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Niente è come sembra
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Niente è come sembra
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Niente è come sembra

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About this ebook

Ci sono luoghi, ricordi, odori da cui non puoi sfuggire, specialmente quando tutto questo s’incatena dentro la tua testa.

In questo momento mi sento arrivato, eppure dopo questo istante, la mia vita ha un nuovo impulso, un salto verso un nuovo capitolo, molto migliore del primo …
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateFeb 22, 2019
ISBN9788831603195
Niente è come sembra

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    Niente è come sembra - Roger White

    sembra

    Roger White

    Niente è come sembra

    Youcanprint Self-Publishing

    Titolo | Niente è come sembra

    Autore | Roger White

    ISBN | 9788831603195

    Prima edizione digitale: 2019

    © Tutti i diritti riservati all’Autore

    Youcanprint Self-Publishing

    Via Marco Biagi 6, 73100 Lecce

    www.youcanprint.it

    info@youcanprint.it

    Questo eBook non potrà formare oggetto di scambio, commercio, prestito e rivendita e non potrà essere in alcun modo diffuso senza il previo consenso scritto dell’autore.

    Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata costituisce violazione dei diritti  dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla legge 633/1941.

    Ci sono luoghi, ricordi, odori da cui non puoi sfuggire, specialmente quando tutto questo s’incatena dentro la tua testa.

    In questo momento mi sento arrivato, eppure dopo questo istante, la mia vita ha un nuovo impulso, un salto verso un nuovo capitolo, molto migliore del primo …

    Agosto 2016

    Le onde dell’oceano stanno facendo la voce grossa, mi ricordano che sta arrivando una tempesta, non me ne importa niente, le mie gambe stanno correndo ormai da due ore in uno dei più bei posti della terra.

    La sabbia sotto i miei piedi sprofonda felice, alzo lo sguardo e a poche centinaia di metri vedo il mio nido, la mia casa.

    Mi fermo per un attimo per riprendere fiato e guardo in lontananza i fulmini vanno a morire nell’oceano.

    Mi sto allenando per la Venice Marathon cui devo partecipare in autunno, è da due anni che me ne sono andato dall’Italia, ero convinto che non ci sarei mai più tornato, perché a volte tentiamo di scappare dal nostro passato, ma lui è sempre li a ricordarci quanta fatica si fa a diventare felici …

    OTTOBRE 2013

    Il sole si era appena svegliato sulla mia terra, non è ancora adulto, ero seduto sull’unica sedia che mi era rimasta in casa.

    Era terzo anno dopo il decimo e avevo superato i quaranta, vivevo da solo, ero separato da parecchi anni e per mantenere la sanguisuga della mia ex ho venduto mezzo mobilio, mi è rimasta la TV, un tavolo, una sedia, una letto e poco altro …..e la mia moto; una Harley Heritage Springer del 97, venderei un rene  pur di non perderla e la chiamo Emily in ricordo della figlia che non ho mai avuto.

    Era un giorno di ottobre indossavo un paio di jeans e una t-shirt, lungo la mia gola scorreva a intermittenza del prosecco, era mattina, lo so dovrei bere del caffè ma ne ho già inghiottiti tre e con caldo che stava crescendo dentro di me, del vino fresco mi facwva star bene.

    La musica che proviene da MTV cercava di coprire il ronzio che stava crescendo dentro la mia testa.

    Tra un video e l’altro c’è il notiziario, stavano passando le immagini della morte di Simoncelli avvenuto due anni prima, quelle immagini mi facevano  uno strano effetto, rivedere quel corpo giovane morto in mezzo alla pista …

    Con un gesto di rabbia presi la bottiglia e la frantumai sul muro.

    Anch’io volevo fare la stessa fine, morire assieme alla mia Emilyma sono troppo codardo nell’affrontare la morte, preferisco sopravvivere all’ombra dei miei ricordi e vivere con in mano una bottiglia, con le delusioni che crescono e la speranza che diminuisce.

    Volevo fare i DJ mixare la mia musica, i suoni più belli, le canzoni che ti fanno vivere bene.

    L’unica cosa che ho mixato è stata la mia vita, tante attese: Diventerò ricco e famoso e pieno do donne dicevo da giovane …

    Invece sono un miserabile, facevo il portiere in albergo a Jesolo, prendo poco o niente, quel poco l’ho do alla mia ex e a me resta il niente.

    Dalla finestra vedo il mare, osservare le onde che abbracciano la sabbia, è l’unica cosa che mi mette in pace, mi fa sentire sereno.

    Ho tanta voglia di cambiare, di salire sulla mia Emily e scappare da questa vita di merda.

    Un giorno lo farò, ma come sempre rimando ogni bella speranza che nasce in un angolo della mia anima.

    Sto sudando, il vino sta facendo effetto, con la testa che mi gira, vedo il prosecco che scende lungo la parete e i pezzi di vetro per terra, questo mi fa capire come sarà il mio futuro se non riuscirò a cambiarlo.

    La bottiglia è la mia vita, il vino saranno le mie lacrime.

    Che stupido che sono, è morto un ragazzo pieno di vita ed io sono qui a piangermi addosso, è tempo di reagire.

    Come prima cosa devo pulire, sistemerò i danni che ho fatto, una frase che mi sta accompagnando tutta la vita.

    Dopo aver pulito, mi distesi sul letto … mi addormentai.

    Mi svegliai verso le tre di pomeriggio.

    Con gli occhi ancora annebbiati guardai il soffitto e una figura si formò sul colore che si sta sgretolando; il viso di mio padre.

    Ecco cosa farò, andrò a trovarlo dissi, e mi misi a ridere.

    Chissà cosa dirà quando mi vedrà pensai.

    Lui si che è un uomo con la U maiuscola, lui era come me un ubriacone oppresso da mia madre, ma un giorno mollò tutto e andò a vivere a Cortina aprì un negozio e si è trovato una donna di vent’anni più giovane.

    Ancora adesso non so, dove abbia trovato i soldi per aprire quella rivendita di souvenir come la chiamo io e trovarsi anche un’altra donna e per lo più un sacco più giovane.

    Come cavolo avrà fatto dissi ad alta voce.

    Come il solito, la testa mi esplode, so che non posso bere e come pagare dazio per ogni sbronza che faccio.

    Eccola che arriva la pastiglia scaccia mal di testa, oramai ce l’ho sempre in tasca.

    Vado in bagno, mi guardo allo specchio.

    Come sei ridotto dissi ad alta voce.

    Se mi vede mio padre in questo momento di sicuro, mi dirà che sono un pezzo di fango in mezzo ad una piscina pulita.

    La TV è ancora accesa e un brontolio di voci accompagna il rumore dell’acqua che esce dal rubinetto.

    Mi sono rasato la barba, mi sono fatto la doccia, mi sono messo il gel sui capelli e gli ho pettinati all’indietro, con le punte che cadevano morbide sulle spalle.

    Già meglio, adesso si che sono Danny Fede dissi soddisfatto.

    Feci scorrere su per le gambe un paio di jeans, la mia solita t-shirt nera, i miei affezionati stivali a punta, indosso il mio giubbotto in pelle con la scritta Harley- Davidson impressa sulla schiena.

    Mi guardo in giro per vedere dove sono finite le chiavi della moto.

    Come ogni volta non ricordo dove le ho messe, frugo nelle tasche del giubbotto e le trovo.

    Sbatacchio la testa per la stupidità che c’è dentro il mio cervello.

    Presi il telecomando della tele per spegnerla ma un servizio mi trattenne.

    Era la serie Indicar c’era un pilota che guidava in un modo geniale, era giovane e stava provando una monoposto nei test privati di una squadra, come tempi sul giro era più veloce dei piloti titolari.

    Aspettai un attimo, volevo sapere chi era.

    Rick Prescott, la vera promessa dell’Indicar aveva già vinto tutte le categorie cadette.

    Bravo sto ragazzo, questo si che avrà un futuro altro che il sottoscritto.

    Spensi la TV e uscii dall’appartamento, dopo aver chiuso la porta a chiave, uno strano pensiero mi attraversò la mente.

    Chissà se tornerò, boh.

    Abitavo in uno stabile con undici appartamenti, era vecchiotto e la speranza era sempre una; andarmene.

    Scesi in garage sul mio posto auto c’era la mia Emilydormiva sotto un telo, con una catena sulla ruota posteriore.

    Tolsi il telo e la slegai dalla sua prigionia.

    La mia Harley Heritage Springer del 1997 di colore bianco con le borse laterali in pelle nera, con delle frange che ricadevano fin quasi a toccare le marmitte.

    La misi in moto ah che meraviglia un rumore nostalgico che attraverserà tutte le mode con i suoi 1339cc e i suoi carburatori mi facevano sentire bene e sereno.

    Misi il casco lo guardai prima di indossarlo e feci un sorriso menai la testa volevo cambiarlo ma non avevo i soldi.

    Aprii il portone del garage, dopo essere salito in moto, mi avviai verso la stradina che portava sulla strada principale, mi fermai allo stop.

    Scrutai il cielo, il sole faceva lo slalom in mezzo a delle nuvole innocue.

    Non sapevo che strada prendere: Se faccio le statali non so se arrivo prima che faccia buio, prenderò l’autostrada pensai.

    Appena partito sentii vibrare il telefonino dentro la tasca del giubbotto, scocciato accostai a destra.

    Guardai chi era e una nuvola di nausea mi avvolse il corpo.

    Pronto dissi mal volentieri.

    Danny ti ricordo che sei indietro di quattro mesi.

    Vaffanculo.

    Presi il cellulare e lo scaraventai in mezzo alla strada, dopo pochi attimi passò un camion e il telefono cessò di esistere.

    Tanto meglio, così ha finito di rompere dissi con sollievo.

    Presi l’autostrada a Treviso Sud in lontananza cominciavo a vedere le montagne.

    Il rumore della moto non riusciva a soffocare i ricordi della mia ex.

    Emma l’avevo conosciuta a un motoraduno avevo ventisette anni, lei venti, era piccolina, con i capelli neri e lunghi, la vidi arrivare con una 883, già dal casco era tutto un programma; rosa con delle rose fucsia stilizzate.

    Un anno dopo eravamo già sposati, i primi tempi era tutto bello, lei faceva la parrucchiera e io correvo appresso alla mia passione facevo qualche serata come DJ.

    A forza di inseguire il mio sogno e a correrli incontro mi stancai e incominciai a bere, quando lo facevo, mi sentivo bene, la mia mente era come in mezzo alle nuvole e con questo arrivarono i primi problemi.

    Emma voleva un figlio e anch’io ne volevo uno.

    Dopo innumerevoli visite arrivò la sentenza.

    Lei signor Fede non può avere figli è sterile.

    Un pugno nello stomaco che ancor oggi sento il dolore.

    Mia moglie all’inizio cercò di capirmi, ma ero io che non accettavo il pensiero di  non avere figli, non volevo comprendere la mia condizione.

    Dopo mesi di alcool e litigi lei se ne andò e dopo poco arrivò la lettera dell’avvocato, un’altra mazzata ma stavolta al mio portafoglio ed essendo un debole accettai tutte le condizioni che lei propose.

    Che pirla, pensandoci oggi, avevo una strana sensazione, una serenità che non provavo da anni.

    L’aria fresca che avvolgeva il mio corpo, la strada sotto le ruote, il rumore della mia moto e l’idea di rivedere mio padre mi faceva volare, dei brividi bianchi che provavo solo da bambino.

    Fra due ore il sole andrà a dormire e si mi sbrigo arrivo a Cortina prima che faccia buiopensai.

    Ero all’altezza di Vittorio Veneto e un bisogno incombente stava arrivando, mi dovevo fermarmi.

    In lontananza vidi un Autogrill.

    Al momento giustopensai.

    Misi la freccia e scalando le marce entrai nell’aria di servizio, parcheggiai sugli spazi dedicati alle moto.

    Tolsi il casco e mi sistemai i capelli.

    Vado in bagno e poi mi faccio un caffè … Corretto … meglio di no.

    Camminando verso il bar guardai le montagne, un brivido corse lungo la schiena e non sapevo il perché, riversai la colpa al vento e mi soffermai a guardare .

    Che pace pensai.

    Il solito bisogno di prima mi ricordò che dovevo affrettarmi e camminai velocemente verso la toilette.

    Una volta consumato la necessità mi lavai le mani.

    Stavo per uscire dai bagni a testa bassa (una mia consuetudine) ma un passo femminile mi fece alzare lo sguardo, rimasi folgorato.

    Una donna mai vista, una femmina che emanava radiazioni a ogni suo passo.

    Avrà avuto circa la mia età, la pelle scura,capelli neri e ricci raccolti in una coda di cavallo … e un seno incredibile.

    Il suo viso … i suoi occhi erano ricolmi di lacrime.

    Entrò nel lato femminedel bagno.

    Qualcosa fece arrestare i miei passi e mi misi a origliare dalla porta, stava singhiozzando.

    Gli uomini sono tutti stronzi, gli dai un dito e si prendono tutto il corpoa  ogni lacrima corrispondeva una parola.

    In piedi e appoggiato alla parete ad alta voce, dissi: Ha ragione signora sono dei scarti che escono dal didietro, ma il mondo va così.

    Dall’altra parte un silenzio assoluto, il rumore dello sciacquone ruppe l’aria.

    Si apri la porta, stavo per andarmene via ma qualcosa mi costrinse a restare.

    Da un viso sconvolto privo di luce uscirono quattro parole.

    E lei chi è?

    I miei occhi erano talmente colmi di aria calda che provarono ad asciugare le sue perle bagnate e dalla mia bocca uscirono le solite parole senza senso: Sono un piccolo stronzo che guarda una bella signora … c’è qualcosa che non va?

    C’è tutto che non va è la mia vita che non va

    Mi osservò qualche istante.

    Cosa ci faccio io qua a parlare con uno sconosciuto? si chiese.

    La guardai un fuoco stava bruciando dentro la mia testa.

    A volte parlare con uno sconosciuto ti fa sentire benedissi.

    Lei mi guardò per qualche istante.

    Chi è quest’uomo un mezzo sorriso si fece largo dentro di lei.

    E’ anche carino ma mi sembra un po’ trasandatopensò.

    Lei ha ragione ma in questo momento non voglio parlare con nessunodisse la donna, si girò verso il lavandino e si lavò la faccia.

    Io ero lì in piedi come un baccucco stavo lì a guardarla e infine come sempre dissi:

    La saluto mi stia bene.

    Cinque parole senza una scossa.

    Mi girai e uscii.

    Tornai indietro, la scaraventai sul lavandino, un attimo prima avevo chiuso la porta a chiave, lei immobile con le mani attaccate alla ceramica scivolosa e con la testa china.

    Io dal didietro le tirai giù gli Jeans le allargai le gambe e con la mia bocca mi buttai dentro la luce del sesso.

    Solo pensieri …

    Ecco cosa le avrei fatto se solo avessi le palle, un po’ di coraggio ma in fondo sono solo un codardo e uno stupido.

    Sconvolto da quella visione, uscii da bar senza prendere neanche un caffè.

    Mi diressi verso la mia moto mi fermai e vidi una bambina che la guardava, lì vicino un Suv con la porta aperta, all’interno un uomo che parlava al telefono.

    Mi misi al suo fianco e con lo sguardo fisso sulla moto dissi:

    Ciao e tu chi sei?

    La bambina avrà avuto circa otto, nove anni con capelli castani/biondi e stranamente magra.

    E’ tua? mi chiese.

    Si è miarisposi con un sorriso,che serenità che mi metteva quella bambina.

    Come ti chiami, piccola?.

    Con lo sguardo fisso sulla moto disse: Emily.

    Un tuffo al cuore, una cascata di lacrime stava arrivando, ma dovevo trattenermi, con la voce spezzata dissi: Vuoi provare a salire?.

    Magari!

    Il sorriso di quella bambina illuminò la sera di quel giorno di ottobre.

    La alzai e la misi sopra la moto, dopo alcuni minuti ecco che arriva la donna misteriosa, nel guardarla sembrava ancora più bella.

    Stranamente veniva verso me, forse a voglia di …

    Emily che ci fai qui, ti ho sempre detto di non parlare con gli sconosciuti e dov’è tuo padre, quel stronzo?disse con aria alterata.

    Non è qui per me … pensai deluso.

    Non si dicono le parolacce davanti ai bambiniaffermai.

    E che ne sa lei, forse neanche non ne ha.

    Rimasi zitto per qualche istante poi dissi: Si ha ragione non ne ho, ma per questo che li amo più della mia vita, loro sono il futuro del mondo, sono la luce dell’universo e spetta noi che non si spenga.

    E allora vi muovete!una voce gridata arrivò dal Suv .

    Tutti tre gli sguardi si girarono in direzione di quelle parole.

    Le presento mio marito.

    La donna alzò la bambina dalla moto.

    Andiamo Emily andiamo, saluta il signore e ringrazia.

    Guardandomi disse: Ciao e grazie.

    Ciao è stato un piacere averti conosciuto … e anche la tua mamma.

    Nel sentire quelle parole lei si girò prima di salire nel Suv.

    I nostri occhi si baciarono e una strana sensazione invase le mie vene, a guardarle dal didietro non sembravano madre e figlia, la donna aveva la pelle scura sembrava una caraibica, la piccola aveva la pelle chiara.

    Forse assomiglia al padrepensai.

    Cosa non farei con quella mulatta

    Poi mi guardai, di sicuro una come lei non verrà mai con me, dovevo cambiare.

    Stavo per mettere il casco, quando una brutta scena comparve davanti ai miei occhi.

    Lui e lei che gridavano e la bambina che si tappava le orecchie con le mani.

    Salii in moto e indossai il casco, la accesi, mi girai ed erano ancora la a discutere.

    Non volevo pensare a nulla, non desideravo ritornare al mio passato.

    Misi la prima e mi avviai, poco prima partì il Suv.

    Il sole si stava spegnendo dietro le montagne e un odore d’inverno penetrava dentro il mio corpo, la vista di quella bambina, l’aver conosciuto quella donna, mi faceva strare bene e la voglia di rivedere mio padre dopo tanti anni un senso di pace cominciò a proteggermi.

    Che tenerezza mi faceva Emily, che voglia di sesso, mi faceva sua madre, noi tre che bella famiglia, ma a cosa diavolo stavo pensando, sto andando fuori di testa, scossi la testa, guardai la mia Harley, diedi un’occhiata allo specchietto e accelerai.

    Il fiume della vita attraversa luoghi bellissimi ci sono curve, cascate da attraversare ma in questo momento il soffice dondolio della corrente mi sta portando mare … un oceano pieno di catrame.

    MAGGIO 1994

    Un’autoambulanza correva veloce lungo la strada della speranza, sta salendo lungo i monti della vita.

    Come sta il paziente?chiese il dott Gino Barreto al suo collega Franco Summa.

    I due stavano all’interno  del mezzo di soccorso trasformato per l’occasione in una sala di rianimazione.

    L’uomo senza togliere lo sguardo da quella figura inerme disse: E’ancora in coma e ho paura che ci resti per un bel po’.

    Poi con la voce piatta colma di paura disse: I famigliari si sono accorti di qualcosa?

    Non c’era un minimo di emozione nelle sue parole, una coperta ghiacciata aveva ricoperto la sua vita.

    Era un uomo senza battiti, si erano fermati anni prima, dopo un giorno d’estate caldo e afoso.

    La sua adorata Susanna era morta davanti i suoi occhi, un innocua  scivolata in un sentiero si era trasformata in una tragedia e lui non era riuscito a salvarla.

    Aveva ancora davanti ai suoi occhi la testa insanguinata appoggiata a quel masso, lo stesso pezzo di roccia che aveva chiuso il tunnel del suo cuore, l’entrata della felicità.

    Guardava quell’uomo disteso su quel lettino, tutti quei tubi che entrarono e uscirono dal suo corpo e con mezza testa fasciata.

    Poteva essere suo figlio, l’erede che non a mai avuto.

    Spero di no, anzi ne sono sicuro.

    Disse il Dott. Barreto guardando Franco con l’aria di uno che stava mentendo, lui sapeva che non era così ma doveva stare zitto, il suo amico era troppo debole poteva rovinare tutto.

    Speriamo che non muoia, avremo fatto tanta fatica per nientedisse Franco.

    Gino lo guardò senza dire nulla, l’amico conosceva solo mezza verità, sapeva solo che doveva provare a salvare un uomo e prendere un po’ di soldi, ma andava bene così, in fondo gli voleva bene, si erano conosciuti all’università di Padova, molte primavere erano passate ormai la loro era un’amicizia vera e si era rafforzata dopo la morte di sua moglie.

    Abbozzò a un sorriso, in un certo senso ammirava Franco così fedele e innamorato, lui invece … era stato sposato solo pochi anni per poi lanciarsi alla pazza gioia, quante infermiere aveva passato, quanti seni aveva accarezzato, soprattutto quelle delle nuove arrivate, forse era così che si manteneva giovane lui e Franco avevano appena superato la cinquantina .

    Nella sua testa ogni giorno nasceva una nuova sfida.

    Questa  volta sono andato troppo oltre, ma se finisce come dico io, passerò alla storia, soldi tanti soldipensò tra se.

    I suoi occhi si chiusero in due fessure, due piccole ametiste colme di durezza e odio.

    Non sarò più un chirurgo qualunque.

    Erano passate circa tre ore da quando erano partiti  e nell’autoambulanza regnava il silenzio dell’attesa, un aspettare ne bianco ne nero.

    Una voce spostò momentaneamente il silenzio in un angolo, era Gino parlare sempre lui.

    Riccardo a che punto siamo

    Abbiamo appena passato Belluno, tra un’ora saremo arrivati .

    Franco, a casa del tuo amico è tutto pronto?chiese Gino.

    L’amico lo guardò, voleva urlargli tutta la paura, tutto il terrore che aveva dentro, non sapeva fino a che punto sarebbe resistito a tutto questo, che idea folle, non sapeva ancora perché aveva accettato, gli sembrava di stare dentro un film, un thriller, ma guardando quell’uomo sul lettino lo faceva ritornare alla realtà.

    E’ tutto a posto, nei sotterranei il mio amico ha allestito una vera sala di rianimazione e c’è la professoressa Prescott che ci aspettarispose.

    Mi chiedo se ci possiamo fidare di quella donnadisse Gino.

    I due si guardarono senza dire niente poi Franco con la voce piena di durezza e disprezzo verso l’amico disse: Ma che cavolo stai dicendo se tutto è partito da una sua idea e tu gli hai corso dietro con le bave alla bocca, lo so di che piede vai zoppo.

    Gino dovette trattenere tutti i suoi nervi incavolati, voleva dare un pugno a quel suo amico, anche se l’amicizia di un tempo stava scemando, poi con una voce dura ma leggera disse: Hai ragione, ma in questo momento sto pensando solo ai soldi che ci darà e non a lei.

    Franco non credeva una a una sola parola di quello che stava dicendo a parte i soldi.

    Lo sai meglio di me che è in gamba, forse è un po’ pazza, ma sai i geni sono fatti cosìdisse Franco e poi continuò: Pensa se riuscirà a fare tutto quello che ha in mente?.

    Beh ha una cosa sola da fare e se ci riuscirà tra quindici, vent’anni il mondo si ritroverà una bella sorpresa di cui discutere.

    I due guardarono l’uomo e Gino terminò la frase con un sospiro.

    Tutto dipende da lui.

    Franco ne era sicuro.

    Quest’uomo ha la pelle dura non morirà ne sono sicuro.

    Un attimo dopo, entrambi pensarono alla stessa cosa.

    Che fine farà quando tutto questo sarà finito, quando lei tornerà negli States e loro avranno i soldi.

    Una domanda che solo il tempo saprà rispondere …

    OTTOBRE 2013 DOMENICA SERA

    Arrivai a Cortina verso le sette e trenta di sera, non so perché ma avevo un freddo cane, la temperatura era si bassa, ma era sopportabile forse era per il pensiero di rivedere mio padre dopo una decina d’anni che mi congelava l’anima.

    Dovrei essere stato al settimo cielo, ma in realtà avevo una paura tremenda, anche perche l’ultima volta che l’avevo in contrato c’eravamo lasciati in malo modo.

    Ero deciso, sarei passato al negozio c’ero stato solo una volta e mi ricordavo che era un buco situato in Corso Italia, vicino alla chiesa.

    Parcheggiai.

    Le luci dentro erano ancora accese, rimasi qualche istante come paralizzato a guardare, non so cosa, forse era la paura di rivedere mio padre dopo tutto questo tempo,mi sentivo come un bambino in attesa di una predica.

    Spensi la moto e con il casco in mano aprii la porta del negozio e un suono di un campanello si liberò nell’aria, uno strano odore mi arrivava sotto il naso, un misto di legno e pietra.

    Girai lo sguardo a destra e a sinistra ma dell’uomo che mi aveva generato nessun segnale, avrei voluto chiamarlo, ma una spina nel cuore mi bloccava.

    Poi una voce anziana invase la stanza.

    Sto chiudendo può ripassare domani le parole provenivano dal retrobottega.

    Volevo solo salutarla, ho percorso molti chilometri per venire a trovarla.

    Dopotutto ero felice e non me ne fregava niente di un eventuale predica.

    Ci fu un attimo di silenzio.

    Questa voce mi sembra di conoscerla.

    La porta del retro si aprì e un anziano ben vestito, con le spalle dritte e gli occhi neri di un bambino mai cresciuto e capelli tagliati a spazzola di un grigio quasi finto apparve davanti a me.

    Rimasi paralizzato nessuno dei due parlava io timoroso, lui mi scrutava dall’alto in basso il suo viso cominciò a irrigidirsi.

    Una voce sottile e ruvida cominciò a risuonare nel negozio.

    Strano che vieni a trovare il tuo vecchio dopo tutti questi anni e poi non so cosa ci fai qui, cosa vuoi … soldi?.

    Rimasi male dopo queste parole non sapevo casa dire.

    Volevo solo vederti … sai ultimamente ti ho pensato spesso.

    Allungai la mano per ricevere la sua, ma la sua non si mosse e la ritrassi.

    Vidi gli occhi di mio padre che guardavano la mano e poi s’incrociarono con i miei.

    Non ho niente da dirti, vedo che sei ancora in piedi e questo è un segnale positivo, lo sai che la rabbia nei tuoi confronti è ancora viva e difficilmente passerà.

    Il mio cuore stava per accelerare.

    Il mio sangue cominciò a ribollire.

    Ancora con questa storia adesso basta sono passati quasi vent’anni e credo di aver pagato il mio conto.

    A me no, puoi anche andartene non ho bisogno di te.

    Ci fu una pausa colma di odio e rancore.

    Tuo fratello aveva bisogno di te, stava male e tu dov’eri?

    A inseguire i tuoi sogni, te ne sei volato via senza dire una parola e sei andato a vivere in quell’isola.

    Mio padre era come un fiume in piena questa volta eravamo arrivati al capolinea, in quasi vent’anni ci saremo visti sì e no cinque o sei volte ma solo incontri fugaci e pieni di odio e rancore, ma adesso sentivo che era la fine.

    Io e tua madre eravamo disperati e tu … dov’eri, tra alcool e droga, voglio fare il deejay dicevi sempre e te ne sei andato e quando tuo fratello si è ammalato, te ne sei fregato e adesso vieni a trovarmi con quella faccia tosta, ma guardati sei sempre vestito uguale jeans e stivali e la moto ce lai ancora, no non dire niente è ora di finirla io sono vecchio e non voglio più soffrire, ho un peso dentro la mia anima che mi sta schiacciando.

    Vidi nei suoi occhi tutta la sua disperazione accumulata in questi vent’anni.

    Lo guardai avevo le lacrime che mi stavano salendo e per non farmi vedere piangere mi girai per andarmene, tanto avevo capito che mio padre non mi voleva più vedere.

    Feci per aprire la porta ma il suono di una voce mi fermò.

    Aspetta Danny non te ne andare.

    Tornai indietro appoggiai le mani sul balcone e abbassai la testa per la vergogna e piansi.

    Ma che cavolo fai piangi, roba da matti ti ricordo che sei un uomo, hai superato di un pezzo i quaranta, non ci posso credere!

    In quel momento sarei voluto sprofondare sotto il mondo invece ero lì con il mio vecchio e non sapevo cosa dire.

    Ci furono attimi interminabili di un silenzio bagnato solo dalle mie lacrime.

    Mio padre mi porse un fazzoletto di carta.

    Forza asciugati quelle lacrime e dimmi tutto, in fondo non voglio perdere anche te.

    Voglio cambiare vita dissi sotto voce.

    Sarebbe ora che ti dia una sistemata io ho quasi ottant’anni e non mi restano molti anni ma tu … tu sei ancora giovane.

    Mio padre mi prese la faccia tra le mani.

    Bevi ancora?

    Si di fronte a mio padre non sapevo mentire.

    Male è ora che ti svegli il diavoloti sta portando alla morte, io ne so qualcosa.

    Aiutamidissi vergognandomi.

    Aiutarti?sono vecchio e stanco, dovrebbe essere il contrario.

    Ci fu una pausa e ci guardammo negli occhi passarono istanti interminabili.

    Va bene posso aiutarti, mi resti solo tu come figlio.

    Ci abbracciammo.

    Sentivo un calore lungo la schiena qualcosa stava per succedere … non so cosa.

    "Su, su, adesso basta, hai cenato? Chiese mio padre.

    Feci di no con la testa.

    Bene porta dentro la moto tanto domani il negozio sarà chiuso.

    Spinsi la mia Harley fin dentro il locale senza dire una parola, in quel momento non serviva, fu Efrem a parlare … il nome di mio padre.

    Ah però è più in forma la tua moto che tedisse divertito.

    Lo guardai e dissi: Sai essere anche simpatico,papà.

    Sostengo solo la verità, passano gli anni e la tua moto la mantieni in perfetto ordine a differenza  di te che sei nel pieno della tua vita ma che sembri un ortaggio fuori stagione, bello da vedere ma acido dentro.

    Guardai mio padre, non cambiava, mai esplicito come sempre.

    Mi dispiace dirlo ma hai ragione papà, cambiando discorso sei ancora insieme alla Teresa?

    Certo, senza di lei oggi non sarei qui.

    Non mi era mai piaciuta quella donna non so perché, dopo la morte di Roberto, mio padre, stranamente comparve questa donna dal nulla lui diceva che l’aveva conosciuta in una sala da ballo ma a pensarci adesso dopo tutti questi anni continuo a essere diffidente nei suoi confronti.

    Cos’è stai  male?chiese mio padre.

    No, stavo solo pensando.

    Dopo aver ritirato i soldi dalla cassa e dopo essere usciti, aiutai mio padre a chiudere il negozio e a tirare giù la saracinesca.

    Perché non metti quella elettrica, ormai sei vecchio.

    Mi guardò senza dire nulla, mi fece segno di seguirlo, mio padre camminava davanti a me con aria dignitosa, indossava dei pantaloni in velluto a coste di color verde, un maglione in cotone bianco e il suo giubbotto in pelle nera, io dietro come un cane abbandonato, arrivammo alla macchina parcheggiata vicino alla chiesa.

    Hai ancora questo vecchio rudere(una Opel Frontera tre porte degli anni ottanta).

    Mio padre si girò e mi guardò serio.

    Stavo scherzandodissi.

    Questo vecchio rudere come lo chiami te è come un orologio non mi ha mai lasciato a piedi ed è questo l’importante.

    Su questo hai ragione, papà.

    Durante il tragitto nessuno dei due parlò, passati quindici minuti circa arrivammo dove abitava Efrem in via del parco, una casa tipica di montagna, situata su due piani con i muri in roccia e con una piccola terrazza situata al piano superiore che guardava la strada.

    Entrammo in un piccolo vialetto lungo una cinquantina di metri e parcheggiò l’Opel a fianco di una Suzuki Vitara che sembrava nuova.

    Non mi ricordavo che mio padre possedesse una casa così bella, ultimamente non ricordavo più nulla, le troppe sbronze stavano deteriorando il mio cervello, chissà se mio padre mi avrebbe aiutato.

    Scendemmo dall’auto e mio padre aprì la porta di casa ed io sempre dietro.

    Entrammo in una grande stanza arredata in modo semplice, ma con grazia, si vedeva che c’era la mano di una donna dietro a tutto questo.

    La cosa più bella era il caminetto situato al centro della stanza, era acceso e il calore non finto e la luce mai uguale dava alla stanza una serenità avvolgente.

    Quanto era che non sentivo più quel profumo invitante.

    In fondo c’era una porta aperta e un profumo di ragù rincorreva quello dei funghi.

    Una voce di donna matura ruppe le parole del fuoco.

    Efrem, sei tu?

    Mio padre guardandomi disse: Si sono io, questa sera abbiamo un ospite.

    Senza farsi vedere disse: Uno dei tuoi soliti amici della piazza?.

    Questa volta no, vieni a vedere chi è giunto a trovarmi.

    Dalla porta si affacciò Teresa; una donna sui sessant’anni, capelli neri mi ricordava vagamente la Cardinale, anche gli occhi ricordavano la bella attrice degli anni sessanta.

    Guardandomi incredula mi corse incontro.

    Danny quanto tempo, come stai ti vedo stanco? mi abbracciò.

    La guardai, sembrava cambiata, ma il mio istinto mi diceva sempre di stare attento.

    Ciao Teresa, si hai ragione sono stanco, ma stanco dentro.

    Il mio ragazzo vuole cambiare vita, che sia la volta buona ma?disse mio padre.

    Teresa lo guardò e dopo qualche attimo disse: E tu non fare sempre il vecchio burbero.

    Si vecchio burbero, sono fin troppo buono.

    Teresa lo guardava divertita e mio padre fissava me serio.

    Sono vuoto, sono stanco di questa vitadissi.

    Bene, intanto ceniamo vedrai che con la pancia piena starai subito megliodisse Teresa.

    Forse mi stavo ricredendo su quella donna.

    Papà sei fortunato, ad avere una donna cosìdissi guardando il mio vecchio negli occhi.

    Si lo so ma adesso siediti e mangia.

    Non parlai per tutta la durata della cena, il cibo così buono e invitante (pasticcio con funghi e ragù) invitava tutti a fare silenzio.

    Una cosa strana che notai fra mio padre e Teresa che c’era stato pochissimo dialogo, lei non aveva mai parlato se non alle domande del mio vecchio.

    Dopo cena ci sedemmo vicino al camino, l’inverno si avvicinava e quel fuoco scaldava l’aria e i miei sentimenti.

    Dalla cucina arrivò la voce di Teresa Caffè?

    Sirispondemmo entrambi.

    Per te no Efrem, lo sai che ti fa male se lo prendi di sera.

    Ecco lo sapevo.

    Non ti preoccupare ti farò un tè.

    Erano le dieci oramai, dopo alcuni minuti arrivò la Teresa, io la guardai c’era qualcosa che non andava era seria ma a notarlo ero solo io .

    Ci salutò, ci disse che era stanca e andava a letto, io la ringraziai per la cena.

    I occhi nostri si incrociarono per qualche istante, le nostre pupille si studiarono ma non dissero nulla, le mie volevano chiederle alcune cose vecchie di anni, le sue cosa ci facevo io la.

    Se ne andò con lo sguardo fisso su di me, mio padre non si accorse di nulla la sua faccia stava contemplando il fuoco.

    Senza girarsi disse: Che intenzioni hai?

    Lui continuava a non guardami.

    Non lo so, sono vuoto dentro dissi.

    Ti faccio una proposta … stai con me aiutami con il negozio fino alla primavera e poi te lo lascio.

    Ma… cercai di controbattere.

    No … lasciami finire, io sono vecchio ho il negozio da vent’anni e sono stanco la provvidenza ti ha mandato al momento giusto, non dirmi niente pensaci prima, ti do una settimana.

    Ti ringrazio, ma io non so niente di negozi, di vendite.

    Non volevi cambiare vita?

    Si

    E allora, anch’io non sapevo niente di negozi, eppure con molta pazienza e voglia ho imparato anch’io e non ero giovane come te.

    Non dissi nulla, stavo solo aspettando una risposta che arrivasse da dentro di me … ma non partiva mai.

    Io vado a letto, conosci la casa, sai dov’è il bagno e la tua camera.

    Grazie papà.

    Si alzò e senza guardarmi si diresse verso le scale.

    Ero seduto sul divano il mio sguardo era fisso dentro quel fuoco da quant’era che non vedevo quei colori mai uguali, sfumature che scaldavano l’aria attorno a me.

    Pensare … dovevo pensare, questa volta era l’occasione giusta per cambiare.

    Una parte di me lo voleva, ma l’altra mi diceva: Ma che te ne frega non stai bene così?.

    A un tratto mi girai sembrava che qualcuno mi stesse osservando non vidi nessuno c’era solo lo scoppiettio del fuoco che parlava con il silenzio della sala.

    Aspirai l’aria e un profumo di acqua di rose e limone che mi arrivava dentro le mie narici questa volta non stavo sognando.

    Smettila di guardarmi e vieni avantidissi senza togliere lo sguardo dal fuoco.

    Una figura femminile si avvicinò e si sedette accanto a me.

    Sapevo che eri tu.

    Mi sentivo che mi guardava dalla testa ai piedi.

    Come hai capito che ti stavo osservando

    Senza togliere gli occhi dal fuoco dissi: Di sicuro mio padre non mette questo profumo.

    Teresa si mise a ridere.

    Mi girai a guardarla, indossava una vestaglia, nonostante la sua età, il suo corpo era ancora tonico e vivace.

    Che cosa vuoi? dissi guardandola dritta negli occhi.

    Aveva due occhi neri e impenetrabili.

    Non parlò per alcuni minuti, poi senza togliere gli occhi dal mio viso prese la mia mano destra e se la portò sotto la vestaglia la appoggiò sul suo seno dalla parte opposta del cuore .

    Gli feci un sorriso,

    Anche se non più giovane le tue tette sono ancora allegre e sodedissi a bassa voce.

    Mio padre sarà ancora sveglio è meglio che lasci perdere.

    Lei rise di nuovo.

    Non ti preoccupare per tuo padre, sta già dormendo e non si sveglierà fino a domani mattinalo diceva mentre la sua mano andava dentro i miei jeans e comincia a toccare il pene eretto.

    Che cosa hai intenzione di fare?.

    Teresa si aprì la vestaglia e disseIndovina?

    La guardai Tu sei pazza.

    Da quant’è che non scopi una donna, un mese, un anno?

    Ci rimasi male.

    Questi non sono affari tuoi.

    Lo sapevo, da tanto tempo eh.

    Continuavo a guardarla dentro quelle pupille vogliose, mi sforzavo a non osservare il suo corpo se no, sarei scoppiato.

    Le tirai fuori la mano dai miei pantaloni e ritrassi la mano dal suo seno.

    Okay, come non detto disse Teresa alzandosi dal divano.

    Adesso ci penso iopensò tra se e rise dentro le sue voglie.

    Mi guardò e disse Mi fai compagnia?arrivò con due bicchieri e una bottiglia di grappa.

    Dai almeno questo.

    Non sapevo cosa rispondere.

    Si dai, un bicchiere non mi farà mica male pensai .

    Va bene, ma solo uno e poi vado a dormire.

    E’ nelle mie manipensò Teresa.

    Cominciai con un,due, tre …

    Il fuoco del camino si stava spegnendo ma dentro il mio corpo ardevano i fumi dell’alcool insieme alle voglie focose di Teresa.

    Non capivo più niente so solo che vedevo la sua testa in mezzo alle mie gambe e dopo un po’ ci trovammo nel mio letto, ricordo solo i suoi gemiti e io sopra di lei che ansimavo, la testa mi stava scoppiando, il mio corpo dopo un po’ sarebbe sceso nelle tenebre.

    Dopo circa un’ora lei se ne andò, ricordo solo che mi disse poche parole.

    So che mi odi, l’ho sentito dal primo momento che ci siamo conosciuti, ma scopi divinamente.

    Mi vergognavo da morire scesi in salotto e misi fine alle ultime speranze di cambiare vita, svuotando la bottiglia di grappa, non so come ritornai nella mia camera.

    Era quasi mattina, il sole con i suoi lunghi raggi s’impadroniva della mia stanza, ma dentro il mio corpo, dentro la mia testa, una nebbia nera ricoprì la luce del mio risveglio.

    Teresa dal canto suo dopo essere uscita dalla stanza di Danny si fece una doccia veloce ed entro nel letto di Efren lo guardò e disse tra se: Siete tutte due uguali con te è stato facile conquistarti, con tuo figlio un po’ meno, ma mi sono divertita lo stesso siete tutte e due nelle mie mani chiuse gli occhi e si addormentò.

    Perché la mia anima corre dentro un fiume?

    L’acqua così limpida a mano a mano è diventata cinerea e melmosa con un forte odore di sangue.

    La mia vita era così dolce e veloce ad un tratto nella quattordicesima ora del centoventunesimo giorno dell’anno si è fermata, ho corso come gli alisei fin da piccolo e mi hanno portato verso la felicità, ma un destino di catrame bianco ha fermato il mio giocattolo.

    Sto immerso insieme con lui in questo fiume, aspettando che qualcuno ci aggiusti, uno stormo di voci cantano intorno a me, ma non so chi siano, le conosco tutte non ne conosco nessuna, sono stanco e una luce mi sta portando verso  di Lui, l’ho sempre amato e finalmente adesso ti conoscerò".

    Riccardo quanto manca? chiese Franco.

    Stiamo entrando in paese, cinque minuti e saremo arrivati, siamo stati fortunati, questa notte non c’è in giro anima viva.

    Franco continuava a guardare quell’uomo il suo petto andava su e giù come un surfista sulle onde, con quel suo viso completamente bendato sembrava una mummia.

    Una mano si appoggiò sulla sua spalla era di Gino.

    Non ti preoccupare vedrai che si sveglierà, se no pazienza vorrà dire che ci abbiamo provato d'altronde la signora vuole solo una cosa.

    Lo sai che non cambio idea nel dire che è una pazza.

    Gino si mise a ridere e accostò la sua bocca all’orecchio di Franco.

    Tieni duro amico, che quando sarà tutto finito saremo ricchi.

    Una voce interruppe le paure del primo e l’egoismo del secondo.

    Eccoci arrivati, era la voce di Riccardo.

    Conosci la strada, vai direttamente nei sotterranei.

    Lei era seduta su una sedia fredda e metallica, ma il calore che emanava la sua mente riscaldava tutti i sotterranei, osservava tutte queste macchine salva vita.

    Un sorriso si schiuse nel suo viso dalla bocca agli occhi.

    "Il futuro e tra le mie mani e non solo (mise la mano nel suo ventre) questa volta mi ricorderanno per un  po’ e un ghigno di speranza comparve nei suoi occhi neri.

    Un rumore di ruote che baciavano la ghiaia entrò nel silenzio di quelle stanze.

    Sono arrivati professoressaera voce gentile di un giovane infermiere amico di Gino.

    Ho sentito, grazie mi raccomando d’ora in poi massimo impegno e bocca chiusa da questa stanze non deve uscire neanche una virgola,sono stata chiara.

    Guardava l’infermiere negli occhi, il suo sguardo duro e minaccioso penetrava nella mente del giovane.

    Non si preoccupi professoressa.

    Tutto questo ci cambierà la vita, ricordati.

    Si voltò a guardare le macchine e disse: Tutta questa tecnologia sveglierebbe anche una mummia egizia.

    Era in Italia da alcuni giorni per un convegno medico.

    Doveva esporre la sua teoria sulla medicina futuristica e visionaria, era l’ospite per eccellenza dato la sua notorietà a livello mondiale.

    Era seduta accanto a Gino e Franco e aspettava il suo turno per parlare quando arrivo la notizia che sperava.

    Sentì vibrare il suo Motorola e rispose.

    Sara, il tuo amico è in coma e rischia la vita, se vuoi fare quello che hai in testa fallo adesso, ho parlato con le persone giuste possiamo tentare.

    E la sua famiglia?chiese Sara.

    La famiglia è distrutta, ma credo se facciamo come abbiamo progettato tutto andrà liscio.

    Resta in linea devo uscire per parlare più liberamente.

    Dopo poco era all’aperto e un calore funesto investì il suo viso.

    Mi raccomando, le persone che hai pagato sono affidabili?.

    Più che affidabili e non ti preoccupare andrà ok, vedrei che il loro incubo diventerà in mani tue un grande sogno.

    Devo andare ci sentiamo.

    Rientrò alla conferenza, doveva parlare con Gino e Franco oggi o mai più, gli informò della telefonata, Gino si eccitò subito dell’idea, non la conosceva ma da com’era determinata, l’aveva subito conquistato, lei aveva bisogno di lui conosceva l’ospedale in cui si trovava l’ospite come le sue tasche compresi gli, uomini che ci lavoravano dentro e molti gli dovevano molti piaceri, era giunto il momento di raccogliere il raccolto e poi i soldi ,oh si i soldi.

    Invece Franco la conosceva molto bene, l’aveva incontrata a un convegno negli Stati Uniti poco tempo dopo che gli era morta la moglie.

    Era attratto da lei, anche troppo ma ogni volta che la voglia scendeva nel suo cuore, faceva a pugni con il ricordo di Susanna, il suo fiore ormai morto.

    L’aveva colpito la sua determinazione, il vedere la medicina non solo per salvare l’uomo ma per fare strani esperimenti.

    Quello che voleva fare adesso era una cosa assurda fuori da ogni limite, ma lei aveva un dono quello di convincere le persone con la sua voce, suoi occhi, sia uomo sia donna.

    E ci è riuscita, aveva convinto tutti.

    Boh chissà come ha fatto si chiese Franco.

    Riccardo ce la fai a entrare in retromarciadisse Franco.

    Credo di si.

    Dopo aver fatto una manovra perfetta, il retro dell’autoambulanza si mise a guardare il portone aperto e molto lentamente entrò nel garage sotterraneo .

    Bene Riccardo ferma quidisse Gino.

    Gino guardò Franco, entrambi erano tesi.

    Il giovane infermiere chiuse il portone del garage.

    Le porte posteriori dell’autoambulanza si aprirono e una voce femminile illuminò quel momento di tensione.

    Bene eccovi arrivati scarichiamolo molto lentamente.

    La voce di Sara era quasi serena, incredibile la sua fermezza in quei momenti.

    Questo è un momento delicato dobbiamo muoverlo meno possibile, la sua vita è appesa a un filo se si spezza tutto è finitodisse Gino.

    Franco lo guardò e non disse nulla.

    Scesero entrambi, Sara molto velocemente accostò un letto automatizzato inventato da un suo amico negli States, la sua particolarità consisteva nell’avere un piano scorrevole che in modo naturale andava sotto il corpo del paziente e senza che nessuno lo toccasse, andava da un lettino all’altro.

    Era sceso anche Riccardo e gli guardava con le mani in tasca.

    Sara osservò Riccardo e gli fece l’occhiolino e lui le sorrise.

    Il loro piano era appena all’inizio.

    Il sole stava allargando i suoi raggi sulle Dolomiti e pian piano abbracciò tutta Cortina.

    Efren era già in cucina e stava preparando il caffè, era una sua consuetudine alzarsi presto, l’orologio a cucù appeso alla parete segnava le sette.

    Dopo poco sentì dei passi scendere le scale.

    Teresa toccò l’ultimo scalino e si diresse verso la cucina.

    Buon giorno caro, hai dormito bene?era di buon umore e solo lei sapeva il perché.

    Efren la guardò dritta negli occhi e aspettò un momento prima di rispondere.

    Ho dormito anche troppo e molto profondamente, era un pezzo che non dormivo così.

    Teresa deviò il discorso.

    Hm hm che buon profumo di caffè, ce né un po’ anche per me?

    Certo, serviti purelui era serio continuava a pensare a Danny, era pur sempre suo figlio.

    Ti vedo assente Efren stai male?.

    Continuo a pensare a mio figlio, non so se vale la pena di aiutarlo.

    Teresa sorrise tra se ripensando alla notte trascorsa.

    Sei suo padre e devi aiutarlo … anzi dobbiamo aiutarlodisse Teresa.

    Io ho già cominciatopensò tra se.

    Ti ringrazio per il tuo aiuto, io sono vecchio oramai e non so se ce la farò.

    Che discorsi sono questi, sei ancora forte  e attivo per la tua età e poi ci sono io, in due le cose si fanno meglio.

    Efren alzandosi disse: Vado a chiamarlo, gli dico che è pronta la colazione".

    Teresa lo guardò e non disse nulla.

    Arrivò davanti alla porta, non voleva bussare.

    E se vuole dormire fino a tardipensò.

    Ma il suo istinto di padre lo fece entrare, aprì la porta, il sole illuminava la stanza, ma uno strano odore di alcool andò a rovinare quella giovane luce.

    Danny era ancora vestito e il suo corpo sembrava dormire tranquillo sul letto, ma l’occhio esperto del padre confermò la più brutta delle verità.

    Lo sguardo di Efren cadde sulla bottiglia vuota di grappa e un terribile presentimento penetrò dentro la sua testa.

    Danny svegliati che è mattina, vedo che hai avuto compagnia stanotte, come al solito non vuoi proprio cambiare.

    Dopo averlo scrollato diverse volte Danny non si svegliava e questo non era un bene.

    Qualcosa non andava, suo figlio stava male e aveva bisogno d’aiuto.

    Efren andò verso le scale.

    Teresa presto vieni Danny sta male!

    La donna stava guardando la prima edizione del Tg e la voce di Efren echeggiò dentro quelle mura.

    Cosa c’è ?

    Presto vieni, Danny sta male!la voce era rotta dal pensiero triste di perdere l’unico figlio che gli restava.

    Teresa dal canto suo fece una grandissima risata dentro di se, era preoccupata, ma allo stesso tempo si sentiva come una vincitrice di un duello.

    Da non credere una donna di sessant’anni che distrugge uno di vent’anni più giovanepensò tra se e con quel pensiero in testa si sentiva invincibile, però era strano lo aveva lasciato che stava bene, un po’ brillo si, ma come ci dava dentro …

    Una voce la fece svegliare dai suoi pensieri.

    Allora ti muovi o no!

    Arrivo subito!

    Si alzò di scatto dalla sedia e con le gambe preoccupate, corse verso la scala.

    Quando arrivò dentro la camera, si trovò davanti a una scena che non avrebbe mai creduto il suo vecchio che piangeva e un odore d’alcool penetrava dentro il suo naso.

    Istintivamente andò ad aprire la finestra e disse: Ma non senti che odore che c’è qui dentro ti credo che sta male poverinolo disse mentre guardava fuori .

    Adesso capisco perché sta male, si è sentito in colpa verso il suo vecchio e si è scolato una bottigliapensò tra se.

    Si avvicinò al letto e mentre lo scrollava, ripensava alla notte appena trascorsa.

    Danny, Danny su svegliati!.

    Non piangere, dobbiamo fare qualcosa chiama Gian Antonio io intanto provo a svegliarlo.

    L’uomo si girò e corse giù per le scale, doveva ricordarsi,dove aveva lasciato il telefonino, la sua mente era sottosopra si guardava attorno con aria smarrita.

    Ah … si adesso ricordodisse.

    Si avviò verso l’entrata e aprì in cassetto del mobile posto vicino alla porta.

    Era un vecchio Nokia che le aveva regalato Teresa anni fa, fece scorrere la rubrica davanti ai suoi occhi finché non comparve il nome di Gian Antonio, dall’altra parte del telefono suonava libero, una,due, tre finalmente una voce dall’altra parte rispose.

    Pronto chi parla?dall’altra parte rispose una voce assonna e spenta.

    Gian scusa se ti disturbo a quest’ora, sono Efren (la sua voce era agitata e piena di paura) mio figlio sta male puoi venire a dargli un’occhiata?

    Dall’altra parte ci fu un momento di pausa.

    Quale figlio Efren, tu non vivi con Teresa?

    Mio figlio … è arrivato ieri sera, ma muoviti ti spiegherò tutto quando sarai qui.

    Dammi cinque minuti e sarò da te, il tempo di vestirmi, ma stai tranquillo vedrai che non sarà niente di grave.

    Sì, ma fai presto.

    Gian Antonio abitava a circa due

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