture sopra la vasca del frigidarium diradava la nebbia degli ambienti che si lasciavano alle spalle.

    - Credi che io possa ancora sentirmi legato a un popolo che mi ha voltato le spalle, in così tante occasioni?

    - Abbiamo vinto gli Invidiosi, rafforzato la dipendenza dell’Unione sorella, consolidato la supremazia dei Perfetti da Olympia a Heaven Harbor…

    - E richiuso il coperchio di questo sarcofago vecchio di secoli! Ti rendi conto, Junius? Il Senato non può mettermi ancora i bastoni tra le ruote, non ora che la pace è tornata tra i distretti dell’Unione! Conquisterò Edenia, oppure la mia vita cesserà di avere un senso.

    - Maximus…

    Un Servitore si affrettò a cambiare i calzari di entrambi, porgendo loro uno sgabello perché non forzassero la caviglia. Junius allungò il collo per controllare che all’interno della sala di marmo variopinto tutto fosse stato già predisposto come ordinato qualche minuto prima: quando il Divo era su di giri, bastava un nonnulla per farlo infuriare, e perché qualcuno a corte vedesse messa a rischio la propria incolumità.

    - La verità è che sono stanco di questi pagliacci, di questi attori senza parte, di questi… opportunisti senza mistero, senza potere. Bjorn Engstrom è un burattino, ha finito per cedere al Cryostamen vendendomi letteralmente la sua Unione. Nella capitale del Nord, Heaven Harbor, il consigliere Brayden Butler non aspetta altro che un cenno per diffondere il culto della mia persona nella sua celebre Accademia. Perfino sulle ceneri di New Harmony si erige un monumento alla mia vittoria.

    - Se posso permettermi, Maximus…

    - E questa me la chiami vita? Una vita che dovrebbe scorrere eterna, secoli su secoli? Tutto questo è mio! Tutto questo è già mio, è già me!

    Strappò il piede dalle mani tremanti del Servitore, facendo schizzare via lo sgabello. Battendo il palmo della mano sul capo, iniziò a mugolare parole incomprensibili, dal tono acuto come quello di un bambino piagnucolante. Junius sillabò al ragazzo che li assisteva il nome di un medicinale che gli tranquillizzasse i nervi, poi aspettò a capo chino che la crisi fosse passata.

    - Ascoltami, Maximus. C’è ancora molto da fare. I Comuni non sono un popolo pacifico, tenteranno quantomeno di opporsi allo smantellamento delle Unioni…

    Il Divo inspirò a fondo, gli occhi semichiusi e puntati alla sagoma del giovinetto che sedeva sul bordo vasca.

    - I Comuni sono mortali. Rozzi mortali che non avranno altra scelta se non quella di sottomettersi alla nostra volontà.

    - E pure raggiungono un numero di abitanti quasi doppio di quello della Transatlantica.

    Fu portato il vaso d’acqua trattata, l’infuso che tradizionalmente aveva il potere di calmare l’immaginazione sovreccitata dell’imperatore durante i suoi deliri d’onnipotenza.

    - Non mi ascolti, Junius? Il futuro è a Occidente. Il mio destino è nella piana del Pacifico.

    - Voglia il fato che i tuoi trionfi ti conducano a calcare anche i suoli bruni di Edenia, Maximus.

    Finalmente il Divo sorrise. Abbracciò l’amico passandogli un braccio sulle spalle, poi entrarono insieme nella sala fredda e scintillante di riflessi policromi.

    - Hai ragione, Junius. È un vero gioiello.

    - Sua madre l’ha venduto perché fosse concessa l’irradiazione a lei e al suo consorte. Sono Servitori di una famiglia Perfetta dei quartieri bassi. Si stenterebbe a crederlo, non è vero?

    - Se questo bocconcino non ha geni immortali nelle vene, io non sono più degno di essere celebrato in Acropoli.

    - Probabilmente hai ragione tu. Quella Servitrice non l’ha raccontata giusta.

    - Sia comunque ricompensata! Sia fatta Perfetta! Anzi, invitala pure a Palazzo, prima delle celebrazioni per la vittoria della Milizia.

    Sorridendo e percorrendo ad ampi passi il passaggio a pelo d’acqua che lo separava dal giovinetto seminudo, Lucetius declamò alcuni versi di sua invenzione, celebrazioni d’una beltà androgina che potevano adattarsi a ogni persona (infante, adolescente o adulta) che rispecchiasse i suoi capricciosi gusti estetici.

    - Il tuo nome, tesoro? – chiese tutto moine e smorfie seduttive, sedendosi accanto al fanciullo già precedentemente addestrato. Junius aveva fatto centro, stavolta: il nuovo giocattolo del Divo era magro, flessuoso, biondo come il sole che mancava a Olympia e con gli occhi azzurri più del cielo che nessuno più ricordava.

    - Silas, signore. Per servirla.

    - Un nome barbaro? Oh, Junius… hai sentito? Un nome barbaro…

    I due adulti scossero la testa, palesemente divertiti.

    - Io propongo Silenus, Maximus. Che ne dici?

    - Oh, un nome promettente… Avvicinati, non aver paura…

    Continuando a fissarlo ad occhi bene aperti (non si doveva mai abbassare lo sguardo di fronte al Divo, non quando si riusciva ad attirare la sua attenzione), Silas si accostò sino a sfiorare le cosce dell’altro con le sue. L’imperatore gli prese il mento fra le mani, tirando fino a costringerlo ad aprire la bocca e a mostrargli i denti.

    - Perfetto, davvero perfetto.

    Prese a carezzargli gli zigomi, la mandibola, il collo, i capezzoli.

    - Non credi che potremo eternarlo, Junius? In modo che non sia di nessun altro, in modo che le mie mani siano le uniche a toccarlo per l’ultima volta?

    Un lampo di disagio attraversò il volto gonfio dell’Aristos; fissò ora l’amico ora il giovinetto, che continuava a mostrare i denti da bravo schiavetto.

    - Quel che il Divo comanda, ovviamente.

    - Riusciranno a produrre in laboratorio una soluzione che non gli macchi la pelle, in modo che conservi la freschezza e il colore originari? Che ne dici?

    - Ne sono sicuro, Maximus. Non è la prima volta…

    - Già, già. Non è la prima volta. Tu che ne dici, Silenus?

    Il ragazzo richiuse la bocca e atteggiò le labbra a un sorriso aperto, innocente:

    - Tutto ciò che il mio signore comanda.

    Soddisfatto, il Divo invitò il suo giocattolo a immergersi con lui. Poi fece un gesto a Junius Rufinus perché gli fosse bloccata ogni via di fuga.

    ***

    La prima giornata delle celebrazioni per la presa di New Harmony cominciò con la riapertura dell’Arena e l’allestimento dei giochi per i nuovi irradiati. La stessa famiglia dei Lucetii fu invitata a prendere posto sui sedili del podium, nella parte centrale della cavea. I Senatori, gli Aristoi, i Perfetti di più illustre origine occupavano le gradinate più vicine al campo di lotta, mentre le famiglie dei quartieri bassi, i Servitori, i membri della Milizia Bianca e gli schiavi d’origine nomade riempivano il resto dell’enorme anfiteatro.

    All’apparire della Mater, il viso nascosto sotto la maschera dorata e un velo che le copriva l’acconciatura elaborata, il pubblico si raccolse in qualche minuto di silenzio rispettoso, in nome essenzialmente dell’aiuto che Claudia Lucetia aveva offerto a tutti i supplici che pressoché quotidianamente a lei e alla sua pietà si appellavano per mitigare la furia punitiva del Divo. Qualche fischio segnalò il sedile vuoto di Naevius, altri canti di benvenuto si levarono ad accompagnare l’entrata dei Senatori e degli Illustri: tuttavia la sola presenza dell’imperatore Maximus, presidente dell’Unione Transatlantica e venerabile Divo delle terre dell’antica America, poteva sancire l’ufficializzazione degli spettacoli. Alla sua apparizione, gli spettatori d’ogni classe si alzarono in piedi e testimoniarono la loro lealtà chinando il capo verso il basso per alcuni secondi, poi sollevandolo e gridando tre volte il nome della gloria assoluta dell’impero.

    Come da copione, il Divo sistemò la toga color rosso porpora aiutato dai suoi pueri, poi si preparò a rivolgersi alla buona parte della popolazione olimpica riunita in Arena in quella solenne occasione. L’orchestra smise d’intonare la sinfonia d’origini germaniche promossa dall’imperatore a inno dell’Unione: amplificata da microfoni opportunamente camuffati, la voce di Maximus Lucetius si diffuse per l’intera Acropoli:

    - Popolo di Olympia, splendore dell’Unione e dell’umanità perfetta… vi do il benvenuto agli spettacoli che celebrano una grande vittoria, quella contro una piaga che per secoli ha funestato le terre del Nord e che finalmente, grazie all’appoggio di nostra sorella Arborea, è stata debellata per sempre!

    Gli applausi riempirono la breve pausa del discorso, si spensero gradualmente dopo che il Divo alzò la mano per continuare:

    - Ma non è solo una gloria passata che esaltiamo oggi. È più una promessa per il futuro, un giuramento che oggi io sento di fare qui tutti i miei sudditi, e a tutti quelli

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