Ho voluto volere
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Book preview
Ho voluto volere - Carla Balossino
633/1941.
Introduzione
Ho voluto volere
è una celebre frase di Paul Gauguin, uomo profondamente libero, insofferente alle convenzioni e agli schemi della società che scelse di vivere la propria vita senza compromessi. Tutto questo lo portò a soffrire in prima persona e a perdere l'affetto delle persone care. Nonostante tutto egli rimase sempre fedele a sé stesso. Vincent van Gogh era un uomo sensibile e tormentato che amava in maniera totale, assoluta, ma che non riusciva a controllare i propri sentimenti, che diventavano morbosi, distruttivi. Cosa univa Vincent van Gogh e Paul Gauguin? E cosa c'era tra Henri Matisse e Pablo Picasso? Amicizia, certamente, ma anche qualche gelosia, invidia, desiderio di prevaricazione. Artisti amici e nemici al tempo stesso che hanno segnato indelebilmente lo scenario del mondo dell'arte contemporanea. Un Van Gogh olandese; un Gauguin nato in Francia, vissuto in Perù e morto in un'isola dell'Oceano Pacifico; un Matisse della Normandia innamorato del Marocco e della Polinesia; un Picasso nato nel sud della Spagna e incoronato genio incontrastato nella Parigi del Novecento, in costante equilibrio tra cronaca e storia. Quattro vite, quattro diversi modi di concepire l'arte e l'esistenza e quattro diversi modi di morire. Un viaggio nell'animo umano di quattro grandi artisti con le loro debolezze, slanci vitali, fragilità, egoismi e umanità che ci hanno lasciato emozioni profonde, quell' élan vital, che volevano trasmettere con le loro opere per dire, a noi mortali, che la vita, nonostante tutto vale la pena d'essere vissuta.
Vincent van Gogh
il mito della fraglità
"Benché spesso io mi trovi
sprofondato in un abisso di tristezza,
nel mio intimo vi sono ancora calma,
pura armonia e musica"
Vincent van Gogh utilizzò la pittura per esprimere con forza le proprie emozioni nei confronti del mondo. Incantato dalla bellezza della natura e tormentato dal dolore dell'esistenza umana, riuscì a creare, nella sua breve esistenza, opere di rara espressività. Fu considerato dal alcuni contemporanei un malato di mente ed è pur vero che attraversò periodi di grave turbamento psichico. Eppure, nei quadri eseguiti durante il suo ricovero volontario in una clinica psichiatrica nel sud della Francia, si può evincere la mano di un pittore che ben conosceva le tecniche pittoriche e le innovazioni dell'epoca e che era riuscito volgerle a nuovi intenti espressivi. Inoltre nelle centinaia di lettere scritte all'amato fratello Theo, Vincent spiegava con estrema lucidità come la linea e il colore lo aiutassero a realizzare lo scopo della sua arte: comunicare l'estasi e la disperazione del vivere.
Era nato il 30 marzo 1853 a Groot Zundert, un piccolo villaggio olandese non lontano dal confine con il Belgio. Il padre Theodorus era pastore della chiesa riformata d'Olanda, un uomo di austero rigore morale che influì profondamente sulle scelte di vita del figlio. La madre Anna, figlia di un legatore, gli trasmise fin dall'infanzia l'amore per la lettura.
I suoi primi anni trascorsero in un'apparente atmosfera di serenità, i suoi genitori erano molto uniti e Vincent aveva un ottimo rapporto con tutti i suoi cinque fratelli più giovani, soprattutto con la sorella Willemien e il fratello Theo. Con il modesto reddito paterno, la famiglia, sebbene non agiata, riuscì a garantire ai figli una solida istruzione e la possibilità di seguire le proprie inclinazioni. Ad ampliare gli orizzonti culturali dei ragazzi, contribuirono gli zii Hendrik, Vincent e Cornelius che erano mercanti d'arte e introdussero in questo ambiente anche il giovane Vincent e il fratello Theo. Pur nella tranquillità dei primi anni, l'infanzia di Vincent fu segnata da uno strano evento che influenzò in qualche modo tutta la sua vita. Egli venne alla luce lo stesso giorno in cui, esattamente un anno prima, era nato morto il fratello maggiore che portava il suo stesso nome. E' probabile che il ricordo di quel fatto, impresso nella memoria familiare, abbia tormentato la sua infanzia e gli anni successivi. Come sembrano confermare le sue prime fotografie, Vincent era un bambino serio, taciturno e pensieroso. Ammirava profondamente il padre anche se da adulto ne avrebbe parlato come di un uomo autoritario e insensibile alle sue emozioni giovanili. Ma sempre, quando tornava a trovare la famiglia, si intratteneva volentieri a parlare con i familiari e soprattutto con la sorella Willemien.
Lo zio Vincent, chiamato affettuosamente zio Cent, era contitolare della galleria d'arte Goupil & Cie dell'Aja. Quando il nipote compì sedici anni, lo chiamò a lavorare con sé, offrendogli la possibilità di lasciare la casa paterna e trascorrere quattro anni sereni presso la galleria. Goupil era uno dei maggiori mercanti d'arte moderna, aveva filiali a Londra e a Parigi. La galleria dell'Aja era specializzata in paesaggi olandesi, così, in un primo momento, Van Gogh non conobbe le novità che iniziavano ad emergere a Parigi, in particolare la pittura impressionista.
Dopo la giornata di lavoro alla galleria, la sera si dedicava allo studio della Bibbia. In quel periodo era animato da un'intensa fede religiosa, derivata dall'educazione ricevuta in famiglia, ma anche da un sentimento di vicinanza spontaneo e sempre più accorato nei confronti dei poveri e degli infelici. Si accostò con grande interesse anche ai romanzi di Charles Dickens e George Eliot, di cui ammirava la resa dei personaggi indigenti. L'attenzione per i meno fortunati lo accompagnò per tutta la vita.
La sua serietà sul lavoro era così apprezzata che nel 1873, ormai ventenne, Vincent fu trasferito alla sede londinese della società dove visse un periodo sereno e dove si divertiva a schizzare delle vedute di Brixton, il sobborgo in cui viveva in affitto.
Ben presto il suo equilibrio veniva però turbato dalla passione non corrisposta per Eugénie Loyer, figlia della padrona di casa. La disperazione per il rifiuto di lei, trasformò Londra in un incubo insostenibile, a causa del quale Vincent cominciò ad isolarsi. Fu questo il primo di una serie di episodi che contrassegnarono tutta l'esistenza del pittore. Alternava periodi di relativa serenità a crisi affettive che lo gettavano nella disperazione e lo portavano ad isolarsi dal resto del mondo.
Nel 1874, sapendolo infelice, lo zio fece trasferire Vincent a Parigi ma il sentimento religioso che si stava facendo strada in lui, lo rendeva sempre più insofferente agli aspetti commerciali dell'attività della galleria. Quando la sua insoddisfazione divenne palese anche ai clienti, Vincent fu licenziato. Tornò a vivere con i genitori a Etten ma cominciò a scontrarsi con il padre. Le discussioni sulla dottrina cristiana si fecero talmente aspre che questi cercò di dissuaderlo dall'intraprendere la vita religiosa. Vincent lavorò per qualche tempo a Londra, come maestro di scuola e poi a Dordrecht come libraio. Nel 1877 andò a vivere ad Amsterdam nella casa dello zio Jan per prepararsi ad accedere alla facoltà di teologia. Malgrado i timori paterni, la famiglia continuò a sostenerlo ma lo studio del greco e del latino rappresentò un duro scoglio da superare, in quanto erano per lui materie aride, che nulla avevano a che vedere con gli insegnamenti di pietà e di amore per il prossimo della Bibbia. Si presentò agli esami impreparato e venne respinto. L'insuccesso accademico non lo scoraggiò e deciso a seguire la carriera religiosa, nel 1878 Vincent assunse l'incarico temporaneo di missionario evangelico nella regione mineraria di Borinage, in Belgio, dove lavorò a diretto contatto con i poveri. Ma la sofferenza che lo circondava sconvolgeva il suo sensibile temperamento e così decise di vivere in povertà fra la gente del luogo, privandosi del cibo e degli abiti per donarli a chi ne aveva più bisogno. Il suo aspetto divenne inquietante: vecchi indumenti consunti pendevano flosci dal suo corpo denutrito. Le autorità ecclesiastiche non apprezzarono il suo comportamento: Vincent riteneva di vivere secondo l'esempio di Cristo, mentre per loro, la sua condotta screditava il ministero, così finirono con il sospenderlo dall'incarico. Il Borinage era tristemente noto per l'ambiente inquinato e le terribili condizioni di vita dei minatori. Famiglie numerose erano costrette a condividere case affollate e insalubri, in un paesaggio dominato da cumuli di scorie tossiche.
I ricordi di quelle sofferenze lo accompagnarono per lungo tempo. Lasciata la regione, nei due anni successivi, espresse la sua partecipazione a quel dolore in una serie di dipinti e disegni raffiguranti le mogli dei minatori che trasportavano pesanti sacchi di carbone in un paesaggio desolato. In un disegno di particolare intensità, il piegarsi delle donne sotto il peso del carico rende tangibile la fatica di ogni passo. L'immagine scura, resa con tratti pesanti di matita e inchiostro nero è una potente testimonianza del disagio delle campagne e della dura vita dei minatori e delle loro famiglie. Van Gogh restò sempre fedele a questo modo di accostarsi alla pittura: nei suoi quadri ricercava la sintesi fra l'osservazione attenta dell'oggetto e l'espressione dei propri sentimenti.
Sospeso dalla missione in Borinage, Van Gogh rivolse il suo interesse all'arte. Scrisse al fratello Theo dicendosi affascinato dalle opere della scuola di Barbizon, un gruppo di pittori francesi autori di ispirati paesaggi rurali e