Tarocchi in cucina
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Buon appetito!
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Book preview
Tarocchi in cucina - Floreana Nativo
intenzionale.
ARCANI
Siamo noi, siamo altri.
L’istante perso fra le maglie del tempo.
La follia ragionata, l’Alpha, l’inizio senza fine.
Siamo il mistero della vita e la Terra.
La Madre che ci culla mentre
la Vecchia Signora già ci attende.
Siamo gli Arcani del mondo,
il diavolo e la giustizia,
l’appeso che dondola sotto la stella,
mentre la luna e il sole si spartiscono il Cielo.
Siamo il ruggito della bestia domata
e l’acqua che lenisce tutti i mali.
Siamo noi, siamo altri
mentre un vento scompiglia le carte
portando ombre di destini in attesa
e l’eco di altre voci.
INTRODUZIONE
Ancora una volta mi sono voluta cimentare con il mondo dei Tarocchi coniugandolo in questo caso con l’altra mia grande passione: la Cucina.
In un certo senso questo libro è il seguito de La Cucina del Delitto, ma dovendo attenermi alle carte degli Arcani Maggiori, il delitto c’entra solo in alcuni casi.
Guardiamo a queste pagine senza diffidenza, non vorrei che il libro fosse evitato pensando ad argomenti esoterici, in verità è un modo di avvicinare l’immagine degli Arcani Maggiori a un racconto e a una ricetta.
Ricordiamo che i Tarocchi, soprattutto gli Arcani Maggiori, sono degli archetipi e quindi rappresentano momenti di vita. Qui ho seguito il metodo Waite, il più diffuso nel mondo, ma sappiamo che, in ogni caso, le carte hanno una loro storia che si è evoluta con il passare del tempo.
Se io dicessi che i Tarocchi siamo noi, probabilmente scandalizzerei un certo numero di persone, ma se ci rapportiamo al pensiero di Pirandello, forse troveremo che ognuno di noi ha una maschera che indossa verso gli altri e che a volte nasconde anche a se stesso.
Le figure degli Arcani Maggiori le abbiamo ritrovate, come un abbecedario, nelle pareti delle chiese. Hanno insegnato alle popolazioni analfabete il significato delle immagini: il Papa, l’Imperatore, la Ruota della Fortuna, la Giustizia, le danze macabre dove la Morte trascina i potenti e i miseri verso l’inevitabile fine, il Sole, la Luna, le Stelle, il Giudizio, la Temperanza e così via. Sono state per secoli i punti di riferimento di intere generazioni. Che poi siano divenute delle carte, era inevitabile e necessario. La prima utilizzazione di queste carte fu la didattica e poi il gioco.
E quindi giochiamo. Giochiamo con le ventidue carte del destino, ventidue come le storie del mio libro.
Sono storie che ricostruiscono la personalità delle carte, che in un certo senso la spiegano, ad esempio nel racconto dedicato all’Arcano della Ruota l’azione si svolge esattamente nelle ventiquattro ore.
Sono frammenti di vita, colti guardando le carte e cercando di entrarvi, di chiudere gli occhi e viverle. È questo il metodo migliore per leggere le carte, viverle. Cercare di immaginare il loro mondo, con tutte le piccole incombenze, compreso il nutrimento.
Tutti noi ci nutriamo, alcuni lo fanno solo come atto dovuto, altri per piacere, perché si può trasformare il piatto in un’opera d’arte. In ogni caso il cucinare, il mescolare gli ingredienti diventa, oltre che a un atto liberatorio, perfezionismo. Si possono aggiungere delle spezie e salvare un intingolo, ma non si può barare nell’architettura di un dolce. La preparazione di un dolce è la sfida assoluta.
Ho provato. Ho provato a confezionare una storia riguardante un Archetipo e abbinarla a una ricetta. Spero di esserci riuscita e di avervi trascinato nel suo mondo, nel suo microcosmo. In alcuni casi ho utilizzato ricette internazionali, in un paio di casi antiche e insolite ricette siciliane, le altre, come si suol dire, sono farina del mio sacco.
Vorrei sottolineare che anche il cibo ha il suo simbolismo, per cui, ad esempio, alla carta del Papa ho abbinato il pesce che, come ricordiamo, è il simbolo del primo cristianesimo.
La Morte ha come cibo le fave. Le fave sono considerate cibo dei morti, anticamente le bucce erano gettate sotto il tavolo in modo che gli spiriti se ne cibassero. Ancora oggi a Trieste è in uso per le festività dei defunti confezionare dei piccoli dolci chiamati favette; e non dimentichiamoci che Empedocle considerava cannibalesco mangiare le fave perché, data la radice diritta del legume, gli spiriti risalivano nel baccello dando poi la flatulenza a chi le mangiava. Era lo spirito dei morti in esso racchiuso.
Nella carta della Giustizia ho messo il pesce spada, per simboleggiare la spada che ha in mano l’Arcano. L’Eremita si ciberà ovviamente di erbe e nel Giudizio ho messo anche un’antica ricetta siciliana chiamata Ossa di Morto
.
A questo punto non mi resta che augurarvi buona lettura e buon appetito.
0 – IL MATTO
Il Matto è la follia ragionata,
colui che ricerca la verità al di fuori delle regole.
CHIAMAMI VENTO
La mosca stava tranquillamente passeggiando sull’orlo del bicchiere di vetro trasparente. Aveva quasi finito con le sue zampette di marchiare il vetro, quando s’immobilizzò, affilando le piccole ali e, d’improvviso, spiccò il volo cercando la salvezza. Non andò lontano, una mano la colse e la portò, lesta, alla bocca dell’uomo, che si aprì per ingoiarla. L’uomo aveva dei capelli ricci che una volta dovevano essere di un nero splendente, ma adesso erano chiazzati di grigio ed esplodevano intorno alla testa come se avessero vita propria. Un’espressione di soddisfazione gli si disegnò sul viso e il pomo d’Adamo confermò agli astanti che aveva deglutito l’insetto, nessuno si accorse che, dietro il busto, il pugno si era aperto lasciando volar via la mosca. L’uomo si alzò e s’inchinò alla platea dei tavoli vicini che fecero finta di non aver visto la scena. Tutti tranne un piccolo marmocchio che lo guardava con tanto d’occhi.
«Mamma, perché quel signore mangia le mosche?»
«Zitto!» disse la madre. «Non è da persone educate farlo notare.»
«Ma perché?» ripeté il bambino, mentre la madre lo tirava via alzandosi dal tavolino e andando alla cassa per pagare.
Intanto si era avvicinato un cameriere al tavolo dell’uomo e aveva porto il conto.
«Non ho chiesto il conto.»
«Vada o sarò costretto a chiamare i vigili. Infastidisce le persone.»
«E per cosa? Non c’è scritto da nessuna parte che è vietato mangiare gli insetti, anzi è l’ultima novità in cucina, sono molto nutrienti e stanno salvando intere popolazioni dalla fame.»
Poi tirò fuori da un fazzoletto sporco delle monete e le posò sul conto, sotto lo sguardo schifato del cameriere che prese con due dita il piattino cercando di non toccare il contenuto. Sicuramente avrebbe lavato le monete.
L’uomo si caricò sulle spalle lo zaino, impugnò il bastone poggiato accanto a lui e fischiò per richiamare il pastore tedesco che si era accucciato ai suoi piedi.
«Buongiorno, signori» disse levando, teatralmente, il cappello di pelle che si era posto sul capo. Poi scese dal marciapiede e s’incamminò sulla via ancora assolata, lasciando alle sue spalle il mormorio indignato dei benpensanti.
La gente non avrebbe mai immaginato che stesse ridendo. Amava prendersi gioco delle persone, le considerava il suo pubblico e, se anche questo gli causava ripetuti inviti ad allontanarsi, lui non riusciva a farne a meno. Si assestò meglio lo zaino sulle spalle e si avviò nel dedalo delle vie del paese cercando una bottega dove comprare del cibo per lui e il suo cane.
Trovò il posto adatto nelle ultime case. Una piccola trattoria, dove servivano anche dei panini colmi di trippa ricoperta da formaggio fumante. Aveva speso più del dovuto nel bar e adesso doveva lesinare nel mangiare. Lo servì una donna di mezza età, il viso materno ma ancora desiderabile, un piglio deciso e adatto al mestiere che faceva.
«Al tuo cane non badi?» gli chiese porgendogli il panino.
«Ne avrà dal mio, non preoccuparti.»
La donna osservò la bestia, poi prese una manciata di trippa e qualche avanzo dai piatti lasciati dai clienti, lo mise in una scodella sbreccata e lo poggiò davanti al muso del cane che finse indifferenza cercando, muto, lo sguardo del padrone.
«Non mangi?» chiese la donna e la sua bocca si distese in un sorriso, quando il pastore si avventò sul cibo dopo l’assenso dell’uomo. Soddisfatta, riempì d’acqua una ciotola e gliela mise accanto. Poi si allontanò per servire i clienti.
Il sole era già tramontato e delle nuvole, spinte dal vento, avevano coperto il cielo con un manto grigio e uniforme. L’atmosfera si era fatta cupa e carica d’elettricità, mentre s’iniziavano a sentire i brontolii dell’imminente temporale. I pochi avventori chiesero il conto e si allontanarono velocemente. Di lì a poco si scatenò un nubifragio insieme al saettare di lampi che davano un’impronta spettrale al paesaggio.
«Io chiudo» disse la donna.
L’uomo si alzò, calcò il cappello di pelle sulla testa e fece segno al cane.
«Non hai un posto dove andare, vero? Se vuoi, per stanotte, potrete dormire nel garage, la porta è aperta.»
«No, grazie» disse lui e fece per incamminarsi.
Aveva appena iniziato la sua via, incurante della pioggia, quando un tuono più forte aveva fatto sbandare il cane. Lui si fermò per accarezzarlo, ritornò sui propri passi e si sporse dentro la porta.
«Per questa notte, accetto.»
La porta del garage cigolò lievemente quando lui abbassò la maniglia. Poche cose, una macchina, una bici. L’uomo srotolò il sacco a pelo e vi si sdraiò sopra, il cane si mise al suo fianco poggiando il muso su una gamba.
L’ostessa aveva controllato che l’uomo fosse entrato nel garage insieme al suo cane. Poi aveva spento le luci, liquidato il cuoco ed era salita in camera, sopra la trattoria.
Si era cambiata, attardandosi in bagno a scrutare il viso. Passò la mano lungo la linea del naso e intorno alla bocca, dove piccole rughe marchiavano la pelle, anche in mezzo alla fronte, quasi alla radice del naso, tre linee lunghe e dritte solcavano il viso rendendo dura l’espressione. Era ancora piacente, si disse, anche se la vita non l’aveva risparmiata. Un matrimonio sbagliato, un figlio abortito per le botte del marito. Qui lo sguardo si era incupito e aveva portato la mano al cuore, certe ferite non rimarginano.
Aveva trovato il coraggio di scacciarlo, non poteva vivere con chi aveva ucciso suo figlio. Si era trovata senza una fonte di sostentamento e si era inventata un mestiere che le dava da vivere, ma era sola. Aveva sempre avuto una passione per la cucina ed era riuscita a