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Il conte e il giacobino
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Il conte e il giacobino

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About this ebook

L'intento di questo libro e far conoscere gli avvenimenti dell'epoca che, a seguito dell'arrivo in Piemonte dei canoni rivoluzionari francesi, mutarono sostanzialmente la vita della società nelle città cosi come nei piccoli paesi. L'introduzione dell'uguaglianza delle persone di fronte alla legge, il divorzio, l'adozione di un sistema fiscale basato sul reddito individuale e la possibilità di esprimere liberamente i propri convincimenti politici iniziarono quel processo che portò alcuni decenni dopo alla nascita delle democrazie liberali. E augurabile che, leggendo quest'opera e comprendendo a quali traversie dovettero sottoporsi i protagonisti per realizzare i propri convincimenti, il lettore ricavi uno stimolo per comprendere meglio e affrontare in modo meno rinunciatario le problematiche attuali.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateApr 16, 2019
ISBN9788831615273
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    Il conte e il giacobino - Livio Barengo

    633/1941.

    Presentazione

    Il romanzo è ambientato a Mazzè, in Canavese, alla fine del  XVIII secolo e i protagonisti sono realmente esistiti. Non si hanno notizie certe delle vicende raccontate, ma queste, essendo tracciate sulla falsariga di quanto conosciuto della personalità dei protagonisti, le rende verosimili. In estrema sintesi si raccontano fatti che molto probabilmente sono realmente avvenuti.

    Lo scopo è di far conoscere in modo scorrevole al lettore la storia del periodo napoleonico in Canavese,  un tempo di grandi sommovimenti sociali ed economici estremamente importante per comprendere l’attualità.

    Capitolo Primo

    In una mattinata d’autunno  tersa e  frizzante  solo  un lieve velo di foschia  gravava  ancora sui prati illuminati da poco dal sole,  mentre  in lontananza  mandrie di cavalli  al pascolo annunciavano la vicinanza della Mandria,  uno dei luoghi dove nasceva la cavalleria  del re di Sardegna.

    Una carrozza  con lo stemma verde oro dei conti Valperga  sulle porte,  trainata  da un paio di giumente dall’aspetto  appassito, avanzava lentamente sulla strada che conduceva alla grande masseria reale. A prima vista pareva  che  agli occupanti della carrozza non  interessasse giungere  a  destinazione,  tanto che le giumente  non andavano oltre uno  svogliato trotto. Nessun rumore, a parte lo zoccolio  dei cavalli e il cigolio delle ruote rompeva il silenzio, ma a un centinaio di trabucchi dalla tenuta  il  passeggero all’interno della carrozza esclamò ad alta voce:

    - Tonio! Fermiamoci alla Mandria, voglio  bere un goccio.

    - Molto volentieri,  signor conte, ne approfitterò anch’io -  rispose il cocchiere.  - Però se ci fermiamo  non arriverete in tempo a Chivasso per prendere  la diligenza diretta a Torino.

    - Non importa, voglio parlare con il nuovo comandante della Mandria. Se poi deciderò di andare alla capitale tu mi porterai  a destinazione.

    - Come volete, signor conte - confermò il cocchiere, aggiungendo dopo qualche secondo di silenzio: - Siete preoccupato di quanto accade a Parigi?

    - Mia caro Tonio, mi pare che il mondo stia andando alla rovescia - spiegò il passeggero sporgendosi dalla finestrella. - Spero che siano esagerazioni.

    - Perdonate, ma è vero che in Francia c’è la rivoluzione?

    - Sì, pare che i francesi vogliano creare un mondo nuovo.

    - Dio ci scampi,  bastano i guai di quello attuale! - esclamò  il postiglione incitando i cavalli -  Cosa credete che avverrà?

    - Non so, però sono sicuro che ne vedremo delle belle - borbottò il Valperga, quasi parlando a se stesso.

    In quel mentre la carrozza, valicato uno dei  portoni che si aprivano nella cinta esterna  della tenuta  entrò all’interno nella Mandria,  dirigendosi verso la fontana  che zampillava nel mezzo del vasto cortile,  dando così modo  ai cavalli  di abbeverarsi. A quella vista un ufficiale uscì dal portico che contornava  il piazzale e si diresse verso la carrozza:

    - Sono il tenente Grassi, signor conte. Vi do il mio benvenuto alla Mandria reale.

    - Vi ringrazio, tenente. Mi sono fermato perché  voglio bere un goccio e scambiare quattro chiacchiere con il vostro comandante  - rispose il nobiluomo, un giovane alto e dinoccolato vestito con ricercatezza dall’apparente età di  trent’anni,  scendendo agilmente dalla carrozza.

    - Come volete - assentì  l’ufficiale e poi, chiamato un soldato, ordinò: - Prenditi cura dei cavalli del signor conte e  porta la carrozza sulla strada per Chivasso.

    A quell’ordine il soldato salì in cassetta e occupò il posto di Tonio  già  sceso a terra da alcuni momenti  e, prese le briglie,  diresse la carrozza verso il  luogo indicato dall’ufficiale.

    - Tenente, sapete qual è la situazione a Torino? - chiese  il  nobile  avviandosi verso la taverna  che si indovinava sotto un androne del portico.

    - Si sentono le cose più incredibili - rispose  il giovane ufficiale. - Io non so a cosa credere, pare che in Francia  stia andando tutto  alla malora. Oltretutto si dice che anche in Savoia siano avvenuti disordini.

    - Questo non me lo aspettavo! - esclamò il nuovo arrivato.

    - E’ una notizia giunta  ieri - chiarì il tenente. - Probabilmente gli autori erano persone arrivate da oltre confine. Voi  pensate che  in Francia i rivoluzionari potrebbero proclamare la  repubblica?

    - Non so, ma se lo faranno significherebbe che è giunto l’anticristo in terra - rispose il conte entrando nel locale.

    La taverna della Mandria era un vasto ambiente semibuio che si apriva su un  lato del  porticato.  Il suo arredamento consisteva in un  banco di mescita a lato dell’entrata e dei tavoli  sparpagliati nella parte  più lontana.  Al fondo, oltre ad una scala che conduceva al piano superiore, un focolare ardeva in un camino addossato al muro, che oltre a  riscaldare  forniva  luce agli avventori seduti ai tavoli.

    -  Benvenuto signor conte! - esclamò l’oste, un uomo tracagnotto seduto dietro al bancone, chiaramente un veterano dell’esercito sabaudo,  quando scorse il Valperga. - Sono molto onorato dalla vostra presenza, come posso servirvi? 

    - Tu sai quanto sia esile il mio desiderio di bere un bicchiere di quello che tu definisci vino, ma visto che non c’è altro,  portaci del Greco - ordinò il nobile accomodandosi ad un tavolo poco lontano dal  camino e facendo cenno al suo cocchiere di fare altrettanto.

    Un tavolo poco distante  era occupato da due giovanotti vestiti con una certa cura che parlottavano tra loro in francese,  il che non stupiva affatto come  sarebbe avvenuto se avessero parlato in italiano. Il conte non aveva  fatto caso ai due ma uno di loro, dopo aver guardato lungamente  il nuovo arrivato e  parlottato concitatamente con l’altro, si alzò e, avvicinatosi, chiese:

    - Perdonate l’ardire, voi siete il conte Francesco Valperga?

    Ricevuto un cenno di assenso, lo sconosciuto, un giovane sui venticinque anni non molto alto ma di bell’aspetto  e dall’aria sveglia, si accinse a spiegare:- Scusate  se mi presento,  signor conte,  io sono  Luigi Valle,  figlio di Antonio Valle che certamente conoscete.  Il mio amico e collega  Robert  Quislain  ed io  siamo in viaggio per raggiungere  mio padre.

    - Quindi voi siete figlio di Antonio - rispose il nobile. - Conosco bene vostro padre, ma non sapevo avesse un figlio.

    - Io sono cresciuto a Lione con mia madre - chiarì il giovane. - Questa è prima volta che vengo in Piemonte.

    - Ora ricordo  che  vostra madre tornò in Francia pochi mesi dopo il matrimonio, mentre  vostro padre preferì rimanere nel paese dove aveva le sue proprietà - spiegò  con un certo imbarazzo il Valperga.

    - Esattamente. Io nacqui a Lione e sono sempre vissuto in quella città  - chiarì  il giovane.

    - Ma come mai chiamate il vostro amico anche collega?

    -  Perché siamo tutti e due laureati  in legge  alla Sorbona - spiegò Luigi Valle sorridendo.

    - Ottimo! - esclamò  il Valperga. -  Vostro padre sarà certamente felice del vostro arrivo.

    - Francamente ne dubito - fu la risposta - In tutti questi anni è venuto solo due volte in Francia  per motivi d’affari,  e quasi non mi conosce.

    - Vostro padre è un uomo timorato di Dio e credo che sarete certamente il benvenuto - auspicò il nobile. - Ad ogni modo se rimarrete a lungo  vi prego di salire  al castello assieme al vostro amico, vorrei parlare  con voi  della situazione creatasi a Parigi - Il giovane comprese che questo era  un modo  educato per porre termine alla conversazione e  quindi, assicurata  l’adesione all’invito, salutò e  se ne tornò al tavolo dove riprese a parlottare con l’amico.

    - Ecco mezza pinta del miglior Greco come avete ordinato, signor conte! -dichiarò in quel momento  l’oste posando due bicchieri e una caraffa sul tavolo, dopo averlo spazzato con una tovaglia dall’aspetto  abbastanza ambiguo.

    - Dipende da quanto lo hai annacquato - rispose prontamente Tonio.

    - Tu non apprezzi la mia onestà! - esclamò di rimando il malcapitato oste dimostrando un  finto sdegno ma poi, rivolgendosi al conte: - Il tenente  Grassi mi ha detto di avvertirvi che il capitano  Vallino arriverà  a momenti.

    - Bene - concluse il nobile. - Adesso vediamo quanto vera è la tua onestà.

    Sentito il ragionamento,  Tonio  versò  un mezzo bicchiere di vino prima al conte  poi  a sé.  Dopo aver bevuto e riposti  i bicchieri sul tavolo i due,  non riuscendo  a valutare se effettivamente  l’oste  avesse  annacquato  il vino, assunsero un’espressione a mezzo tra lo stupore e l’incredulità.  Infine  il Valperga esclamò:

    - Meglio del solito!

    - Non di molto, signor conte - concluse Tonio posando il bicchiere.

    Al nobile evidentemente  premeva  altro, perché sottovoce domandò al  cocchiere:

    - Tu sai perché la madre di quel giovanotto tornò in Francia subito dopo essersi sposata?

    - Perdonate signor conte,  non ricordavo  che voi avete poco più  dell’età  di quel giovane! - esclamò Tonio  abbassando a sua volta la voce. - Io allora ero un ragazzo ma mi ricordo che fu uno scandalo terribile, tanto da coinvolgere anche vostro padre.

    - Addirittura!

    - La madre di quel giovanotto era figlia di un  ricco mercante di seta di Lione che tutti gli anni giungeva in paese  per comprare  seta grezza  - raccontò Tonio.  -  Mi pare che la ragazza si chiamasse Angelique, mentre da parte sua Antonio Valle era uno scapolo impenitente  e uno dei migliori fornitori del padre. 

    - Ma come mai decisero di  sposarsi?

    - Un anno, forse a causa delle sue cattive condizioni di salute,  il mercante arrivò accompagnato dalla figlia - riprese  il cocchiere. -  A quel tempo Antonio Valle  era un ricco uomo  di mezza età, e nell’occasione ospitò per più di un mese il mercante e la figlia a casa sua.  In quel lasso di tempo i  due si piacquero  e  si sposarono.

    - Ma poi cosa avvenne?

    - Lei rimase incinta ma verso la fine della gravidanza ruppe con il marito e se ne tornò in Francia. Non la si rivide più in paese - aggiunse Tonio.

    -  Ma quale fu il motivo di un gesto simile? -  domandò il conte incuriosito - Per provocare un simile sconquasso doveva essere una cosa ben grave.

    - Non si seppe mai di certo - spiegò il cocchiere. - Ricordo che anche vostro padre cercò di riportare la pace tra i due, ma fu tutto inutile.  Angelique se ne andò senza ascoltare ragione.

    - Conoscendo il paese non è possibile che la causa della separazione non si sia mai saputa! - esclamò il Valperga poco convinto.

    - Posso solo riportarle delle maldicenze, signor conte  - spiegò allora Tonio. -  Il fatto che il  Valle non si fosse ancora sposato sino allora aveva dato luogo a dei pettegolezzi  nei paesani, e nell’occasione  si disse  che la moglie  scoprì che il marito aveva una relazione con un giovane del luogo e alla sua richiesta di troncarla  avesse opposto un rifiuto.

    - Incredibile! - esclamò il nobile stupito. - Non lo avrei mai detto, ma se le cose stavano così non si può certamente dar torto a quella donna per essersene andata.

    - Assolutamente - confermò il cocchiere. - Forse un’italiana avrebbe potuto accettare la situazione, ma la francese era ricca di suo, fece baracca e burattini e se ne tornò a Lione. Il Valle restò solo e, che io sappia, non gli è mai più stata attribuita una relazione con una donna.

    La conversazione non andò oltre perché il quel momento comparve alla porta della locanda un ufficiale dell’esercito sardo.  Il graduato aveva già una certa età ma era ancora una figura imponente nella divisa di capitano dell’armata reale, tanto da infondere un certo timore negli avventori. Dopo un attimo di indecisione il militare si diresse verso il  tavolo del conte:

    - Il signor conte Francesco Valperga, immagino?  - Al cenno di assenso del nobile l’ufficiale proseguì:  - Sono il capitano Francesco Vallino, comandante della Mandria reale, sono felice di fare la vostra conoscenza.

    - Ne sono altrettanto lieto anch’io, capitano - dichiarò a sua volta il nobile.

    - Il tenente Grassi mi ha detto che volevate parlarmi.

    - E vero, ma sedetevi, capitano, Tonio provvederà per un altro bicchiere.

    Udito l’ordine Tonio si alzò, andò al banco di mescita, prese un bicchiere e lo  portò  al tavolo versando  del vino al militare, dopo di che tornò  al banco a chiacchierare  con l’oste.

    - Sbaglio, o voi non siete un ufficiale di cavalleria? - chiese il conte notando le mostrine esposte sulla divisa del capitano.

    - Io sono un topografo arruolatosi  nell’armata reale, signor conte.  Ho fatto carriera in artiglieria alle dipendenze del  generale cavaliere Spirito Nicolis  di Robilant - spiegò il Vallino togliendosi il cappello e posandolo sul tavolo accanto alla brocca. - Ora sono prossimo alla pensione e sono  stato assegnato a questo incarico.

    - Questa è la prima volta che venite in Canavese?

    - No - rispose il militare. - Ero stato da queste parti una trentina di anni fa, quando re Carlo Emanuele III volle sincerarsi se era possibile riprendere  la ricerca dell’oro nei lavaggi auriferi sfruttati in antico. Allora tutta la  zona  era una baraggia brulla priva d’acqua, ora la costruzione del canale della Mandria le ha fatto cambiare volto.

    - Mi ricordo che mio padre parlò di queste ricerche, ma mi pare che  poi non se ne fece nulla  - ricordò  il Valperga.

    - Io avevo certificato che era possibile riprendere i lavori e lo stesso fece

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