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Natura e paesaggio nelle opere di Irène Némirovsky, Maria Teresa Léon e Joyce Lussu
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Natura e paesaggio nelle opere di Irène Némirovsky, Maria Teresa Léon e Joyce Lussu

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Irène Némirovsky, Maria Teresa Léon e Joyce Lussu vivono la loro esperienza letteraria ed umana in un contesto precario e violento quale quello della seconda guerra mondiale. Questo avvenimento, insieme ai cambiamenti sociali in atto come il rovesciamento dei rapporti di potere e di classe instaurato dai dominatori, i quali hanno portato alle relative persecuzioni di dissidenti e sovversivi, modifica e influenza significativamente la percezione che le autrici hanno di sé stesse e del mondo.
Si tratta di uno scenario squarciato che ferisce l’intimo, stravolgendo ogni legame positivo del soggetto con la storia, la cui reazione differisce a seconda della sensibilità e della formazione culturale. Tuttavia, proprio per mezzo dell’arte e della scrittura con la loro funzione di denuncia è possibile ricucire il tessuto identitario di un popolo, recuperando quella memoria personale e collettiva che sta alla base della coscienza sociale delle epoche passate, di quelle odierne e di quelle che verranno.
LanguageItaliano
Release dateFeb 15, 2019
ISBN9788899735753
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    Natura e paesaggio nelle opere di Irène Némirovsky, Maria Teresa Léon e Joyce Lussu - Emmanuel Gallo

    Emmanuel Gallo

    Natura e paesaggio

    nelle opere di Irène Némirovsky, Maria Teresa Léon e Joyce Lussu

    Argot edizioni

    © Argot edizioni

    © Andrea Giannasi editore

    Lucca febbraio 2019

    9788899735753

    A tutti quelli che mi hanno aiutato ad arrivare fin qui

    e a quelli che hanno un paesaggio dentro.

    Difendetelo e curatelo

    Nota al testo

    Le citazioni dei testi critici presenti nella biografia di Maria Teresa Léon non sono stati tradotti in quanto non sono oggetto di analisi. Nella sezione riguardante lo studio del paesaggio dell’autrice spagnola, avendo a disposizione soltanto l’opera originale, ho riportato in nota la traduzione cercando di non alterare la forma linguistica e rispettando, interamente, il senso.

    Ringrazio Stefano Lattari per la preziosa collaborazione nella revisione del manoscritto ed i proficui suggerimenti.

    Introduzione

    Il paesaggio è un tema che ci riguarda profondamente in quanto ha a che fare con la percezione di noi stessi: se lo spazio intorno a noi non valorizza le nostre capacità e le nostre inclinazioni tenendo conto della complessità delle esigenze e dei bisogni umani, allora, di conseguenza, la nostra qualità di rapportarci a noi stessi e al mondo diminuisce fino a perdere di significato. Il paesaggio non è soltanto uno spazio fisico che deve essere occupato o che si impone al soggetto nella sua presenza materiale, ma è anche e soprattutto un luogo di incontro, di relazione e di scambio. È una dimensione che proietta nello spazio fisico lo spazio psichico, la manifestazione culturale della nostra vita interiore in cui il meccanismo teatrale della messa in gioco di sentimenti è la rappresentazione della nostra soggettività. Gli atteggiamenti dell’uomo di fronte al paesaggio sono sostanzialmente due, ma non vanno viste come posizioni rigide, in quanto esse vivono, spesso, parallelamente e sono connesse con la necessaria doppiezza della natura umana: da un lato c’è la volontà di dominio e di controllo che trasforma il paesaggio per assoggettarlo alle esigenze di sopravvivenza e di sviluppo; dall’altro, coesistente con il concetto di natura come mera materia prima da sfruttare, c’è la tendenza, puramente artistica, alla contemplazione, la quale recupera l’elemento di mistero e di fascinazione (e quindi anche di terrore) insito nella natura.

    Nelle tre autrici argomento di questo saggio il paesaggio si relaziona continuamente con le vicende umane, anche quando non vuole entrarci direttamente. In Joyce Lussu si nota una risposta della natura, la quale partecipa agli avvenimenti descritti dall’autrice: c’è un doppio passaggio, ovvero il paesaggio influenza e viene influenzato dalla storia raccontata. Condizione interna del personaggio e condizione esterna della natura coincidono e si confondono in un'unica grande soggettività: se il personaggio vive uno stato di oppressione, allora il paesaggio è soffocante, per esempio. L’uno vive le sollecitazioni ed i cambiamenti dell’altro in un continuo divenire nelle variazioni.

    In Irène Némirovsky il paesaggio oscilla fra il coinvolgimento e l’indifferenza. Per indifferenza, tuttavia, non si intende assenza, ma una sorta di superiorità della natura che non considera importante mischiarsi nelle misere questioni umane. La presenza della natura è, comunque, sempre costante e si nota nelle descrizioni molto dettagliate. Può essere una natura che esprime una malattia e un disagio e, quindi, deformata e notturna, oppure una natura impassibile e serena, che continua normalmente il suo ciclo nonostante la vicenda bellica. Nell’autrice c’è sempre un gioco di lontananza-vicinanza fra l’uomo e la natura, ed il paesaggio, a volte, viene percepito come portatore di rivelazioni riguardanti il destino umano. Altre volte, invece, risulta totalmente estraneo all’uomo, quasi una realtà altra, parallela, che assume connotati metafisici per la sua inattaccabile tranquillità e distanza terrena.

    In Maria Teresa Léon il paesaggio si accompagna ad un’evocazione del passato. Il tono, quindi, è sempre molto appassionato e coinvolto, in quanto il ricordo, fatto di immagini, di suoni e di luoghi, provoca l’emozione e viceversa. Si potrebbe dire che l’autrice ricorda per mezzo dei sentimenti, i quali, oltre ad essere un veicolo della narrazione, sono anche il principale strumento della memoria. Questo flusso di sentimenti porta con sé tutto il suo bagaglio di esperienze passate in cui la natura si inserisce acquisendo un valore affettivo, una carica simbolica fra il poetico ed il nostalgico.

    CAPITOLO PRIMO. Profili biografici

    1.1 La vita e le opere di Irène Némirovsky

    Irène Néirovsky è figlia di Léon Borisovič Némirovsky, un ricco banchiere ucraino, e di Anna Margoulis, detta Fanny:

    Suo padre proveniva da un’oscura famiglia di ebrei del ghetto, originaria della città ucraina di Nemirov, segnata da tragiche vicende di persecuzione antiebraica che non vi avevano tuttavia impedito la fioritura lungo il Settecento del movimento chassidico. La madre era nata a Odessa in un colto ambiente ebreo francofilo e aveva ricevuto, a differenza del marito più vecchio rispetto a lei di circa sette anni, «un’educazione perfetta». Parlava il francese correntemente, cantava romanze e suonava il pianoforte, aveva studiato con professori del conservatorio; le piacevano il lusso, le pellicce e gli abiti eleganti e ogni frivolezza; per essere chic già da ragazza «aggiungendo una J o una F al suo nome, si faceva chiamare Jeanne o Fanny»¹.

    Impara da piccola il francese grazie al fondamentale contributo educativo della sua governante Zezelle. Così la descrive Irène:

    Quasi sempre camicetta bianca e piegoline, biancheria con merletto inglese ed a volte un grembiule di rasatello nero, piedi sottili con stivaletti neri abbottonati. Al collo, un nastro di velluto... Il viso deve essere stato ancora bello, di una bellezza fine e aggraziata da grisette, una bellezza dell'asino presto svanita che ancora conservava la linea della bocca graziosa, a forma di cuore, sorridente e benevola. Dentini da topo. Per il resto, tratti fini, irregolari, che i cinquant’anni ricoprono di graffi leggeri, occhi neri stanchi, e capelli, nonostante l’età, di un castano scuro quasi nero dai riflessi bluastri, raccolti, alla vecchia maniera, in anelli di fumo sopra la fronte scoperta².

    Crescendo, Irène diventerà poliglotta ed arriverà a conoscere ben sette lingue, fra cui il finlandese, il russo e l'inglese: ciò la porterà ad essere identificata come persona cosmopolita ed apolide (le verrà negata, infatti, la cittadinanza francese). Nonostante le cure di precettori e governanti, Irène è una bambina infelice e solitaria. Il padre, grande viveur, è costantemente assente da casa per motivi di lavoro e di gioco, mentre, con la madre, Irène ha un rapporto conflittuale, di amore-odio. Ecco il ritratto che ne farà nel 1928: «Mammina in un abito da ballo scollatissimo, con in faccia quel sorriso candido e trionfante che sembrava dire: Guardatemi! Sono o non sono bella? E sapeste quanto mi fa piacere!»³. Insomma, l’immagine femminile dei personaggi dei suoi romanzi rispecchia l’atteggiamento da «incantevole bambola»⁴ materno.

    Il comportamento arrivista ed insensibile dei genitori rimarrà profondamente impresso nella mente e nel cuore della giovane scrittrice, tanto da far ereditare le loro sembianze ed i loro connotati ai personaggi dei suoi romanzi. Infatti nella figura di David Golder⁵ possiamo ritrovare aspetti dell'atteggiamento paterno, così come anche nel personaggio di Mr. Kampf nel romanzo Il ballo⁶, opera in cui si possono riconoscere molteplici elementi autobiografici. Nel periodo della rivoluzione la famiglia Némirovsky si trasferisce da San Pietroburgo a Mosca sia per motivi legati agli impegni lavorativi del padre, sia per trovare un posto sicuro dove stare:

    Credendo di mettere al sicuro la famiglia, Léon Némirovsky trasferì i suoi a Mosca, ma fu proprio in quella città che nell’ottobre 1918 la rivoluzione si scatenò con maggiore violenza […] La casa, invisibile dalla strada, era incastrata fra altri edifici e circondata da un cortile sul quale si affacciava un’altra casa più alta della prima. Poi veniva un secondo cortile circolare, e di nuovo una casa. Quando non vedeva nessuno in giro Irène scendeva di nascosto a raccogliere i bossoli lasciati dai proiettili. Per cinque giorni la famiglia sopravvisse, chiusa nell’appartamento, con un sacco di patate, alcune scatole di cioccolato e altre di sardine come uniche provviste⁷.

    Dalla Russia⁸ la famiglia è costretta a spostarsi prima in Finlandia e poi in Svezia a causa di problemi del padre nei confronti del regime dei Soviet. In Finlandia i Némirovsky vanno a vivere a Mustamaki⁹, una località di frontiera della Carelia, dove molti pietroburghesi, prima della rivoluzione, possedevano una dacia. Si stabiliscono in una pensione dove Irène ha la possibilità di leggere autori come Balzac, Dumas, Gautier e Wilde; quest'ultimo in particolare influenzerà notevolmente il suo stile: lei stessa ammise che Il ritratto di Dorian Gray era il suo libro preferito. In questo periodo compone delle fiabe ed alcune poesie, anche se non si considera per niente portata verso la scrittura in versi, ritenendo che il suo talento si possa esprimere al meglio nella prosa. Irène definisce questi lavori: «Niente di particolarmente originale: fiabe, poesie in prosa che imitavano Wilde»¹⁰.

    Dopo alcuni spostamenti e viaggi, la famiglia Némirovsky si stabilisce definitivamente a Parigi. Irène, quando pensa alla sua prima infanzia, parla in questi termini:

    L'estate per me è Kiev, se l'inverno è la Finlandia e l'autunno è San Pietroburgo nelle nebbie gialle delle sponde della Neva. Non eravamo ancora molto ricchi quando vivevamo lì: solo benestanti. Mio padre ancora limitava i suoi affari alla città e spariva soltanto per brevi soggiorni a Odessa o a Mosca. Era già l'epoca dei piagnistei e delle liti, quella in cui mia madre vedeva in continuazione, al collo di un'amica, una collana più bella della sua, sulle spalle di un'altra una pelliccia più sontuosa, l'epoca in cui la casa le sembrava troppo piccola e scomoda, troppo buia, la cameriera maldestra e la cuoca incapace. A me piaceva quella casa, soprattutto dopo l'arrivo della governante francese, Mademoiselle Rose, che si occupava solo di me e mi proteggeva dalle urla di mia madre, dalle sue recriminazioni, dai suoi scoppi d'ira, dalle sue crisi di pianto...¹¹

    Nel luglio 1919 i Némirovsky arrivano in Francia e vanno a vivere in un quartiere elegante di Parigi. Terminati gli studi liceali, Irène si iscrive alla Facoltà di Lettere della Sorbona:

    In Francia la vita di Irène Nemirovsky prende una piega meno amara. La famiglia si inserisce bene nella società parigina e conduce l’esistenza brillante dei grandi borghesi: serate mondane, cene con champagne a profusione, balli, villeggiature di lusso. Irène adora la vita movimentata, la danza; corre da una festa all’altra, da un ricevimento all’altro. Come confessa lei stessa «fa baldoria». Ogni tanto gioca anche al Casino. Il 2 gennaio 1924 scrive ad un’amica: «Ho passato una settimana di completa follia, feste su feste, sono ancora un po’ ebbra e ho difficoltà a tornare sulla retta via!»¹².

    Nell'agosto del 1921 pubblica la sua prima opera intitolata Dialoghi di Nonoche e Louloute sulla rivista bimestrale Fantasio¹³. Inoltre scrive sulle riviste Matin e Les Oeuvres libres, dove pubblica la sua prima novella, Il malinteso¹⁴. Ha diciotto anni. In seguito a queste opere arrivano le prime accuse di antisemitismo, alle quali lei si rifiuta di rispondere, considerandosi libera dalle giustificazioni inerenti il suo lavoro artistico¹⁵.

    Nel 1927 Irène pubblica la novella Il bambino geniale¹⁶, ripubblicata post mortem, nel 1992, con il nome di Un bambino prodigio¹⁷.

    Si laurea in Lettere alla Sorbona e nel 1926 sposa Michel Epstein, un ingegnere russo emigrato, divenuto poi banchiere. Da questa unione nascono due figlie, Denise ed Elizabeth, che porteranno un grande contributo alla diffusione e alla conservazione degli scritti materni. Fu, infatti, una delle figlie a ritrovare il manoscritto dell'ultima opera della madre, Suite francese, rimasta incompiuta a causa della deportazione.

    Questo romanzo, diviso in due sezioni (Tempesta e Dolce), racconta l’occupazione tedesca in Francia e, più precisamente, la fase di

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