Giochi malvagi
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Giochi malvagi - Valentina Montoncello
donna.
Prima parte
Il rapimento
Primo capitolo
Gloria e Rodolfo
Gloria si era sempre fidata, di Rodolfo. Per questo impiegò un po’ di tempo, prima di rendersi conto di essere stata rapita. D’altro canto, come si può dubitare di qualcuno che si considera parte della famiglia? I due si erano conosciuti in un freddo giorno di Dicembre del 1996, quando Alfredo Monte e la moglie Annalisa, genitori del piccolo Rodolfo, che all’epoca aveva sei anni, si erano trasferiti nella casa accanto a quella dei coniugi Rovelli.
Era stata Elisa, la madre di Gloria, ad accogliere per prima i nuovi abitanti di quel paese di cinquemila anime. Donna molto altruista e ospitale, si era presentata alla loro porta portando in dono una deliziosa torta di mele fatta in casa con l’aiuto della figlia. La prima impressione era stata buona. I Monte, infatti, avevano intrattenuto la generosa vicina con gentilezza, raccontandole aneddoti della loro vita insieme. La bambina, spinta dalla curiosità, aveva voluto seguire la madre. Lieta di avere trovato non solo un nuovo compagno di classe, ma anche un amichetto con cui giocare, aveva però capito, grazie al suo intuito da infante, che qualcosa in quella famiglia non andava per il verso giusto. E l’esperienza le aveva dato ragione. I nuovi vicini di casa, infatti, si erano poi rivelati per quello che erano veramente: lui un ubriacone che si divertiva, occasionalmente, a percuotere il bambino, lei una casalinga sottomessa e allo stesso tempo terrorizzata dal marito, che sfogava le proprie frustrazioni aggredendo verbalmente, e umiliando, il povero figlio. Nessuna sorpresa, quindi, se durante il corso dei ventidue anni che erano seguiti al giorno del suo arrivo in paese, il piccolo, prima, e poi l’adolescente Rodolfo, aveva approfittato di ogni buona occasione per trascorrere il suo tempo assieme alla famiglia Rovelli.
Dai vicini l’atmosfera era decisamente differente. Si respirava affetto, amore, sicurezza. Gloria era stata coccolata, anche se non viziata, dai genitori, i quali le avevano insegnato a coltivare le sue passioni, e a non arrendersi agli ostacoli che la vita avrebbe potuto porre sul suo cammino.
Le avevano trasmesso la fiducia e l’amore verso la propria persona e, di conseguenza, verso il prossimo. I risultati erano sotto gli occhi di tutti: la giovane donna si faceva notare dai compaesani per la gentilezza dei modi e l'eleganza nel vestire. Tessevano le sue lodi per le molteplici attività di volontariato a cui dedicava il tempo libero, fuori dalla profumeria in cui lavorava come commessa.
Ma la causa principale per cui Gloria era ammirata e rispettata non solo da chi la conosceva personalmente, ma anche da altre migliaia di individui sparsi in tutto il territorio italiano, era ‘ Un giorno mortale’, il libro da lei scritto l’anno prima, e pubblicato da una nota casa editrice, che aveva lanciato il suo nome a livello nazionale.
All’età di ventotto anni, il sogno di diventare una vera scrittrice, coltivato da quando era una bambina, si era avverato. Con immensa gioia era stata invitata a partecipare ad importanti festival, dove aveva conosciuto nomi illustri della letteratura italiana. Il suo attuale progetto, oltre a quello di trasferirsi e conquistare l’indipendenza tanto agognata, era scrivere una nuova opera, fiduciosa che avrebbe avuto successo quanto la prima.
Il coetaneo Rodolfo, durante i difficili anni dell’adolescenza, si era invece fatto notare per alcuni furti, a causa dei quali era stato costretto a scontare alcuni mesi di prigione. Aveva cambiato almeno cinque lavori, ed era stato licenziato sempre. Non sembrava possedere nessun particolare talento, e l'unico scopo della sua vita era quello di trovare una moglie da sottomettere al proprio volere. Coltivava fantasie di sottomissione dall’età di sedici anni, ma con nessuna delle poche fidanzate avute in passato, conquistate fingendo una tenerezza ed una mentalità aperta non possedute, si era mai parlato di matrimonio.
Nonostante le evidenti disparità con l’amica del cuore, Rodolfo non era invidioso delle conquiste ottenute da Gloria. Anzi, si sentiva onorato di avere un’amica bella, intelligente, e che avrebbe fatto strada nel mondo della scrittura. Questo, almeno, era quello che diceva sempre.
Secondo capitolo
Il rapimento
Rodolfo e Gloria partirono alle 08.00 del mattino di una nuvolosa giornata di metà Marzo.
La ragazza, eccitata, non si accorse del brutto tempo. Riusciva solo a pensare a Milano, dove, quella sera, si sarebbe esibito il loro cantante preferito.
In macchina i due ascoltarono la musica, pregustando (o almeno così credeva Gloria) il momento in cui sarebbero stati deliziati dagli stessi brani, ma cantati dal vivo da colui che le aveva fatte diventare famose. Dopo un'ora di viaggio, si fermarono in un autogrill per fare colazione e andare in bagno. Fu mentre aspettavano le proprie ordinazioni, che la ragazza vide una cosa che le parve inquietante. Una coppia di mezza età, avendola riconosciuta grazie alla foto stampata sul retro copertina dell’opera, come l’autrice di ‘Un giorno mortale’ , le chiese un autografo. Fu un momento emozionante, rovinato però dall’espressione dell’amico Rodolfo, che non sembrava di felicità per lei, quanto di fastidio. Anzi, se Gloria non fosse stata certa dei sentimenti di lui nei suoi confronti, avrebbe quasi potuto credere che quello fosse odio.
Mentre riprendevano il tragitto, tentò di calmarsi e non pensare alla faccia di lui.
Circa trenta minuti dopo, passando per un paesino, Rodolfo si inoltrò per una stradina solitaria, al termine della quale si ergeva una grande casa. Parcheggiata l'auto, ordinò a Gloria di scendere dal veicolo. ' Dove siamo?', chiese lei. ' Qui è dove abitava mio nonno Martino', ottenne come risposta.
La ragazza aveva conosciuto il signore, il quale, almeno una volta l'anno, era stato solito soggiornare una settimana presso la casa della figlia Annalisa e del genero. Lo ricordava come un uomo dall'aspetto imponente, e poco incline a manifestazioni di affetto o di riconoscenza verso il prossimo. Nessuno dei Monte le aveva riferito della sua morte, ma ci pensò l'amico ad informarla del fatto che, la settimana prima, il nonno, ormai novantenne, era spirato nel sonno.
Gloria lo seguì all'interno della casa, convinta che lui desiderasse fare una semplice sosta per rivivere i ricordi che lo legavano all'ambiente.
Accettò il caffè che le venne offerto e, mentre la moca svolgeva il suo lavoro, perlustrò con curiosità il salotto che si trovava al piano terra. I quadri raffiguranti in prevalenza ameni paesaggi che adornavano le pareti, dipinte di blu, i raffinati vasi di porcellana e le eleganti statuine collocate con ordine all'interno della stanza stupirono Gloria. Non si sarebbe mai aspettata che l'anziano avesse avuto un simile gusto per le cose belle, e nemmeno che fosse stato abbastanza benestante da potersi permettere oggetti palesemente costosi.
Una cosa era certa. Nonostante il denaro posseduto, non aveva mai contribuito al benessere della famiglia costruita dalla figlia, da sempre costretta a vivere sulla soglia della povertà.
Sedendosi al tavolo della cucina, gustò con calma la bevanda calda, addolcita con un goccio di latte. Rodolfo cominciò a parlare del nonno. Di quanto, nonostante il carattere difficile, gli mancasse. Le raccontò diversi episodi in cui, a modo suo, aveva fatto capire al nipote di volergli bene.
Lo ascoltò con compassione e tenerezza, non accorgendosi del tempo che passava, e dimenticandosi del concerto a cui avrebbero dovuto assistere. Ad un certo punto, però, prese in mano il cellulare, il quale le segnalava che già due ore erano passate. Se non si fossero velocizzati, sarebbero arrivati in grande ritardo. Comunque, i posti migliori erano già stati sicuramente occupati.
Fu allora che il ragazzo si degnò di dirle la verità: quella del concerto era stata una montatura , atta a portarla in quel luogo sperduto. In preda al panico, Gloria prese nuovamente in mano il proprio telefono, dicendo che avrebbe chiamato la polizia, ma non fece in tempo a finire la frase, che Rodolfo le si avventò addosso.
Combattè per liberarsi dalle mani del ragazzo, ma fu lui ad avere la meglio. La spinse dolcemente verso la parete più vicino e, tenendola ferma premendo il suo corpo contro quello di lei, le disse:
' non ti farò del male, se farai quello che io ti ordino. Dovrai stare qui, con me, per un certo periodo. Quello che ti servirà per realizzare ciò che desidero, anzi, pretendo, da te.'
La voce strozzata e lo sguardo colmo di terrore, Gloria gli chiese cosa volesse da lei. ' Scriverai un libro per me'.
Terzo capitolo
La vera natura di Rodolfo
Rodolfo, in tutta la sua vita, non aveva mai provato sentimenti reali, profondi. Non conosceva la paura, o il rimorso. Certo, aveva instaurato delle relazioni, basti pensare a Gloria e alla sua famiglia, e alle fidanzate avute nel passato, ma a nessuna di queste persone si era sentito veramente legato.
Della felicità altrui non gli importava minimamente.
Ecco perchè non si era fatto nessuno scrupolo a rapire l'amica del cuore, che lo aveva aiutato e sostenuto in molteplici occasioni.
L'unica cosa che era riuscito a pensare, mentre la stava portando, a sua insaputa, verso la casa del nonno recentemente defunto ( anche se non nelle circostanze da lui dichiarate), era quanto fosse stupida a fidarsi ancora di un delinquente come lui.
Forse ne era segretamente innamorata. Aveva sentito dire che l'amore rende ciechi. Comunque, dato che la ragazza, con le sue curve piene, non era certo da buttare via, non gli sarebbe dispiaciuto portarsela a letto. Lei non avrebbe finito il libro in due giorni, e nei momenti in cui le avrebbe concesso un minimo di libertà, avrebbero dovuto impiegare il tempo in un qualche modo.
Più tardi, l'eccitazione che provò nell'ammirare il suo sguardo spaventato mentre le rivelava di averla rapita, lo convinse ancor più della possibilità che fra loro potesse accadere qualcosa di sessuale. Gloria era adulta, intelligente, eppure non si era mai accorta di avere come amico uno psicopatico. Nemmeno ora.
Quarto capitolo
Gloria pensa di fuggire
L'ora si era fatta tarda, per cominciare la scrittura di un libro. Gloria si sarebbe riposata, per poi pensare, una volta giunto il mattino, ad una trama avvincente che potesse conquistare i lettori. Anche se, questa volta, a prendersene il merito sarebbe stato Rodolfo.
Osservando con delusione, dispiacere, e molta paura, la figura di lui che le dormiva accanto (nonostante vi fosse una camera per gli ospiti, era stata costretta a dividere il letto con il ragazzo), ebbe pensieri di fuga.
Si alzò in piedi, attenta a non fare rumore, per poi dirigersi verso la cucina al pianoterra.
Qui, dopo essersi presa un bicchiere d'acqua, si affacciò alla finestra. Immersa nel buio della notte, la campagna che circondava la casa pareva ancor più fitta, e il solo pensiero di attraversare, da sola, quella inquietante strada che, come aveva notato qualche ora prima, era lunghissima e solitaria, la riempì di terrore. Per andare dove, poi? E se il suo 'carceriere' avesse scoperto la sua fuga prima che lei fosse riuscita ad incontrare un essere umano che potesse aiutarla, cosa le avrebbe fatto? L'avrebbe torturata, legata al letto?
La luce della stanza che si accese la distolse da questi pensieri tremendi e spaventosi.
' Cosa stai facendo?' le chiese Rodolfo.
' Ero scesa per bere un bicchiere d'acqua', rispose, distogliendo lo sguardo dagli occhi di lui, le cui parole le tolsero ogni idea di fuga.
' Se stavi pensando di scappare, toglitelo dalla testa. Sono capace di qualunque reazione'.
Quinto capitolo
Gloria comincia a scrivere
Il primo pensiero di Gloria nel momento in cui posò le dita sui tasti del computer appartenuto a nonno Martino, fu che anche questa volta avrebbe scritto un romanzo sulla violenza contro le donne. ' Un giorno mortale', infatti, raccontava la vicenda di Giovanna, picchiata e violentata per anni dal marito Sergio e dal cognato Francesco, la quale, un giorno d'estate, in preda a ad un raptus, massacra l'intera famiglia del consorte. Scopo dell'opera era di far riflettere il lettore sull'effettiva colpevolezza, a livello morale, di chi commette un crimine.
Un omicidio è una cosa orribile e sbagliata. Si era sempre chiesta, però, come sarebbe stata la sua vita, se avesse avuto la sfortuna di sposare un uomo come quello da lei inventato.
Segregata in casa, costretta a sopportare, ogni giorno della propria esistenza, violenze psicologiche e fisiche, sarebbe arrivata a vedere come unica soluzione l'uccisione dell'infame? E quali sarebbero stati i propri pensieri, riguardo al fatto commesso? Agli occhi del mondo sarebbe stata lei, la criminale, a prescindere dalle azioni commesse dall'assassinato nel corso della vita. Forse, però, dentro di sé avrebbe continuato a sentirsi lei vittima. Vittima di un mostro che l'aveva ammazzata interiormente, e di cui si era giustamente vendicata.
Fino al giorno prima, quando colui che credeva essere il suo migliore amico l'aveva rapita, Gloria non aveva mai subito atti di violenza da parte dell'altro sesso.
Nel passato era però venuta in contatto con molte donne, giovani e meno giovani, molestate da un uomo, fosse esso il marito, il datore di lavoro, o un semplice conoscente.
Era comunque sufficiente aprire un quotidiano o ascoltare un telegiornale, per rendersi conto dell'enorme diffusione del problema. Nessuno trattava però di atti criminosi perpetrati da una femmina nei confronti di proprie simili. Gloria decise quindi di affrontare questo argomento. Fece vagare la mente, alla ricerca di una trama avvincente. Passati pochi minuti, immaginò una scena che scelse di far diventare il fulcro dell'opera.
Nonostante, durante la stesura di ' Un giorno mortale', avesse trovato un titolo da dare al libro solo dopo averne scritto i primi cinque capitoli, il nome adatto per il romanzo che si apprestava a comporre le fu subito chiaro. E fu la prima cosa che scrisse sulla tastiera.
Seconda parte
Il libro
Un macabro gioco
Di Gloria Rovelli
Prologo
!5 giugno 2017
Sembra una cosa scontata da dire, ma essere consapevoli della propria imminente morte è doloroso. Anche quando si soffre. Era straziante, per Ilaria, sapere che molto presto non avrebbe più potuto fare nemmeno le cose a cui non aveva mai dato troppa importanza. Cose da lei considerate facenti parte dell’universo naturale della sua esistenza, e che non aveva mai pensato potessero un giorno scomparire. Il canto degli uccellini, per esempio. Non avrebbe più ascoltato il loro modulato e dolce verseggio. Le sarebbe anche stata impedita la splendida vista, al calar della sera, di un bel tramonto rosso fuoco. Non avrebbe assaporato di nuovo la cremosità e la bontà di un gelato alla stracciatella, di cui andava matta. Ciò che la intristiva maggiormente era il pensiero delle persone che amava, e dei tanti momenti trascorsi assieme a loro, che sarebbero presto finiti.
Nella sua mente si fecero strada altre cose a cui stava per dire addio, e questo fece sì che, in pochi secondi, il viso le si riempì di lacrime. E pensare che aveva solo ventisei anni.
Vi erano state occasioni, prima della scoperta della malattia, in cui Ilaria si era trovata a fantasticare su come le sarebbe piaciuto concludere la vita, e in nessuna di queste aveva preso in considerazione la possibilità di morire giovane, molto giovane, stesa sopra un letto d’ospedale.
Anzi, l’immagine che più frequentemente le era balzata alla mente era di lei stessa novantenne, o come minimo ottantenne, circondata dai figli che, secondo i suoi progetti, avrebbe un giorno avuto, dai nipoti e, perché no, dai bisnipoti. Tutti accanto al suo letto, pronti a darle l’addio, ricordandole l’immenso amore ricevuto durante il viaggio della vita.
Eppure, quel terribile giorno in cui era stata informata di avere un cancro al seno, aveva compreso immediatamente. Non sarebbe stata una delle tante donne che, combattendo tenacemente, riuscivano a vincere il male. Non sarebbe sopravvissuta.
Ciò da lei previsto otto anni prima si stava finalmente avverando. Era stata cosciente, per tutto questo tempo, del fatto che un giorno il destino l’avrebbe punita per avere ucciso, con le sue stesse mani, alcuni dei compagni di classe del liceo. E a nulla valeva la consapevolezza di non avere mai avuta l’intenzione di commettere gli omicidi. Si, non aveva voluto, ma era stata comunque la sua mano a premere il grilletto della pistola. Era stata la sua mano a spegnere le speranze e i sogni di giovani innocenti con cui aveva condiviso gli unici anni spensierati della propria esistenza, e a condannare i genitori alla sofferenza per il resto delle loro giornate.
Sarebbe morta in quell’afoso giorno di Giugno, ne era certa. Se il fato l’aveva castigata infliggendole, seppur con anni di ritardo, la stessa sorte degli ex compagni, intuiva che sarebbe stato ancora più beffardo, condannandola a perire proprio durante l’ottavo anniversario della strage.
Questo era il motivo per cui, una volta smesso di pensare ad uccellini e tramonti, nella sua mente riaffiorarono i ricordi di quella orribile serata. La serata che aveva posto fine alla vita di giovani innocenti. Prima, però, di lasciare che i pensieri si soffermassero sulla strage, volle ricordare la ragazza che era stata fino a quel maledetto 15 Giugno 2009.
Primo capitolo
La vita prima della strage
Era nata in una famiglia benestante. Il padre Alfredo era un chirurgo plastico di fama nazionale, la madre Nadia possedeva una nota casa editrice della zona.
Nonostante le molte ore trascorse al lavoro, però, i due avevano sempre tentato di essere il più possibili presenti nelle vite delle figlie Ilaria e Lucia, non facendo mai mancare loro l’amore e l’affetto di cui ogni bambino ha bisogno.
Durante gli anni dell’infanzia, Ilaria era partita per numerosi viaggi insieme ai genitori e alla sorella maggiore. All’età di 10 anni aveva già visitato l' India, la Grecia, la Spagna e la Gran Bretagna, ed era convinta che il suo grande amore per le lingue derivasse proprio da questo. Dall’occasione speciale che aveva avuto di poter entrare in contatto, fin dalla più tenera età, con persone che possedevano tradizioni e usanze a lei sconosciute, e che si esprimevano in una lingua a cui non era abituata. Ricordava le sensazioni provate passeggiando, tenendo la mano della madre, per le strade di Londra, o di Atene. La gente che si riversava lungo le strade parlava una lingua che non era la sua, e