Rivoluzione
By Anna Nihil
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Rivoluzione - Anna Nihil
costruire
Versailles, 27 marzo 1785
«Pronta?»
«Sì. No! Sono così nervosa!»
La duchessa, davanti all’ingenua spontaneità della sua nuova amica, non trattenne una risata. Così era solita risolvere ogni impasse. Ridere la faceva sembrare più bella e sicura di sé, e di certo era molto più semplice che cercare, di volta in volta, le parole giuste con cui affrontare le relazioni di corte. Negare, affermare, una risata poteva voler dire tutto e niente, il massimo mezzo di diplomazia di cui disponeva la duchessa.
Non lasciò nemmeno che la sua giovane amica tirasse un bel respiro profondo, la duchessa spalancò la porta e, con la confidenza che solo a lei era concessa, disse: «Maestà…»
«Duchessa di Polignac, quali novità mi portate?»
«Vorrei presentarvi la marchesa Luisa Sofia Catellino da Castiglione, nuova contessa di Chinon.»
Luisa fece un inchino stando attenta a muoversi esattamente come prevedeva l’etichetta di corte.
«Cielo, come siete giovane! E molto bella!» esclamò la regina dopo aver osservato con attenzione la contessa dall’alto in basso.
«Mai quanto voi, Maestà! Siete la luce in questa stanza.»
Quel complimento, espresso con voce commossa e sincera, conquistò il favore della regina. «Davvero graziosa, non trovate?» chiese desiderosa di conoscere l’opinione delle altre dame presenti.
«Se non fosse per quell’abito…» si lasciò sfuggire Madame Bertin. Da umile sarta era stata simpaticamente eletta ministro della moda di Versailles, ligia nel suo compito, davanti a un abito troppo semplice non poteva resistere.
«Vi chiedo perdono, Maestà. Credevo di essermi presentata a voi nel migliore dei modi…» rispose subito mortificata Luisa.
«Che dolce! Madame Bertin, avete messo a disagio la mia nuova giovane amica! Dalle critiche passate ai fatti, so che vi basterà poco per migliorare l’abito della contessa di Chinon.»
Madame Bertin si avvicinò alla contessa, le girò intorno, tastò la qualità del tessuto e sentenziò: «Sì, la base è buona.» Batté le mani e tre sarte arrivarono di corsa con tutto l’occorrente. Le tre, sotto la supervisione di Madame Bertin, iniziarono a cucire sull’abito di Luisa nuovi pizzi più vistosi e pregiati.
Luisa mal celava un certo imbarazzo, mai avrebbe pensato di ritrovarsi in una situazione simile dinanzi alla regina.
«Non fatevene una colpa, cara contessa, le mode nascono a Versailles e finché raggiungono le altre corti, noi abbiamo già modificato il nostro stile altre dieci volte!» le disse la regina per consolarla.
«Merito di sua Maestà, è un vero talento artistico, ha un gusto estetico ineccepibile! Per me, è un’ispirazione continua!» dichiarò Madame Bertin, continuando a squadrare il lavoro delle sue sarte sull’abito di Luisa. «Meno male che avete almeno indovinato il colore!» bisbigliò Madame Bertin all’orecchio della giovane contessa.
«Sul colore sono stata molto attenta» replicò piccata Luisa, stanca delle critiche della Bertin.
«Stupenda!» affermò la regina constatando l’effetto delle prime modifiche sull’abito di Luisa.
La contessa di Chinon non fece in tempo a godersi quel complimento, che il magnifico sorriso della regina si mutò in una smorfia seria.
«Madame Bertin, eppure mi sembra che manchi qualcosa…»
«Oh! Il ventaglio!» strillò Madame Bertin. «Come può una dama vivere a corte senza un ventaglio?!»
«Madame, date uno dei miei bei ventagli alla giovane contessa» disse la regina.
Madame Bertin eseguì l’ordine, corse subito verso l’armadietto giusto, conoscendo il guardaroba della regina meglio della regina stessa.
Quando si avvicinò alla contessa per porgerle quest’inaspettato omaggio, Luisa allungò timidamente la mano, non riusciva a smettere di pensare tra sé: Un ventaglio della regina! Non è possibile che sia per me!
. Solo averlo fra le mani era per la contessa un’emozione indescrivibile. «Non so come ringraziarvi Maestà, io…»
«Forza, apritelo!» la incoraggiò la regina con un bel sorriso.
Luisa accontentò la richiesta cercando di dar sfoggio di tutta l’eleganza di cui disponeva.
Madame Campan, première femme de chambre della regina, spalancò gli occhi. «L’avete aperto con la mano sinistra...» sussurrò come se volesse suggerire qualcosa alla giovane contessa.
Luisa non aveva idea di cosa potesse significare, si sentì avvampare dall’imbarazzo, mentre le dame presenti, regina compresa, iniziarono a ridacchiare.
La regina, intenerita, le disse: «Portate il ventaglio vicino al viso, guardate in basso e poi guardatemi dritta negli occhi. Molto bene, così trafiggerete tanti cuori a Versailles! State attenta mia giovane amica, avete appena detto: Desidero conoscervi
.»
«A mio parere, con quello sguardo ha detto ben di più! Un po’ più di pudore, mia cara!» la rimproverò la principessa di Lamballe. Tra le dame della regina era la più tranquilla e timorata di Dio, nonché italiana come la giovane Luisa e come lei giunta a Versailles per aver contratto matrimonio con un nobile francese.
«Scusatemi» mormorò Luisa.
«Cara, permettetemi di darvi alcune lezioni…» intervenne la contessa de Noailles, soprannominata Madame Etiquette in quanto non c’era regola del galateo che le sfuggisse.
«Sì, nessuna è esperta nelle raffinatezze di corte quanto la contessa de Noailles, fidatevi di lei» confermò la regina.
«Grazie, Maestà» rispose la contessa de Noailles per il complimento ricevuto e iniziò la sua lezione. «In linea di massima, con il ventaglio nella mano sinistra si dicono cose molto passionali, meglio tenerlo sempre nella mano destra.»
«Oh!» esclamò imbarazzata Luisa e portò subito il ventaglio alla destra.
«Bene, già passando il ventaglio dalla sinistra alla destra mi avete detto: Amo un altro
. Adesso sventolatevi lentamente, calma. Mi state dicendo che siete sposata.»
«Finalmente ho detto qualcosa di giusto!» proferì d’impulso Luisa suscitando l’ilarità della regina.
«Ecco, tenete a mente questo movimento. Cara contessa de Noailles, la contessa di Chinon è molto giovane, appena sposata, non credo che abbia bisogno di sapere altro!» intervenne subito la pia principessa di Lamballe.
La regina e la sua più disinibita amica, la duchessa di Polignac, si guardarono indecise, tante altre cose avrebbero voluto spiegare alla piccola contessa di Chinon, ma, per non urtare la sensibilità della principessa di Lamballe, decisero di evitare discorsi licenziosi. «Deliziosa, più vi guardo più ottenete la mia simpatia. Mi ricordate me da giovane. Vedo nei vostri occhi e nei vostri modi la mia stessa tenera ingenuità, sento il bisogno di proteggervi e lo farò. Potete contare su di me, contessa di Chinon. Per arrivare a Versailles avrete fatto un viaggio molto lungo, pari al mio da Vienna?»
Luisa non osava mettersi a paragone con la regina. «Credo di aver dovuto sopportare qualche giorno in meno di viaggio. E poi, il mio seguito era molto più modesto. A dire il vero, una sola carrozza con me, mio marito e il suo precettore.»
«Da quel che mi hanno detto su di lui, so che avete sposato un uomo serio, forse anche fin troppo. Il vostro Armand non è poi così diverso da mio marito. Abbiamo dei mariti noiosi, questa è una sfortuna e una fortuna allo stesso tempo. Le affinità tra noi aumentano.»
«Fatto!» annunciò Madame Bertin dopo aver controllato il lavoro delle sue sarte e sistemato personalmente un paio di punti sull’abito di Luisa.
La regina si fermò ad ammirare la trasformazione. «Come siete bella! Però, i capelli… senza scomodare il nostro caro Leonard Autié, aggiungerei due rose…» La regina si alzò dalla poltrona, prese due rose, una bianca e una rossa, da una splendida composizione in un vaso su un tavolino. Recise gli steli, perché fossero della lunghezza giusta, e sistemò personalmente le due rose tra i capelli di Luisa. «Adesso siete una vera dama di Versailles!»
«Posso guardarmi?»
«Certo!» rispose la regina girando Luisa verso uno specchio.
«Vado davvero bene adesso?» chiese Luisa emozionata.
«No!» gridò la regina.
Luisa si girò di scatto verso di lei. Le dame rimasero ammutolite. Un attimo prima aveva mostrato tanta simpatia e ammirazione per la giovane, quel no
secco era incomprensibile.
«Cosa ho sbagliato?» chiese timidamente Luisa.
«Non è per voi, cara…» la regina si portò le mani sul ventre prominente, si sforzò di restare composta e aggiunse: «Pare che abbiate già un ammiratore, mio figlio non vede l’ora di conoscervi. Ha deciso di nascere adesso!»
Subito le dame circondarono la regina.
Un’agitazione febbrile contagiò ben presto tutta la reggia.
Fu così che Luisa conobbe sua Maestà.
Era il 27 marzo 1785, un giorno indimenticabile per entrambe, il giorno della nascita di Luigi Carlo, terzo figlio, secondo maschio per Maria Antonietta regina di Francia.
Versailles, luglio 1785
La regina tornò presto in forma dopo la nascita del suo terzo figlio, spinta da una gran voglia di rimettersi alla prova come attrice nel suo piccolo teatro.
«Stasera si debutta! Sono così felice!»
«Maestà, vi ringrazio per avermi concesso il privilegio di assistere alle vostre prove. Siete riuscita a curare ogni singolo dettaglio in così poco tempo, è veramente lodevole!»
«In realtà, ho avuto molto più tempo di quel che credete. Poco prima della gravidanza, la duchessa di Polignac mi aveva fatto scoprire questa splendida opera di Beaumarchais, Le mariage de Figaro, l’avrei messa in scena subito, ma con la pancia… e poi mio marito, ascoltando quegli sciocchi dei suoi consiglieri, aveva bandito il testo! Dicevano che era pieno di messaggi subliminali contro la monarchia! Che assurdità! Parla d’amore! Di cos’altro vale la pena parlare? Adesso mio figlio è nato, ho convito il re a togliere il veto sull’opera, nessuno può fermarmi!»
«Sono sicura che sarà un successo!»
«Ci mancherebbe! Applausi calorosi non potranno mai mancarmi dagli amici più fedeli e dal mio più grande ammiratore, mio marito re Luigi XVI.»
«Siete fortunata, vi ama e fa di tutto per dimostrarvelo.»
«Sì, in effetti, qui sono circondata dai suoi gesti d’amore. Mi ha regalato il piccolo teatro per assecondare la mia vena artistica… e salvarmi dal gioco d’azzardo! Ho perso tanto di quel denaro che non saprei dire una cifra esatta! E qui, al Petit Trianon, non avrei mai potuto viverci senza il suo consenso. Ai margini del parco della reggia di Versailles, ho creato il mio mondo ideale, fatto d’arte, semplicità e natura. Avete già visto il mio piccolo borgo?»
«Di sfuggita, Maestà.»
«Dobbiamo rimediare. Sì, sono stata troppo presa dalle prove e dalle ultime rifiniture sui costumi, ho dimenticato il mio villaggio contadino! Bene, facciamo due passi. Un po’ d’aria fresca farà bene a noi e anche alla mia piccola Maria Teresa. Dov’è la mia bambina?» la regina si allontanò fulminea alla ricerca di sua figlia.
La contessa di Chinon, sorpresa dall’atteggiamento informale della regina, rimase ferma dov’era indecisa sul come comportarsi. Madame Etiquette le aveva riempito la testa di così tante nozioni da sentirsi più confusa che istruita a dovere. Decise di affidarsi all’istinto e uscì dalla stanza per seguire la regina. La trovò già pronta con sua figlia tra le braccia.
«Andiamo, contessa di Chinon? La mia Maria Teresa ha una gran voglia di giocare!»
«Certo, Maestà! Madame Royale…» Luisa fece una riverenza e la piccola Maria Teresa le sorrise.
La madre la poggiò a terra e la bambina corse verso il calesse che le attendeva fuori dal Petit Trianon.
«Non potete capire quanto io ami mia figlia! Mia madre era sempre così fredda e severa con me, cerco di dare a Maria Teresa tutto quello che io non ho avuto. Com’era vostra madre, contessa di Chinon, e a lei che dovete la vostra bellezza?»
«Sì, le assomiglio, almeno così mi diceva mio padre. Sono rimasta orfana all’età di due anni. Troppo presto un vago ricordo dell’amore di mia madre è stato sostituito dall’ostilità di una matrigna.»
«Povera cara! Sentivo di esservi affine, anche voi non siete stata amata abbastanza.» La regina abbassò lo sguardo, rimase alcuni minuti in silenzio, ripensò alla sua infanzia fatta di obblighi, studio e sacrifici per diventare la regina di Francia. «C’è mancato poco che anche la mia Maria Teresa rimanesse orfana dalla nascita. Quanto ho sofferto per metterla al mondo! Tanto per cominciare ho dovuto attendere per sette anni! Tutti si aspettavano un erede da me, mi hanno ingiuriata per anni prima della sua nascita. Non era colpa mia se mio marito non trovava il tempo per me! Per quanto le cose vadano meglio tra noi, ogni volta che ripenso a quello che ho dovuto sopportare, mi sale una rabbia! Fatico a perdonargli tutta quell’attesa! Sette anni di dubbi, calunnie, paure… ed ero così giovane. Alla reggia ero costantemente sotto gli occhi di tutti e mi sentivo così sola! Ma per assurdo, quando riuscivo a restare sul serio un po’ da sola, mi sentivo in pace. Soprattutto se avevo con me dei