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Fra guerra, aviazione e politica. Giulio Douhet, 1914-1916
Fra guerra, aviazione e politica. Giulio Douhet, 1914-1916
Fra guerra, aviazione e politica. Giulio Douhet, 1914-1916
Ebook1,809 pages27 hours

Fra guerra, aviazione e politica. Giulio Douhet, 1914-1916

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Sulla scorta di una vasta documentazione in parte inedita, fra cui i verbali della Commissione d'inchiesta su Caporetto, vengono analizzate le vicende biografiche e gli scritti di Giulio Douhet nel cruciale periodo 1914-1916, inquadrandole nel più ampio ed articolato contesto delle coeve relazioni fra la sfera politica e quella militare della classe dirigente italiana. Attraverso un esame incrociato condotto per la prima volta su fonti di varia tipologia, il pensiero e l'azione di Douhet negli anni della Grande Guerra vengono riconsiderati nella loro concretezza storica e nelle loro non poche contraddizioni, diventando al tempo stesso l'occasione per un nuovo esame di diversi aspetti politico-militari salienti dei primi anni della partecipazione dell'Italia alla Prima guerra mondiale. Fanno così la loro apparizione sul palcoscenico del libro, accanto a Douhet, numerosi personaggi di primo piano dell'epoca, quali Luigi Cadorna, Antonio Salandra, Sidney Sonnino, Salvatore Barzilai, Andrea Torre, Leonida Bissolati, Luigi Albertini, Giuseppe De Felice Giuffrida, Michele Gortani, Francesco Ruffini, Gaetano Mosca, Scipione Borghese, Ugo e Roberto Brusati, e molti altri. Il volume offre altresì la prima ricostruzione completa del processo di Douhet nel 1916 per l'affaire del 'memoriale', con l'edizione della relativa documentazione archivistica.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateMar 27, 2018
ISBN9788827820308
Fra guerra, aviazione e politica. Giulio Douhet, 1914-1916

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    Fra guerra, aviazione e politica. Giulio Douhet, 1914-1916 - Giancarlo Finizio

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    Indice

    Introduzione

    Parte prima - Giulio Douhet fra guerra, aviazione e politica, 1914-1916

    I - Attraverso archivi e biblioteche. Vecchie e nuove fonti per lo studio di Giulio Douhet nel periodo della Grande Guerra

    II - Dalle prime riflessioni teoriche alla Grande Guerra (1908-1914)

    III - Nel primo anno della guerra italiana (1915)

    IV - Una china pericolosa. La battaglia per il ritorno in aviazione ed i rapporti con la politica (gennaio-marzo 1916)

    V - Dagli aeroplani alla critica al Comando Supremo. Le ragioni di una scelta e le sue intime contraddizioni (gennaio-aprile1916)

    Vi - La grande paura del maggio 1916. Dalla Strafexpedition alla caduta del Governo Salandra (aprile-giugno 1916)

    VII - Verso l’affaire del ‘memoriale’. Dall’incontro con Leonida Bissolati alla conquista di Gorizia (giugno-agosto 1916)

    VIII - Un clamoroso processo militare nell’Italia della Grande Guerra. L’affaire del ‘memoriale’ (agosto-ottobre 1916)

    IX - Il seguito dell’affaire. Giulio Douhet dalla condanna alla riabilitazione (1916-1920)

    Parte seconda - Documenti

    Fonti e bibliografia

    Titolo

    Fra guerra, aviazione e politica.

    Giulio Douhet, 1914-1916.

    Con la storia e l’edizione dei documenti d’archivio

    del processo per l’affaire del ‘memoriale’ del 1916

    © 2017 Giancarlo Finizio

    ISBN |9788827820308

    Youcanprint Self-Publishing

    Via Roma, 73 - 73039 Tricase (LE) - Italy

    www.youcanprint.it

    info@youcanprint.it

    Facebook: facebook.com/youcanprint.it

    Twitter: twitter.com/youcanprintit

    Copertina, grafica del testo ed indici

    Giancarlo Finizio

    In Copertina

    Il Capo di Stato Maggiore del Regio Esercito italiano,

    il generale Luigi Cadorna (al centro), ed il suo vice,

    il generale Carlo Porro (alla sua sinistra), in una

    fotografia pubblicata nel settembre del 1915

    dal settimanale francese «Le Miroir»

    INTRODUZIONE

    Al contrario di quanto credono taluni, la storiografia non concerne soltanto

    la memoria ma richiede sopra ogni altra cosa acutezza d’intelletto. Chi appena vi rifletta

    o anche chi conosca soltanto per sentito dire quella parte della critica che si applica nei campi dell’istorica,

    non negherà come sia difficile distinguere il vero dal falso e scegliere tra i molteplici resoconti

    quello che è davvero il migliore. E tuttavia ciò costituisce soltanto una parte del compito della storiografia

    Leopold von Ranke (1836)¹

    La sera del 22 agosto 1916, nella stazione ferroviaria di Treviso, venne rinvenuto un plico contenente al suo interno alcune carte. Consegnate quella sera stessa all’Intendenza Generale del Regio Esercito, i cui uffici avevano sede nella città veneta, dette carte si rivelarono essere un memoriale di più pagine intitolato Esame della situazione creatasi in seguito alla occupazione di Gorizia ed in vista di una eventuale dichiarazione di guerra alla o dalla Germania , senza firma dell’autore e privo di indicazioni circa un eventuale destinatario. Fatto sollecitamente recapitare ad Udine, al Comando Supremo del Regio Esercito, lo scritto fu oggetto di un’indagine che ne portò ad identificare in tempi piuttosto rapidi l’autore, ovvero il colonnello che a quel tempo, a Tolmezzo, era capo di stato maggiore della Zona Carnia (XII Corpo d’Armata), vale a dire Giulio Douhet, l’uomo che fino al febbraio del 1915 era stato protagonista di primo piano dello sviluppo dell’aviazione militare italiana in qualità di comandante del Battaglione Aviatori del Regio Esercito. Ebbe così inizio una vicenda giudiziaria, durata circa un mese, che rischiò di trasformarsi in uno scandalo dalle gravi conseguenze per i rapporti già difficili tra la sfera politica e quella militare della classe dirigente che stava guidando l’Italia nella prova del conflitto mondiale, visto che le indagini fecero emergere che il ‘memoriale’ non era uno scritto realizzato ad uso privato di Douhet, bensì, redatto addirittura in tre copie, era stato pensato per essere consegnato, tramite due deputati ed un terzo personaggio rimasto ignoto, nelle mani di altrettanti ministri del Governo guidato da Paolo Boselli allora in carica: Sidney Sonnino, Leonida Bissolati e Francesco Ruffini, quest’ultimo destinatario proprio della copia rinvenuta nella stazione di Treviso e smarrita dall’onorevole Gaetano Mosca.

    Il processo celebrato a carico di Douhet dal Tribunale Militare di Codroipo fu probabilmente il più famoso tra quelli individuali istruiti dalla giustizia militare italiana nel corso della Grande Guerra, ma, a ben vedere, tale notorietà fu dovuta non solo e non tanto alla gravità in sé del reato contestato a quell’ufficiale, ed alla pena alla quale egli fu condannato una volta riconosciuto colpevole – esisteva già del resto, per lo stesso reato, il precedente del non meno discusso processo al maggiore Carlo Zunini nel 1915 −, quanto anche e soprattutto alle connessioni che quella vicenda ebbe con i delicati rapporti tra politici e militari negli anni in cui a capo del Comando Supremo italiano fu il generale Luigi Cadorna, ed agli strascichi polemici che essa lasciò dietro di sé, al punto da essere discussa anche animatamente alla Camera dei Deputati nella seduta del 7 dicembre 1916, tornando poi nuovamente a galla nell’immediato Dopoguerra in occasione del tentativo (riuscito) di Douhet di ottenere la riabilitazione dalla condanna subita in sede giudiziaria e della pubblicazione del suo controverso diario di guerra degli anni 1915-1916.

    Il volume che segue riprende ed amplia il campo d’indagine già toccato nel nostro precedente libro intitolato Giulio Douhet, Luigi Albertini e l’aviazione militare italiana, con l’intenzione questa volta di affrontare più nel dettaglio la vicenda umana e professionale di Giulio Douhet nel cruciale periodo che va dallo scoppio della Prima guerra mondiale nell’estate del 1914, fino alla conclusione del famoso caso processuale del ‘memoriale’ (ottobre 1916), che comportò per lui la condanna ad un anno di reclusione e che lo estromise pertanto fino agli inizi del 1918 dal servizio militare attivo. Si tratta comunque di estremi cronologici che non abbiamo interpretato in senso rigido, poiché il discorso svolto ci ha portato necessariamente a toccare aspetti e momenti della biografia di Douhet tanto antecedenti all’estate del 1914, quanto successivi all’ottobre del 1916.

    Lo scopo che ci siamo proposti è stato quello di studiare con attenzione il modo in cui Douhet, nel periodo considerato, si rapportò nelle sue azioni e nei suoi scritti sia con la guerra in atto sul Fronte Italiano – e non soltanto per quanto riguardava le questioni legate all’aviazione –, sia con la conduzione che di essa stava facendo la classe dirigente politica e militare del Paese. Ripercorrendo la biografia douhettiana degli anni 1914-1916 ci siamo sempre più resi conto di quanto essa non potesse essere compresa se non inserendola con la necessaria profondità all’interno del contesto storico nel quale essa si dispiegò e dal quale, come spesso capita, fu a maggior ragione plasmata², poiché moventi quali il desiderio di far valere le proprie idee in merito allo sviluppo da dare ai mezzi aviatori del Regio Esercito e di riacquistare quel ruolo attivo nell’aviazione militare del quale era stato privato solo pochi mesi prima dell’ingresso dell’Italia nella Prima guerra mondiale, ma anche la volontà di ottenere ascolto sulle riflessioni ed osservazioni critiche che egli andava maturando circa i connotati tattici e strategici della guerra condotta dal Comando Supremo guidato dal generale Cadorna, spinsero Douhet a tessere complessi legami con uomini politici ed esponenti di spicco della società civile, venuti infine improvvisamente alla luce – in modo probabilmente del tutto accidentale – con l’affaire del ‘memoriale’ dell’agosto-ottobre 1916.

    Dando alle stampe nell’immediato Dopoguerra il suo diario relativo proprio al periodo maggio 1915 - agosto 1916, Douhet ha offerto un contributo importante – anche dal punto di vista documentale – alla conoscenza sia dei legami testé menzionati, sia delle sue idee e della sua storia personale durante i primi due anni della partecipazione dell’Italia alla Prima guerra mondiale. Tuttavia, per varie ragioni, si tratta di un testo da prendere con non poche cautele e nel quale comunque non mancano le reticenze da parte dell’autore, come dimostra in particolare l’anonimato dietro il quale vennero celate le identità di taluni personaggi con i quali Douhet ebbe rapporti, soprattutto nel caso di uomini politici. I suoi contenuti pertanto, esattamente come quelli degli altri scritti douhettiani dell’epoca della Grande Guerra, necessitano di essere ricollocati nel contesto storico nel quale presero forma e di essere vagliati attentamente – anche con un lavoro di analisi interna ed incrociata mai svolto fino ad oggi – per comprendere come ed in quale misura Douhet conobbe e giudicò le vicende ed i personaggi del suo tempo. Inoltre, a nostro avviso, risulta impossibile cercare di rendere adeguatamente conto di ciò che il futuro profeta del ‘dominio dell’aria’ fece e pensò nel periodo della Grande Guerra senza ricostruire – per quanto possibile – la trama delle relazioni intrattenute da Douhet con la classe dirigente dell’Italia in guerra, avendo però bene a mente, proprio per poter opportunamente comprendere l’origine ed i connotati di tali relazioni, quali fossero le vedute di quella stessa classe dirigente sulle questioni politico-militari poste dal conflitto, di modo che il presente volume finisce per offrirsi anche come un piccolo contributo alla storia più generale della partecipazione italiana al primo conflitto mondiale.

    Per la nostra indagine ci siamo avvalsi di molte fonti d’archivio di varia provenienza, largamente inedite, che ci hanno consentito di rileggere sotto una luce certamente meno mitizzata la biografia di Douhet negli anni della Prima guerra mondiale, apportando peraltro alla sua conoscenza molti elementi nuovi e dandoci la possibilità di attribuire anche un nome a taluni dei personaggi da lui menzionati in modo criptico nei suoi taccuini personali. L’immagine apparentemente monolitica di un Douhet infaticabile ed infallibile accusatore dei mali della conduzione militare della guerra italiana, ad un esame più ravvicinato e documentato lascia decisamente il posto a quella di una personalità tormentata, non di rado difficile da decifrare, tutt’altro che lineare e coerente nelle sue prese di posizione, le cui idee e le cui azioni non sempre si prestano ad essere racchiuse all’interno di schemi interpretativi univoci e privi di contraddizioni.

    I rapporti tra Douhet ed i politici sono stati ricollocati all’interno del più ampio contesto delle complesse e non facili relazioni tra Governo e Comando Supremo nella Grande Guerra, utilizzando anche per illuminarle i verbali delle deposizioni raccolte nel suo ricchissimo archivio dalla Commissione d’inchiesta istituita nel gennaio del 1918 per indagare le cause e le responsabilità di Caporetto. Oltre al materiale d’archivio non pubblicato, di notevole importanza si sono rivelati scritti coevi – non solo di Douhet – già dati alle stampe nel corso degli anni, come memorie, diari ed epistolari. In particolare, per quanto concerne la vicenda del ‘memoriale’, momento culminante e per molti versi cartina di tornasole dei rapporti di Douhet con il mondo della Forza Armata di appartenenza e con quello della politica, l’esame incrociato – condotto qui per la prima volta – di tutta la documentazione originale relativa al processo istruito dal Tribunale Militare di Codroipo a carico di Douhet, ma anche dei riferimenti ad esso presenti in vari scritti douhettiani ed in epistolari, diari ed opere memorialistiche di altre personalità storiche dell’epoca, ci ha consentito di ricostruire in modo completo e puntuale l’intero affaire del ‘memoriale’, del quale vengono qui pubblicati tutti i documenti di interesse, la maggior parte dei quali inediti.

    Ma uno storico non è chiamato solo a confrontarsi con libri e documenti, il suo lavoro non easurendosi esclusivamente nella ricerca e nella lettura di carte d’archivio e di pubblicazioni, e nella meditazione su di esse. Nel suo percorso di studio egli incontra sempre, inevitabilmente, l’opera svolta da qualcuno – pochi o molti che siano – che lo ha preceduto su quella stessa strada. Nel nostro caso specifico, tutti coloro che prima di noi si sono occupati nell’arco ormai di un secolo della storia umana, professionale e di pensiero di Douhet nel periodo della Grande Guerra, hanno dovuto fare i conti con le fumose notizie relative alla sorte del suo archivio personale – solo in parte conservatosi –, con quanto Douhet stesso aveva pubblicato dei suoi scritti personali sia a carattere tecnico (soprattutto, ma non certo esclusivamente, sull’aviazione) che biograficomemorialistico, e con le poche fonti d’archivio inedite che lo riguardavano individuate con certezza.

    Proprio per questo, abbiamo ritenuto opportuno iniziare il volume con un capitolo che, dati i contenuti, avrebbe dovuto trovare collocazione in coda ad esso, ma che invece abbiamo scelto di porre in testa perché riteniamo che serva a meglio chiarire al lettore tutta una serie di elementi che poi egli ritroverà nelle pagine successive del libro. La quasi totalità degli scritti douhettiani riguardanti il periodo della Grande Guerra fino ad oggi pubblicati – o comunque approntati per la pubblicazione – risale agli anni tra le due guerre mondiali, in molti casi dati alle stampe per opera dello stesso Douhet. Si tratta però di materiale che, salvo quello relativo all’aviazione – e Diario critico di guerra a parte – ha attirato scarsa attenzione da parte degli studiosi, non di rado anche perché costituito da pubblicazioni uscite in tiratura limitata ed ormai da lungo tempo fuori commercio (lo stesso Diario critico, pubblicato tra il 1921 ed il 1922, per quanto sia spesso chiamato in causa dagli studiosi, non ha mai beneficiato di una ristampa – se non per un caso parziale – o di una nuova edizione)³, e che necessita, per poter essere adeguatamente valutato, di essere ricollocato nel suo giusto contesto storico.

    Pertanto il Capitolo primo introdurrà il lettore alla storia di queste pubblicazioni, inquadrandone l’origine ed i contenuti e ponendo in evidenza i punti chiave da tenere a mente per metterle in relazione con il pensiero e l’azione di Douhet tra il 1914 ed il 1918, che in fin dei conti conosciamo ancora prevalentemente solo attraverso la rappresentazione inevitabilmente filtrata (e spesso unilaterale) che di essi ci hanno fornito proprio dette pubblicazioni. Ma in esso il lettore troverà, altresì, una illustrazione delle principali fonti d’archivio che, come si è detto più sopra, sono alla base di questo libro, e sentirà parlare anche della storia poco nota – eppure di non poco interesse culturale e storico – dell’uomo e dell’istituzione pubblica alle quali si deve il merito di aver accolto e tramandato fino a noi non soltanto una parte importante dell’archivio personale di Douhet, ma anche e soprattutto una fetta enorme del patrimonio della memoria storica della partecipazione italiana alla Prima guerra mondiale.

    NOTA TESTUALE

    Per quanto attiene alla trascrizione dei testi citati integralmente o in parte nel presente volume, si è seguito un criterio conservativo, mirato cioè a proporli il più possibile nella loro forma originale, soprattutto nel caso dei documenti d’archivio. Pertanto, la punteggiatura e l’impaginazione dei testi, così come le sottolineature ed i corsivi, salvo diversa indicazione, rispecchiano quanto presente negli originali, mentre è stato limitato al minimo l’uso delle maiuscole per la composizione di intere parole; alcuni piccoli interventi sono stati compiuti per eliminare evidenti refusi e/o errori di battitura o scrittura, così come, là dove era necessario, per uniformare la punteggiatura; le parole abbreviate (iniziali di nomi, titoli, gradi militari, formule di saluto, ecc…) sono state generalmente sciolte tra parentesi quadre.

    Le note ai documenti, se non diversamente indicato, sono tutte di Giancarlo Finizio, esattamente come le aggiunte riportate fra parentesi quadre. Per tutti i documenti viene fornita l’attuale collocazione archivistica, oppure – se a stampa – la pubblicazione di provenienza. Si precisa, a beneficio del lettore non specialista, che le indicazioni recto e verso utilizzate con riguardo ai documenti equivalgono a ‘fronte’ e ‘retro’ di un foglio.


    ¹ Leopold von Ranke, Sull’affinità e la differenza di storiografia e politica, in Id., Storia, storiografia, politica, a cura di Santi Di Bella, Liguori Editore, Napoli 2015, pp. 117-128: p. 120.

    ² Interessante ad esempio, proprio in questa prospettiva, e per restare nel solo ambito della storia militare, il recente volume biografico dedicato dallo storico statunitense Donald Stoker a Carl von Clausewitz, nel quale doverosa attenzione è stata posta alla ricostruzione delle esperienze dirette che il noto teorico prussiano ebbe delle campagne militari del periodo della Rivoluzione Francese e dell’Impero napoleonico, per comprendere l’incidenza che esse ebbero nei suoi scritti di storia e teoria militare: «È di per sé evidente che l’estesa esperienza militare di Clausewitz – combinata con molto studio e molta riflessione – nutrirono i suoi scritti teorici, ma tracciare linee dirette da un evento ad un argomento nel Vom Kriege è rischioso. Comunque, studiare le sue esperienze militari, quando possibile in toto, approfondisce il nostro quadro degli eventi che plasmarono la mente di Clausewitz e forse guidarono la sua penna» (Donald Stoker, Clausewitz. His Life and Work, Oxford University Press, Oxford & New York 2014, Introduzione, p. XVI).

    ³ Ha invece del clamoroso, al contrario, l’interesse editoriale manifestatosi per il diario tenuto durante il servizio al fronte nella Prima guerra mondiale da Benito Mussolini: uno scritto, al di là del nome del personaggio, in sé e per sé di modesto valore storico-documentario, del quale però sono state date alle stampe in un paio d’anni ben quattro nuove edizioni: Benito Mussolini, Il mio diario di guerra, a cura di Denis Vidale, Biblioteca dei Leoni, Castelfranco Veneto 2015; Benito Mussolini, Giornale di guerra 1915-1917, a cura di Alessandro Campi, Rubbettino, Soveria Mannelli 2016; Benito Mussolini, Giornale di guerra 1915-1917, a cura di Mimmo Franzinelli, Libreria Editrice Goriziana, Gorizia 2016; Benito Mussolini, Il mio diario di guerra, a cura di Mario Isnenghi, il Mulino, Bologna 2016.

    Parte prima

    Giulio Douhet fra guerra, aviazione e politica, 1914-1916

    CAPITOLO PRIMO

    ATTRAVERSO ARCHIVI E BIBLIOTECHE.

    VECCHIE E NUOVE FONTI PER LO STUDIO DI GIULIO DOUHET

    NEL PERIODO DELLA GRANDE GUERRA

    Premessa. I. Tra guerra e dopoguerra: la Commissione d’inchiesta su Caporetto. II. Le prime pubblicazioni di scritti douhettiani del periodo della Grande Guerra. III. Antonio Monti e l’Archivio della Guerra di Milano. IV. Le donazioni della carte di Douhet fatte all’Archivio della Guerra da Gina Casalis. V. L’edizione degli Scritti inediti curata da Monti. VI. Il lascito Douhet al Museo del Risorgimento di Milano tra perdite e sopravvivenze. VII. Il presente volume e le sue fonti edite ed inedite.

    La storia degli scritti e delle carte personali di Giulio Douhet relative al periodo della Grande Guerra inizia già all’indomani della conclusione del conflitto. Nei mesi che precedettero l’entrata in guerra dell’Italia, più precisamente dal 7 agosto 1914 al 26 marzo 1915, Douhet, riprendendo un impegno già svolto durante la Guerra russo-giapponese del 1904-1905 per il giornale genovese «Caffaro», aveva collaborato con notevole regolarità alle pagine del quotidiano torinese «La Gazzetta del Popolo» (giornale di orientamento nazionalista e liberale diretto da Delfino Orsi ed a quell’epoca uno dei più venduti in Italia) firmando sotto lo pseudonimo di «Spectator» ben 156 articoli di illustrazione e commento delle operazioni militari in corso¹; mentre era stata cortesemente liquidata nel gennaio del 1915 una proposta da lui rivolta al direttore del «Corriere della Sera», Luigi Albertini, di scrivere articoli di commento e di analisi di argomenti militari per quel quotidiano milanese². Dopo la conclusione della collaborazione a «La Gazzetta del Popolo», l’attività pubblicistica di Douhet non aveva avuto ulteriore seguito, tuttavia durante il periodo della partecipazione italiana al conflitto egli non si era astenuto dall’affidare i suoi pensieri e le sue idee alla carta: anzi, il periodo che va dal maggio del 1915 al novembre del 1918, anche durante l’anno di reclusione in fortezza a cui fu condannato per la vicenda del ‘memoriale’, fu caratterizzato da una intensa attività di redazione di memoriali, promemoria e scritti vari di argomento militare – sull’aviazione, principalmente, ma anche più in generale su questioni di tattica e di strategia (non escluse talune questioni della guerra sui mari) –, alla quale si collegò tanto la stesura quasi quotidiana di un diario personale per almeno un lungo periodo continuato di tempo (maggio 1915 - agosto 1916), quanto l’invio di numerose lettere; la stessa vicenda processuale che lo riguardò nel 1916 costituì per lui l’occasione per dar vita ad altri documenti.

    Alla conclusione delle ostilità tutto questo materiale di cui si è detto risultava completamente inedito e per la verità sulla sua esistenza, così come sulla sua effettiva consistenza, non si avevano che vaghe ed imprecise cognizioni. Poiché taluni dei suoi promemoria e memoriali, compreso il celebre ‘memoriale’ intitolato Esame della situazione creatasi in seguito alla occupazione di Gorizia ed in vista di una eventuale dichiarazione di guerra alla o dalla Germania, erano giunti a conoscenza del Comando Supremo del Regio Esercito, certamente si sapeva che durante la guerra Douhet aveva frequentemente affidato le proprie riflessioni alla penna ed alla macchina da scrivere, tanto che già nel 1917 il colonnello Angelo Gatti, che prestava servizio alle dipendenze del generale Cadorna, poteva etichettarlo come «grafomane» nel suo diario³. Tuttavia, quanto fosse stata ricca ed articolata la sua produzione ‘letteraria’ del tempo di guerra, sia in termini di contenuti che di soggetti destinatari, era noto di fatto solamente a Douhet.

    I. Lo sfondamento del fronte dell’Isonzo a Caporetto il 24 ottobre del 1917 e la successiva ritirata del dispositivo del Regio Esercito alla nuova linea dal Monte Grappa al fiume Piave, avevano segnato la fine del periodo di comando di Cadorna, sostituito nel ruolo di Capo di Stato Maggiore dal generale Armando Diaz, aprendo una nuova fase della partecipazione italiana alla Grande Guerra. Al fine di far luce sui fatti e sulle responsabilità che avevano prodotto la rottura del fronte isontino e la ritirata fino al Piave, il nuovo Governo guidato da Vittorio Emanuele Orlando – subentrato a quello guidato da Paolo Boselli proprio nei giorni di Caporetto – aveva preso la decisione di dar vita ad una commissione d’inchiesta. Per la verità la proposta inizialmente formulata nel dicembre del 1917, alla riapertura del Parlamento, era stata quella di dar vita ad una commissione parlamentare d’inchiesta, dotata quindi dei previsti poteri giudiziari. Quando però, un mese dopo, il Governo la istituì ufficialmente con il Regio Decreto n. 35 del 12 gennaio 1918, la commissione non ebbe questa impostazione, assumendo bensì i connotati di un organismo misto e di carattere amministrativo, composto sia di militari che di parlamentari.

    Presieduta dal generale Carlo Caneva⁴, la Commissione d’inchiesta su Caporetto, i cui lavori iniziarono con la prima convocazione in data 15 febbraio 1918, accompagnò si può dire il trapasso dell’Italia e del suo Esercito dall’orlo del baratro della sconfitta alla vittoria finale ed al Dopoguerra, portando a compimento la sua opera con la seduta del 23 giugno del 1919, nel corso della quale la Commissione approvò in via definitiva il testo della propria relazione finale. Si trattava di un corposo scritto, compilato dal capo del suo ufficio di segreteria, il colonnello Fulvio Zugaro, nel quale venivano sintetizzate le risultanze di un lavoro durato un anno e mezzo (in tutto erano state tenute 241 sedute), che aveva portato la Commissione ad acquisire agli atti 1.012 deposizioni verbali e scritte (fra le quali oltre 900 raccolte direttamente dalla Commissione stessa)⁵ e ad accumulare ed esaminare una vasta mole di materiale documentario di diversa provenienza (in tutto ben 2.310 documenti), fra cui atti di natura operativa prodotti dai comandi militari e navali italiani operanti sul fronte isontino (circolari, ordini del giorno, relazioni, verbali di riunioni, diari di reparto, ecc…) ed alcuni appositi memoriali redatti per essa da alti ufficiali del Regio Esercito coinvolti nell’inchiesta⁶.

    Le sole conclusioni della Commissione furono pubblicate a parte il 25 giugno 1919, mentre il testo a stampa completo della Relazione fu presentato il 24 luglio al Presidente del Consiglio Francesco Saverio Nitti (succeduto a Vittorio Emanuele Orlando). Pubblicata con il titolo Relazione della Commissione d’inchiesta R.D. 12 gennaio 1918 – n. 35. Dall’Isonzo al Piave 24 ottobre - 9 novembre 1917, essa fu stampata in tre volumi di grande formato (più di 800 pagine complessive), di cui i primi due di testo ed il terzo di tavole geografiche a colori. Il primo ad uscire, tra il 10 e l’11 agosto, fu il volume secondo, intitolato ‘Le cause e le responsabilità degli avvenimenti’ (di 579 pagine), il più atteso, come è facile comprendere, visto che conteneva le conclusioni raggiunte dall’inchiesta (quelle già pubblicate a parte il 25 giugno) ed il cuore del lavoro svolto dalla Commissione, seguito poco dopo dal volume primo, intitolato ‘Cenno schematico degli avvenimenti’ (di 376 pagine), di taglio indubbiamente più storico-narrativo, ma non per questo meno cruciale, visto che conteneva la ricostruzione degli avvenimenti dal 23 ottobre al 9 novembre 1917, ed infine dal volume contenente le 22 tavole fuori testo⁷.

    Nitti decise di sottoporre quanto prima i risultati dell’inchiesta su Caporetto all’esame del Parlamento e per tale ragione fece distribuire subito alla Camera ed al Senato copie del volume secondo della Relazione, «quello che interessa agli effetti delle responsabilità»⁸. Nel frattempo, sulla base delle risultanze dei lavori della Commissione, il Consiglio dei Ministri prese i primi e più seri provvedimenti conseguenziali, ufficializzati il 2 settembre 1919, disponendo il collocamento a riposo per anzianità di servizio (e l’iscrizione nella riserva) dei generali Luigi Cadorna, Carlo Porro, Luigi Capello ed Alberto Cavaciocchi, ovvero di coloro che l’inchiesta aveva individuato a vario grado come principali responsabili dello sfondamento di Caporetto. Il 6 settembre il Presidente del Consiglio, dopo aver riferito alla Camera dei provvedimenti testé citati, introdusse e dette avvio alla discussione in aula della Relazione della Commissione d’inchiesta su Caporetto⁹, la quale, dopo un tentativo di sospenderla non portato fino in fondo (e di cui diremo poco più avanti), sarebbe poi proseguita vivacemente anche il 9 ed il 12, concludendosi infine il 13 settembre.

    Sebbene nata all’apparenza con l’intento di chiarire che cosa fosse successo realmente tra l’ottobre ed il novembre del 1917 alle armate italiane schierate sul fronte dell’Isonzo, la Commissione d’inchiesta – fin dall’inizio – allargò volutamente il campo delle proprie indagini sia sul piano dell’arco temporale considerato, sia della materia esaminata, dando di fatto luogo nel volume secondo della Relazione ad una disamina ad ampio raggio dell’intera condotta politico-militare della guerra italiana tra il 1915 ed il 1917, che inquadrava e spiegava Caporetto all’interno di un discorso di lungo periodo, che non mancava di porre sotto i riflettori anche i problematici rapporti esistenti tra Governo e Comando Supremo in quel lasso di tempo.

    Tale disamina però, per quanto lodevole (anche sul piano storiografico) nel precoce sforzo di uscire dal ristretto ambito dei fattori militari puramente tecnici per prestare giusta attenzione anche a quelli legati alla politica, alla società ed al morale delle truppe¹⁰, finiva in buona sostanza per debordare dallo specifico contesto degli avvenimenti dell’autunno del 1917 (quelli, del resto, a cui si limitava invece la narrazione contenuta nel volume primo della Relazione) e per attribuire in essi un peso in fin dei conti eccessivo ai citati fattori legati alla politica, alla società ed al morale delle truppe, offuscando così il rilievo di cause tecniche più dirette e contingenti (e sorvolando opportunamente sul ruolo controverso di taluni personaggi, come il generale Pietro Badoglio, divenuto dopo Caporetto Sottocapo di Stato Maggiore del Regio Esercito), la cui adeguata considerazione in fase di giudizio conclusivo avrebbe senza dubbio giovato ad una più opportuna valutazione di quanto era effettivamente accaduto: comprensione, peraltro, già di per sé difficile quando si pretendeva di fare chiarezza in modo obiettivo, sereno ed in tempi rapidi su vicende così delicate e recenti, e nelle quali per giunta si intrecciavano responsabilità tutt’altro che lineari ed univoche¹¹.

    Anche perché, data la mole della Relazione, la sua pubblicazione scaglionata nel tempo – prima il volume sulle cause e le responsabilità e poi quello della ricostruzione storico-narrativa dei fatti dell’ottobre-novembre 1917 (esiziale per ricostruire la dinamica degli avvenimenti di Caporetto considerati dalla Commissione) –, ed il clima politico accalorato in cui essa apparve, ben pochi si sarebbero posti a studiarne con spirito analitico e critico il testo ed i suoi contenuti, cogliendone anche le non poche sfumature di giudizio ed i non pochi distinguo operati dalla Commissione nel corso delle pagine. I più si sarebbero limitati a leggere le conclusioni comodamente sintetizzate alla fine del volume secondo¹², nelle quali la Commissione, pur affermando a chiare lettere che quanto accaduto tra l’Isonzo ed il Piave nell’autunno del 1917 presentava «i caratteri di una sconfitta militare», le cui «cause determinanti» erano «di natura militare, sia tecnica che morale» e non quindi politica¹³, sottolineava il ruolo preponderante avuto dalla depressione del morale e dello spirito combattivo di quadri e soldati prodotta dal cattivo sistema di governo degli uomini seguito sotto il comando del generale Cadorna:

    […] Cause militari, prevalentemente di carattere morale, che, a giudizio della Commissione, hanno avuto valore veramente efficiente nel disastro, e la cui responsabilità non si limita però ai comandanti militari ma in taluni casi si estende al Governo, non sempre tempestivamente intervenuto. Appaiono queste in sostanza le vere cause […]¹⁴.

    In tale ottica le vicende di Caporetto, caricate di valenze che ne decontestualizzavano in buona parte il reale significato – qualche mese dopo, davanti allo sfondamento di pari proporzioni del proprio fronte subito in Francia per mano dell’offensiva tedesca di primavera, nonostante una migliore organizzazione difensiva, né gli inglesi né i francesi avrebbero pensato di attribuirne la colpa a cause militari di natura morale¹⁵ –, finivano per trasformarsi all’atto pratico in ciò che in molti, anche negli ambienti della politica, erano ben disposti a leggervi, ovvero nella conseguenza inevitabile della cattiva gestione della guerra italiana da parte del Comando Supremo di Cadorna, della quale ora la Commissione sembrava fornire l’attestazione decisiva.

    Non stupisce che le polemiche e le discussioni che accompagnarono e seguirono l’attività della Commissione e le risultanze dei suoi lavori fossero molto forti¹⁶, e ricorderemo in questa sede che il generale Alberto Cavaciocchi, ritenuto dalla Commissione tra i principali responsabili dello sfondamento di Caporetto – egli era infatti il comandante della grande unità, il IV Corpo d’Armata, che copriva il settore della linea italiana dove si era prodotta la breccia degli austro-tedeschi –, in vista della pubblicazione della memoria difensiva da lui presentata alla Commissione decise di aggiungere ad essa uno specifico capitolo dedicato proprio ad analizzare i contenuti della Relazione della Commissione, almeno per quanto riguardava quelli riferiti più direttamente alla sua persona ed al IV Corpo d’Armata¹⁷. Per parte sua l’Ufficio Storico del Regio Esercito, sotto l’abile direzione del colonnello Adriano Alberti (1919-1924), cercò nello stesso periodo di far luce sui fatti dell’ottobre 1917, anche sulla scorta di recenti pubblicazioni in lingua tedesca e dei documenti che era stato possibile recuperare nel frattempo dagli archivi militari austriaci – che la Commissione d’inchiesta non aveva avuto la possibilità di visionare. L’Ufficio Storico, probabilmente nell’autunno del 1919, predispose anche a beneficio del Ministero della Guerra un documento nel quale veniva fatto il punto delle conoscenze acquisite fino a quel momento sulla vicenda¹⁸. Lo stesso colonnello Alberti, al quale si deve ricondurre la paternità di quel documento e che era un valente storico militare, preparò in prima persona uno studio intitolato L’importanza dell’azione militare italiana. Le cause di Caporetto, basato anche sull’esame di fonti archivistiche a disposizione dell’Ufficio Storico allora inaccessibili agli studiosi (come i verbali degli interrogatori degli ufficiali italiani di ritorno dai campi di prigionia), che riconduceva lo sfondamento di Caporetto a cause militari di carattere prettamente tecnico. Il volume però, completato nel corso del 1921 e pronto in bozza definitiva nel 1923, non fu mai pubblicato, preferendone rimandare l’uscita a tempi migliori così da non riaccendere discussioni su vicende, personaggi e responsabilità ancora di scottante attualità¹⁹.

    La Relazione della Commissione d’inchiesta su Caporetto costituì, di fatto, anche la prima opera a carattere storico di valutazione complessiva della partecipazione italiana alla Grande Guerra, specificatamente nel periodo in cui il generale Cadorna resse il Comando Supremo (anche il Presidente del Consiglio Nitti parlò di «inchiesta sulla guerra»)²⁰, destinata per forza di cose ad influenzare negli anni a venire il dibattito storiografico sull’argomento. Ma essa, per quanto corposa, rappresentava pur sempre solo una sintesi a cui i membri della Commissione erano pervenuti compulsando – secondo il proprio giudizio (e verosimilmente, almeno su qualche punto, anche a seguito di pressioni ricevute) – una mole enorme di materiale documentario di diversa provenienza e di diversa natura. Dietro i volumi della Relazione, chiuse negli archivi del Regio Esercito ed inaccessibili per molti anni alla consultazione, giacevano migliaia di pagine di atti che in quella pubblicazione avevano potuto trovare solo parziale valorizzazione. Lo poneva in evidenza anche l’onorevole Eugenio Chiesa, che sotto il Governo presieduto da Vittorio Emanuele Orlando era stato Commissario Generale per l’Aeronautica (e che incontreremo ancora nel corso del presente studio), il quale nella tornata alla Camera dei Deputati del 6 settembre 1919 avanzò la proposta di sospendere la discussione sulla Relazione della Commissione d’inchiesta su Caporetto e di nominare invece una vera e propria commissione parlamentare d’inchiesta che investigasse quella materia.

    Riportiamo di seguito, a mero titolo esemplificativo, alcuni passaggi del suo lungo intervento, che conteneva anche rilievi più specifici su talune questioni (funzionamento della giustizia militare, raffronto tra gli avvenimenti del maggio 1916 e quelli dell’ottobre 1917, individuazione delle responsabilità intermedie nella gerarchia del Regio Esercito, ecc…) a suo avviso trattate in modo lacunoso dall’inchiesta svolta dalla Commissione e che avrebbero meritato ben maggiore approfondimento da parte per l’appunto di una commissione parlamentare:

    Il Governo non ha misurato né ora né momento; ha creduto che non si dovesse attendere ed ha distribuito il suo volume [il riferimento è al volume secondo della Relazione della Commissione d’inchiesta], avvenga che può.

    Esso ha pensato: discutiamo ora rapidamente, e chiudiamo per sempre l’episodio di Caporetto.

    […] Osserviamo che non si può dire davvero che a due anni di distanza dagli avvenimenti vi fosse urgenza di dibattere questo argomento. La battaglia di Novara [il riferimento è alla sconfitta che decise la Prima guerra d’indipendenza, subita dal Regno di Sardegna per mano dell’Austria il 23 marzo 1849] fu discussa a qualche lustro di distanza. […].

    […] L’urgenza di tale discussione, dunque, a mio avviso, oggi non esiste. E non che si voglia mettere la pietra del silenzio o dell’oblio sul passato: tutt’altro! Si deve sapere tutto e giudicare di tutto.

    Ma anche superando tutto ciò, crede la Camera di essere, col volume che le è stato distribuito, in possesso di tutta la verità? Io nego che essa abbia gli elementi per giudicare.

    Possediamo questo volume secondo, un atlante geografico ed una cronistoria di avvenimenti a cui non hanno assistito i commissari, i quali l’hanno tratta da altre persone. E contro questa abbiamo affermazioni parecchie, e delle maggiori personalità, le quali protestano perché non furono loro contestate le più gravi accuse che ad esse sono fatte. Ora non teme la Camera, discutendo oggi senza gli elementi di giudizio, di potere essere astretta ad un voto pel quale non ha gli elementi di convinzione?

    Il presidente del Consiglio ha rifiutato, e persiste, credo, nel suo rifiuto, che si stampassero i verbali della Commissione. Gli interrogatori assunti li ha almeno posti a disposizione della Camera? Non lo credo. Non vi sono nella nostra Segreteria, al primo piano del palazzo, altro che, in due unici esemplari, un atlante e quell’unica cronistoria.

    Ed allora, onorevoli colleghi, l’inchiesta procede da elementi che non sono scaturiti dai poteri del Parlamento; è una relazione di origine amministrativa portata alla Camera unicamente nelle forme conclusive, e, ha dichiarato taluno dei commissari, non era destinata alla pubblicità.

    Questa volta, poi, se superassimo questa pregiudiziale, che non è di forma, come molte altre pregiudiziali, ma di sostanza, e volessimo, per amore di brevità, accettare il dibattito su questo terreno, non ci troveremmo in grado di poterlo fare, perché ci mancano tutti gli allegati più interessanti delle conclusioni. Dove si trovano? Come, quando potranno i deputati averne nozione?

    E quali garanzie ha la Camera che l’inchiesta sia completa? Come poteva la Commissione amministrativa accertare le responsabilità di Governo, essa, emanazione, organo di Governo?

    Il respingere l’inchiesta amministrativa come mezzo di giudizio sugli avvenimenti del 1917 non si fonda tanto sul suo modesto nome e non ha soltanto questo motivo formale, che potrebbe sembrare da parte nostra un eccesso di poteri. La relazione ha certamente pregi di valore, che nessuno vuol disconoscere: essa può, se mai, rimanere la base dell’inchiesta parlamentare; ma soltanto una inchiesta parlamentare può completarla, legittimarla, integrarla.

    […] Può la Commissione collegialmente rispondere alla Camera? Può dire se vi furono mai tergiversazioni, incertezze, reticenze in ciò e in chi la Commissione credette di consultare? La Camera non lo sa, né può saperlo dagli stampati prodotti.

    Chi ordinò l’inchiesta? L’onorevole Orlando. Può essere quel Ministero sindacato dalla sua Commissione? Evidentemente no! Ed infatti la Commissione d’inchiesta ha concluso nell’ordine politico in modo, direi, reticente, quando parla del Ministero, quando parla dei parlamentari. Evidentemente è una Commissione nella quale anche i nostri onorevoli colleghi sono diventati dei semplici funzionari.

    E chi ha presieduto, onorevoli colleghi, l’inchiesta? Il generale d’esercito Carlo Caneva. Ah! Il suo nome non è un ricordo felice per chi ha combattuto la guerra antiaustriaca. […].

    Ora la Camera vorrà dare sentenza sopra un giudizio che per la parte militare è stato affidato a questa militare direzione?

    Ed io ho chiesto: vi è chi ha influenzato mai questa inchiesta amministrativa? La mia non è parola avventata. L’onorevole Raimondo diceva nell’estate scorsa a tutti noi: se non ci fanno sentire tutti coloro che abbiamo reiteratamente invano domandato e non possiamo finire l’inchiesta ad ottobre, io mi dimetto e me ne vado! […]

    E vi è forse chi può aver detto, un certo giorno, ad alcuno della Commissione: non mi toccate quel generale, ne ho bisogno io. E le necessità della guerra potranno avere ben consigliato che non si toccasse. Ma quando noi dobbiamo essere giudici, possiamo fare delle eccezioni, delle reticenze, delle parzialità per chi che sia, fosse pure per taluno che si trova tra i più alti gradi dell’esercito?²¹.

    II. Proprio il contesto delle discussioni e delle polemiche intorno alla conclusione dei lavori della Commissione d’inchiesta su Caporetto fece da sfondo al ritorno alla pubblicistica attiva da parte di Giulio Douhet, il quale nel corso del 1919 dette alle stampe due opere riguardanti gli anni della guerra. Per la verità il suo silenzio editoriale, che durava ormai dal marzo del 1915, si era già interrotto sul finire del 1918, quando egli aveva pubblicato, come supplemento al n. 361 del 31 dicembre 1918 de «Il Popolo Romano» (uno dei quotidiani della capitale), una cronologia dei principali eventi militari e politici della Grande Guerra sui vari fronti, preceduta da alcune sue «note sintetiche» di introduzione e di commento, nelle quali, fra l’altro, si sottolineava il carattere «industriale» e di «popolo» del conflitto mondiale appena concluso²². Quanto alle opere del 1919, si trattava, in un caso, di un racconto di fantasia intitolato Come finì la grande guerra. La vittoria alata, che Douhet aveva iniziato a scrivere con tutta probabilità (dati i riferimenti interni) nella primavera del 1918 e che aveva poi portato a termine a guerra finita, e nel quale venivano propagandate in forma romanzata e divulgativa le idee sul ruolo chiave del potente velivolo da bombardamento e sulla costituzione di una grande flotta composta da questo tipo di aeroplano, che egli (come vedremo) aveva elaborato e promosso in maniera più tecnica e dottrinale negli scritti – a quel tempo ancora inediti – degli anni della Grande Guerra²³.

    Nell’altro caso, invece, si trattava del frutto dell’attività pubblicistica da lui svolta durante la campagna di stampa che aveva accompagnato la conclusione dell’attività della Commissione d’inchiesta su Caporetto tra la primavera e l’estate del 1919. Dalle pagine de «Il Dovere», il «giornale politico settimanale» fondato da Douhet nell’aprile 1919 e da lui stesso diretto ed in buona parte redatto²⁴, egli aveva seguito con costante attenzione l’approdo finale dei lavori della Commissione d’inchiesta e la pubblicazione della Relazione, delle cui risultanze si sarebbe occupato con forte piglio polemico anche durante le settimane del dibattito alla Camera dei Deputati²⁵, prendendo fra l’altro con decisione le difese del generale Cavaciocchi, di cui ospitò anche sulle pagine del suo giornale un resoconto dettagliato degli avvenimenti dell’ottobre 1917, nel quale si evidenziavano le responsabilità del generale Badoglio non messe in luce dalla Commissione²⁶.

    Douhet aveva avuto direttamente a che vedere con la Commissione d’inchiesta su Caporetto, innanzi alla quale aveva deposto nella seduta antimeridiana del 21 giugno 1918²⁷, ed il processo che lo aveva riguardato nel 1916 per l’affaire del ‘memoriale’ aveva ricevuto anche una menzione – in verità non pienamente corretta nei suoi contenuti – nel volume secondo della Relazione a proposito della questione dei rapporti tra Governo e Comando Supremo²⁸. Ora, il quadro sostanzialmente negativo della condotta cadorniana della guerra che detta Relazione dipingeva – per quanto, lo ripetiamo, con non poche sfumature e distinguo coglibili lungo le sue pagine –, offriva a Douhet il destro per affrontare in modo diretto un argomento che lo aveva personalmente toccato, ragion per cui nell’agosto del 1919, prima ancora che iniziasse alla Camera la discussione sulla Relazione, egli volle dare alla luce un volumetto di 60 pagine in piccolo formato intitolato Documenti a complemento della Relazione d’Inchiesta per Caporetto, contenente un raffronto tra quelle che erano state le conclusioni della Relazione della Commissione e quelle che erano state le colpe e gli errori del Comando Supremo guidato dal generale Cadorna da lui già additate con chiarezza fin dal 1916,

    perché il pubblico deve conoscere la verità fin nel suo fondo e giudicare severamente uomini e cose.

    Durante la guerra vi sono stati uomini che hanno accettato di governare il Paese ed hanno abusato degli illimitati poteri loro conferiti dallo stato di guerra più per ingannarlo che per governarlo.

    Questi uomini hanno tradito il loro mandato, mediante abuso di fiducia.

    Il Paese ha il diritto, oggi, di domandare loro il conto esatto delle loro azioni.

    Colle mie deboli forze io faccio e farò di tutto per raggiungere questo mio scopo. È come lo scioglimento di un voto fatto assistendo al macello inutile di fratelli italiani, macello al quale uomini che potevano e dovevano impedirlo, assisterono indifferenti facendosene prima complici, poi autori necessari²⁹.

    Al fine di documentare quanto egli avesse saputo precorrere rilievi ed osservazioni che la Commissione d’inchiesta avrebbe presentato solo a distanza di oltre due anni – e solo dopo che si era determinato il disastro di Caporetto –, Douhet, i cui strali polemici si indirizzavano però non di meno verso una pluralità di soggetti, compresi i governi italiani del periodo 1915-1917 (che avevano lasciato Cadorna al suo posto nonostante tutte le sue manchevolezze) ed una certa stampa giudicata fin troppo connivente nei confronti del generalissimo (leggasi fra le righe, in testa a tutti, il «Corriere della Sera» di Luigi Albertini), pubblicava per la prima volta alcuni suoi scritti risalenti all’estate del 1916 che «non vennero da me consegnati alla Commissione d’inchiesta quando fui interrogato perché erano contenuti in buste suggellate che non intendevo aprire prima del termine della guerra»³⁰. Si trattava dei testi di due memoriali, uno dei quali, datato 3 luglio, preparato per l’onorevole Leonida Bissolati (allora ministro), e l’altro, datato 23 agosto (ma in realtà risalente a tre giorni prima), inviato a tre ministri del Governo in carica in quel momento (uno dei quali era lo stesso Bissolati) e che altro non era se non il famoso ‘memoriale’ che era stato all’origine del processo innanzi al Tribunale Militare di Codroipo. Ma non solo, ché il volumetto conteneva anche diversi riferimenti ai rapporti in atto in quella stessa estate tra Douhet e gli ambienti della politica romana, in particolare con l’onorevole Bissolati, con il quale egli attestava di aver avuto anche uno scambio epistolare tra il luglio e l’agosto 1916, pubblicando il testo integrale di una missiva indirizzatagli da costui il 20 luglio e le righe iniziali di un’altra risalente al 4 agosto³¹. Con la pubblicazione di questi documenti Douhet intendeva dimostrare:

    1°) Che chiunque avesse osservato l’andamento della guerra, con coscienza e con carattere, avrebbe potuto, fino dai primi mesi, formarsi la convinzione che essa era mal condotta in modo da mettere l’Italia in pericolo.

    2°) Che il Governo, anche prima del maggio 1916, ma certamente dopo l’offensiva austriaca del maggio-giugno 1916, possedeva tutti gli elementi necessari a giudicare la condotta della nostra guerra, che perciò è il governo il massimo responsabile di ciò che avvenne dopo l’offensiva del 1916 fino a Caporetto, avendo lasciato alla testa dell’esercito un uomo che aveva dato già non dubbie prove di condurre il paese al disastro.

    3°) Che tutte le cause profonde che condussero a Caporetto preesistevano, apparivano ed erano note fin dal maggio 1916, e perciò fu colpa, e colpa gravissima contro il Paese, il non averle energicamente troncate dopo il classico esempio della offensiva del Trentino.

    4°) Che fra tutti i colpevoli il meno colpevole è certamente il gen.[erale] Cadorna. Questi agiva secondo la sua mentalità ed il suo carattere che mai si curò di mascherare. Maggiori colpevoli furono tutti coloro che, pur dissentendo dalle sue idee, lo coadiuvarono nell’opera infausta senza trovare nella loro coscienza la forza di reagire, furono tutti coloro che lasciarono che la sua mentalità si scatenasse senza freno e senza controllo, tutti coloro che, pur conoscendolo, tentarono ingannare l’opinione pubblica e lo innalzarono come un idolo su di un piedistallo che doveva crollare alla prima ventata³².

    I Documenti a complemento della Relazione d’Inchiesta per Caporetto contenevano diversi riferimenti al processo subito da Douhet nel 1916. Oltre al testo del ‘memoriale’ incriminato, ed alla menzione che la Relazione della Commissione d’inchiesta aveva fatto del processo, il volumetto offriva anche la pubblicazione sia di alcuni stralci delle dichiarazioni rese da Leonida Bissolati alla magistratura militare durante l’interrogatorio a cui era stato sottoposto nella fase istruttoria del processo³³, sia del passo conclusivo dell’autodifesa che Douhet aveva pronunciato il 14 ottobre 1916 nel corso dell’udienza processuale³⁴. Esso si collegava così ad un altro fronte che stava tenendo impegnato Douhet da qualche tempo, ovvero la battaglia, condotta sia in sede legale che presso il tribunale dell’opinione pubblica, per riabilitare la sua persona e la sua carriera dalla macchia della condanna inflittagli nel 1916.

    La quarta di copertina dei Documenti a complemento della Relazione d’Inchiesta per Caporetto annunciava infatti l’imminente uscita di un altro scritto intitolato L’autodifesa del col. Douhet, nel quale il testo della difesa (quella appunto pronunciata da Douhet il 14 ottobre 1916) sarebbe stato preceduto «da una dettagliata storia del processo nelle sue varie fasi, e dall’intero testo del MEMORIALE che fu inviato ai ministri onorevoli Bissolati, Sonnino e Ruffini»³⁵. La pubblicazione sarebbe avvenuta per i tipi de «L’Eloquenza», «la splendida rivista tanto largamente diffusa in Italia e fuori» diretta dall’avvocato Antonio Russo, ovvero proprio da colui che l’anno seguente avrebbe patrocinato il ricorso di Douhet innanzi al Tribunale Supremo di Guerra e Marina. Uscito a stretto giro di posta (la data di copertina indica il 31 agosto 1919) sottoforma di estratto del fascicolo 5-6 de «L’Eloquenza», il nuovo volumetto si intitolò Autodifesa del Colonnello di S. M. Giulio Douhet al Tribunale di Guerra di Codroipo il 16 Ottobre 1916. Nelle 31 pagine che lo compongono un autore che si firma con le iniziali «a. r.» (evidentemente l’avvocato Russo), dopo aver riproposto nuovamente il testo del ‘memoriale’ incriminato, ed aver fornito una serie di ragguagli su alcuni degli aspetti giuridici del processo istruito a carico di Douhet – annunciando fra l’altro l’intenzione di pubblicare, «appena lo permetteranno gli eventi», anche la «brillante arringa» dell’avvocato difensore di Douhet, l’onorevole Orazio Raimondo (uno dei membri, come si è visto, della Commissione d’inchiesta su Caporetto) –, dava alle stampe l’annunciato testo integrale dell’autodifesa³⁶.

    Non ci soffermeremo qui sui contenuti di questa pubblicazione, ai quali avremo modo di riferirci nel capitolo del presente studio che si occupa specificatamente del processo per l’affaire del ‘memoriale’, limitandoci invece ad alcune considerazioni sul suo valore documentale.

    Innanzi tutto, non esiste tra gli atti processuali relativi al caso Douhet alcun documento che riporti il testo di questa autodifesa pronunciata oralmente da Douhet (o che ad essa faccia riferimento), e del resto nessun verbale venne redatto dell’udienza in cui essa sarebbe stata pronunciata, ragion per cui ne conosciamo l’esistenza ed i contenuti solo ed esclusivamente per via di questo volumetto. Pur non mettendo in discussione che Douhet pronunciò effettivamente un’autodifesa durante l’udienza – ben difficilmente l’avrebbe potuta inventare di sana pianta con il rischio di essere clamorosamente smentito, e del resto all’imputato ed al suo difensore spettava l’ultima parola prima che il collegio giudicante si ritirasse per deliberare –, l’assenza di documenti archivistici originali su cui riscontrarla ci induce a dubitare che i suoi contenuti siano stati esattamenti quelli riportati nella pubblicazione: non soltanto l’autodifesa, verosimilmente pronunciata in fase di chiusura dell’udienza, appare eccessivamente prolissa – il Tribunale Militare di Codroipo aveva già agli atti da alcune settimane una corposa memoria difensiva presentata da Douhet all’indomani dell’arresto avvenuto il 16 settembre 1916, questa sì conservata nell’incartamento processuale –, ma essa conteneva anche (come mostreremo a suo tempo) delle contraddizioni rispetto alle dichiarazioni rese da Douhet durante il secondo interrogatorio a cui era stato sottoposto nel corso dell’istruttoria, e riferiva inoltre di alcuni particolari relativi alle vicende della Strafexpedition austriaca del 1916 da lui mai menzionati durante le varie fasi del processo, ma che si leggono invece nel verbale della sua deposizione innanzi alla Commissione d’inchiesta su Caporetto³⁷.

    Il nostro sospetto è che Douhet, anche nell’ottica di rendere i contenuti dell’autodifesa i più coerenti possibile con l’immagine che nel Dopoguerra egli intendeva proporre di sé, della sua vicenda processuale e del suo ruolo di fustigatore del Comando Supremo cadorniano, abbia potuto non solo opportunamente ritoccare a posteriori quesi contenuti, ma anche integrarli con passaggi mai pronunciati³⁸. La cautela è d’obbligo anche alla luce delle differenze – talvolta significative – che abbiamo potuto riscontrare in generale tra gli scritti pubblicati da Douhet ed i loro originali d’archivio ancora conservati, e delle quali daremo conto in corso d’opera. Fra l’altro, come il lettore avrà probabilmente notato, il volumetto dell’Autodifesa contiene anche un vistoso errore, dato che indica il 16 ottobre 1916, e non il 14, come data dell’udienza in cui l’autodifesa fu pronunciata: cosa impossibile, visto che la sentenza di condanna fu emessa il 15 ottobre.

    In secondo luogo, a differenza di quanto pubblicizzato nella quarta di copertina dei Documenti a complemento della Relazione d’Inchiesta per Caporetto, il testo dell’avvocato Russo, pur dando diverse informazioni sul processo, non offriva in realtà quella dettagliata storia nelle sue varie fasi che era stata annunciata. A questo riguardo andrà osservato inoltre che, esattamente come nei Documenti a complemento della Relazione d’Inchiesta per Caporetto, anche nell’Autodifesa ciò che ci viene dato di conoscere è solo ed esclusivamente il processo visto e considerato dal punto di vista di Douhet, presentato come una sorta di profeta disarmato ed innocente vittima sacrificale del Comando Supremo di Cadorna – quasi novello Giordano Bruno di fronte al tribunale dell’Inquisizione romana del XVI secolo –, con un uso alquanto tendenzioso della stessa documentazione processuale: nei Documenti a complemento della Relazione d’Inchiesta per Caporetto si citano delle dichiarazioni di Leonida Bissolati estrapolate dal verbale del suo interrogatorio, ma nulla però ci viene detto delle dichiarazioni che lo stesso Douhet rese alla magistratura militare durante i due interrogatori a cui fu sottoposto, dei rilievi che gli vennero fatti dai magistrati e della lunga memoria difensiva di cui si è fatta menzione.

    Poco più di un anno dopo, nel novembre del 1920, dopo aver ottenuto la revisione del processo da parte del Tribunale Supremo di Guerra e Marina, l’avvocato Antonio Russo volle pubblicare, certamente con il consenso di Douhet – la tipografia utilizzata era la stessa a cui si appoggiava anche «Il Dovere» e presso la quale Douhet aveva stampato i Documenti a complemento della Relazione d’Inchiesta per Caporetto – il testo integrale della deliberazione adottata dal Tribunale Supremo e della memoria da lui presentata per il ricorso avverso alla sentenza emessa nel 1916³⁹. Il volumetto, composto di 70 pagine, forniva inoltre una sorta di sintesi dei due precedenti usciti nel 1919, riproponendo i testi dei memoriali di Douhet a Bissolati e la già nota corrispondenza intercorsa tra di loro nell’estate del 1916. Veniva fornito qualche particolare in più sullo smarrimento del ‘memoriale’ incriminato e sul suo rinvenimento, ma non cambiava sostanzialmente né il quadro né la prospettiva interpretativa delle due pubblicazioni del 1919. Significativa invece, sul piano documentale, la novità costituita dalla presentazione di ampi stralci della deposizione resa da Douhet alla Commissione d’inchiesta su Caporetto nel 1918, anche se di essa non veniva fornita la data esatta⁴⁰. All’affaire del ‘memoriale’ rinviava anche un’altra delle opere letterarie di Douhet, il racconto L’onorevole che non poté più mentire, uscito nel 1921 presso l’abituale tipografia «La Rapida» di Roma.

    Ma certamente la più corposa e discussa fra tutte le pubblicazioni douhettiane dedicate ai temi della Grande Guerra, anche perché apparsa presso un editore di spessore nazionale e quindi caratterizzata da una maggiore diffusione, fu quella data alle stampe in due volumi tra il 1921 ed il 1922 dalla casa editrice Paravia di Torino sotto il titolo di Diario critico di guerra. Il nucleo centrale dell’opera, peraltro già in parte anticipato con alcuni articoli sulle pagine de «Il Dovere», era costituito dalle ricche annotazioni registrate da Douhet nei suoi taccuini personali fra il maggio del 1915 ed i primi di settembre del 1916 (chiusi al tempo in 26 buste sigillate), integrate con i testi di alcune lettere (inviate o ricevute) e di vari documenti, e con l’aggiunta di informazioni sulle sue vicende dopo l’arresto (alla soglia del quale si interrompe il Diario) e nell’immediato Dopoguerra, ed una Appendice finale contenente delle valutazioni riassuntive sul modo in cui le operazioni militari erano state condotte sotto la guida del generale Cadorna. Accanto ai principali promemoria e memoriali douhettiani di quel periodo, il Diario critico di guerra non mancava di riproporre anche il materiale documentario relativo ai rapporti di Douhet con Leonida Bissolati e gli ambienti della politica romana nell’estate del 1916 già presentati nelle pubblicazioni del 1919, compreso ovviamente il testo del ‘memoriale’ che era stato all’origine del processo di Codroipo⁴¹.

    Il Diario critico di guerra suscitò al suo apparire non poche critiche per gli attacchi polemici rivolti in esso non soltanto alla condotta cadorniana della guerra, ma pressoché all’intera classe dirigente politica e militare italiana del periodo 1914-1916⁴², tuttavia esso costituì anche l’ultima pubblicazione di rilievo dedicata da Douhet alle questioni politico-militari della Grande Guerra, se si eccettua un volumetto di una settantina di pagine, sempre di stampo «critico», da lui pubblicato nel 1925 e rimasto di limitata circolazione⁴³. Le sue energie intellettuali, e la sua attività pubblicistica, si stavano ormai già riversando nella battaglia per la propaganda delle idee aviatorie da lui propugnate negli anni della guerra e per il riconoscimento della cruciale importanza del «dominio dell’aria», alla quale si collegava quella per ottenere la creazione in Italia di una aviazione militare connotata come forza armata indipendente accanto ad Esercito e Marina. Non a caso nel 1921 Douhet aveva pubblicato il libro destinato a renderlo famoso in tutto il mondo, Il Dominio dell’Aria, il cui impianto concettuale derivava proprio dalla elaborazione di idee concepite durante il conflitto mondiale e dalla riflessione su ammaestramenti a suo avviso desumibili da esso.

    Impegnato sulla scena pubblica dei primi anni del Dopoguerra, Douhet, pur non rientrando mai in servizio attivo (nel 1923, mentre era collocato in aspettativa, fu infine promosso generale di divisione), si inserì in prima persona nelle vicende connesse alla smobilitazione dell’Esercito del tempo di guerra ed al nuovo assetto da dare ad esso alla luce dell’esperienza e degli insegnamenti del conflitto mondiale. Tra il 1919 ed il 1921 le colonne de «Il Dovere» costituirono per Douhet la tribuna privilegiata dalla quale portare avanti le proprie battaglie su vari fronti: dalla denuncia della errata condotta della guerra sotto il generale Cadorna, alla difesa dell’onore e dei sacrifici dei combattenti italiani – tanto dei reduci, molto spesso delusi dal trattamento loro riservato dal Paese, quanto dei caduti (il 24 agosto 1920 Douhet lanciò dalle pagine de «Il Dovere» la proposta per la realizzazione di un monumento che onorasse i sacrifici e gli eroismi di tutti i combattenti italiani della Grande Guerra nella salma di un ignoto soldato caduto sui campi di battaglia del Fronte Italiano, avviando quel processo che avrebbe portato il 4 novembre del 1921 alla consacrazione, a Roma, della tomba del Milite Ignoto all’Altare della Patria)⁴⁴ –, fino a quella per l’affermazione delle sue idee sul dominio dell’aria e sulla necessità di dar vita ad una forza aerea indipendente⁴⁵.

    Negli anni Venti Douhet si dette molto da fare, sia nell’impegno pubblico che nell’attività di scrittura, conseguendo una certa notorietà e fama anche al di fuori dell’Italia, ma gli apprezzamenti non furono probabilmente all’altezza delle sue aspettative. Come ha opportunamente osservato Giorgio Rochat, «contro di lui giocarono le inimicizie che il suo carattere insofferente e il suo ingegno profetico gli avevano attirato. Visse quindi sempre ai margini della vita ufficiale, ora riconosciuto ora messo in disparte»⁴⁶, con la conseguenza che in definitiva, ancora alla fine di quel decennio, la sua immagine continuava ad essere quella di un personaggio controverso.

    Quando la morte lo colse improvvisamente il 14 febbraio 1930 nella sua tenuta della Cecchina ad Albano Laziale (vicino Roma), Douhet lasciò un archivio personale ed una biblioteca la cui effettiva consistenza non è mai stato possibile stabilire con certezza. A parte quella dei libri, è stata soprattutto la sorte delle sue carte personali a sollevare nel tempo i maggiori quesiti, tenuto conto che il generale era stato in vita uno scrittore particolarmente attivo – peraltro non solo in ambito militare, visto il suo cimentarsi anche con la narrativa ed il teatro –, che inevitabilmente non aveva potuto dare alle stampe ogni frutto della sua penna o della sua macchina da scrivere. Certamente, era facile immaginarlo, vi dovevano essere nel suo archivio manoscritti e dattiloscritti di varia natura, argomento e periodo di redazione, che attendevano ancora di vedere la luce della pubblicazione, ed accanto ai quali dovevano trovarsi anche gli originali o le minute dei documenti (promemoria, memoriali, lettere, ecc…) generati, soprattutto nell’epoca della Grande Guerra, dalle sue vicende di militare e di uomo pubblico. Negli anni si sono diffuse diverse voci ed ipotesi sul destino dell’archivio personale di Douhet, tendenti a ritenere che esso sia andato in larga parte disperso in modo accidentale oppure in esecuzione di disposizioni più o meno precise della vedova o forse dello stesso Douhet. Si tratta però di supposizioni che non hanno mai avuto prove certe a supporto⁴⁷ e che si sono alimentate in fin dei conti su di un unico elemento acclarato e di oggettiva verifica: ovvero che Gina Casalis, la moglie di Douhet, in un periodo non meglio noto antecedente alla Seconda guerra mondiale, provvide a donare al Museo del Risorgimento Nazionale di Milano una parte dell’archivio personale del marito, la quale, sulla scorta di quanto se ne conserva ancora oggi, si è sempre ritenuto essere stata piuttosto modesta.

    In realtà, le ricerche più accurate svolte presso l’archivio del Museo del Risorgimento di Milano ci hanno consentito di ricostruire una storia ben diversa e più documentata rispetto a quella alquanto fumosa alla quale abbiamo accennato. Come mostreremo in seguito con ampio dettaglio, la parte dell’archivio personale di Douhet trasferita nel capoluogo lombardo, più precisamente in fasi successive tra il 1931 ed il 1942, fu tutt’altro che modesta⁴⁸. In tale scelta milanese potrebbero aver influito anche i legami dei coniugi Douhet con quella città – essa era stata l’ultima sede di servizio di Douhet prima dell’entrata in guerra dell’Italia –, ma crediamo che essa sia stata prevalentemente determinata (forse per volontà dello stesso Douhet) da ciò che di molto importante e significativo il Museo del Risorgimento di Milano rappresentava già a quel tempo per la conservazione della memoria storica della Grande Guerra.

    III. Nel 1920, circa due mesi dopo che Douhet aveva avanzato la sua proposta di dedicare un monumento al Milite Ignoto, sul numero di ottobre di «Critica Sociale», la rivista di cultura politica, storica e letteraria fondata nel 1891 dal socialista Filippo Turati, era apparso un articolo intitolato Per i musei del dolore. L’anonimo autore, che si firmava semplicemente «Reduce», perorava la creazione in tutti i paesi di «musei della sofferenza» da contrapporre «all’idealizzazione della guerra in ogni forma». Tali musei, tramite materiale fotografico, statistiche, grafici illustrativi, artefatti riproducenti con vividi colori le più orribili ferite e mutilazioni, avrebbero documentato le sofferenze del conflitto appena concluso e gli effetti devastanti prodotti da ogni guerra sul corpo e sulla psiche dell’uomo, sulla natura e sulle cose, educando così tutti gli uomini «ad odiare la guerra».

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