Philip K. Dick - Umani e Androidi: Un saggio letterario di Eric Bandini
By Eric Bandini
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La fantascienza raggiunge i suoi limiti quando l'umano e il fantastico si confermano reciprocamente nel concetto e nel pensiero, che sono la stessa cosa e la cosa stessa.
Gli androidi, per estensione e per concetti, appartengono all'umano quanto la possibilità del reciproco.
Fantascienza?
L'ingannevole termine “androide”, che include l'etimo greco di «andros» = uomo + «oeidos» = modello, pone l'oggetto “droide” come una entità tecnologica ed obbligatoriamente obbediente.
Ma questa “obbedienza” deriva da un dispositivo funzionale che mette in comunicazione logica ed esistenza (l'umano è vivente, il droide è attivo nel suo essere vivente) in un reciproco di cui non esiste la soluzione.
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Book preview
Philip K. Dick - Umani e Androidi - Eric Bandini
ericbandini.com
Philip K. Dick - Umani & Androidi
Un saggio letterario
di
Eric Bandini
© 2017
ISBN: 9791220020077
Eric Bandini
ericbandini.com
ericbandini.com
Proprietà letteraria riservata
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Indice
Cover
Testo
Introduzione
La fantascienza raggiunge i suoi limiti quando l'umano e il fantastico si confermano reciprocamente nel concetto e nel pensiero, che sono la stessa cosa e la cosa stessa.
Gli androidi, per estensione e per concetti, appartengono all'umano quanto la possibilità del reciproco.
Fantascienza? (di seguito anche FS
)
L'ingannevole termine androide
, che include l'etimo greco di «andros» = uomo + «oeidos» = modello, pone l'oggetto droide
come una entità tecnologica ed obbligatoriamente obbediente.
Ma questa obbedienza
deriva da un dispositivo funzionale che mette in comunicazione logica ed esistenza (l'umano è vivente, il droide è attivo nel suo essere vivente) in un reciproco di cui non esiste la soluzione.
La disponibilità del droide (con questo termine si può alludere a qualsiasi dispositivo che la mente umana realizzi e metta in pratica nella vita reale
, e al riguardo ogni e qualunque oggetto e/o concetto nella disponibilità del pensiero è di fatto un droide) ha una funzione logica all'interno del pensiero/concetto, lo pone come un oggetto nel mondo e sul cui controllo non è possibile alcuna assoluta certezza. Ciò è vero anche e soprattutto in termini logici e non solo FS.
In questa prospettiva rientra in campo quella metafisica dallo sguardo mistico che la tecnologia aveva allontanato quasi come superstizione. Non è luogo cercare riferimenti teologici, benché Philp K. Dick ne faccia spesso citazione; il reale comprende l'irreale così come il razionale comprende l'irrazionale, e in ciò la FS può esprimere una visione immaginaria in cui l'automatismo del pensiero diviene il suo stesso ambiente pervaso dai dispositivi che esso ha creato: droidi, simulacri, androidi, eccetera.
La funzione del pensiero forgia se stessa come dispositivo per i suoi stessi concetti. L'androide è insito nell'umano; il mondo universo ha, nel pensiero, una conformazione inevitabilmente antropocentrica.
Nella vasta produzione di Philip K. Dick gli automatismi e i simulacri recano necessariamente il riflesso del pensiero in una lotta di razionalità che si impone sull'individuo come un potere assoluto. In questa lotta la possibilità/necessità di un altrove è un vuoto che si colma del mistico come del fantastico.
Nel saggio (Philip K. Dick – Umani & Androidi – Eric Bandini © 2017) sono citate alcune delle molte opere scritte da Philip K. Dick in riferimento al rapporto Umani & Androidi, ma in particolare c'è un riferimento abbastanza dettagliato circa il romanzo «L'uomo nell'alto castello» (The Man In The High Castle) in cui diversamente viene usato come dispositivo-paradigma l'antico sistema cinese di divinazione chiamato I-Ching. L'operazione letteraria che Philp K. Dick mette in opera in questo romanzo sembra avere un corrispettivo negativo
nel romanzo di Franz Kafka Il castello
, precisando che in quell'opera di Kafka nessuno dei personaggi sale al Castello, nessuno vi può entrare; il motivo è implicito nel concetto: il Castello è la struttura stessa del pensiero che nessuno può abitare.
Nel romanzo di Philip K. Dick, L'uomo nell'alto castello
, il concetto è sostanzialmente invertito senza che il senso vada perduto. Abendsen è l'uomo nell'alto castello al di fuori della lotta del potere assoluto in cui è intrappolato e anche braccato a causa della sua opera letteraria, e lo spazio metafisico di quell'alto castello è ugualmente inesistente del Castello di Franz Kafka, egli, dietro sua ammissione, ha scritto la sua opera contro il regime come sotto dettatura dell'I-Ching, egli non perviene al Castello è solo
l'uomo nell'alto castello, che è il vuoto del presente. Abendsen-Philip K. Dick è comunque fuori dal castello, qualunque sia la sua opera: «È la maledetta macchina da scrivere che lo ha fatto!», c'è un automatismo che anche Philip K. Dick subisce.
Questo automatismo è il nostro stesso pensiero, questo mito è il presente che si colma delle nostre decisioni, droidi, androidi, simulacri... Umani & Androidi, dopo tutto...
Philip K. Dick - Umani e androidi
Qualche anno fa, non ha qui importanza il momento esatto, è apparso un articolo di giornale sul sito web di un quotidiano nel quale si parlava di un problema scientifico inerente l'intelligenza artificiale in merito al cui dilemma (intelligenza umana vs intelligenza artificiale e viceversa) una università britannica aveva/avrebbe incaricato un team di studiosi di affrontare la questione nel rapporto fra intelligenza umana e potenza di calcolo dei computer per valutare i rischi eventuali di una sopraffazione da parte di questi ultimi sul genere umano. Non si sa e non pare sia dato sapere come stia procedendo quell'incarico specifico ma la questione non sembra di scarsa importanza, sebbene il concetto di intelligenza artificiale non abbia di fatto una definizione separabile da quella di intelligenza in generale, a quanto e per quello che mi è possibile reperire in termini di informazioni, perché il mondo degli umani è abitato e costituito da ciò che gli umani stessi pensano, fanno, realizzano, e da questo punto di vista l'intelligenza appare sempre artificiale, perché ogni artificio prodotto dalla mente umana, anche astratto o puramente concettuale, appartiene al campo dell'intelligenza che l'ha prodotto. Non c'è nulla di naturale nemmeno in attività prettamente umane, come l'arte, la culinaria, il commercio, la finanza, eccetera, è la speculazione stessa che introduce il meccanismo, così che ogni dispositivo creato dal pensiero umano e volto ad implementare le sue attività non esce dall'ambito del pensiero umano, modificandolo e condizionandolo. Il concetto di intelligenza artificiale trascina con sé, meno visibile ma non meno importante, quello di vita artificiale, e in quest'ultima configurazione sembra confermarsi una separazione fra naturale e artificiale, che di fatto non esiste se non in concetto in relazione a problemi etici, morali, sociali, teologici, eccetera.
Il complesso mondo automatizzato (la rete mondiale dei computer, l'automazione delle industrie, l'intervento umano nella catena del DNA, eccetera) che la società globale e planetaria ha costituito e messo insieme (ma la definizione esatta dovrebbe essere raffazzonato, poiché niente e nessuno può davvero regolare tutto ciò, per lo meno alla data corrente, e se lo diventasse sarebbe un totalitarismo planetario) forma lo stesso ambiente dell'intelligenza che lo ha creato, che lo pervade e che ne riceve i risultati sotto forma del prodotto di un'intelligenza che appare separata, cioè artificiale, quando altro non è che la cosa stessa nella forma del suo risultato: l'automatismo dell'intelligenza.
Da un punto di vista universale (ammesso che un tale punto di vista sia possibile [e di fatto non lo è]) l'essere umano non è mai stato più o meno intelligente, nel senso che la sua evoluzione avveniva e avviene nel solco della natura e delle sue regole che lo sviluppo della specie ha cercato di piegare ai propri scopi e interessi, quasi sempre economici o speculativi in termini di sopravvivenza se non direttamente in termini finanziari e di potere. Lo specchio di queste attività di conquista lasciava intravvedere spazi di sviluppo finché questi esistevano materialmente come luoghi e come oggetti-materia in cui e con cui espandere le proprie speculazioni, fino a quando l'intelligenza stessa nello sguardo complessivo del mondo da essa stessa organizzato (?) ha trovato in se stessa medesima l'ostacolo della propria intelligenza creatrice e creativa; in materia di fatto non c'è nulla nel mondo che provenga da un altro mondo, l'intelligenza è