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Che succede a Fort Defiance?
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Che succede a Fort Defiance?

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About this ebook

Arizona, tardo Ottocento. Fort Defiance è una vamposto isolato, ai margini della Riserva Navajo, dove vive un centinaio di persone e non succede mai niente. Quando viene ucciso l'agente indiano T.J.Milton, la piccola comunità ne è sconvolta.

Il comandante del forte, per evitare che la quiete nel paese sia compromessa da un'inchiesta governativa, decide di investigare in forma privata, affidando le indagini al sottotenente Thornton e allo scout Hastíin. Tra imbrogli, superstizioni, diffidenze,gelosie, Thornton e Hastíin scoprono che il forte è molto meno tranquillo di quanto si creda. Eppure sembra proprio che non riescano a sopportarsi e tantomeno a scoprire chi ha ucciso Milton…
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateMar 13, 2019
ISBN9788831609647
Che succede a Fort Defiance?

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    Che succede a Fort Defiance? - Giuliana Guerri

    Diné

    Fort Defiance

    Dintorni

    Personaggi

    0. Prologo

    Pittsburgh, seconda metà del XIX secolo

    Sua madre avrebbe dovuto tacere. Per forza.

    Niente da fare, Molly non le perdonava di averla costretta a partire. Dentro la città si sentiva in gabbia. Il cielo era piccolo, i muri soffocanti, la zia severa e noiosa; gli alberi immobili sotto l’aria pesante graffiavano la casa. E lei si nutriva da mesi di rabbia e di rimpianti.

    Trovava conforto solo nelle lettere che arrivavano da Fort Defiance; ma l’ultima, quella di Cole Thornton, era una bastonata.

    Fort Defiance, 2 aprile

    Cara Molly,

    oggi vorrei evitare di prendere la penna e scriverti, ma ho promesso di raccontarti sempre tutto e dirti la verità qualunque essa sia. Non posso nascondere quello che è successo, anche se capisco di procurarti un grande dolore, perché credo che tu abbia il diritto di sapere più di chiunque altro.

    E’ successa una disgrazia. Kate è scomparsa da casa tre notti fa. Sullivan e i cowboy l'hanno cercata per un giorno intero, poi hanno chiesto aiuto al forte; tuo padre è partito al comando di una squadra di soldati. Hanno trovato il cavallo di Kate sulla riva del fiume; lì intorno non c’era alcun segno di lotta. Dalle tracce si è capito che Kate è scesa di sella e si è avvicinata alla sponda, di sua volontà. E’ stata ritrovata ieri, molte miglia più a valle della fattoria.

    Suo padre è rinchiuso in casa a bere e non vuole vedere nessuno.

    Non sappiamo cosa sia successo, né per quale motivo Kate abbia commesso questo gesto disperato.

    So che per te è una sofferenza terribile, ma confido nel tuo coraggio. Sei una ragazza forte e il tuo animo nobile reggerà a questo colpo, ne sono sicuro. Ti sono vicino.

    Molly s’affacciò alla finestra per cercare un po’ d’aria. Soffocava. Coraggio, scriveva Cole. Ma quale coraggio? Lei e Kate erano più che amiche. Avevano la stessa età, uniche ragazze in un posto isolato e senza svaghi. Erano cresciute insieme, come sorelle. Si confidavano tutto, ridendo e piangendo, raccontando gioie e dispiaceri a bassa voce, sotto una coperta, per non farsi sentire da Sullivan. Lei sola conosceva il dolore di Kate. Quando era giunta la sua lettera, l’aveva scongiurata di non fare pazzie, ma era già tardi. A volte la corrispondenza arrivava dopo un mese: troppe miglia tra l’Arizona e la Pennsylvania.

    Frugò nei cassetti alla ricerca del medaglione che ritraeva Kate con i capelli raccolti e gli occhi schivi. Non l’avrebbe più rivista. Si gettò singhiozzando sul letto.

    Non era possibile, era una follia, la sua amica non doveva morire, non in quel modo e mentre lei si trovava lontano. Kate era delicata, non poteva reggere da sola, aveva sempre bisogno di appoggio e conferme; aveva chiesto aiuto e lei non glielo aveva dato. Non quello giusto. L’aveva assecondata nel silenzio. Che errore! Avrebbe dovuto dire la verità, gridarla al mondo intero. Troppo tardi, ora non serviva più a niente. Kate era morta.

    Quel vuoto era uno strazio. E dentro la città l’aria mancava, sua zia l’asfissiava di regole, lei moriva pian piano di nostalgia e di rimorso. Aveva bisogno di vento, del cielo grande d’Arizona, della tenacia di quella terra. Basta! Non lo sopportava più. Doveva liberarsi del peso che la schiacciava, dire tutto. Kate meritava di avere giustizia.

    Molly guardò l’orologio sul camino. Poteva farcela. Di colpo smise di piangere e saltò dal letto per scrivere un biglietto per la zia, lasciandolo in vista sulla scrivania; poi ficcò un po’ di cose in una borsa di stoffa, prese le lettere e tutto il denaro che possedeva. Dopo un ultimo sguardo all’orologio, buttò la sacca dalla finestra e scavalcò il davanzale, aggrappandosi a un ramo e lasciandosi scivolare fino a terra. Raccolta la borsa, si allontanò in fretta lungo il viale.

    Prima che la zia scoprisse la sua mancanza e leggesse il biglietto, il treno sarebbe già partito. Molly non aveva paura di viaggiare da sola e sapeva la strada: in ferrovia fino a Denver, poi una diligenza, la prima carovana di merci verso l’ovest, e alla fine Fort Defiance. Vedere il cielo, respirare.

    Guglie rosse e sabbia chiara e profumo di resina. Gli alberi aperti, il fiume scuro. Visi colorati.

    E lui.

    Sua madre si sarebbe messa il cuore in pace. Doveva convincersi, con le buone o con le cattive.

    1. Nel locale di Barrett

    Fort Defiance, 21 aprile – sera

    — Hai una fortuna sfacciata, Cole Thornton: sarai di stanza a Fort Defiance, in territorio indiano, il posto giusto per far carriera.

    Al termine dell’Accademia sapevo solo che l’Arizona era lontana e del forte non avevo mai sentito parlare. Non potevo lamentarmi della mia destinazione, eppure quel commento mi era sembrato inopportuno.

    Soltanto dopo aver lasciato Fort Wingate, quando mi ritrovai sulla pista assolata e indistinta che si dirigeva a nord-ovest e non finiva mai, mi resi conto di essere stato buttato in mezzo al nulla.

    Fort Defiance era un distaccamento al margine della Riserva Navajo, in un valle rovente d’estate e gelida d’inverno. Fra bianchi e indiani, contava un centinaio scarso di anime. Sembrava una via di mezzo tra un avamposto militare e un paese civile: tra erba e fieno, diceva la gente. Per raggiungerlo bisognava sapere che c’era; e chi si perdeva lasciava in vista soltanto le ossa, finché il vento le ricopriva di sabbia.

    I contatti con il mondo erano i mercanti, che insieme ai rifornimenti portavano riviste, cataloghi e notizie dai dintorni. Arrivavano ogni due mesi, quando il tempo lo permetteva. Di tanto in tanto spuntava un rappresentante di commercio, spedito laggiù per farsi i calli, o qualche cacciatore di ritorno dai Monti Chuska; il prete, sempre diverso, si faceva vedere di rado. Una volta un giornalista aveva sbagliato strada tra le alture e s’era trovato al forte.

    I soldati battevano la fiacca, i civili passavano il tempo a spettegolare. Tutti sognavano di vivere nelle grandi città dell’est, ma la maggior parte di loro non aveva mai varcato i confini del paese. Dopo un anno di servizio, ero rassegnato all’abitudine.

    Sbagliavo. In venti giorni cambiò ogni cosa.

    La sera che dette origine a tutto sedevo a un tavolo insieme al tenente Price e al dottor Rogers, con un mazzo di carte pronto sul tavolo. Stavamo aspettando Milton, l’agente indiano della Riserva; dall’altra parte del locale due soldati parlottavano tra loro. Ormai non sarebbe arrivato più nessuno. Avrei potuto contare sulle dita i clienti del posto: qualche militare di giorno, il tavolo da gioco dopo cena, i cowboy di Sullivan il sabato, i mercanti dei rifornimenti ogni due mesi. Fine della lista.

    Il locale odorava di whisky e tortillas. Barrett, il barista, puliva il bancone, controllando di tanto in tanto la compagna Juana, che preparava le birre e diventava sempre più rotonda e più bella. La messicana passò sbuffando davanti a lui, impacciata dalla sua mole, portando le bibite al tavolo. Puntate le mani alle reni, si stirò con un sospiro.

    ― Hai ancora dolore alla schiena? ― s’informò il dottor Rogers gesticolando.

    Dopo di me era l’ufficiale più giovane di Fort Defiance. Portava la giacca bianca da medico, mai cambiata con quella regolare della cavalleria, spiegazzata e deformata. Aveva le spalle ricurve per l’abitudine di spingere nelle tasche le mani sottili e sensibili.

    ― Non sempre ― rispose Juana.

    ― Dovresti lavorare di meno.

    Lei sbarrò gli occhi. ― Scherzi? Ho bisogno di lavorare.

    ― Fai più fatica, con quel fardello che ti porti addosso ― cominciò il tenente Price. ― Secondo me, sono almeno tre gemelli.

    Santa Vírgen del Pilar!

    ― Non dare retta al tenente, Juana, sta scherzando come al solito. ― Rogers batté una mano sulla spalla di Price. ― Passa da me, domattina, ti preparerò un balsamo.

    Juana ringraziò e tornò verso il banco. Si fermò, prese Barrett per un braccio e accennò con la testa alla porta.

    Sudato e impolverato, Will Sullivan avanzava verso il bancone.

    Non l’avevano più visto in paese dalla morte della figlia Kate. Triste, indebolito, sembrava un rottame, solo un avanzo dell’uomo cordiale che aveva scherzato e bevuto con i suoi uomini. Quando sollevò il cappello con un pollice come d’abitudine, scoprì una fezza bianca tra i capelli che prima non aveva.

    Si fermò davanti a Barrett e appoggiò i gomiti sul banco. Non ebbe bisogno di ordinare. Il barista gli appoggiò davanti la bottiglia di whisky e un bicchiere.

    Sullivan sedette al tavolo in un angolo, riempì il bicchiere e lo vuotò. Continuò in quel modo senza curarsi d’altro che non fosse la bottiglia.

    Nessuno parlava. Io evitavo di spostare gli occhi dalla parte di Sullivan, Price tamburellava le dita sul tavolo, Rogers rigirava le carte. I due soldati si alzarono per andarsene.

    ― Mentre aspettiamo Milton lasciamo crescere i funghi oppure facciamo un paio di mani? ― Robert Price sorrise.

    Le sopracciglia inclinate verso il basso e la rosa di capelli al centro della fronte gli davano un’espressione di stupore continuo. Aveva trentanove anni, ma sembrava un giovanotto anche nel modo di fare; curava poco la divisa e preferiva il berretto al cappello.

    Tutti accettammo in fretta. Rogers mescolò il mazzo da professionista e lo fece tagliare; accarezzando le carte con le dita affusolate, vinse la mano con una doppia coppia.

    ― Sempre fortunato, il nostro dottore ― commentò il tenente.

    ― La sola fortuna di cui ci si possa vantare è quella in amore ― replicai, e me ne pentii subito. Dovevo stare più attento.

    Rispondendo, il dottor Rogers scosse le spalle con indifferenza. ― La forza del mondo non è l’amore, è il desiderio.

    Evitai di approfondire quell’argomento: non trovavo alcuna forza nell’amare una ragazza e non riuscire a dimostrarlo.

    Avevo chiesto io di essere destinato all’ovest, al termine dell’Accademia, per non pensare più a Elizabeth; ma la cura sembrava peggiore del male. Dalla partenza di Molly il mio unico passatempo erano le partite a carte nel locale di Barrett, dove Robert Price mi trascinava dopo cena. A parte il tenente, non avevo amicizie. Del resto, sapevo di non ispirare confidenza: troppa malinconia nel viso allungato e serio.

    Figlio unico, ero cresciuto nell’austerità di una famiglia presbiteriana. Rigidi, severi, i miei genitori non dimostravano alcun tipo di affetto: nessuna carezza, nessun abbraccio, neppure tra loro. Non li avevo mai visti sorridere, scambiarsi un complimento o un gesto affettuoso; tutto era oggetto di valutazioni morali rigorosissime e poteva diventare un abominio o un prodotto del demonio. Da quando avevo cominciato l’Accademia, mi avevano inviato solo una lettera molto formale, per comunicare la morte del nonno paterno.

    Un dispiacere duro da sopportare, perché nonno Sean era stato l’unico a dimostrarmi un po’ di attenzione. Ex colonnello di cavalleria, ironico e diretto, si scontrava spesso con i miei genitori oppure faceva di nascosto un gesto d’intesa quando esageravano. Li considerava dei bigotti privi di buon senso, ma con me si raddolciva; per merito suo ero riuscito a fare gli studi superiori e la carriera militare.

    Morto lui, restavano solo le mie inibizioni, macigni degli anni passati tra i divieti della famiglia. Nell’esercito però avevo trovato una rifugio: la rigidità, lo schematismo, l’uniformità nell’affrontare gli eventi mi permettevano di nascondermi dagli altri.

    Ero lento, razionale, intransigente con me stesso, e sapevo di sembrare scostante. Eppure Robert Price mi trattava da amico.

    Price mi distrasse cambiando discorso. ― Sta arrivando Milton.

    ― Capita a proposito ― finì il dottor Rogers.

    T.J. Milton, sbarbato e profumato come appena uscito dalla bottega del barbiere, in completo chiaro, tolse il cappello appena entrato; non aveva addosso un granello di polvere. Agente indiano per la Riserva Navajo, girava con il calesse e i suoi stivali erano i più lucidi della contea. A Fort Defiance tutti ricordavamo il suo arrivo, una mattina spenta di ottobre, quando era sceso dal carro traboccante di bagagli.

    Milton portava con sé quattro bauli di vestiario, che i soldati avevano dovuto trascinare sulla terra battuta del campo. Tanti vestiti in un posto dove gli uomini ne tenevano al massimo tre, uno dei quali per i giorni di festa! La gente avrebbe avuto di che spettegolare per un pezzo. Ma a impressionare i nativi era stata una struttura di legno alta e pesante, tenuta d’occhio con attenzione dal proprietario, simile a una forca.

    Radunati di fronte all’Agenzia Indiana, i Navajo erano rimasti in silenzio, con gli occhi fissi sull’intelaiatura di legno, scappando poi da tutte le parti all’avvicinarsi degli uomini che la portavano. Secondo me, molta dell’incomprensione tra Milton e gli indiani nasceva da quell’arnese, che i nativi avevano creduto un marchingegno per fare stregonerie e avevano chiamato bastoni incrociati di magia. Il capitano Caldwell era intervenuto, spiegando che il cavalletto serviva soltanto a tenere dei quadri. Dopo la precisazione, i Navajo avevano battezzato il trespolo bastoni incrociati che reggono le pitture di magia e Caldwell si era rassegnato.

    Per quella gente Milton era rimasto uno spirito maligno, con il nome indelebile Bastoni Di Magia.

    Io sospettavo che gli indiani sarebbero riusciti a perdonargli di interessarsi poco di loro, ma l’avrebbero sempre accusato di essersi portato dietro una diavoleria come il cavalletto.

    Milton salutò a voce alta e si fermò davanti al tavolo di Sullivan.

    ― Will, non so dirti quanto mi dispiace per…

    L’allevatore l’interruppe. ― Vattene! ― gridò.

    Riabbassò la testa. Con mani tremanti riempì un altro bicchiere e lo scolò in un sorso.

    Milton non si scompose. ― Certo, capisco.

    Si voltò. Passando davanti al banco, sorrise a Juana. Lei si girò di scatto; armeggiò con i bicchieri prima di prendere un altro boccale e passarlo a Barrett.

    Lo siento. Por favor, ho male alla schiena.

    L’uomo prese il boccale e andò a riempirlo. Accanto a lui, alto più di due iarde e pesante duecento libbre, Juana sembrava quasi uno scherzo: gli arrivava alla spalla, era esile e con mani piccole, all’apparenza deboli, quasi potessero stringere solo un ago. Eppure in quelle mani possedeva più forza del compagno; da mezzosangue india avrebbe potuto vendere energia a sacchi. Per me quella del mal di schiena era una scusa: per qualche motivo noto solo a lei, Juana vedeva Milton come il fumo negli occhi e lo evitava.

    Arrivato al nostro tavolo, l’agente indiano si voltò verso Sullivan, poi allargò le braccia in segno di sconforto. Price scosse la testa e Rogers segnalò di non insistere.

    ― Noi abbiamo già cominciato, T.J. ― iniziò poi in tono leggero.

    Milton sedette. ― Avete fatto bene.

    Il gioco riprese. Facemmo qualche mano scambiandoci solo le frasi necessarie per il gioco; le birre finirono e Barrett portò altri boccali.

    Davanti alla bottiglia vuota, Sullivan borbottò qualcosa e se ne andò barcollando.

    Barrett scosse la testa. ― E’ ridotto male ― cominciò poi, pulendosi le mani sul grembiule.

    ― Dopo la morte della figlia non è più lo stesso ― commentò il medico.

    ― Lo capisco ― ammise Price; ― starei peggio di lui se succedesse qualcosa alla mia Molly.

    Io stavo mescolando il mazzo; quella frase mi fece sollevare la testa così di scatto, che le carte schizzarono da tutte le parti. Mi scusai in fretta, sperando che gli altri non avessero capito.

    ― E’ la prima sera che lo vedo, dopo la disgrazia ― disse Barrett. ― Tu lo conosci meglio di tutti, T.J; sai qualcosa di più?

    ― Si è chiuso dentro casa per giorni interi senza vedere nessuno ― rispose Milton osservando le carte. ― Non so altro.

    ― Oggi è venuto a trovare mia moglie ― raccontò Price. ― Constance ha cercato di calmarlo ma lui ha preteso di leggere le lettere di Molly. Sosteneva che Kate non si è suicidata, che qualcuno l’ha assassinata e che mia figlia ne conosce il motivo. Constance lo ha convinto a fermarsi, gli ha offerto il tè; ha cercato di consolarlo parlandogli a lungo, ma non c’è stato niente da fare. E’ quasi impazzito.

    ― Sta interrogando tutti ― il dottor Rogers sospirò. ― Ieri è venuto anche da me. Ripeteva che deve scovare

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