Un angelo tra le braccia
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Un angelo tra le braccia - Antonella Riccobono
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UN ANGELO TRA LE BRACCIA
Antonella Riccobono
Proprietà letteraria riservata
©2019 Antonella Riccobono
I diritti di riproduzione e traduzione sono riservati.
Nessuna parte di questo eBook può essere utilizzata, riprodotta o diffusa, con qualsiasi mezzo, senza alcuna autorizzazione scritta.
ISBN 978-88-85693-19-7
Prefazione
Caro lettore, questo libro nasce per spiegare come, a volte, l’amore, la fiducia, il coraggio e la fede possano compiere veri e propri miracoli, è stato scritto con il desiderio di infondere fiducia e speranza in coloro i quali devono fare i conti tutti i giorni con la diversità. Perché essi, per uno strano scherzo del destino, sono stati scelti per portare e mostrare gli evidenti segni della debolezza dell’essere umano.
Spesso, accendendo la televisione, sento di ragazzi giovanissimi che perdono la battaglia contro loro stessi, perché non trovano la forza di imparare ad amarsi così come sono, o perché chi è al loro fianco non si accorge di quanto stiano soffrendo e si sentano soli e abbandonati.
Questo libro porta con sè l’intento di far comprendere alle famiglie di queste persone che non hanno nessun motivo di darsi delle colpe. Quando la natura ci fa dei brutti scherzi, noi, che siamo esseri piccolissimi al suo confronto, in quanto suoi figli, dobbiamo imparare ad accettarli, anche se questo ci porta dolore e sconforto. Io stessa sono stata scelta per portarmi addosso un po’ di questa strana sofferenza, ma, ringraziando il buon Dio, il mio handicap non ha compromesso in modo significativo la mia vita quotidiana. Infatti, pur con qualche difficoltà, sono in grado di provvedere da sola ai miei bisogni, sebbene, purtroppo, io porti sul mio corpo i segni visibili della mia piccola difformità e tutto quello che questo ha comportato.
Da bambina e in adolescenza ho subìto da parte del gruppo dei pari gli scherzi e le cattiverie più pesanti, ma, nonostante questo, forse il mio amore per la vita e la mia profonda voglia di rivincita non mi hanno mai fatta cedere e mi hanno dato la forza di sopportare tutto.
Ti chiedo, quindi, caro lettore, di sederti e di leggere quanto ho da raccontarti, sperando che quanto ho da dire ti faccia riflettere, regalandoti una piacevole lettura e il messaggio che questo libro vuole portare. Vorrei inoltre fare una premessa: la storia si sviluppa nel tempo con un arco temporale di 4 anni, ma saranno raccontanti solo con conseguenza di avvenimenti e aneddoti senza specificarne l’anno di avvenimento se non nella fase in cui tutto ebbe inizio.
Capitolo 1
Sapete come inizia una favola? Se non erro con: c’era una volta...
; ma se, in realtà, la favola in questione corrisponde ad una storia vera, come dovrei cominciarla? Forse posso solo raccontare quanto l’incontro con una persona possa aver cambiato la mia vita.
E’ l’estate del 2004, il mese di agosto. Il telefono squilla e una persona, dall’altra parte del ricevitore, mi chiede se mi avrebbe fatto piacere prendere parte ad un campo di volontariato. Accetto subito con entusiasmo, anche se mi viene spiegato molto poco di questa esperienza che mi accingevo ad intraprendere... ma l’entusiasmo di rendermi utile prende il sopravvento.
Il 16 agosto parto dunque con destinazione Sassello allo scopo di raggiungere una colonia estiva situata in quella località in provincia di Savona. Si tratta di un Istituto religioso che, per mezzo di cure adeguate, permette un’esistenza dignitosa a tutte quelle persone che non possono vivere appieno la propria vita a causa delle loro gravi limitazioni fisiche, e che sono quindi obbligate a fare affidamento sull’aiuto di altre persone per lo svolgimento delle attività di tutti i giorni.
Mi aveva addolorato molto rendermi conto del fatto che molte di queste persone dovevano vivere un’ulteriore sofferenza, oltre a quella già provocata dalla loro condizione fisica: la scarsa presenza da parte delle famiglie, che, a causa di impegni di lavoro o per la lontananza dai centri in cui queste persone vengono accudite, non possono stare vicino ai propri cari come vorrebbero. Spesso, però, accade anche che alcune famiglie li dimentichino, perché li considerano un motivo di imbarazzo e di intralcio rispetto alla propria esistenza normale
.
Senza dubbio comprendo che non dev’essere facile avere a che fare con un disabile, con la sofferenza che giorno dopo giorno si ripropone agli occhi dei familiari. Altrettanto indubbiamente la società attuale non aiuta l’intendimento della difficile situazione che si incontra in questi centri, e addirittura alcune persone guardano il disabile con aria di scherno, con pena, compassione. I più spietati non li considerano nemmeno persone, ma errori della natura.
Le persone che si lasciano fuorviare dai pregiudizi dovrebbero realizzare che dietro alle imperfezioni fisiche sono nascosti sentimenti profondi, sorrisi sinceri, tanta capacità di dare affetto…e che non viene chiesto nulla in cambio. Basta offrire loro un sorriso e un po’ di compagnia e in un attimo ti riempiono il cuore di serenità.
Le parole che ho usato sono forse accusatorie, ma ho avuto la fortuna e la sfortuna di nascere a metà tra questi due mondi, quello normale
e quello dei diversi
.
Sono nata prematura e già allora si intuì che avevo una gran voglia di vivere. Pesavo appena settecento grammi, e sono sopravvissuta ad una mancanza di ossigeno al cervello e a tre arresti cardiaci. Le conseguenze, purtroppo, sono rimaste. Mi è stata diagnosticata in seguito un’emiparesi spastica, che consiste in una piccola lesione cerebrale che ha compromesso, in maniera permanente, le funzioni motorie della parte sinistra del mio corpo.
Questo mi ha costretto ad una vita piena di visite, ricoveri in ospedale e interventi, il tutto in tenerissima età. Una dura lotta con me stessa e con chi mi circondava. Il mio sogno di bambina era quello di essere come tutti gli altri bambini. Normalmente una bimba della mia età sogna di diventare una ballerina o una cantante, io sognavo di camminare bene, di correre senza cadere, e di diventare come le mie sorelle. Cammino zoppicando in modo evidente, e questo fa sì che, quando cammino tra le persone, queste inevitabilmente si voltino a guardarmi. Per me era motivo di imbarazzo e di sconforto. Molti facevano, e fanno tuttora, commenti pietosi o, peggio ancora, di derisione. Per tanto tempo mi sono arrabbiata e chiusa in me stessa. Sono stata io stessa la prima persona che non riusciva ad accettarsi, non riuscivo a guardare la mia figura per intero davanti allo specchio… perché in quel modo vedevo quello che gli altri vedevano e vedono tuttora. Mi resi conto presto che i nemici più spietati erano i bambini delle medie, in quella fase della crescita sono davvero terribili, e io nel periodo tra la prima e la terza media sopportai le peggiori angherie, venivo presa in giro verbalmente, con i peggiori insulti rivolti al mio handicap, mi venivano nascosti i quaderni dei compiti, venivo circondata e picchiata da piccoli gruppi, e venivo sempre messa da parte, nessuno voleva stare con la ragazzina zoppa. Fu un periodo davvero duro e doloroso, non c’era giorno che non tornassi a casa in lacrime.
Tutto questo che ti ho appena narrato era ciò che accadeva fino a tre anni fa, prima del mio magico incontro. Ora ho quasi 25 anni e da allora sono maturata parecchio, soprattutto perché ho imparato a capire che quella che credevo una disgrazia è stata, in realtà, un dono. Sono da sempre una persona piena di forza, fiducia e fede. Ho sempre lottato per farmi accettare, per dimostrare a me stessa che potevo avere una vita normale, come tutti. Dovevo solo impegnarmi di più. La forza che ho avuto l’ho trovata nella mia famiglia, che ha lottato e sofferto insieme a me, offrendomi un appoggio sicuro lungo il mio difficile cammino.
Caro lettore, ti chiedo scusa se, almeno in apparenza, mi sono spinta un po’ fuori tema, ma era importante per me spiegare i motivi che mi hanno spinta a fare le scelte di cui verrai a conoscenza più avanti. Tornando ora al discorso precedente, vorrei raccontarti quello che per me fu il giorno più significativo della mia vita, e cosa avvenne in seguito.
Capitolo 2
Come già anticipato, era il 16 di agosto, un lunedì, il sole splendeva in cielo e faceva molto caldo. Non stavo più nella pelle, ero molto emozionata. Sarei rimasta lontana da casa per circa otto giorni, ero come un uccellino che abbandona per la prima volta il nido, pieno di ansia e aspettative. Ho provato queste sensazioni per la prima volta a 22 anni perché, per i motivi che ti ho spiegato precedentemente, i miei genitori non mi hanno mai lasciata senza qualcuno che mi tenesse d’occhio. Anche le mie sorelle (noi siamo in tre, io sono quella di mezzo) si comportano con me come se fossero i miei genitori, e quando camminiamo per strada mi tengono la mano. Si può quindi immaginare che per me sia imbarazzante, soprattutto perché ora che ho 25 anni, e sono alta poco più di 1 metro e 70, non mi si può certo definire una creatura esile e bisognosa di attenzioni puerili.
Piena di eccitazione, giunsi nella sopracitata struttura. Mi soffermai ad osservare un po’ quel luogo: era bellissimo, davanti a me si stendevano meravigliosi prati verdi. Nell’aria si diffondeva un piacevole odore di erba tagliata e di bellissime ortensie dai colori pastello, fra il rosa e l’azzurro, e di alti e profumati alberi di tiglio.
Mi accolsero alcune donne curiose, con sorrisi gioiosi per il mio arrivo. Per un attimo rimasi spiazzata: forse non ero stata preparata a sufficienza, perché mi resi conto che tutte queste persone non corrispondevano ai canoni di normalità richiesti
. Molte erano sulla sedia a rotelle, altre afflitte da gravi disturbi psichici, altre ancora da minorazioni fisiche. All’Ospedale Gaslini di Genova avevo avuto modo di