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Ius et veritas
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Ius et veritas

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Una serie di riflessioni, mirate a un processo d'interiorizzazione, sulla logica della verità nella giustizia attraverso alcuni spunti sulle differenze, ma spesso sulle similitudini, della riconciliazione e del perdono all'interno di un processo affascinante qual è la relazione tra Vangelo e Diritto. "Ius et Veritas" è un itinerario che si conclude con la figura di Cristo artefice e portatore tra i popoli della giustizia irreprensibile perché solo Dio, giustizia e misericordia coincidono assolutamente e perfettamente.
LanguageItaliano
PublisherGAEditori
Release dateFeb 15, 2019
ISBN9788832518542
Ius et veritas

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    Ius et veritas - Berckus Duverly Goma

    Goma

    IUS ET VERITAS

    ©

    GA

    Editori

    Ius et veritas

    Giustizia come virtù

    La giustizia è precisamente la virtù morale per eccellenza che riassume tutte le virtù, una costellazione di virtù in forza della quale non solo si riconosce all’altro il suo diritto, con perpetua e costante volontà, ma anche lo si riconosce come persona. Persona vuol dire maschera, ovvero figura che rappresenta immagine e somiglianza il Dio Creatore, diversa dunque da ogni altra creatura. L’uomo è tale in quanto relazione d’amore che da subito si rapporta ad altri uomini, nella famiglia prima e nel vivere sociale più vasto poi. La relazione d’amore con gli altri esseri umani è, o meglio, dovrebbe essere precisamente la caratteristica dell’uomo. Sant’Ambrogio definisce la giustizia come: «La virtù che attribuisce a ciascuno il fatto suo e non s’appropria dell’altrui; e custodisce l’interesse generale, anche a costo di sacrificare il proprio vantaggio» [⁴¹] . Quindi, chi pratica la giustizia non cerca il proprio vantaggio, ma attribuisce e concede all’altro ciò che gli spetta di diritto. In quanto coordina tutti nostri atti al bene comune, è giustizia legale generale/giuridica; in quanto coordina tutti i nostri atti al rispetto dovuto a ciascun individuo in particolare, è giustizia particolare. Quest’ultima si divide in commutativa e in distributiva, secondo che riguardi le relazioni scambievoli fra persona e persona (per es. compravendita, e altri contratti di scambio), o le relazioni fra ciascuno e quel che è comune a ciascuno (per es. gli onori, le ricompense, le dignità).

    Il concetto di giustizia

    Secondo il pensiero greco, con Esiodo si parla di Dike (gr. Δ ίκη), termine che deriva dalla religione greca, dove la giustizia è intesa come divinità, figlia di Zeus e Themis (buon consiglio) [⁴²] . Come è normale traduce il greco e themis estin; giustizia, il greco dike [⁴³] . La prima formula indica la giustizia come conformità all’ordine naturale; la seconda, la giustizia come conformità alle regole in uso. Dall’analisi dei contesti in cui si rinvengono, in particolare le due espressioni di e themis esti e di dike esti non emerge una differenza di significato tra le due forme.

    La parola costume non rende in pieno il senso di questa themis. Con l’espressione ou moi themis non si vuole fare riferimento alla propria costumanza, ma alla norma divina che impone l’accoglienza del prossimo.

    Il concetto di giustizia inizialmente sembra essere percepito soltanto nel senso generico di rispondenza a qualcosa di prestabilito. La nozione di giustizia generale o legale implica l’idea di ordine, di armonia, di proporzione tra diverse parti relativamente protesa al giusto, al perfetto e al vero, secondo la prelazione data al bene comune su quello singolare di ciascuna persona. L’idea di giustizia che emerge dall’ epos omerico non è facile da decifrare, l’alternarsi di themis e dike non ne agevola la comprensione [⁴⁴] . Questa dike vuole indicare i confini degli status che regolano i rapporti tra le famiglie, mostrando giustamente l’uscita di questi dall’ambito della famiglia per disciplinare i rapporti di tipo sociale. I Romani la chiamarono Iustitia e Augusto le dedicò un collegio sacerdotale donde praticare la decisione giudiziale. In un mondo dominato dall’interesse, l’equità si mostra unità di misura del giusto e dell’ingiusto. Solo quando il vizio si muta in virtù, quando cessa di essere essenzialmente fisionomia egoistica per assumere più fermi contenuti sul bene comune, solo allora giusto e ingiusto troveranno un referente diverso dall’equità [⁴⁵] .

    La nozione di giustizia come concetto astratto si ha con il pensiero filosofico di Platone, che parla di giustizia come un «rendere a ciascuno ciò che gli è dovuto» [⁴⁶] ed afferma che l’essenza della giustizia sta nell’attuare il proprio compito, ciò che spetta ad ogni parte sociale: «[...] il campo della somma scienza è l’idea del Bene, in virtù della quale la giustizia e le altre virtù diventano benefiche» [⁴⁷] .

    Aristotele riprende da Platone il concetto di giustizia come virtù globale o perfetta e di ingiustizia come vizio globale. Egli, però, fa un salto qualitativo nell'elaborazione della nozione di giustizia, distinguendo dal concetto globale di giustizia il concetto di giustizia particolare e dandole una sistemazione quasi definitiva per i secoli che seguiranno.

    Egli distingue poi la giustizia particolare in: giustizia distributiva, e giustizia regolatrice o pareggiatrice.

    La prima, regola la distribuzione degli onori e dei beni nella società e mira a che ciascuno ne riceva una porzione adeguata al suo merito e al suo contributo. Essa è regolata non dall'uguaglianza aritmetica ma dalla proporzione che Aristotele chiama geometrica.

    La seconda, regola i rapporti sociali intersoggettivi. Essa assume come criterio l’uguaglianza aritmetica, in modo che il dare e l'avere tra le due parti raggiunga una certa parità, avendo riguardo non alla condizione dei soggetti, bensì al valore oggettivo della cosa in questione.

    I Padri della Chiesa usano il concetto di giustizia in senso molto lato, senza distinguerlo formalmente dal concetto di altre virtù. Invero, nella loro idea di giustizia confluiscono, talvolta intrecciandosi in modo non sempre chiaro, la tradizione biblica, quella platonica e quella stoica, rivelando uno sforzo tipico di mediazione non facile tra cultuale e culture. La giustizia, se riferita a Dio, è sapienza, bontà, misericordia; se riferita all’uomo, è osservanza dei comandamenti, sorgente di tutte le virtù al cui incrocio si trova storicamente la Regola di San Benedetto [⁴⁸] . Per Sant’Agostino la giustizia perfetta è la carità e nel suo grado più alto è dono dello Spirito Santo.

    Il contributo originale che San Tommaso dà alla speculazione sulla giustizia sta nell’aver introdotto una nozione di giustizia legale o generale . Egli la definisce in questi termini: «La giustizia legale è una virtù speciale per sua essenza, in quanto ha come suo oggetto specifico il bene comune ».

    La giustizia viene definita così virtù generale che coinvolge tutte le altre virtù e le convoglia al bene comune della comunità. Questa intuizione di San Tommaso sarà ripresa dal pensiero cattolico e dal magistero pontificio nel concetto di giustizia sociale come distinta dalla giustizia distributiva e dalla giustizia commutativa. Ciò avverrà esplicitamente con Pio XI nell’enciclica sociale Quadragesimo anno e nella Miserentissimus Redemptor [⁴⁹] . San Tommaso oltre alla giustizia generale o legale, che come abbiamo visto ordina l’uomo al bene comune della società civile, parla anche, riprendendo Aristotele, della giustizia speciale, che tutela il bene privato, e la distingue in distributiva, che regola la distribuzione dei benefici e degli oneri della comunità, e in commutativa, che ordina i rapporti tra i singoli membri della società, soprattutto nei contratti onerosi. Inoltre, San Tommaso, richiamando lo stretto nesso che c’è tra giustizia e verità, afferma che la giustizia pone di essere attuata secondo la retta ragione, cioè secondo verità: «Quandoque iustitia veritas vocatur » [⁵⁰] .

    In Charitate iustitia

    La giustizia è effusione della carità, perché non si è giusti per merito di una propria giustizia, ma a causa della giustizia riconciliatrice di Cristo che, umanizzando la città degli uomini, edifica il regno di Dio. Riconoscere il diritto altrui è riconoscere il diritto di Dio presente nel volto dell’altro: la giustizia ha Dio come suo destinatario. Compito della Chiesa è dunque proclamare e difendere in ogni luogo e in ogni tempo i diritti fondamentali dell’uomo e quindi essere davanti al mondo " speculum iustitiae ". Il diritto canonico, dice Giovanni Paolo II, svolge una funzione sommamente educativa, individuale e sociale, in quanto mira a creare una convivenza ordinata e feconda nella quale è favorito lo sviluppo integrale della persona umana, persona che deve essere considerata al centro del ministerium iustitiae dell’ordinamento canonico [⁵¹] . L’uomo, pertanto, è l’unico destinatario di tutta l’opera evangelizzatrice della Chiesa e, quindi, dello stesso Ordinamento canonico. La giustizia amministrativa, processuale o penale, non vanno separate dalla carità, poiché l’attività giuridico-canonica è per sua natura pastorale, cioè tende alla salvezza delle anime. Infatti, la ministerialità del diritto canonico è pastorale perché difende i diritti delle persone nell’ambito della comunione ecclesiale [⁵²] . La comunione ecclesiale è ordinata alla salvezza. Non ci può essere, dunque, contrapposizione tra pastoralità e giuridicità , né si può affermare che per essere più pastorale, il diritto debba rendersi meno giuridico. La vera giustizia nella Chiesa è animata dalla carità e temperata dall’equità e merita sempre l’attributo qualificativo di pastorale. Non può esservi un esercizio di autentica carità pastorale che non tenga conto anzitutto della giustizia sociale. Il fine dell’attività giuridica è creare ordine nella società ecclesiale attraverso una giustizia radicata nell’amore di Cristo. Questa convergenza tra la carità e la giustizia, perennemente privilegiata dalla canonistica, ha da sempre consentito ed orientato la nascita e lo sviluppo di una plurisecolare esperienza ricca di umanità come capacità di adeguamento al continuo divenire e mutare della realtà umana, in vista del raggiungimento dei fini ultraterreni della Chiesa, attraverso possibili revoche al diritto positivo, ispirate dall’ aequitas canonica .

    Giustizia e Verità

    La giustizia, afferma Giovanni Paolo II, come partecipazione alla verità, possiede un suo splendore, capace dì evocare nel soggetto una risposta libera, non puramente esterna, ma nascente dall'intimo della coscienza. Pio XII, già a tale proposito, ammoniva autorevolmente: «Il mondo ha bisogno della verità che è giustizia, e di quella giustizia che è verità» [⁵³] .

    Giustizia di Dio e legge di Dio sono il riflesso della vita divina. La giustizia umana deve quindi sforzarsi di riflettere la verità, partecipando del suo splendore. È legittimo, pertanto, sottolinea Giovanni Paolo II, "parlare dello « splendor iustitiae» ed anche dello « splendor legis», cioè: compito di ogni ordinamento giuridico, infatti, è essere al servizio della verità […] unico fondamento saldo su cui può reggersi la vita personale, comunitaria e sociale". Le leggi umane devono dunque aspirare a rispecchiare in sé lo splendore della verità [⁵⁴] . Altrettanto vale per l’applicazione concreta di esse, che è pure affidata ad operatori umani. L'amore per la verità non può non tradursi in amore per la giustizia e nel conseguente impegno di stabilire la verità nelle relazioni all’interno della società umana, né può mancare, da parte dei sudditi, l'amore per la legge e per il sistema giudiziario, che rappresentano lo sforzo umano per offrire norme concrete nella risoluzione dei casi pratici.

    La Giustizia è in ragione della verità. Benedetto XVI stigmatizza questi casi pratici, perché ignorano l’essenza di una libertà che è ricerca comunitaria della Verità trascendente [⁵⁵] . La Verità non è fatta di concetti ed argomenti, definibili in questo o quello. Verità è una persona, l’Uomo Gesù, realtà sostanziale permanente. La giustizia, invece, può essere definita in concetti e in argomenti, come avviene nel Codice della Strada. Anche nella giustizia vi sono delle precedenze, che misurano una giustizia più importante dell’altra in quanto ha priorità. Ma questo avviene sempre in ragione della verità. Tutto ciò che esalta Cristo e lo mette in risalto nella Sua volontà, va in prima linea. Ricordiamo il caso dei pani consacrati dati a Davide (1Sam 21,2-7).

    In questo preambolo, è sintetizzato questo importante significato: la giustizia è una misura ma, la Verità è una persona. Prima che le anime pervengano ad una comunione stretta con questa persona, cioè personaggio divino (Gesù Cristo), è necessario passare per un lungo processo di purificazione. Purificazione da che cosa? Da tutti i sistemi contingenti di misura basata sulla misura stessa. È come trattare con l’esercito senza considerare prima il capo, stabilire che l’esercito si muove da solo perché ha l’autorità ufficiale per agire come nessun altro può fare. Ma l’esercito non fa un passo se non quando il capo dà ordini, sul se, sul come e sul quando. È come esaltare gli strumenti di lavoro di un artigiano e considerare che la buona riuscita del lavoro sia merito di questi. In realtà, gli strumenti di lavoro non hanno alcun potere di muoversi da soli, senza cioè il controllo, l’esperienza e la capacità professionale dell’artista; rimangono strumenti morti, ci sono, ma sono inutili senza il controllo di chi li sa usare.

    Il popolo di Dio ha fallito sempre nella parte oggettiva del messaggio dell’incontro/scontro giustizia e verità. Ha sempre esaltato la legge in forma di codici e prescrizioni, trascurando ciò che è essenziale, sostanziale, il centro della legge, la parte migliore, e cioè Cristo stesso [⁵⁶] . È un po’ come dire che l’aspetto più affascinante è diventata l’imperscrutabile indifferenza alla Parola di Dio, piuttosto che personificare quella Verità incarnata nella Sapienza divina.

    In questa confusione è compreso anche quell’aspetto puramente sentimentale, dove il tutto si concentra solo sulla bontà di Dio, sulla Sua misericordia, ma in forma emozionale (sentimentalismo), fino al punto da non badare, da non dare alcuna importanza

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