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Epistemologia matematica e psicologia: Ricerca sulle relazioni tra la logica formale e il pensiero reale
Epistemologia matematica e psicologia: Ricerca sulle relazioni tra la logica formale e il pensiero reale
Epistemologia matematica e psicologia: Ricerca sulle relazioni tra la logica formale e il pensiero reale
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Epistemologia matematica e psicologia: Ricerca sulle relazioni tra la logica formale e il pensiero reale

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About this ebook

Due studiosi del secolo scorso, un noto epistemologo, biologo e psicologo (J. Piaget), ed un grande logico, ricco di cultura filosofica ed umanistica (E. W. Beth), a seguito di un’iniziale ed aspra polemica tra loro intercorsa nel 1949 e 1950, decidono successivamente di affrontare insieme un tema insidioso, quale quello del rapporto tra l’epistemologia della matematica e la psicologia genetica. La loro cooperazione produce il presente lavoro, di grande spessore epistemologico, che dopo quasi sessant’anni dalla sua pubblicazione, si rivela ancora di grande attualità. Soprattutto perché getta le basi per un approccio costruttivo ala conoscenza, collocandola in un ambito transculturale, ricco di suggerimenti ed indicazioni innovative, volte al superamento delle vecchie e stantie, vale a dire ideologiche, rigide strutturazioni della conoscenza. Insieme a Logica e conoscenza scientifica e Biologia e conoscenza, entrambi successivi (1967), è il testo che, nell’insieme delle opere piagetiane, assolve più di altri a questo compito.

Traduzione a cura di Emilio Gattico
LanguageItaliano
Release dateApr 1, 2019
ISBN9788838247910
Epistemologia matematica e psicologia: Ricerca sulle relazioni tra la logica formale e il pensiero reale

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    Epistemologia matematica e psicologia - Jean Piaget

    Jean Piaget e Evert Willem Beth

    Epistemologia matematica e psicologia

    Ricerca sulle relazioni tra la logica formale e il pensiero reale

    ISBN: 9788838247910

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    Introduzione

    I.

    II.

    III.

    IV.

    V.

    VI.

    VII.

    Bibliografia

    PARTE I

    I. L’ANALISI DEL RAGIONAMENTO MATEMATICO È INACCESSIBILE ALLA SILLOGISTICA TRADIZIONALE

    §1. Descartes

    §2. Il problema di Locke-Berkeley

    §3. Soluzione di Berkeley, Hume e Kant

    §4. Giudizi analitici e sintetici

    §5. L’intuizionismo di Descartes e Kant

    §6. La geometria non-euclidea

    §7. Recenti forme dell’intuizionismo: F.A. Lange, L. Brunschvigc, E. Goblot, H. Poincaré, L.E.J. Brouwer

    II. INTERPRETAZIONE PSICOLOGICA DEL RAGIONAMENTO MATEMATICO

    §8. J. Stuart Mill

    §9. Critica di W. Stanley Jevons

    §10. E. Mach, Th. Ziehen, G. Störring e G. Heymans

    §11. E. Husserl : il suo preteso anti-psicologismo

    §12. F. Enriques e G. Mannoury

    III. LA TRADIZIONE LOGISTICA

    §13. Posizioni di Aristotele: legame con la pratica delle matematiche greche

    §14. Pascal

    §15. Leibniz: dimostrazione degli assiomi

    §16. Frege: sua influenza su Husserl ed Heymans

    §17. Russell: la crisi dei fondamenti

    §18. Gli insiemisti: Cantor e Zermelo

    §19. Altre reazioni: l’intuizionismo di Brouwer, lo psicologismo di Mannoury e di Enriques, il formalismo radicale di Hilbert

    §20. La crisi gödeliana

    §21. La deduzione naturale: Gentzen, Curry, Lorenzen

    §22. La sintassi e la semantica

    §23. Il metodo delle tavole semantiche

    §24. Concezioni algebriche e topologiche

    IV. DIMOSTRAZIONE STRETTA E PROCEDURE EURISTICHE

    §25. Tipologia delle matematiche

    §26. Idee di Poincaré, di Hadamard, di Polyà

    §27. Ricerca di un metodo contemporaneamente euristico e dimostrativo: Descartes e l’’analisi degli antichi studiosi.

    §28. Leibniz ed il problema della decisione

    §29. Conservazione dei livelli inferiori: il Metodo di Archimede

    §30. Il pensiero originale: creazione od invenzione, costruzione o scoperta? La risposta del platonismo: Frege, Cantor ed Hermite

    V. STRUTTURE INTUITIVE E MATEMATICHE FORMALIZZATE

    §31. L’intuizione spaziale: Kant, Helmoltz , F. Klein , Nicod , Whitehead e Tarski

    §32. L’intuizione temporale: Kant, Bergson, Brouwer e De Groot

    §33. L’intuizione finitista secondo Hilbert e l’intuizione dell’infinito

    §34. Il platonismo come visione intuitiva reale o pretesa: la critica nominalista

    VI. LE MACCHINE PER PENSARE ED IL PENSIERO MATEMATICO

    § 35. La formalizzazione e la costruzione di una macchina pensante

    § 36. La costruzione di una macchina pensante presuppone la soluzione di un particolare problema di decisione

    § 37. Irriducibilità del salto dai fini ai mezzi di Brouwer

    § 38. Le funzioni ricorsive: problemi insolubili, non-risolvibilità assoluta

    § 39. I due gradi di libertà del pensiero matematico: risolvere un problema e porre un problema

    § 40. L’evidenza acquisita secondo Bernays

    NOTA SULL’IDEA DI MACCHINA PENSANTE

    SECONDA PARTE

    VII. GLI INSEGNAMENTI DELLA STORIA RIGUARDO LE RELAZIONI TRA LA LOGICA E LA PSICOLOGIA

    §41. Le tre tappe della storia delle relazioni tra ricerche logiche e psicologiche

    §42. Necessità di una coordinazione.

    §43. Il punto di vista genetico ed il punto di vista normativo

    VIII. GENERALI PROBLEMI PSICOLOGICI DEL PENSIERO LOGICO-MATEMATICO

    A - Il problema delle strutture

    §44. Le strutture madri di Bourbaki

    §45. Le strutture di classi e relazioni nelle azioni ed operazioni del soggetto. Formalizzazione del raggruppamento

    §46. Le due forme di reversibilità (inversione e reciprocità) e la loro combinazione finale in un gruppo di quattro trasformazioni

    §47. La primarietà della topologia nella geometria del bambino

    §48. Relazioni tra le tre strutture elementari e le strutture madri di Bourbaki

    IX. GENERALI PROBLEMI PSICOLOGICI DEL PENSIERO LOGICO-MATEMATICO (seguito)

    B - Evidenza, Intuizione ed Invenzione

    §49. L’evidenza, le sue variabili e la necessità logica

    §50. Invenzione e scoperta

    §51. Le molteplici forme della intuizione matematica

    X. I PROBLEMI PSICOLOGICI DEL PENSIERO PURO

    §52. Le radici genetiche delle matematiche pure

    §53. Il problema psicologico della matematiche pure

    §54. Le ragioni psicologiche della formalizzazione

    §55. In che senso una formalizzazione del pensiero reale consente una collaborazione dei metodi genetici ed assiomatici

    XI. ALCUNE CONVERGENZE TRA LE ANALISI FORMALI E GENETICHE

    §56. La costruzione dei numeri naturali

    §57. L’errore della riduzione del superiore all’inferiore

    §58. I limiti della formalizzazione

    XII. PROBLEMI EPISTEMOLOGICI CON INCIDENZE LOGICHE E PSICOGENETICHE

    §59. Interpretazione empirista ed apriorismo

    §60. L’interpretazione nominalista o linguistica delle matematiche

    §61. L’interpretazione platonica delle matematiche

    §62. L’interpretazione delle matematiche tramite le leggi della coordinazione generale delle azioni

    PARTE III

    Indice dei nomi

    CULTURA

    Studium

    151.

    JEAN PIAGET - EVERT WILLEM BETH

    EPISTEMOLOGIA MATEMATICA

    E PSICOLOGIA

    Ricerca sulle relazioni tra la logica formale ed il pensiero reale

    Traduzione a cura di Emilio Gattico

    Tutti i volumi pubblicati nelle collane dell’editrice Studium Cultura ed Universale sono sottoposti a doppio referaggio cieco. La documentazione resta agli atti. Per consulenze specifiche, ci si avvale anche di professori esterni al Comitato scientifico, consultabile all’indirizzo web http://www.edizionistudium.it/content/comitato-scientifico-0

    Realizzato con il contributo del Dipartimento di Scienze Umane e Sociali dell’Università degli studi di Bergamo

    © Presses Universitaires de France/Humensis, Epistémologie mathématique et Psychologie

    Copyright © 2019 by Edizioni Studium - Roma

    ISBN 9788838247910

    http://www.edizionistudium.it/

    Introduzione

    Emilio Gattico

    « Un matematico privo di una certa vena filosofica non è che un matematico dimezzato. Un filosofo che non abbia conoscenze matematiche non è che un filosofo dimezzato»

    Gottlob Frege [1]

    [1] Imre Toth, Non! Liberté et Verité - Creation et Negation, Paris 1997, trad. it. No! Libertà e Verità Creazione e Negazione. Palinsesto di parole e immagini, Bompiani, Milano 2003, p. 198.

    I.

    Nel 1961 esce il XIV volume degli Études d’Épistémologie Génétique dal titolo Épistémologie Mathématique et Psychologie - Essai sur les relations entre la logique formelle et la pensée réelle, scritto da Jean Piaget (1896-1980) ed Evert Willem Beth (1908-1964) [1] . Tutti i precedenti lavori, ovvero i volumi I-XIII, erano nati sulla base di argomenti che costituivano oggetti di indagine del centro stesso e vertevano su tematiche concernenti i comportamenti dei soggetti, l’equilibrazione, le varie modalità di intendere l’esperienza, la percezione, l’apprendimento e la conoscenza: si trattava in altri termini di argomenti abbastanza distinti, che si cercava di correlare tra loro, con l’intento di individuar la genesi da cui sorgevano. Più precisamente si riprendeva quanto lo stesso Piaget espose successivamente in maniera più generale e completa in Logique et connaissance scientifique [2] , ovvero che l’epistemologia era «lo studio della costituzione delle conoscenze valide e, in seconda approssimazione, ... lo studio dei passaggi dagli stati di miniore conoscenza agli stati di conoscenza più avanzata» e che a suo avviso «l’oggetto dell’epistemologia [era] una pluralità di forme e di stati di conoscenza» [3] . O, ancor più precisamente, nella sua forma più ridotta ovvero specifica, «l’épistémologie génétique est l’étude des états successifs d’une science S en fonction de son développement [et] d’un tel point de vue, on pourrait définir l’épistémologie génétique d’une façon plus large et plus générale des mécanismes comme l’étude de l’acroissement des connaissances» [4] .

    Il presente lavoro è il risultato più evidente del rapporto veramente costruttivo, che si è progressivamente venuto a creare tra i due autori citati.

    È noto che tra J. Piaget e la logica vi fu sempre un rapporto conflittuale, anche se egli, che, per sua stessa ammissione, non si riteneva certo un logico, mai disdegnò di rifarsi ad alcuni concetti fondamentali di tale disciplina, ritenuta da lui fondamentale per assolvere al compito, che si era prefisso durante tutta la sua carriera ed in particolare dopo la creazione del Centre d’Épistémologie Génétique. E basandosi sulla convinzione che qualsivoglia forma di conoscenza possieda una propria logica, che ne è la base, ma che molteplici sono le differenze intercorrenti tra le strutture mentali di un soggetto durante il proprio sviluppo, si realizza la sua ricerca di produrre uno strumento atto ad assolvere a questo impegno.

    Ora se già dai primi anni della sua attività un tale intento si manifestò in una serie di articoli di portata sufficientemente specifica [5] , col 1949 il suo impegno si esplicitò col Traité de logique: essai de logistique opératoire [6] . È noto come questo lavoro, se si escludono pochi commenti positivi [7] , sia stato subissato da una serie assai numerosa e qualificata di critiche, quali quella di Jozèf Maria Bocheński (1902-1995), Gaston Bachelard (1884-1962), J.S. Bruner (1915-2016), Ignacio Angelelli, logico e storico della logica, ovvero da studiosi cultori di differenti discipline; ma è ancor più rilevante il fatto che le osservazioni critiche più specifiche ed anche negative, per altro del tutto ineccepibili e puntuali, vennero espresse proprio da J.W. Beth [8] .

    Eppure proprio nei confronti di quest’ultimo studioso, lungi dal venire a stabilirsi un rapporto di incomunicabilità [9] , iniziò assai presto una costruttiva collaborazione. Già nel primo volume degli Études d’Épistémologie Génétique vi è un suo breve ed interessante lavoro, che pare essere non solo una risposta ma anche l’accoglimento di un esplicito invito, che Piaget propone a chi voglia accettare l’adesione ai programmi ed ai metodi dell’appena nata Epistemologia Genetica [10] , dove in risposta all’affermazione dello studioso elvetico, che nel §2, Problèmes d’épistémpologie génétique en relation avec la logique (pp. 23-40), sostiene che «le problème des relations entre les structures logiques et les activités mentales du sujet constitue le type de ces questions dont chacun a le sentiment qu’il se posera tôt ou tard, mais que persone n’ose aborder de front à cause de ses difficultés et sans doute aussi en raison du caractère simpliste des soluions qu’on lui donnait jadis. Le moment est donc venu de l’aborder en equipe en favorisant la rencontre de ces partenaires sans contact que sont les logiciens et les psychologues dans le dialogue si souvent interrompu de l’épistémologie scientifique contemporaine» [11] , Beth argomenta che «il y a souvent, chez les savants qui s’occupent de la psychologie de la pensée, une certaine méfiance à l’égard de la logique formelle contemporaine. Cette attitude, qui fait obstacle à une coopération fructueuse entre logique et psychologie, est une grande partie conditionnée par l’exposition usuelle de la logique moderne». Ed anche ammettendo che «cette exposition a un caractère fort artificiel, en raison du développement historique et, surtout, sous l’influence du formalisme hilbertien», ciò nonostante «il est intéressant de constater que nous disposons aujourd’hui de mèthodes d’exposition qui ont un caractère plus naturel» [12] .

    Si arrivò così nel 1961 alla pubblicazione del presente testo che, se è il XIV lavoro degli Études d’Épistémologie Génétique, presenta tuttavia alcune particolarità, che lo rendono del tutto particolare.

    In primo luogo è di una dimensione inusitata per i lavori di questa collana;

    in secondo luogo è scritto da soli due autori, mentre tutti gli altri facevano della compartecipazione di un maggior numero di studiosi, cultori inoltre di molteplici discipline tra loro differenti, la loro caratteristica principale;

    infine, e questa è forse la particolarità più saliente, concerne un tema del tutto nuovo rispetto alle precedenti produzioni. In questo caso in effetti si tratta di un lavoro, in cui da parte di Piaget non solo si ribadisce la possibilità di collegar tra loro la logica con la psicologia, argomentando tale assunto attraverso una lettura storico-critica della loro evoluzione, ma si propone anche di mostrare come la possibile soluzione concernente i problemi epistemologici pertinenti alla matematica, con il dichiarato intento di affrontarli da un punto di vista globale, necessiti di un ricorso alla psicologia dello sviluppo e sperimentale.

    Prendendo avvio da questo punti la collaborazione tra i due studiosi è stata produttiva e soprattutto costante. Nel caso specifico J. Piaget propose le sue posizioni, ricavate da anni di ricerca teorica e sperimentazione pratica a proposito dei temi in questione, e, successivamente E.W. Beth gli spedì le proprie con egual intento, per giungere infine ad una comune conclusione, nella quale, a seguito di una rilettura di entrambi gli scritti da parte di Jean-Blaise Grize, e dell’attiva frequenza che Beth ebbe nei parecchi seminari, che annualmente si svolgevano a Ginevra, vengono esposte interessanti osservazioni, che riteniamo siano ancor oggi della massima validità ed attualità. A riprova di ciò vi è il fatto che anche dopo la pubblicazione del presente lavoro, la collaborazione tra i due studiosi continuò, pure negli anni successivi, seppure su tematiche più specifiche [13] , che non poterono tuttavia essere numerose a causa della prematura scomparsa del logico olandese.


    [1] Dal 1957 erano iniziate le pubblicazioni dei «Cahiers d’épistémologie génétique», che inizialmente vertevano su problemi concernenti la genesi e la formazione delle conoscenze e dove già acquisivano una certa rilevanza le problematiche concernenti il rapporto che la logica, seppure intesa in differenti modalità, poteva avere con l’evoluzione della cognitività sia in senso lato che specifico nei singoli soggetti. Non mancavano firme di primo livello quali ad esempio lo stesso E.W. Beth, oltre a Wolfe Mays (1912-2005), filosofo inglese, autore di lavori sul saggista e scrittore ungherese, ma anche parapsicologo, naturalizzato poi britannico, Arthur Koestler (1905-1983; Léo Apostel (1925-1995), filosofo e logico belga, che si prefisse di colmare lo iato tra scienze della natura e scienze umane tramite la primarietà delle conoscenze interdisciplinari, Albert Morf (1922-2009), psicologo, Benoît Mandelbrot (1924-2010) matematico polacco, naturalizzato francese , Aimable Robert Jonckheere (1920-2005), psicologo e statistico francese, Jerome Saymour Bruner (1905-2016), psicologo statunitense, formatosi nell’ambito della scuola ginevrina, divenuto poi uno dei padri della psicologia cognitivista ed autore di fondamentali trattati sulla psicologia dell’educazione, François Bresson (1921-1996), psicologo cognitivista francese e grande studioso di scienze umane, Pierre Greco (1927-1988), uno dei primi collaboratori e continuatori di temi di epistemologia genetica, Jan Smedslund, psicologo norvegese, Vinh Bang (1922-2008), psicologo e psicopedagosista vietnamita, Joachim Wohlwill (1926-1997), studioso del rapporto tra psicologia ed ambiente, Michel Goustard, ecologista e studioso dello psichismo dei primati, Benjamin Matalon, psicologo e matematico elvetico, Jean-Blaise Grize (1922-2013), logico e matematico elvetico, dedito alla costruzione e alla successiva formalizzazione di una logica del linguaggio quotidiano, da lui definito anche naturale (si veda a tale proposito E. Gattico-J.-B. Grize, La costruzione del discorso quotidiano - Storia della logica naturale, B. Mondadori, Milano 2007, oltre al fondamentale scritto di J.-B. Grize-Benjamin Matalon (1930-2014), Introduction à une étude expérimentale e formelle du raisonnement naturel in Études d’Épistémologie Génétique, P.U.F., Paris 1962, XVI, pp. 9-67), Seymour Papert (1928-2016), matematico ed informatico, formatosi in Sud Africa, poi naturalizzato statunitense, che si è successivamente occupato di temi psicopedagogici, centrati soprattutto sull’apprendimento delle matematiche nelle prime fasi evolutive (Il LOGO è un linguaggio di programmazione per computer, da lui creato nel 1967, con l’intento di favorirne un migliore e più produttivo apprendimento), Daniel Ellis Berline (1924-1976), psicologo inglese, particolarmente dedito allo studio del globale stato di attivazione e reattività del sistema nervoso ( arousal), in risposta a stimoli interni, pertinenti al soggetto, oppure esterni, quali quelli ambientali e/o sociali.

    [2] J. Piaget, Logique et connaissance scientifique, Gallimard Enciclopédie de la Pléiade, Paris 1967. Si tratta di un volume di 1345 pagine, comprendente i contributi di molteplici studiosi: le parti redatte da J. Piaget sono state tradotte ed introdotte in italiano da parte di Emilio Gattico in Logica e conoscenza scientifica, Studium, Roma 2016, pp. 9-473.

    [3] L’altro Piaget - Strategie delle genesi, a cura di G. Bocchi-M. Ceruti-D.-Fabbri-Montesano-A. Munari, Emme Edizioni, Milano 1983, p. 9.

    [4] J. Piaget, Programme et méthodes de l’épistémologie génétique, in Épistémologie Génétique et recherche pychologique, P.U.F., Paris 1957, pp. 13-14: «L’epistemologia genetica è lo studio dei successivi stati di una conoscenza S in funzione del suo sviluppo e da un tale punto di vista sarebbe possibile definirla in maniera più ampia e globale come lo studio della crescita delle conoscenze».

    [5] Essai sur quelques aspect de la notion de partie chez l’enfant, in «Journal de Psychologie», 1921, 18, pp. 439-448; Une forme verbale de comparaison chez l’enfant, in «Archives de Psychologie», 1992, 18, pp. 141-172; Essai sur la multiplication logique et les débuta de la pensée formelle chez l’enfant, in «Journal de Psychologie», 1922, 19, pp. 222-261; Les traits principaux de la logique de l’enfant, in «Journal de Psychologie», 1924, 21, pp. 48-101; Le réalisme nominal chez l’enfante, in «Revue philosophique», 1925, 54, pp. 188-234; Logique génétique et sociologie, in «Revue philosophique», 1928, pp. 167-208; Les notions d’égalite resultat de l’addition et de la soustraction logiques constituent-elles un groupe?, in «L’ensegnement mathématique», 1937, 1-2, pp. 99-108; Remarques psichologiques sur les relations entre la classe logique et le nombre sur les rapports d’inclusion, in Publications à l’occasion du IV° centenaire de la formation de l’Université de Lausanne, 1947, pp. 59-85; La construction psychologique du nombre entier, in «Archives des sciences physiques et naturelles», 1939, pp. 92-95; Le groupement additif des relations transitives et asymetriques, in «Revue de Théologie et Philosophie», 1940, pp. 146-152; sei articoli pubblicati su «Compte rendu des séances de la Società de Physique et d’Histoire naturale de Genève», 1941, pp. 107-112, 117-122, 122-126, 149-154, 154-159, 192-197; Classes relations et nombres, Vrin, Paris 1942; Groupement, groupes et latices, in «Archives de Psicologie», 31, 1946, pp. 65-73, articolo scritto con Ferdinand Gonseth (1890-1075), matematico e filosofo svizzero. Si tratta senza dubbio di una serie di articoli estremamente generali e concernenti questioni minimali, ma che rappresentano tuttavia un’interessante disanima delle motivazioni che lo spinsero ad occuparsi di logica negli anni successivi ed in particolare tra il 1949 ed il 1972, anno in cui fu riedito il Traité del 1949 con il titolo Essai de logique opératoire, Dunod, Paris, sotto la supervisione di J.-B. Grize.

    [6] Librairie Armand Colin, Paris 1949

    [7] Ad esempio Zur Logik von Jean Piaget (in «Dialectica», 1950, IV, pp. 49-64) di Franz Kröner.

    [8] E.W. Beth, A propos d’un Traité de Logique (in «Methodos», II, 6-7, 1950, pp. 258-264). Per una più ampia lettura sulle recensioni critiche del Traité de logique, si veda E. Gattico, Jean Piaget, 2001, B. Mondadori, 5, Milano 2001, pp. 217-299.

    [9] Come invece avvenne nei confronti di J.-M. Bochen´ski (si veda J. Piaget, Reponse a M. E.W. Beth, in «Methodos», 1951, III, pp. 131-134.

    [10] Il riferimento delle citazioni immediatamente successive rimanda al lavoro Épistemologie génétique et recherche psychologique, P.UF., Paris 1957, I, ed in particolare ai lavori Programme et mèthodes de l’Épistemologie génétique di J. Piaget (pp. 13-84) e La logique formelle et la pensée naturelle di E.W. Beth, pp. 131-134.

    [11] «Il problema delle relazioni tra le strutture logiche e le attività mentali del soggetto rappresentai il tipo di interrogativi che ciascuno pensa che prima o poi verranno a porsi, ma che nessuno osa affrontare direttamente a causa delle sue difficoltà ed indubbiamente anche a causa del carattere semplicistico delle soluzioni, che in passato si proponevano. Ora è il momento di affrontarlo lavorando in équipe, favorendo la collaborazione fra i logici e gli psicologi a proposito di quel dialogo, così sovente interrotto, nell’ambito dell’epistemologia contemporanea».

    [12] «Tra gli studiosi, che si occupano della psicologia del pensiero, spesso compare una certa prevenzione nei confronti della moderna logica formale. Tale atteggiamento, che ostacola una fruttuosa cooperazione tra logica e psicologia, è in gran parte condizionato dall’attuale esposizione della logica moderna. [Ed anche ammettendo che] questa esposizione sia fortemente artificiale, a causa del suo sviluppo storico e, soprattutto, a seguito del formalismo hilbertiano... è interessante constatare, che oggi disponiamo di metodi espositivi, aventi un carattere più naturale».

    [13] Ad esempio il lavoro Tableaux déductifs pour la logique de l’implication, in «Études d’Épistémologie Génétique», 1962, XVI, pp. 99-101.

    II.

    È noto che tutta l’opera piagetiana s’imbatte nel problema di porre una genesi ai concetti da lui di volta in volta esaminati ed è altrettanto risaputo che egli cercò di ritrovarla attraverso un esame psicogenetico del soggetto. Per svolgere questo compito, volto a mostrare lo sviluppo, attraverso cui un sistema cognitivo costruisce (e/o deduce) particolari argomenti, neppure i metodi storico critici, come ribadì in Logique et connaissance scientifique sarebbero stati sufficienti a perseguire tali obiettivi epistemologici, dato che occorrerebbe retrodatare indefinitamente la storia delle scienze per risalire alle origini delle prime nozioni. Tuttavia proprio per il fatto che tale procedimento è pressoché impossibile a realizzarsi, oltre ad essere estremamente difficoltoso, ed una simile ricerca corre pertanto il rischio di rimanere incompleta, occorre aggiungere al metodo storico-critico quelli psico-genetici. Ed è questa correlazione tra tali metodologie, impiegata in maniera del tutto originale nel presente scritto, che richiede allora alcuni chiarimenti e precisazioni. Dunque «au total, la méthode complète de l’épistémologie génétique est constituée par une collaboration intime des méthodes historico-critique et psychogénétique, et cela en vertu du principe suivant, sans doute commun à l’étude de tous les développements organiques: que la nature d’une réalité vivante n’est révelée ni par ses seuls stades initiaux, ni par ses stades terminaux, mais par le processus même de ses transformations» [1] .

    Si tenga conto ora delle seguenti precisazioni:

    a - Con il termine storia intendiamo un concetto, che copre un settore ed abbia un significato ben più vasto di una semplice successione di fatti od anche di una messa a confronto (ed a paragone) dei momenti specifici di un determinato sviluppo. Pensiamo al contrario di scorgere nel divenire storico la necessaria attualizzazione di fattori assolutamente determinati.

    Non ci pare sussistano elementi casuali nella stessa, se non colti in un contesto locale, e riteniamo presente in essa e generante la medesima un filo, che permette di ritenere razionali i momenti che si succedono.

    In particolare stimiamo che il medesimo processo della successione dei momenti che la compongono, sia da intendere come assolutamente necessario. Infatti riteniamo che sia questo uno strumento del tutto efficace, per svolgere il compito, che ci accingiamo a mettere in atto (in questo caso il rapporto costruttivo tra epistemologia della matematica e psicologia genetica), convinti che nello sviluppo di una (o più) discipline, possiamo ricavarne i motivi filosofici e teoretici in esse inclusi e che solo una lettura storico-critica permetta di cogliere il loro esplicarsi ed attualizzarsi nella disciplina medesima.

    b - Con il termine storicizzazione di una disciplina/e intendiamo invece la sua collocazione in un periodo determinato. Ciò sta a significare due cose:

    b 1) che un evento (o fatto) può verificarsi in un momento ben preciso;

    b 2) che occorre studiare questo fatto immergendosi, per quanto questo sia possibile, nello status intellettuale del momento da noi considerato [2] .

    Con il termine metastoria si intende una riflessione fatta sugli accadimenti della storia e la ricerca negli stessi di fattori che ne permettano un esame generale (filosofico) non collegato ai singoli fatti, che pure la compongono.

    Occorre inoltre sottolineare che nelle pagine di E.W Beth e J. Piaget l’evolversi dei periodi storici da loro esaminati, tiene conto di un duplice avvertimento, il primo dei quali lo troviamo in Evandro Agazzi, per cui: «le perplessità che possono sorgere quando si applica la logica moderna allo studio di quella tradizionale sono abbastanza ovvie e si possono compendiare nel timore che, così facendo, si finisca col cadere in un atteggiamento anti-storico» [3] e di conseguenza, «...atteggiamento antistorico...è quello di voler imporre al passato modelli e categorie del presente» [4] . Il rischio di quest’ultima posizione è del tutto evidente: ogni periodo storico ha una propria precisa caratterizzazione, che occorre esaminare all’interno del panorama culturale, nel quale questa si presenta. Il pretendere di darne una lettura a-posteriori è per lo meno una scelta avventata, in quanto sono imparagonabili le posizioni, che si vorrebbero raffrontare e, pertanto, si correrebbe il rischio di sostenere giudizi avventati e di scarso valore.

    Tuttavia – ed è il secondo avvertimento – non è conveniente rinunziare ad una conoscenza, il più possibile profonda e minuziosa, di quanto è stato precedentemente prodotto, perché solo grazie a quest’ultima riusciamo a comprendere meglio quanto è avvenuto successivamente. Dunque è a livello del ruolo e della funzione che noi attribuiamo a questa conoscenza che si deve discutere. Nulla infatti implica che, assunte le debite proporzioni, non si debba fare ricorso alle successive teorizzazioni e risultati, per meglio comprendere quanto era stato precedentemente prodotto, ma senza però mai elevare oltre al rango di semplice mezzo una tale prospettiva. Su tali posizioni si pone ad esempio Corrado Mangione (1930-2009), nel momento in cui avvisa che occorre curarsi dal sovrapporre il nostro metodo di lettura attuale per «non scivolare in grossolane mistificazioni [e, dunque, con questo fine] si deve evitare di assumere quella che oggi è la nostra organizzazione scientifica, come modello nel senso di paradigma valutativo (ed, in un certo senso, assoluto)» [5] . Tuttavia, una volta, assunte queste preoccupazioni, «sarebbe eccessivo e controproducente vietarci ad esempio di usare la moderna logica matematica per una ricerca storica della logica aristotelica, ..., o quella medioevale, ..., o quella di Boole» [6] .

    Molteplici sono i metodi con cui si può fare, e si è fatta, una storia delle vari discipline ed in questo caso della genesi e formazione della matematica [7] . Nel presente lavoro si ha una applicazione ottimale del metodo storico-critico, ove una globale visione storica della disciplina in questione, che è volta a costruire progressivamente i domini della ricerca in atto, attraverso il confronto tra le successive strutture cognitive che si sono realizzate, consente la corroborazione di un assunto teorico avanzato dallo studioso [8] . Ma siccome «l’immense service que rend une telle méthode est de relier le présent à un passé gonflé de richesses souvent oubliées...mais il s’agit toujours de l’action de pensées évoluées sur d’autres en évolution et non pas encore de la genèse comme telle de la connaissance...il est nécessaire d’en adjoindre une seconde, dont la fonction serait de constituer une embriologie mentale» [9] , ovvero il metodo psicogenetico.


    Esempio b) - L’impasse, in cui si trovò Frege (rendere estensionali problematiche intensionali), è meglio valutabile, se la si colloca negli ultimi decenni del secolo passato, puittosto che leggerla alla luce dei risultati successivi.

    [1] «In generale il metodo completo dell’epistemologia genetica è costituito da uno stretto legame tra i metodi storico-critico e psicogenetici, in virtù del seguente principio, senza dubbio comune, per lo studio di tutti gli sviluppi organici: la natura di una realtà vivente non è rivelata unicamente dai suoi stadi iniziali né dai suoi stadi terminali, bensì dallo stesso processo delle sue trasformazioni» (J. Piaget, Introduction à l’épistémologie génétieque - 1- La pensée mathématique, P.U.F., Paris 1949 (quatrième édition 1973) Introduction, 23 - trad. it. Introduzione all’epistemologia genetica- Il pensiero matematico, Emme Edizioni, Milano 1982-1984).

    [2] Esempio a) - È possibile argomentare che l’opera di Friedrich Ludwig Gottlob Frege (1848-1925) sia il necessario compimento di un processo di revisione concernente il rapporto tra la logica e la matematica, che perdurava oramai da oltre cinquant’anni e come, dopo di lui, abbiano tratto origine problematiche del tutto nuove. (Si vedano anche la nota 1, Cap. II ed i §§ 3-4 del Cap. III).

    [3] E. Agazzi, Attuali prospettive nella storia della logica, 1974, pp. 3-23, 6, in «Atti del Convegno di Storia della Logica», Parma 1972.

    [4] Ibid. , p. 18

    [5] C. Mangione, Per una logica della matematica , 1974, pp. 113-123, 123, in «Atti del Convegno di Storia della Logica», Parma 1972.

    [6] Ibid.

    [7] A tal proposito si veda E. Gattico- J.-B. Grize, 2007, op. cit. (Cap. I).

    [8] Oltre alla ripresa in maniera senza dubbio più articolata del metodo storico-critico, presente nei primi due capitoli di Piaget 1967, op. cit ., troviamo un’interessante anticipazione dello stesso anche in Federigo Enriques (1871-1946), quando in Les problèmes de la science et de la logique , 1909, Alcan, Paris 1909 e poi soprattutto in Les concepts fondamentaux de la science , leur signification réelle et leur acquisition psychologique. 2e partie , Flammarion, Paris 1913, afferma che «on voit se développer une théorie de la connaissance scientifique, qui tend à se constituer sur une base solide, comme une partie de la science elle-même» («si assiste allo sviluppo di una teoria della conoscenza, che tende a costruirsi su una solida base, proprio come una parte della stessa scienza»).

    [9] J. Piaget, op. cit., 1973, p. 21 («il grande vantaggio, che rende un tal metodo, consiste nel correlare il presente ad un passato colmo di ricchezze sovente scordate…ma si tratta pur sempre di pensieri che sono evoluti su altri in evoluzione e non ancora della genesi in quanto tale della conoscenza. È allora necessario aggiungere un secondo metodo, la cui funzione consisterebbe nel costituire un’embriologia mentale»).

    III.

    Una semplice lettura delle pagine scritte da Beth permette di evincere immediatamente che il logico olandese, oltre ad essere un rappresentante di spicco della disciplina in questione, è anche dotato di una grande cultura, nel senso più ampio e democratico del termine, come quando dirà nelle prime pagine della sua parte, che il proprio punto di vista si basa sul suo continuo sforzo di intendere qualsiasi altro punto di vista come una ragionevole posizione. Come egli stesso afferma nelle prime pagine della sezione del presente testo, se la sua formazione fu certamente orientata verso le scienze fisico-matematiche e logiche, tuttavia i suoi interessi furono sempre aperti non solo allo studio filosofico ed in particolare epistemologico, ma anche verso problematiche pedagogiche, in particolare per ciò che concerne l’apprendimento e l’insegnamento della matematica [1] . Ed è pertanto interessante che egli affermi che «les mathématiques offrent un intérêt pour la théorie de la connaissance. Nous avons déjà vu que d’après une opinion comune des philosophes, les sciences doivent partir de certains princips, dont la validità universelle et la certitude inébranlable ne peuvent être mises en question, bien que leur origine puisse consituer un problème. C’est encore dans les mathématiques que de tels problèmes se présentent de la manière la plus incontestable» [2] .

    Il suo intento richiamava il problema epistemologico, volto a chiarire come la mente dell’uomo producesse conoscenze scientifiche ed in particolare matematiche: secondo quest’ottica egli ribadì che grazie ad un profondo e costante studio dei processi genetici, si sarebbe stati in grado di cogliere le strutture logico-matematiche e successivamente formalizzarle. Ciò lo portò a sostenere che il ragionamento logico non deve essere inteso alla stregua di una capacità innata, proprio per il fatto che lo sviluppo dello stesso si presenta in modo diseguale da individuo ad individuo, senza distinzione di livello di istruzione. A suo avviso un tale fatto era dovuto a carenze nella capacità di concentrazione e ad un eccessivo riferimento a situazioni concrete, manifestatesi in specifici contesti spazio-temporali. Più generalmente ciò significava l’incapacità di prender avvio da premesse ritenute false così come da premesse stimate non sufficientemente vere. Si è allora a fronte di soggetti, che rifiutano un procedimento, che parta da ipotesi (asserzioni la cui veridicità o falsità è indecidibile), ma anche nel caso lo facciano, per il fatto di volere a tutti i costi stabilire la verità o la falsità delle premesse, blocca ogni successivo procedimento. Ed allora è presumibile che «questa abitudine derivi sia da una carenza di immaginazione sia da una malintesa rettitudine morale. D’altro canto, l’abilità nel ragionamento logico non è in se stessa una garanzia di idee chiare a proposito dei princìpi e dei fondamenti della logica. L’abilità nell’argomentazione logica è il prodotto di capacità congenite combinate con la pratica; la chiarezza teorica, invece, può soltanto svilupparsi dalla riflessione e dall’analisi» [3] .

    E già in precedenza egli aveva sostenuto che la ricerca concernente la genesi ed i fondamenti della matematica (ma potremmo estendere questo assunto al ben più ampio spettro delle conoscenze) si sarebbe potuto realizzare in maniera ancor più soddisfacente, con un richiamo alle sue basi storiche e filosofiche [4] .

    Dunque se logica e psicologia non devono interferire l’una con l’altra, per evitare infruttuosi logicismi o psicologismi, tuttavia da un punto di vista epistemologico la loro coesistenza è del tutto importante, in quanto consente di coordinare tra loro le componenti empiriche e quelle formali, con cui si generano e formano le conoscenze.

    Tutto ciò spiega perché nell’introduzione all’ Essai de logique opératoire del 1972, riprendendo le opinioni discordi, anche se essenzialmente negative, che erano state rivolte al suo Traité de logique del 1949 da parte di logici e psicologi, J. Piaget scriva che «nous avons éprouvé en revanche, une grande satisfaction en coinvainquant l’un de ces adversaires, le grand logicien E.W. Beth, après un artiche particulièrement sévère de sa part, d’écrire en collaboration une ouvrage intitulée Épistémologie mathématique et psychologie, où nous sommes parvenus à nous mettre d’accord sur la nécessité d’une certaine coordination entre la logique et la psychologie» [5] .

    Dal punto di vista logico la figura di E.W. Beth è certamente di primo piano, centrando la sua ricerca sulla storia della logica e della matematica soprattutto nei volumi De wijsbegeerte der wiskunde van Parmenides tot Bolzano [6] , Geschiedenes der logica [7] , così come anche in parecchi articoli [8] sui fondamenti della matematica [9] e sui problemi della decidibilità e della definibilità, per cui ogni concetto definibile implicitamente in una teoria, ammette sempre anche una definizione esplicita, o, se si vuole, riprendendo le parole di Alessandro Padoa, da lui pronunziate a Parigi nel 1900, «diciamo che il sistema dei simboli non definiti è irriducibile in rapporto al sistema delle proposizioni non dimostrate, allorché dal sistema delle proposizioni non dimostrate non è possibile dedurre la definizione simbolica di alcuno dei simboli non definiti» [10] . In altri termini, qualora si voglia dimostrare che una proposizione del tipo a=bcd, ma con a,b,c,d, come simboli non definiti, è indimostrabile, sarà sufficiente cogliere due interpretazioni di a,b,c,d, «che rendono veri gli assiomi della teoria, ma che, mantenendo il significato di b,c,d, mutano quello di a (in maniera tale che non potranno entrambe rendere vera la proposizione ‘ a=bcd’. Intutivamente tale condizione è sufficiente per stabilire la non definibilità di a tramite b,c,d, in quella teoria». [11] D’altro canto si trattava di un tema assai discusso all’epoca e che costituì uno dei punti nodali dell’opera di Giuseppe Peano (1858-1932), che sempre ebbe a cuore il ruolo fondamentale che le definizioni dei termini, di cui si faceva uso, avevano in ambito matematico e logico-matematico. Nel 1901 infatti, con la chiarezza che sempre contraddistinse tutti i suoi lavori, scriveva a proposito delle proposizioni che «Alcune P[roposizioni] hanno il carattere di definizioni possibili. In una teoria, cioè in un ordinamento delle P relative ad un dato soggetto, si scelgono tra queste le definizioni. Altre P sono indimostrabili; esse enunciano le proprietà delle idee primitive, e si chiamano proposizioni primitive. Le altre P, a seconda delle circostanze, chiamansi teoremi, corollari, lemmi» [12] .

    Un’ulteriore e più dettaglita dettagliata analisi storica ci mostrerà che, sulla scia di Gerhard Karl Erich Gentzen (1909-1945), Fredrich Brenton Fitch (1908-1987) [13] «et surtout Beth mettent au point des instruments de déduction, qui sont plus immédiatement proches des procédés ‘naturels’ de penser» [14] .

    La sua produzione scientifica risulta estremamente ricca ed abbraccia una serie di tematiche effettivamente estesa. Per il presente lavoro riteniamo sufficiente fornire solo qualche breve e certamente incompleto accenno ai tableaux sémantiques, da lui creati, ed in un secondo momento ripresi da Intikka [15] , Schütte [16] e successivamente da Smullyan [17] , fondati sul significato dei connettivi logici e successivamente connessi con la teoria della dimostrazione.

    Si prenda dunque avvio dal concetto di deduzione naturale, ricordando che con questa locuzione si rimanda a quella che fu la ricerca dei matematici di produrre dimostrazioni, tramite una metodologia differente da quella assiomatica (caratteristica tipica del logicismo di F.L.G. Frege e di B.A.W. Russell come pure del formalismo di D. Hilbert) [18] , facendo ricorso ad una teoria fondata su differenti assunti, tramite i quali si ristabiliva su basi semantiche la teoria della deduzione. Jan Łukasiewicz (1878-1956), logico polacco, ne parlò già nel 1926, mentre il primo tentativo di fornirne una una completa teorizzazione fu fornito da un altro logico polacco, Stanislaw Jas´kowski (1906-1965) nel 1935. Occorrerà tuttavia attendere l’anno successivo, ovvero il 1935, quando G. K. E. Gentzen per la prima volta introdusse la locuzione logica naturale [19] , facendo ricorso ad uno schema ad albero, con l’intento di fornire uno strumento matematico, per potere realizzare una sistematica teoria della dimostrazione [20] .

    «La costruction des tableaux sémantiques présente sera apliquée sur deux exemples concrets. Pour démontrer que la séquence

    (x)[S(x)P(x)] | ̶ (x)[P(x)S(x)]

    ne tient pas, il suffit de montrer qu’il est possible de choisir les termes S et P de telle manière que la prémisse (x)[S(x)P(x)] deviant vraie tandis que la conclusion (x)[P(x)S(x)] deviant fausse.

    Un tel choix des termes S et P determine un contre-exemple pour la sequence en question. Dans ce cas simple, nous n’avons pas besoin d’une méthode systématique pour trouver un contre-exemple: tous les Suédois sont Protestants, mais il n’en resulte pas que tous les Protestants sont Suédois. Le tableau sémantique fournit une méthode systématique pour la construction d’un tel contre-exemple.

    En effet, pour que la conclusion (2) soit fausse, il faut qu’il y ait une certaine valeur de x, soit a, telle que la formule (3) devienne fausse. Et pour que la formule (3) soit fausse, il faut que la formule (4) soit vraie tandis que la formule (5) soit fausse. Puisque la formule (1) doit être fausse, il faut que la valeur a de x satisfasse à la condition S(x) P(x), d’où la formule (6). Pour que la formule (6) soit vraie, il faut que, ou bien ( i) la formule (7) soit fausse, ou bien ( ij) la formule (8) soit vraie.

    Les deux sous-tableaux ( i) et ( ij) déterminent un même contre-exemple, qui peut être décrit de la manière suivante: l’Univers du discours se constitue d’un seul objet a; le terme P convient à cet objet a, tandis que le terme S ne lui convient pas» [21] .

    Il metodo dei tableux è impiegato per confutare un enunciato composto, nel senso che è in grado di mettere in discussione un enunciato a prescindere da quelli che sono i valori di verità degli enunciati componenti. Inversamente lo stesso metodo è utilizzabile, qualora si voglia provare la validità logica di un enunciato, in altri termini che sia una tautologia, attraverso la confutazione della negazione dell’enunciato, di cui si sta trattando [22] . Si tratta quasi di un procedimento inverso rispetto a quello classico, nel senso che si ha un procedimento che si delinea in un percorso che va dall’enunciato verso gli assiomi, ed inoltre si fa uso di combinazioni degli enunciati senza ricorrere ad esempio al Modus Ponens [23] . Ed una tavola semantica si chiude nel momento in cui, una volta costruite tutte le possibili combinazioni, la negazione di un enunciato risulta impossibile e dunque l’enunciato risulta valido; al contrario la tavola non si chiude qualora sia fornito un esempio della negazione dell’enunciato, ovvero che, salvo un contro-esempio, questo enunciato esiste e pertanto non è valido.

    Più dettagliatamente, è risaputo che per stabilire se una proposizione sia una tautologia, si può assolvere a questo compito ed in un numero finito di passaggi, ricorrendo alle tavole di verità [24] , ed è altrettanto noto che in linea teorica, il metodo delle tavole di verità garantisce la possibilità di stabilire se un enunciato composto sia o meno una tautologia. Si tratta di una procedura certamente corretta ma assai dispendiosa. Ed allora si cerca di stabilire il fatto che p sia una tautologia tramite la costruzione (se possibile ovviamente) di un contro-esempio per p. E se questo tentativo non va in porto, ovvero se questo contro-esempio risulta irrealizzabile, allora la proposizione in questione sarà una tautologia.

    Ora questo procedimento comporta una sistematica elaborazione ed è quanto è stato prodotto da E.W. Beth, attraverso le tavole semantiche «… una notazione tabulare particolarmente semplice ed efficace. L’idea di questa notazione… è che per indicare lo stato di verità delle proposizioni coinvolte, ci si può servire, invece che di notazioni del tipo =1, =0, della collocazione di queste proposizioni a sinistra, rispettivamente a destra, di una linea verticale tracciata sul foglio a partire da un certo momento contrassegnato da una linea orizzontale. La ricerca del contro-esempio di una proposizione si sviluppa come segue. Si comincia collocando la proposizione nel falso, ossia a destra della linea verticale. Si procede poi ad incolonnare gradualmente le componenti di quella proposizione a sinistra (vere) o a destra (false), regolandosi in conformità ai princìpi sopra elencati [25] . Se nel corso del lavoro una stessa proposizione compare sia a sinistra che a destra, la ricerca ha termine, perché tale circostanza indica che, affinché quanto precede si realizzi, quella proposizione dovrebbe essere sia vera che falsa; si dice allora che la tavola si chiude e si nota tale fatto tracciando a quel punto una doppia linea orizzontale. Se invece, arrivati alla fine del lavoro di scomposizione, una compresenza di quel genere non si verifica, allora la tavola non si chiude e la combinazione di stati di verità delle componenti ultime che essa sta presentando fornisce un contro-esempio alla proposizione iniziale. C’è, però, qualche complicazione, perché alcuni princìpi non danno univocamente lo stato di verità delle componenti, ma solo due possibilità, che vanno esaminate separatamente. In luogo di duplicare sul foglio la rappresentazione della tavola, proseguendo una prima tavola ( i) con la prima delle due possibilità e una seconda tavola ( ij) con la seconda, si tira una linea orizzontale (sopra la quale sta la parte comune delle due tavole) e si ripartisce lo spazio sottostante, in modo che vi sia per ciascuna delle due prosecuzioni, la parte del vero e quella del falso» [26] .

    Si è di fronte ad un modello semantico, raffrontabile con quello di Saul Aaron Kripke. Definendo nodi gli elementi di un insieme parzialmente ordinato (coppia formata da un insieme ed una relazione d’ordine sullo stesso), nei modelli di Beth l’ordine è rappresentato da un albero ramificato in maniera finita, dove ciascun nodo rappresenta uno stato di informazione in un dato momento e un nodo più in alto rappresenta un possibile stato di informazione in un tempo successivo, quasi come se si verificasse un continuo aumento delle conoscenze [27] .

    Concludiamo questo paragrafo con un’osservazione volta a sintetizzare, seppur in modo del tutto schematico, la posizione cui giunse E.W. Beth, e ad accennare ad un possibile ulteriore sviluppo che è possibile propore. Sappiamo che pure con notevoli e ben definite differenze F.L.G. Frege, ricavò da George Boole [28] alcuni assunti critici, mentre acquisì alcune posizioni analoghe a quelle di Charles Sanders Peirce [29] (1839-1914).

    F.L.G. Frege ritenne che sussistesse una notevole connessione tra pensiero e regole ideografiche, ma alla condizione che questo linguaggio fosse del tutto libero da orpelli linguistici e soprattutto fosse a-psicologico. Egli, con la sua ideografia ( Begriffschrift) non pretese di poter rendere il pensiero in forma pura : tuttavia le sue regole non sono da considerarsi arbitrarie, ma sono generate da ciò che rende corretto il ragionamento. Dunque se disse che la sua Begriffschrift era Eine Formelsprache des reinen Denkens fu categorico nel ribadire che non stava parlando di una specie di pensiero. Se in effetti l’aritmetica è la base della logica, tuttavia i suoi asserti concernono i numeri, che sono oggetti, non costruiti dallo spirito umano né dal pensiero. Ed allora la Begriffschrift è un linguaggio del puro pensiero, ottenuto dall’astrazione totale dai vari contenuti delle nostre esperienze. L’aritmetica, base della logica, è la più fondamentale delle scienze [30] , che non verte intorno al mondo esterno (cose) né interno (spirito); tratta solo delle connessioni tra pensabili e, come egli dirà nei Grundlagen der Aritmetik (1884) le sue leggi non sono leggi naturali, ma leggi delle leggi naturali. A sua volta David Hilbert (1862-1943), proprio come G. Boole, ritenne sussistesse un’assonanza tra il parlare e lo scrivere con il pensare e da un tale parallelismo si generavano le regole dei sistemi formali della teoria della dimostrazione, ponendosi quindi su posizioni opposte alle tesi intuizioniste, quali quelle di Luitzen Egbertus Jan Brouwer [31] , per il quale non si trattava invece che di costruzioni arbitrarie. Allo stesso modo G. K. E. Gentzen, sempre in analogia con G. Boole, riteneva come occorresse una stretta affinità col linguaggio effettivo, e per questo criticò il metodo dimostrativi finiti di Hilbert e propose un sistema formale più agile e che si avvicinasse al ragionamento effettivo; a sua volta Dag Prawitz, matematico e filosofo svedese, accolse queste tesi di G.K.E. Gentzen, per le analisi delle dimostrazioni nelle teorie del prim’ordine ed appunto da ciò E.W. Beth giungerà alle tavole semantiche, attraverso le quali sarà possibile isolare le operazioni deduttive essenziali.


    [1] Egli fu tra i fondatori nel 1950 del CIEAEM, Commission Internationale pour l’Étude et l’Amélioration de l’Enseignement de la Mathématique, di cui fecero parte anche psicologi come J. Piaget, matematici quali Gustave Choquet (1915-2006), Jean Alexandre Eugène Dieudonné (1906-1992), André Lichnerowicz (1915-1998) e matematici e pedagogisti come Caleb Gattegno (1911-1988), e fece parte anche dell’ ICMI, International Commission on the Teaching of Mathematics, associazione volta alla diffusione degli strumenti atti a favorire la conoscenza e l’apprendimento della matematica, fondata nel 1908 da Felix Christian Klein (1849-1925), matematico tedesco, noto per i suoi studi delle geometrie non-euclidee, oltre che per la teoria dei gruppi e delle funzioni, celebre per aver pubblicato nel 1872 il manifesto Vergleichende Betrachtungen über neuere geometrische Forschungen ( Analisi comparata riguardo le nuove ricerche geometriche, più noto come Programma di Erlangen), volto a classificare le geometrie, basandosi sulla geometria proiettiva e sulla teoria dei gruppi.

    [2] E.W. Beth, Les fondements logiques des mathématiques, Gauthier Villars, Paris 1950, I, 6, 13 – «le matematiche assumono interesse per la teoria della conoscenza. A seguito di una comune opinione dei filosofi già abbiamo constatato che le scienze debbano prender avvio da certi princìpi, la cui validità universale ed inalterabile certezza non possono essere messe in discussione, per quanto la loro origine possa costituire un problema. Ed è nuovamente nelle matematiche, che tali problemi si presentano incontestabilmente».

    [3] E.W. Beth, Formal methods. An introduction to symbolic logic and the study of effective operations in arithmetic and logic, Reidel, Dordrecht 1962, p. 10. Si veda anche Critical epochs in the development of the theory of Science, in «The British Journal for the Philosophy of Science», 1950/a, 1, 27-42, p. 27, La Crise de la Raison et la Logique, Gauthier-Villars, Paris 1957, ed anche J. Piaget-E.W. Beth-J.A.E. Dieudonné-A. Lichnerowicz-G. Choquet-C. Gattegno, L’enseignement des mathématiques, Delachaux-Niestlé, Paris-Neuchâtel 1955, ove il logico olandese, nel suo contributo, Réflexions sur l’organisation et la méthode de l’enseignement mathématique pp. 35-46), esprime i dilemmi, che ancora avvolgono questo problema. Per un più attuale approfondimento di tali problematiche si veda Manuel Rebuschi, Martine Batt, Gerhard Heinzmann, Frank Lihoreau,, Michel Musiol, Alain Trognon, Interdisciplinary Works in Logic, Epistemology, Psychology and Linguistics, Springer 2014, Heidelberg-New-York-Dordrecht-London 2014.

    [4] E.W. Beth, op. cit., 1950.

    [5] J. Piaget, Essai de logique opératoire, Dunod, Paris 1971, Introduction, XII (Per la precisione il sottotitolo dell’opera è Deuxième édition du Traité de logique. Essai de logistique opératoire, 1949, établie par Jean-Blaise Grize). («Abbiamo provato al contrario una notevole soddisfazione, convincendo uno di questi avversari, il grande logico E.W. Beth, a seguito di un articolo particolarmente severo da parte sua, a scrivere insieme un’opera intitolata Epistemologia matematica e psicologia, nella quale si è giunti ad accordarci a proposito della necessità di ‘una certa coordinazione tra la logica e la psicologia’»).

    [6] E.W. Beth, La filosofia della matematica da Parmenide a Bolzano, in Philosophische Biblioteek, Standard Boekhandel, Anversa 1944 (poi Dekker van de Vegt, Nimègue 1948).

    [7] E.W. Beth, Storia della Logica, 1944, Den Haag, Servire’s Enciylopædie, 37. Un’interessante lettura, che esamina questi problemi, discutendo dei lavori di E.W. Beth, è in M.A. G. Franchella, Come l’amor platonico. Kantismo e platonismo nella filosofia del XX secolo, L.E.D. Edizioni Universitarie, Milano 2002.

    [8] Historical studies in traditional philosophy, in «Synthese», 1946-1947, 5, pp. 248-260; Deux etudes de philosophie grèque, in «Mélanges philosophiques», Amsterdam 1948; The prehistory of research into foundations, in «British Journal of Philosophy of Science»,1952, p. 3; Le paradoxe du ‘sorite’ d’Eubukide de Mégare, La vie et la pensée, Paris 1954.

    [9] L’évidence intuitive dans les mathématiques modernes, Travaux du IX e Congrès International de Philosophie, VI, Logique et mathématique, Paris 1937, pp. 161-165, Les fondements logiques des mathématiques, cit., 1950.

    [10] R. del Buffa, Le riflessioni di Vailati sul carattere formale dei sistemi ipotetico deduttivi, in Cent’anni di Giovanni Vailati, a cura di Ivan Pozzoni, Limina mentis, Villasanta (MI) 2009, II, 5, p. 234. Si ha una definizione esplicita di un termine quando si dà un’espressione ad esso equivalente, che sia in grado di sostituirlo in ogni occorrenza; una definizione è implicita (posizione già in Joseph Diaz Gergonne, 1771-1859, matematico francese) quando, nel caso siano fornite proposizioni contenenti termini non definiti, si coglie una sola modalità per attribuire loro un significato, in grado di rendere simultaneamente vere tutte le proposizioni considerate. A. Padoa (1868-1937), studioso che fece parte della scuola di G. Peano, enunciò per primo un procedimento volto a verificare se un termine primitivo potesse essere definito, all’interno di un sistema, attraverso altri termini primitivi, tesi presentata nel 1900 a Roma e poi, nello stesso anno, nel più noto Congresso Internazionale di Parigi. Nella relazione da lui colà presentata, ovvero «Essai d’une théorie des nombres entiers, précedé d’une introduction logique à une théorie déductive quelconque», Bibliothèque du Congrès international de philosophie, Paris 1901, III, il matematico veneziano «chiama un sistema di simboli irriducibile rispetto ad un sistema di assiomi se non è possibile definire nessuno dei simboli indefiniti, mediante gli altri. Per dimostrare l’irriducibilità, basta trovare un’interpretazione dei simboli indefiniti, tale che gli assiomi del sistema siano soddisfatti e si cambi il significato di uno soltanto dei simboli primitivi; e questo per ciascuno dei simboli indefiniti, presi singolarmente» (H. Collings Kennedy, Life and works of Giuseppe Peano, D. Reidel Publishing Company, Dordrecht 1980, trad. it., Peano - Storia di un matematico, Boringhieri, Torino 1983, p. 136). A. Padoa, convinto della portata del suo lavoro, comprese che sussistevano relazioni tra definizioni implicite ed esplicite, ovvero la possibilità di ridurre le seconde alle prime (fu effettivamente la successiva teoria dei modelli, che rivelò l’importanza di un simile metodo nell’ambito della teoria delle definizioni), al punto da sostenere che «siamo in grado ora di chiarire completamente (e, crediamo, per la prima volta) un problema della massima importanza logica» (A. Padoa, op. cit., 1901). Ed è proprio la dimostrazione di questo assunto, nell’ambito della teoria del prim’ordine, che è dovuta a E.W. Beth ( Inleiding tot de Wijsbegeerte der exacte wetenschappen [ Introduzione alla filosofia della scienza], Antwerpen, Standard Boekhandel, 1953).

    [11] R. del Buffa, ibid.

    [12] G. Peano, Dizionario di Matematica - Parte Prima: Logica matematica, Tipografia Gerbone, Torino 1901, pp. 1-15, 13-14.

    [13] Fredrich Brenton Fitch (1908-1987), logico americano.

    [14] J.-B. Grize, Historique. Logique des classes et des propositions. Logiques des prédicats. Logiques modales, in op. cit., a cura di J. Piaget, Gallimard, Enciclopédie de la Pléiade, Paris 1967, pp. 135-290, p. 142. «[G:K.E. Gentzen, F. B. Fitch] e soprattutto Beth mettono a punto degli strumenti per la deduzione, che sono assai più prossimi ai processi ‘naturali’ del pensare».

    [15] Kaarlo Jaakko Juhani Hintikka (1929-2015), filosofo e logico finlandese, che ha fornito importanti contributi anche alla teoria del linguaggio, ed ideò una semantica di logica modale in una maniera analoga a quella di S.A. Kripke.

    [16] Kurt Schütte (1909-1998), logico tedesco che si è occupato del problema della consistenza, ovvero della non contraddittorietà, di varie teorie matematiche.

    [17] Raymond Merrill Smullyan (1919-2017), logico e matematico statunitense, ma anche scrittore e musicista.

    [18] A tal riguardo si veda E. Morriconi, La teoria della dimostrazione di Hilbert, Bibliopolis, Napoli 1988.

    [19] Naturalmente si tratta della prima volta che tale locuzione è inserita in un contesto specificamente logico-matematico, in quanto, con differenti significati, è presente già negli scritti di filosofi assai anteriori, come ad esempio G.W. (von) Leibniz. Si veda a questo proposito E. Gattico-J.B. Grize, op. cit., 2007 (in particolare pp. 13-179).

    [20] La teoria della dimostrazione propone di intendere le dimostrazioni matematiche quali oggetti matematici, facendo ricorso a tecniche matematiche per la loro analisi.

    [21] E.W. Beth, La logique formelle et la penséè naturelle, in J. Piaget, op. cit., 1957, pp. 131-134. «La costruzione delle tavole semantiche sarà applicato a due esempi concreti. Per dimostrare che la sequenza (x)[S(x)P(x)] | ̶ (x)[P(x)S(x)] non è chiusa, basta mostrare che è possibile

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