Dietro la maschera
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Dietro la maschera - Patrizia Benetti
9788869632051
Amnesia
Rosalina giaceva in un letto d’ospedale spaventata, denutrita e in evidente stato confusionale. Non aveva ricordi, non rammentava nemmeno il suo nome.
Una ragazza le teneva la mano. Diceva di essere la sorella. In effetti le somiglia: capelli color miele e occhi castani.
Accanto a Rosalina c’era anche un giovane visibilmente scosso, il fidanzato. Aveva un aspetto gradevole, ma per lei era un perfetto estraneo. In fondo al letto i genitori, persone distinte ed eleganti, sorridevano forzatamente. Facevano finta che tutto andasse bene e cercavano di trasmetterle fiducia.
A un tratto arrivò un medico. Lunga falcata, volto rassicurante.
Come va la nostra paziente?
chiese.
Male
, rispose lei senza preamboli.
L’hanno colpita alla testa con violenza e ciò le ha procurato la perdita della memoria
, commentò il dottore.
È terribile!
esclamò lei tra rabbia e paura.
Ha vertigini o capogiri? Senso di nausea?
A volte. L’amnesia è permanente?
replicò ansiosa Rosalina.
Non le so rispondere. Dobbiamo prima farle tutte le analisi.
Lacrime copiose le rigarono il volto.
Il cervello umano è un organo complesso. Chissà. Tra un mese potrebbe ricordare ogni cosa
, disse l’uomo alla ragazza affranta, La paziente ha bisogno di riposare, per cui chiedo ai parenti di lasciare la stanza
, e si congedò con un cenno del capo.
Finalmente Rosalina rimase sola e nascose la testa sotto le lenzuola, come quando era bambina. Così si sentiva protetta dal mondo esterno. Avrebbe voluto sparire. Pensò che una volta uscita dall’ospedale avrebbe dovuto andare a vivere con coloro che dicevano di essere la sua famiglia. Peccato che lei non li conoscesse. Si mise nei loro panni e si chiese quanto soffrissero mamma e papà, il fidanzato e la sorella. Come si sentivano quei poveretti ad essere osservati da lei con sospetto?
Rosalina non sapeva cos’era successo quella sera maledetta. Si era ritrovata in mezzo alla campagna con la testa e le mani insanguinate. In un’auto giaceva un uomo con la testa fracassata.
Un contadino li aveva visti ed era corso a chiamare la polizia. La ragazza non sapeva cosa pensare. Chi aveva ucciso il poveretto? Forse lei? Non rammentava nulla.
La sorella Iris l’aveva rassicurata dicendole che era solo una vittima e nel caso avesse ucciso sarebbe stato esclusivamente per legittima difesa.
La madre le disse che era di indole mite, silenziosa, riflessiva.
Fidati Rosalina. Non saresti capace di fare male a una mosca.
A quanto aveva detto il suo ragazzo, quel pomeriggio avevano bisticciato e lui, per ripicca, era uscito con gli amici. Lei invece perché si trovava lì? Nessuno riusciva a spiegarselo, né tantomeno conosceva il defunto. La polizia disse che era un uomo sui quaranta, un onesto
cittadino, sposato con prole, con il vizio degli incontri galanti. Ogni tanto tradiva la moglie con ragazze sulla ventina, facendo leva sul fascino di uomo vissuto.
A Rosalina il quadretto non pare affatto edificante.
Dunque io sarei una delle tante giovani amanti del dentista Nicolò Loconte? Forse mi pagava, oppure mi regalava abiti firmati. Il solo pensiero mi fa rabbrividire. Provo un senso di nausea. Non può essere.
Il mio ragazzo dice che non sono quel tipo di persona. Mia sorella dice che indosso jeans strappati e maglioni colorati. Sono davvero cari. Le loro parole fanno bene al cuore. Il dubbio però è pressante. Chi sono veramente? Mi chiamo Rosalina Mingozzi, ho ventitré anni, frequento Scienze della Comunicazione. Questi però per me sono solo freddi dati anagrafici.
In realtà Rosalina non aveva detto ai genitori di aver lasciato il dentista di famiglia.
Astolfo Lunardelli era un tipo nervoso e la trattava come una ragazzina paurosa. Erano anni che non aveva più bisogno di cure, ma all’improvviso si trovò alle prese col dente del giudizio.
Si era rivolta a Nicolò Loconte, glielo aveva consigliato un’amica.
È bravo. Ha una mano leggera
, le aveva detto entusiasta Alicia.
Così Rosalina aveva preso appuntamento da lui. Era un uomo gentile, garbato e le risolse il problema. Si era recata in ambulatorio. Erano le diciotto e venti. La sua vecchia auto aveva fatto i capricci ma per fortuna, dopo un paio di tentativi era partita. Alle diciannove e trenta il dottore le aveva tolto il dente del giudizio. La ragazza era l’ultima paziente della giornata e, chiuso lo studio, l’uomo l’aveva accompagnata fino all’auto. La vecchia Micra di Rosalina Mingozzi però non diede segni di vita, così accettò il passaggio di Nicolò Loconte.
Qualcuno li aveva seguiti tenendosi a debita distanza. Aveva visto il medico fermare l’auto in un piazzale deserto e cominciare a ridere e scherzare con la paziente. Lei però era rossa per l’imbarazzo e cercò di chiarire la questione con fermezza.
Vede dottore, penso che lei abbia fatto un errore di valutazione. Io sono fidanzata con un bravo ragazzo da ormai un anno.
Davvero? Complimenti! Ma stavamo parlando di noi. Ricordi?
l’uomo si fece sempre più sdolcinato e ammiccante.
Allora non ha capito ciò che le ho detto!
esclamò adirata la giovane donna.
Il tuo fidanzato lo potrai vedere quando vuoi. Mica te lo porto via
, replicò l’uomo sghignazzando.
Per favore la smetta
, disse Rosalina impaurita.
La vita è breve, piccola mia. Sei bella e giovane, un bocciolo di rosa e io saprò insegnarti cose che tu nemmeno immagini.
Voglio scendere!
urlò la ragazza.
Non fare così
, commentò il medico.
Già. Non fare così
, disse una voce estranea.
L’uomo arrossì vistosamente e rimase a bocca aperta per lo stupore.
Si trovò di fronte ad Anna, la sua infermiera, la sua amante.
Le aveva promesso che avrebbe lasciato la moglie per lei, luce dei suoi occhi. Le solite storie che raccontano gli uomini sposati per prendere tempo. In realtà non aveva alcuna intenzione di lasciare la consorte e Anna, ventidue anni, se ne rese conto piano piano. Nicolò la stava prendendo in giro. Non era che un giocattolo nelle sue mani. Non sapeva però che ci fossero altre donne nella sua vita. Quel porco ci provava con tutte. Anna si sentì umiliata. Non poteva tollerare quella situazione, proprio non ce la faceva. Era fuori di sé.
Rosalina fu veloce a scendere dall’auto e si mise a correre nel buio. Anna però la colpì al capo con il cric della sua auto.
Cos’hai fatto?
urlò Nicolò sbiancando in volto. Ma la sua amante non aveva più freni inibitori. La rabbia aveva preso il sopravvento su tutto.
Sei un porco!
urlò Anna, Come ho fatto a crederti? Povera illusa!
Lui cercò di calmarla: Non è come credi. Aspetta. Parliamone
.
Lei però scosse la testa, come per allontanare sia lui che le sue subdole parole. Voleva mentirle ancora, anche di fronte all’evidenza.
La giovane inspirò profondamente, afferrò di nuovo il cric e colpì Loconte con violenza inaudita. L’uomo giaceva in un bagno di sangue.
L’assassina, presa dal panico, risalì sulla sua auto e corse a casa.
L’indomani rimase chiusa nel suo appartamento. Attese con ansia i notiziari. Rosalina era viva! Avrebbe raccontato ogni cosa alla polizia. L’infermiera era disperata. Il giornalista diceva però che la giovane era sotto shock a causa del forte colpo ricevuto. Forse non era in sé, forse in coma o sotto sedativi. Doveva accertarsene. La fretta s’impadronì di Anna, la cui mente allarmata aveva già cominciato a fare mille congetture.
Non posso rimanere qui un minuto di più. Certo, è rischioso, ma devo sapere in che condizioni è Rosalina. Devo agire al più presto, altrimenti finisco per impazzire. Devo essere cauta. Non mi riconosceranno. Basterà qualche piccolo accorgimento. Indosserò abiti anonimi: jeans, giacca a vento nera e scarpe da tennis. Sui capelli corti infilerò la parrucca bionda che usava mia madre usava durante la chemioterapia. Nessuno mi noterà.
Anna s’intrufolò velocemente nei lunghi corridoi dell’ospedale di Cona e poi sgattaiolò nella stanza di Rosalina. Lanciò un’occhiata veloce. Il suo sguardo