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Devianza e mass media
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Devianza e mass media

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Estratto da "Disadattamento sociale: teoria e ricerca".
Alle radici di tale saggio vi è l'esigenza di definizione del concetto di diversità che viene considerato come un concetto derivato rispetto a quello di normalità che viene definito appunto come primario.
LanguageItaliano
Release dateMar 18, 2019
ISBN9788832544145
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    Devianza e mass media - Leonardo Benvenuti

    8.      Conclusioni

    Premessa

    Le ragioni del collegamento contenuto nel titolo del presente lavoro sono eminentemente metodologiche. Il problema di un approccio scientifico allo studio dei fenomeni sociali crea infatti l’esigenza di cogliere negli avvenimenti e soprattutto nelle teorie che li riguardano un momento di sistematicità che permetta di organizzare la conoscenza al loro interno.

    Da tale esigenza nasce questo tentativo di una analisi della devianza e della comunicazione di massa come ricerca degli elementi di collegamento, del sostrato comune, dal punto di vista metodologico, agli schemi che sottendono le rispettive organizzazioni concettuali.

    Parlare di devianza, infatti, richiama alla mente concetti quali quello di società, di controllo sociale, di norma, di regola, di codici, di organismi istituzionali (e non) che tutti sottendono l’eterno problema del rapporto individuo-società¹. Ora, alla base di tale rapporto vi è un problema di comunicazione tra gli individui come singoli, tra individui e gruppi, e tra gruppi². La comunicazione viene quindi ad assumere, da questo punto di vista, un ruolo non secondario all’interno di ogni processo di stigmatizzazione, e alla base di questo lavoro vi è la tesi che essa operi secondo due modalità, delle quali: la prima assume la dimensione del contenuto della comunicazione come categoria unificante di un sapere sociale che solo storicamente viene spezzato in una organizzazione pluridisciplinare; la seconda, di carattere extracontenutistico, si riferisce ai mezzi di comunicazione di massa in quanto tali alla loro caratteristica di improntare di sé i successivi periodi storici³.

    Il contenuto è passibile di un ulteriore livello di analisi e cioè quello della disciplina specifica, in questo caso della criminologia, che sarà oggetto del secondo contributo presente in questo volume.

    La società come categoria contenutistica

    La categoria del contenuto può essere considerata come unificante i vari tipi di media poiché è il referente di una società intesa come complesso simbolico di riferimento. La società, quindi, può essere pensata come una costruzione mentale⁴ prodotto di una interazione tra creature dello stesso tipo, mediata dal linguaggio (Mead, 1934). L’individuo, da questo punto di vista, si pone come conseguenza delle generazioni precedenti e la società che egli conosce diventa quella che gli viene instillata fin dall’infanzia attraverso gli insegnamenti etici dei genitori, come tecnica di adeguamento sociale⁵ senza che questo debba necessariamente essere visto come puro controllo sociale, potendo infatti rientrare in quel parco di prescrizioni il cui adempimento comporta piacere, secondo l’accezione durkheimiana⁶.

    Sintomatico è, a questo proposito, il gioco dei bambini le cui regole vengono trasmesse da quelli più anziani a quelli più giovani per mezzo del linguaggio⁷.

    Accanto a questa prospettiva infantile vi è poi il problema più generale dei normali processi di interazione nei quali ogni appartenente ad una società diventa attore di possibili comportamenti devianti, rispetto ai quali il sistema sociale si pone, funzionalmente, nei termini di un controllo inteso come processo di previsione dei comportamenti possibili e di neutralizzazione di quelli già avvenuti⁸: dal punto di vista dell’attore, la devianza è il comportamento che viola la norma, mentre il controllo sociale consiste nello sforzo di contrastare questo comportamento. Dal punto di vista del sistema, la devianza è il comportamento disequilibrante, il controllo sociale è dato invece dall’insieme di forze riequilibranti⁹.

    Tuttavia il parlare di interazione equivale alla introduzione di un fattore relazionale che non può semplicemente essere risolto nei termini di un equilibrio funzionalistico.

    Il comportamento deve in precedenza essere immesso in un complesso simbolico di riferimento, ideato attraverso la pratica del gruppo nella fase della sua originaria effervescenza creativa secondo una interpretazione storiografica dei due tipi di società presenti nel pensiero di E. Durkheim¹⁰. I due tipi sono quello dei valori, delle credenze, dei sentimenti, della società della credenza collettiva come rappresentazione di un gruppo che elabora sé stesso. L’altro è quello delle strutture concrete con i suoi codici e le sue regole di condotta; è un complesso strategico e funzionale, un meccanismo di adattamento e di risposta organizzata all’ambiente esterno¹¹.

    Il primo tipo di solidarietà è quello caratterizzato da una solidarietà meccanica, il secondo da una solidarietà organica. Il principio guida della prima è la somiglianza di individui che differiscono poco gli uni dagli altri e che condividono gli stessi valori; quello della seconda è il consenso di individui diversi, ognuno dei quali adempie una propria funzione.

    Ma i due tipi di solidarietà sembrano escludersi a vicenda, essendo il primo caratteristica delle società segmentarie e cioè basate su gruppi sociali piccole e autosufficienti (sono i clan delle società arcaiche composte da individui relativamente intercambiabili); il secondo invece è tipico delle moderne società basate sulla divisione del lavoro. Di qui l’ipotesi dei due diversi tipi di società che possono essere percepiti come autoescludentisi, nel senso che storicamente il secondo diventa la negazione del primo.

    La divisione del lavoro sociale, nel pensiero di E. Durkheim, diventa infatti una esigenza della società che adempie la sua funzione, sia a livello di individui che a livello di gruppi più estesi, integrando il corpo sociale e assicurandone l’unità. Essa non si limita ad aumentare il rendimento delle funzioni divise, ma rende possibili società che senza di essa non esisterebbero¹²; è un criterio generale di organizzazione delle società applicabile a tutte le organizzazioni individuali, che travalica il semplice campo economico¹³.

    La divisione del lavoro produce la solidarietà organica, che a sua volta contribuisce alla integrazione generale della società: è quindi necessaria come fattore essenziale della coesione sociale. Di qui la possibilità per l’autore francese di fornire una spiegazione della nascita di una collettività e del consenso al suo interno come condizioni di una esistenza sociale. Anche se il rilevare la produzione di solidarietà a livello sociale è difficile poiché la solidarietà in astratto non è discernibile: ciò che vive realmente sono le forme particolari della solidarietà: la solidarietà domestica, la solidarietà professionale, la solidarietà nazionale, quella di ieri, quella di oggi e così via. Ogni solidarietà ha natura sua propria¹⁴.

    Si passa allora a una analisi del diritto come simbolo visibile della solidarietà sociale: sarà sufficiente classificare le differenti specie di diritto, per cercare poi quali siano le corrispondenti forme della solidarietà. Durkheim individua due tipi di diritto: quello repressivo, che sancisce direttamente la pena, e quello a sanzione restituiva, che tende soprattutto a riorganizzare la cooperazione tra individui violata dalla trasgressione.

    Ad essi corrispondono i due tipi di solidarietà, rispettivamente quella meccanica e quella organica. Quest’ultima e il relativo diritto

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