Solo di notte
By Lip
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Solo di notte - Lip
abbastanza
1
Era andata così.
Solo due mesi prima era sul punto di sposarsi con Andrea e la cosa più coraggiosa che avesse fatto era stata rubare un posacenere in un pub.
Ora aveva il conto in rosso, possedeva mezza multiproprietà a Roma, cantava canzoni filosofico-aziendali tutte le domeniche e, dulcis in fundo, ballava in un locale per scambisti.
Che piega stava prendendo la sua vita?
Margherita aveva preso una sigaretta, tirava e inspirava ad occhi chiusi, mentre le immagini della serata le si affollavano dietro le palpebre: la pista vuota che man mano si riempiva, le altre quattro ragazze che ballavano fuori tempo, come se sentissero una musica tutta loro.
E quella sulla cinquantina in tailleur? Di punto in bianco era rimasta in pista a tette al vento e aveva cominciato a sbottonare i pantaloni al tizio che ballava con lei. Tutti battevano le mani e Grazia li incitava al microfono: sembrava uno di quei compleanni in pizzeria, quando si spengono le luci e tutti cantano e battono le mani, anche gli sconosciuti, solo che invece della candelina accesa, c’era il pisello dritto di quel tizio.
Si era seduta di scatto sul letto e aveva schiacciato la sigaretta ancora a metà nel posacenere-tartaruga. Non è che finisco a far la puttana? Aveva pensato fra il terrorizzato e il divertito.
La musica del Papito le era tornata nelle orecchie insieme alla stanchezza, così si era infilata sotto il lenzuolo con la faccia affondata nel cuscino. Rivedeva se stessa ballare sul palco e pensava che in fondo nessuno le aveva dato noia, né ci aveva provato. Che poteva succederle?
Elisabetta, la tizia dell’agenzia, poi, le piaceva parecchio, doveva essere una tosta: col suo caschetto di capelli perfetto e quel trucco pesante, ma non volgare. Il genere di donna con i chili di troppo lì dove li vogliono gli uomini.
Margherita si era stupita nel sapere che Elisabetta aveva ventisei anni, solo due più di lei, perché ne dimostrava una decina in più, non perché avesse le rughe o il viso sciupato, no, ma piuttosto per lo sguardo deciso e come un'assenza di ingenuità.
All'improvviso chiuse gli occhi e si addormentò, prima ancora di ricordarsi di spegnere la luce.
Il mattino dopo, anche se aveva dormito tre ore, era arrivata puntuale al lavoro e per tutto il giorno aveva eseguito i compiti assegnati con eccessivo entusiasmo, tanto da lasciare perplessa la moglie del dottor Bertola, abituata a vederla trascinarsi tra una registrazione e l'altra come un condannato ai lavori forzati.
Uscita dallo Studio Bertola era volata in via Sezzi, dove aveva appuntamento con Adelaide, l'amica per la pelle, l'amica che ti aspetti di avere al fianco al tuo matrimonio.
La nottata aveva chiarito le idee ad entrambe: avrebbero firmato, non si sarebbero perse quest'avventura.
Alle diciotto e trenta in punto avevano premuto il campanello della Pileggi Animazione
, ma sembrava non esserci nessuno.
Stavano già andando via, deluse e incazzate, quando Elisabetta era spuntata da una decapottabile blu elettrico e il punteggio, già alto, che Margherita le aveva assegnato, volò alle stelle.
Nello studio di Elisabetta c'erano i contratti già pronti: avevano solo dovuto firmare. Con un po' di sollievo avevano sentito che era prevista perfino l’iscrizione all’ENPALS, tutto regolare quindi, via le paure e le paranoie.
Elisabetta le aveva avvisate che era a loro cura e spese occuparsi dei costumi di scena e del book fotografico e così il resto della serata se n'era andata a progettare costumi di scena da Moulin Rouge.
Cominciarono a lavorare tre sere alla settimana e dopo la prima avevano già capito come funzionava: le altre ragazze le avevano informate su tutto quello che sapevano o avevano sentito dire.
Elisabetta dirigeva la Pileggi Animazione e l’agenzia di spettacolo aveva come unico cliente Grazia, proprietaria del Papito e socia di altri locali notturni sparsi fra Piemonte e Lombardia. Elis decideva dove assegnare le ragazze e per quali serate. Toccava poi al suo ragazzo, Vittorio, coordinare gli spostamenti ed assicurarsi che le ragazze arrivassero a destinazione sane e salve.
Il Papito era un po’ il quartier generale, il locale storico, il più conosciuto ed il primo che Grazia, la madre di Elisabetta, aveva preso in gestione quando sua figlia era piccola.
Il marito di Grazia era morto all’improvviso d’infarto e le aveva lasciate sole, ma pare con un discreto patrimonio che Grazia aveva saputo investire. Non si era mai risposata, anzi le piaceva dire
«Degli uomini non ti puoi fidare, i soldi, solo quelli non ti tradiscono mai.»
A Margherita piaceva da impazzire guardarsi intorno mentre ballava al Papito, stava sul cubo come fosse al cinema, solo che invece di star seduta si dimenava a più non posso.
È inquietante, pensava guardando Grazia: una matrona imponente e mascolina, con il trucco di Moira Orfei e l’andatura di uno dei suoi elefanti. Doveva aver provocato più di un infarto durante i turni di notte, nel suo passato da infermiera.
La sua voce, al microfono del Papito, era roca e ruvida e quando, durante le nottate in pista, incitava i suoi ospiti e le ballerine, la dovevi guardare due volte, pur sapendo che era lei, per assicurarti che non fosse un uomo.
Le sue labbra disegnate da un rossetto sangue di piccione, andavano ben oltre i naturali confini e si muovevano lente, attorno al microfono: «Dai amore, facci, vedere! Su che ce la fai!» ruggiva fra un Joy Salinas e un Alex Party. Sembrava che le frasi rimanessero a mezz’aria, in quel fumetto sospeso di alito bianco Marlboro.
Elisabetta, invece, fumava Merit, più femminili. Stava con la schiena contro il bancone a guardare le ragazze ballare, teneva la sigaretta a fior di labbra e il braccio sospeso, buttava fuori il fumo in un getto dritto e sottile che si impennava ad una spanna da lei e correva verso il soffitto colorato a intermittenza dalle luci.
Le altre ragazze immagine ballavano rigide come burattini e sbirciavano fra i divanetti, forse alla ricerca di qualche amico o di un'occasione buona. Non ce n'era una che parlasse la lingua dell'altra: Agnes, Vera e Corina, tutte straniere.
Rosanna, l'unica italiana del gruppo, spesso guardava lei e Adelaide con una specie di sorriso di sfida, agitando le sue grazie abbondanti e stagionate, forse aveva paura che gli amanti delle nostrane preferissero loro a lei.
I mesi passavano e niente delle cose orribili che le aveva elencato la sua coscienza erano successe. Era un lavoro come un altro, ben retribuito e per la prima volta veniva pagata per divertirsi. Le sembrava una gran botta di fortuna.
Un lunedì mattina, giorno da sempre di grandi decisioni, mentre allo Studio Bertola Commercialisti Associati nessuno badava a lei, si fece due conti. La calcolatrice tartagliava e stampava il resoconto. Soddisfatta scrisse su un foglio di carta il risultato a caratteri cubitali: INDIPENDENZA circondata da frecce e lampi.
Lavorando cinque sere alla settimana, aveva concluso, avrebbe potuto permettersi la macchina, chissà magari anche un appartamento tutto suo. Sentendo arrivare il Dott. Bertola accarezzò la parola indipendenza con un dito e poi voltò il foglio. Imprecò: aveva scritto sulla fattura originale della Vitozzi snc, la strappò in tani piccoli pezzi e li infilò nella tasca dei jeans. Immaginò la finanza sfondare la porta d'ingresso della Vitozzi urlando «Fuori la fattura! Dov'è?» Non ne posso più, sto impazzendo; pensò e sorrise all'ennesimo plico che Bertola appoggiò sulla scrivania sognando di fare a pezzi anche quello.
Dopo meno di un mese da quel lunedì Margherita aveva dato le dimissioni dal suo lavoro diurno. Scatenò le ire di tutta la famiglia, che trovava assurdo che lei mollasse un impiego serio e rispettabile per fare la cameriera in un pub. Si domandava spesso cosa sarebbe successo se suo padre avesse saputo che non era proprio un pub, né lei proprio una cameriera.
Margherita e Adelaide trascorrevano la maggior parte del loro tempo libero insieme. Le loro vite erano diventate diverse da quelle dei coetanei, perché le serate in cui tutti uscivano loro le passavano a lavorare e questo le aveva unite ancor di più.
Si divertivano al mercato del Gob a cercare i costumi di scena: trovavano fra mucchi di panni aggrovigliati top di paillette o giacche con le frange, cappelli da soldato, stivali laccati di rosa e pantaloncini con cuori disegnati.
Infilavano il bottino in sacchetti di nylon verde petrolio e correvano a casa dell'una o dell'altra, a seconda di quale fosse libera, per provare i balletti per la serata.
Per Margherita la qualità del pubblico non aveva nessuna importanza, l'unica cosa che desiderava era ballare per qualcuno.
Le serate perfette erano quelle in cui i genitori di Adelaide erano fuori e loro due potevano caricare le batterie nella villetta in campagna prima di andare al Papito.
Spegnevano tutte le luci del salotto e lasciavano accesa solo la tv senza audio e sintonizzata su Mtv, poi lo stereo volava al massimo della potenza con le compilation di Caesar Dj.
La ciotola d'argento con dentro le caramelle colorate piazzata al centro del tavolino da salotto lasciava spazio ai piedi nudi di Margherita e Adelaide: la musica scorreva a fiumi e le ubriacava per ore.
Ballare era la loro corsa a tutta velocità verso il precipizio, sicure di saper frenare un secondo prima che ti scoppi il cuore.
Ballavano di fronte allo schermo ed era come stare davanti allo specchio: erano loro a danzare ai bordi di piscine immense, scalze e sensuali davanti a ragazzi sorridenti e stregati, appena scesi da macchine sportive dalla targa californiana. Alla fine si abbracciavano ridendo come bambine che fanno il girotondo finché non gira tutto in tondo e vien voglia di buttarsi giù per terra.
Certe serate ce le ricordiamo belle e limpide come cieli di montagna spazzati dal vento, ma non è la memoria a rendere così splendide quelle serate, è l'energia che hai dentro a illuminare ogni cosa.
Margherita saliva sul palco e ballava attenta ai movimenti del suo corpo, calibrando la sensualità come sale nel piatto. Cantava le canzoni a voce alta e quando ne arrivava una di Madonna era come se i riflettori si accendessero e illuminassero un palcoscenico profondo trenta metri.
Tutto spariva e il resto della serata era un tuffo dal trampolino, con un unico scopo: squarciare la superficie blu dritta e a mani unite e sentire l'applauso del pubblico attutito dall'acqua. Margherita non guardava gli uomini che le si affollavano intorno, né li stava a sentire, ma le piaceva che fossero lì, perché erano il suo pubblico e impazzivano per lei.
A gennaio Elisabetta le aveva assegnato cinque serate alla settimana, mentre Adelaide lavorava solo tre, di cui il mercoledì al Papito, con lei, e il venerdì e il sabato al Sammy, un night vecchia maniera che a Margherita faceva ribrezzo, pieno di poveracci e puttane.
Adelaide, però, diceva che non ci si trovava così male e non ne aveva più voluto parlare.
Il 1996 era finito e tutto andava secondo i piani. Margherita aveva risparmiato parecchio e si era comprata una Panda bianca usata, che aveva chiamato Maddy. Adelaide aveva affittato un piccolo appartamento non lontano da casa di Margherita. Non si era trasferita, né lo aveva detto ai suoi, ma aveva finalmente uno spazio tutto suo.
Le due amiche trascorrevano la domenica e le serate libere con gli altri della PTA, la multinazionale a cui Margherita aveva lasciato tutti i risparmi: si era comprata la multiproprietà della settimana di Ferragosto a Roma.
"La multiproprietà era utilissima e facilmente barattabile, ad esempio, con due settimane in Brasile o una settimana in una delle mille destinazioni spagnole. Questo acquisto, però, non solo garantiva di avere la possibilità di andare in vacanza per sempre, ma anche di far parte della PTA, un’azienda presente in tutto il mondo. Dovevano solo trovare altre persone che facessero la stessa cosa che avevano fatto loro e ad ogni vendita avrebbero guadagnato un milione, in più dalla quarta vendita in poi, avrebbero cominciato a guadagnare cinquecentomila anche dalle