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Gli angeli sono radioattivi
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Gli angeli sono radioattivi

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Lo vedevi lì, dietro il banco, con quella faccia così, come se gli fosse morto il gatto, ma poi se guardavi meglio vedevi che il gatto non gli era morto, era solo scappato, e lui l'aveva cercato e l'aveva trovato, mezzo morto, il gatto, senza un occhio, mezzo morto ma ancora vivo e miagolante e riconoscente.
LanguageItaliano
PublisherAntonio Koch
Release dateMar 13, 2019
ISBN9788832538748
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    Gli angeli sono radioattivi - Antonio Koch

    buca

    1. Sean Connery

    a mia madre, Anna Bianconi

    e a mia madre, Maria Antonietta Trombetta

    Il velo era caduto, ma dietro il velo c'era un altro velo.

    Philip Roth

    (uno specchio s'aggira per l'europa)

    Sua madre non era sua madre. Era innamorata di Sean Connery. La sera si riunivano a guardare i vecchi film di 007. Tutti loro, la famiglia. Suo padre fumava tre sigarette, una a metà del primo tempo, una a metà del secondo tempo e una alla fine del film. Poi andava nel cucinotto a vuotare il portacenere. Sua madre non era sua madre. L'appartamento era a forma di croce. Suo fratello stava disteso sul divano con le gambe in su, i polpacci sul bracciolo. Muoveva i piedi durante il film. Faceva scrocchiare le caviglie. Dava fastidio. Suo padre stava seduto sull'altro divano. Avevano due divani. Erano ricchi.

    Non erano così ricchi da avere un pianoforte, ma lo erano abbastanza per avere due divani. Non era un divano grande, a L, erano proprio due divani, uno da tre posti e uno da due. Suo fratello stava disteso sul divano piccolo, i piedi che uscivano fuori. Suo padre sedeva sul divano grande, sul lato destro, e fumava tre sigarette durante il film. Il fumo dolce riempiva la stanza. Il salotto era grande ma non così grande da contenere un pianoforte. L'appartamento era a forma di croce. Sua madre non era sua madre e sedeva sullo stesso divano di suo padre, dall'altro lato. Non fumava. Era innamorata di Sean Connery. Aveva perfino comprato una coperta con disegni anni 70 uguali alla sigla dei vecchi film di 007.

    Lui stava sdraiato sul tappeto, sotto il tavolino di vetro. Il tappeto era bianco e folto e gli piaceva stare sdraiato lì. Gli piaceva stare sotto il tavolino di vetro e guardare gli oggetti che c'erano sopra da sotto. Una rivista, la scatola con dentro gli accendini, una candela, gli occhiali di suo padre o la custodia vuota degli occhiali, il pacchetto di sigarette. Gli piaceva anche buttare fuori il braccio da sotto il tavolino e posare la mano sul vetro, sopra, e guardarsi il palmo della mano schiacciato sul vetro. Il vetro rifletteva le luci della tv e gliele ributtava in faccia.

    Una sera o una notte il padre fece un buco nella coperta coi disegni anni 70 con la brace di una sigaretta. L'hai fatto apposta, disse la madre. Non era sua madre, ma era pur sempre sua madre. Il padre disse di no, non l'aveva fatto apposta, stava fumando a letto e si stava addormentando e gli era caduta la sigaretta. Va bene, disse la madre, da oggi in poi non si fuma più a letto, è pericoloso.

    La sera si riunivano a guardare i film che davano alla tv. Al lunedì sera c'era il Lunedìfilm, con la sigla cantata da Lucio Dalla. Dabidibudà, dibudibu bidibibà. Una sera c'è stato Elephant man. Gli dissero che non poteva vederlo ma lui volle vederlo a tutti i costi. Pianse. Non smetteva più. Pianse fino a farsi venire l'asma.

    Era allergico e asmatico. Biondo. Portava i capelli lunghi. Un giorno, in ascensore, un tizio lo scambiò per una bambina. Che bella bambina, disse a sua madre. Il giorno dopo sua madre lo portò dal barbiere.

    Da quel giorno presero l'abitudine di portarlo dal barbiere una volta al mese. Non gli piaceva andare dal barbiere. Non gli piacevano gli odori del barbiere, la schiuma da barba, le lozioni, l'aria bruciata del phon. Non gli piacevano i fumetti di Tex che il barbiere gli dava da leggere mentre aspettava. C'era una pila di fumetti di Tex, il barbiere ne prendeva uno e glielo dava da leggere. Erano tutti numeri vecchi, di mesi o anni prima. Cambiavano sempre ma erano sempre vecchi. Di mesi o anni prima. Non gli piacevano ma li leggeva lo stesso. Non sapeva cosa fare. E perché avrebbe dovuto? Era solo un bambino.

    La sera si riunivano in salotto, davanti alla tv, a guardare gli episodi del tenente Colombo. Il salotto era pieno di luce blu o grigia. Prima mangiavano tutti insieme, loro, la famiglia, nella cucina. La cucina era grande. L'appartamento era a forma di croce. La luce della cucina era gialla. Una sera a cena lui rischiò di morire soffocato da un cubetto di prosciutto.

    Il cubetto non andava né su né giù. La donna che fingeva di essere sua madre urlava. Suo fratello gli batteva sulla schiena. Lui stava lì, a non respirare. Guardava il tavolo, il piatto pieno di cubetti di prosciutto e fette di mortadella. Una cena fredda. Accanto al piatto c'era il cestino del pane. Gli piaceva, a tutti loro, ogni tanto, consumare una cena fredda a base di affettati. Sua madre era contenta, quando comprava gli affettati, così non doveva cucinare. Piacevano a tutti loro, gli affettati. Di solito gli affettati erano a fette, non a cubetti. Quella sera invece c'era il prosciutto a cubetti, o dadini. Uno di quei cubetti era adesso incastrato nella sua gola e lui tra poco sarebbe morto perché non respirava. Sua madre urlava. Suo fratello picchiava. Il padre sedeva a capotavola, imperturbabile, totemico. Calma, disse, non c'è motivo di agitarsi, c'è tutto il tempo, ci vogliono almeno due minuti per morire soffocati.

    Non gli piaceva il barbiere, che aveva i capelli solo ai lati della testa, sopra le orecchie. Rideva sempre, parlava sempre. Sei proprio un ferrarese, gli diceva. Gli dava dei Tex vecchi da leggere. Li prendeva da una pila che teneva sopra un tavolino di legno. Una volta in mezzo ai Tex lui aveva trovato una rivista pornografica, un vecchio numero di Le ore. Aveva fatto in tempo a sfogliare qualche pagina prima che il barbiere glielo togliesse di mano. Lascia stare, aveva detto, questi li leggi poi quando torni a Ferrara.

    Non sono di Ferrara, aveva detto lui.

    Il barbiere si era messo a ridere.

    Alla fine suo fratello l'aveva preso per i piedi e capovolto a testa in giù. Gli aveva battuto sulla schiena tenendolo a testa in giù e il cubetto di prosciutto era schizzato fuori. Di là, dal salotto, si udì la sigla del telegiornale. Era il segnale che la cena era finita. Suo padre si alzò da tavola e andò a guardare il telegiornale.

    Qualche volta lo portavano al cinema. Al cinema vide Greystoke – La leggenda di Tarzan, con Christopher Lambert. Si aspettava un po' di azione, la giungla, le urla di Tarzan, le scimmie. Invece il film si svolgeva per lo più in una casa di ricchi. Tarzan veniva adottato da questi ricchi e gli insegnavano a parlare e scrivere, a vestirsi, a usare le posate, a non mangiare con le mani. Era una noia mortale. La casa dei ricchi era enorme e buia e la gente che ci abitava aveva facce lunghe e smorte. Tarzan era malinconico perché gli mancava la giungla, tutti si vestivano di nero, le pareti delle stanza erano di legno nero, il pianoforte era nero. C'era una donna che si innamorava di Tarzan. Forse era la figlia di quella gente ricca. Lei si vestiva di bianco, ma aveva i capelli neri e la faccia lunga. Suonava il pianoforte nero. Andava avanti per ore. Tutto andava avanti per ore. Insegnavano a Tarzan a bere il vino, Tarzan beveva un bicchiere di vino, ci impiegava ore. Il vino era nero. Nel cinema era buio. Era così noioso che non riusciva neanche ad addormentarsi. E poi gli scappava la pipì.

    Lui, suo fratello e suo padre erano statue. Statue nere. La madre no. Lei era mobile. Andava avanti e indietro nel museo, camminava tra le statue, qualche volta le toccava. Le spolverava con un panno grigio.

    Un pomeriggio suo padre era a letto. Gli sembrò strano. Non si sta a letto di pomeriggio. Suo fratello sedeva accanto al letto. Fuori c'era qualcuno che martellava, un operaio, da qualche parte, con un martello. All'improvviso suo fratello gridò: Basta con questo martello! Il martello smise poi ricominciò. Lui guardava il padre e il fratello dalla soglia della camera da letto. Guardava spesso le cose che succedevano nelle stanze stando in piedi sulla soglia. Se le porte erano chiuse non le apriva. Restava fuori e ascoltava.

    Lo portarono al cinema a vedere 007 – Mai dire mai . Sean Connery beveva dei cocktail e fumava sigarette. Si portava le ragazze in camera. Lui sì, che è un vero uomo, diceva sua madre.

    2. Frank Sinatra

    Una sera o una notte suo padre era sulle scale, stravolto. La porta dell'appartamento era aperta. La madre piangeva. Il padre voleva andare via. C'erano anche il nonno e la nonna. La nonna piangeva. Il padre era stravolto, la barba sfatta, i calzoni del pigiama, la maglia fuori dai calzoni, mezza tirata su, si vedeva un pezzo di pancia. La luce era gialla nelle scale. L'appartamento era buio e a forma di croce. La luce delle scale era regolata da un timer, ogni due minuti si spegneva. Qualcuno la riaccendeva. Chi?

    Il nonno cercava di far ragionare il padre, ma il padre era stravolto.

    Attento, che non ti butti giù dalle scale, disse la madre al nonno, e piangeva.

    Lasciatemi stare, vado via, disse il padre con una voce che non era la sua.

    Gli parlarono tutti, il nonno, la madre, la nonna, lo blandirono, si avvicinavano a lui con cautela, come a una bestia feroce. In qualche modo lo convinsero a tornare in casa. Lo misero a letto. A lui dissero: torna a letto, non è successo niente. Bisognava sempre tornare a letto, non era mai successo niente.

    Sognava treni. Treni vuoti, di notte, rumorosi, lui era dentro i treni, si aggrappava ai sedili per non cadere, il treno schizzava velocissimo nella notte, tutti i finestrini erano aperti. Le tende sbattevano. Il rumore era infernale.

    Il matto. Il matto che è entrato in videoteca. I matti gli sono sempre piaciuti. Sente una certa affinità. Gli sembra logico, essere matto.

    Un giorno il padre non c'era più. Dov'era? Non lo sapeva. Non c'era più. Aveva lasciato le sigarette e i dischi di Frank Sinatra. La madre lavorava fino a tardi, tornava stanca, non fumava. Il fratello aiutava la madre con la spesa. Lui sognava treni vuoti, bui, rumorosi. Al pomeriggio lo lasciavano in casa da solo. Fumava le sigarette del padre, il fumo dolce lo nauseava. Guardava le copertine dei dischi di Frank Sinatra. La faccia di Frank Sinatra gli faceva paura. Sembrava la faccia di un manichino senza faccia.

    La madre ascoltava i dischi di Mina. Il fratello ascoltava i dischi di Battisti e dei Beatles. Al pomeriggio lo lasciavano in casa da solo. Girava per la casa, apriva tutte le porte, si fermava sulla soglia delle stanze vuote. L'appartamento era a forma di croce. Fumava le sigarette di suo padre che non c'era più. Dov'era? Non lo sapeva. Guardava la faccia di Frank Sinatra e si spaventava. Frank Sinatra era un bastardo. Frank Sinatra aveva rapito e forse ucciso suo padre.

    Suo fratello lo portò al cinema a vedere Highlander – L'ultimo immortale, con Christopher Lambert. Era buio quando entrarono nel cinema, pioveva. Quando uscirono era più buio e pioveva ancora. Lui e suo fratello erano immortali. Anche suo padre era immortale. Frank Sinatra aveva scoperto che suo padre era immortale e gli aveva tagliato la testa. Sarebbe tornato per tagliare la testa anche a suo fratello. La testa di suo fratello sarebbe rotolata sotto il letto. Sua madre sarebbe tornata dal lavoro, stanca, e avrebbe trovato la testa di suo fratello rotolata sotto il letto. Solo che i loro letti non avevano il sotto, erano pieni. C'erano dei cassettoni, sotto i loro letti, pieni di vestiti. Quindi la testa di

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