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Omicidi, amori e dissapori
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Ebook272 pages3 hours

Omicidi, amori e dissapori

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About this ebook

Tradimenti, inganni, omicidi, amore, follia, mistero, e molto altro ancora.

Un susseguirsi di emozioni che caratterizzano questi sedici racconti da leggere tutti d'un fiato. Creati dalle fantasie di otto menti differenti, per assicurare una buona lettura scorrevole.

"Omicidi, amori e dissapori", una raccolta da non perdere.

Immergetevi in queste storie con tinte di giallo e rosso, rosso come l'amore ma anche come il sangue.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateApr 16, 2019
ISBN9788831616294
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    Omicidi, amori e dissapori - Silvia Garioni

    633/1941.

    INTRODUZIONE

    Autori per caso

    Un saluto speciale a te che stai leggendo, il mio nome è Elisabetta Reali sono una ex docente di lettere e ora felicemente in pensione.

      Trasferitami anni fa dalla caotica Milano in questo piccolo e tranquillo paese di nome Gropello Cairoli, scrivo nel presente contesto con lo scopo di presentarti i miei cari allievi del gruppo di scrittura.

      La professoressa che è in me non ne vuol sapere di ritirarsi completamente dalla professione, e quindi da un anno a questa parte ha trovato un compromesso tra il godersi il tempo libero, che ora le è concesso, e il fare ciò che le è sempre piaciuto: insegnare.

      Ero in cerca di un posto dove poter avviare un corso di scrittura, in quanto oltre ad essere stata professoressa di lettere ho anche pubblicato diversi romanzi con editori di media e grande importanza. Volevo trasmettere questa passione ad altre persone e condividere la mia conoscenza nel campo della scrittura, aiutare aspiranti scrittori a esprimere su carta i loro pensieri e farli conoscere al mondo. Io quel posto l’ho trovato nella biblioteca Sala Cantoni proprio qui a Gropello Cairoli, il paese dove ora vivo.

      Otto persone hanno aderito a questa mia iniziativa, e le osservo: gente che prima di trovarsi iscritta a questo corso neanche si conosceva, e vedo come da subito, in armonia, si è formato un gruppo solido alimentato dalla stessa passione in un crescendo di amicizia e voglia di scrivere. Nessuno di loro ha mai fatto questo di professione: è una passione che nasce dal cuore e dalla fantasia, dalla voglia di mettersi in gioco e sfidare le proprie abilità creative, ognuno con il suo stile e la propria predilezione nei diversi campi; c’è chi preferisce scrivere thriller e noir, chi invece narrativa e qualcuno ama anche il genere fantasy. Otto menti completamente diverse, otto scrittori riuniti per caso sotto un nome che mai fu così appropriato, loro, infatti, sono gli Autori per caso.

      I racconti di questa raccolta sono introdotti da alcune immagini, e alla fine dell’opera vi sono delle brevi biografie per presentarti questi autori: Ivano, Giovanna, Silvia, Marco, Laura, Antonio, Giuseppe e Carlo.

      Gli autori ti augurano una buona lettura… ma non io. E sai perché non mi è concesso farlo? Non sono impazzita, semplicemente non posso perché non esisto.

      Elisabetta Reali è un nome e un personaggio inventato, sono nata fra queste pagine come voce narrante per questa introduzione, frutto della fantasia di questi autori mi esprimo semplicemente per presentarti il loro operato, per dare un senso ai loro racconti così diversi ma legati dalla stessa medesima passione per l’arte della scrittura.

      Ci tengo però a sottolineare che gli otto autori e la fantastica biblioteca di Gropello Cairoli che ha permesso i corsi di scrittura e ha dato l’opportunità di far vivere queste pagine sono, a differenza mia, tutti davvero reali. Loro esistono per davvero e, così come è tangibile e vero questo libro fra le tue mani, lo è anche il gruppo di queste otto menti.

      Grazie lettore per aver scelto questo libro, buona lettura!

    Con simpatia, da tutti gli Autori per caso.

    Antonio Falcone

    Il velo

          Alle dieci e dieci di mattina faceva già un gran caldo a quella latitudine e il cielo opaco aveva la consistenza di un velo che pesava su uomini e cose mentre tutt'intorno aleggiava un silenzio ottuso. D’improvviso un boato cupo e vetri in frantumi e luce bianca intensa, abbagliante. E suoni lunghi, acuti e lamenti e grida. E formiche, lente, inesorabili in fila…

        Purtroppo non sono riuscita a prenotare il Riad La Ville, comunque ho trovato una sistemazione eccellente: scenderà all'Hotel Palace che, mi hanno assicurato, offre tutti i comfort e si trova a meno di trecento metri da Piazza JemaaelFna: una passeggiata per lei, professore. D’altronde si tratta di una sistemazione provvisoria, entro una settimana i colleghi mi hanno garantito che sarà ospite del loro collegio universitario.

    Era la voce di Ilde Marta Crespi, la sua segretaria che in pochi anni gli aveva completamente cambiato la vita, non solo quella di docente. Attenta, cordiale, discreta ed efficiente, una capacità e prontezza professionale così evidente che una volta, ad una seduta del Senato accademico Pio Zetti, collega di matematica, gli aveva detto: A te, caro mio, al Rettorato non ti ci porteranno le pubblicazioni ma Ilde Marta Crespi.

    Quarantacinque anni coniugati con fascino e sobria eleganza portava con malcelato orgoglio in giro per i luminosi corridoi dell'università, due superbe labbra e due natiche spudorate. Un corpo da reato con un cervello raffinato sosteneva Zetti. E snob, aggiungeva lui. Professore, lei scenderà all'Hotel Palace. Scenderà: roba da Humprey Bogart e Ingrid Bergman nel film Casablanca! Però aveva organizzato tutto, perfino il taxi all'arrivo e la scheda telefonica locale per non fargli spendere troppo in chiamate interne ed internazionali.

    L'aveva vista quindici anni prima quando era andato a ritirare il grosso tubo di cartone dentro il quale era arrotolato l'attestato di laurea e lei, sorridendo al di là del bancone, gli aveva detto: Complimenti, dottore. Mi permetto di fare un augurio che in genere faccio a tutti: chissà, magari un giorno tornerà a trovarci.

    E perché mai? Ci sto così bene nel mio ufficio, figurati un po' se vengo qui a smistare carte o fare il bidello e pulire lavagne in qualche vecchia aula universitaria si disse mentre, osservando quelle splendide labbra, soppesava orgoglioso il frutto di quattro anni di sacrifici e notti brevi.

    Ma Daniele Carlo Alberto Finver non aveva fatto i conti con la sua innata irrequietezza mentale che si era manifestata con una intuizione: ogni giorno, dopo l'incontro con colleghi e capo, ciascuno alla propria scrivania cercava la soluzione ad un problema che quasi mai si riusciva a trovare se non ad alcune  condizioni: il problema doveva essere ben formulato ed altrettanto ben definito, in altre parole non dovevano esservi elementi di incertezza.

    Se ciò è vero, pensava, la questione non è quella di risolvere il problema ma, piuttosto, porlo con chiarezza e lucidità perché, ogni problema, per esser tale, da qualche parte deve contenere la soluzione. Prese così forma la sua idea della piramide della conoscenza, come l'avrebbe definita un giorno: lassù in alto, solo, superbo ammirato e osannato il genio, l'ingegnere, lo scienziato, colui il quale risolve problemi per semplificare la vita ai più, quaggiù, sotto il peso di un mondo spesso oscuro, le menti che con discrezione e perseveranza si interrogano sulla vita e sul suo significato ultimo: i maestri del pensiero, i filosofi che, da sempre, i problemi all'umanità li hanno proposti confondendone subdolamente l'esistenza.

    Trascorsero ancora alcuni mesi finché stanco di risolvere problemi, non decise che da allora avrebbe cercato di proporne di nuovi, di problemi, così si presentò allo stesso ufficio, attese che l'impiegata dalle labbra rosse fosse libera e le disse:

    Buongiorno, come vede sono tornato, posso consegnare a lei la domanda per l'incarico di assistente presso la facoltà di filosofia? Lei pose due o tre timbri su moduli e documenti, e con lo stesso sorriso di allora ripeté:

    Complimenti dottore. Bentornato.

    E tornò, ma non bidello con lo spolverino nero sfumato dal gesso bianco scivolato dalle lavagne, ci tornò indossando un abito grigio a sottili righe, camicia azzurra e cravatta ben stretta intorno al colletto, dapprima a fare colloqui con le matricole, poi a curare seminari ed infine a tenere lezione a decine di studenti che lo ascoltavano in silenzio incantati dalle sue parole e dal suo fascino. Raramente seduto dietro la cattedra girava fra i banchi senza mai mettere le mani in tasca; di tanto in tanto si soffermava di fronte ad uno di loro e, ben lontano dal seguire il filo del discorso, chiedeva d’improvviso: Mi scusi, sono io frutto della sua realtà o lo è lei delle mie percezioni? oppure Lei crede nella vita prima della morte? e ancora È l'albero a crescere o sono le radici a cercare la luce? e, Preferisce coscienza o conoscenza?

    Portamento altero, garbato ma sfrontato, si divertiva a guardare le loro bocche socchiuse, gli sguardi persi in una ammirazione senza limiti mentre instillava dubbi che andavano a scavare sotto le fondamenta traballanti delle loro, poche, sicurezze. Gli si affidavano certi che lui fosse il maestro, la guida delle loro giovani vite, l'uomo della rivelazione: una vera manna per il suo io smisurato e incontenibile sempre in cerca di esaltazione!

    Sei insopportabile, non c'è spazio nella tua vita per gli altri, troppo ingombrante è il tuo ego, incombe su tutto e tutti, prima di te arriva il tuo io gli aveva urlato un giorno una delle innumerevoli prede finite nella trappola del suo fascino.

    Splendido: neppure io sarei stato capace di una definizione così sottile. D'altronde cosa vuoi che ci faccia? Me la prendo con mia madre o con madre natura per avermi fatto così degno di tutta la mia autostima? Lontano dalla mediocrità, intelligente, bello, neanche troppo di sfuggita, e irresistibile sarei un ingrato se non fossi un megalomane, non ti pare?, aveva risposto sorridendo.

    Tu non sei solo un megalomane, sei uno spudorato narcisista, anzi sei la reincarnazione di Narciso, lo faresti impallidire se potesse conoscerti!

    Tesoro - le disse baciandola - mi sottovaluti. Sono meglio di lui: io so nuotare!

    Vero, a volte esagerava, se ne rendeva conto, ma era anche grazie a questa fede ed ammirazione senza limiti in se stesso e nelle sue capacità che a quaranta anni era già titolare della cattedra di etica e preside di facoltà presso una delle più prestigiose e antiche università del paese e sedeva sugli scranni del senato accademico certo che alle prossime elezioni ne sarebbe stato proclamato Magnifico Rettore.

    Quella mattina, spostando il vasetto della crema da barba, vide una lunga fila di formiche che, marciando sullo spigolo dello specchio, sparivano dentro una fessura dietro il lavandino. Le scacciò col pennello provando un pesante fastidio, ma l'immagine dei capelli rossi di lei che si rifletteva nello specchio, la peluria appena visibile ma così invitante, gli fecero dimenticare quei piccoli insetti e la loro cupa marcia.

    L'alloggio del collegio riservato ai docenti, caldo e accogliente, le finestre alte dominate da una coppia di torri squadrate e imponenti, le rosse tegole dei tetti sottostanti gli resero impossibile allontanare quella femmina che traboccava voluttà per cui, nonostante l’ufficio fosse distante solo poche centinaia di passi, quando aprì la porta dello studio  un vago timore si impossessò di lui, certo che la segretaria fosse già lì ad attenderlo con impazienza.

    Il professore ricorderà, ne sono sicura, che oggi comincia la sessione di esami ed essendo il corso di etica il più numeroso della facoltà sarà una vera e propria lotta contro il tempo. Ricorda, nevvero? L'aula trabocca di giovani che non vedono l'ora di farsi strapazzare da lei, sa?

    Beh, sarà un quarto d’ora accademico un poco più lungo – disse imbarazzato. Comunque Ilde, lei sa quanta ammirazione io provi per lei e a quante porte abbia bussato per avere la segretaria più efficiente ed affascinante di sempre, ma la prego non concluda ogni frase con una domanda, mi mette ansia, soggezione.

    Mi scusi professore da oggi cercherò di non farlo più. Si fida di me, vero?

    Oh Ilde... Comunque, considerato che sono in ritardo e non credo di avere riordinato per bene le idee o di avere tutta la cartaccia con me, venga in aula di tanto in tanto a controllare che tutto proceda per il meglio. Non le spiace, vero?

    Ci conti professore.

    Entrare in quell'aula ad anfiteatro non era solo un'emozione, era la consapevolezza della storia profonda degli uomini, il predominio del sapere e della dialettica, la passione per la conoscenza. Nel corso dei secoli chissà quanti altri maestri si sono seduti su questi banchi di legno scuro e prezioso come le parole che aleggiano nell'aria, gli venne da pensare.

    I due assistenti lo accolsero con entusiasmo, gli studenti si alzarono e attesero che lui prendesse posto alla scrivania centrale. Prego siedano, vorrei solo rammentare che l'esame che stanno per sostenere non si concluderà con un semplice numero, un voto ma, piuttosto, se saranno capaci di cogliere il senso dello studio compiuto, con una ricompensa, un premio per essere riusciti ad ottenere un dubbio in cambio di una risposta che poi, se ne rammentino, è lo scopo ultimo della filosofia. Mentre tornavano a sedersi nel silenzio che si impadroniva dell'aula, come sempre mosse lo sguardo attento e curioso fissando negli occhi ciascuno. Timidi, spaventati, nervosi, giacche, cravatte, magliette colorate, sguardi che evitano il contatto, labbra che mordicchiano mani, mani che agitano capelli, dita che tamburellano, tutto già visto tranne un velo color albicocca intorno ad una massa di capelli neri che, quella mattina, faceva eccezione.

    Si soffermò a guardare la figura con il velo di seta che circoscriveva un viso dalla carnagione bruna, le labbra sinuose segnate da un leggero tratto di matita, come gli occhi che splendevano vivaci. Quando lei si avvide che la stava osservando, mise la punta delle dita davanti alle labbra per coprirle e calò leggermente il velo sulla fronte.

    Cominciarono gli esami e, come sempre, Kant, Hegel, Plotino, cos'è la morale, cos'è antietico; venti, ventinove, ritorni la prossima sessione, professore se è d'accordo per questo giovanotto proporrei la lode, se fossi in lei cambierei facoltà e così via. Finché non giunse il momento della ragazza con il velo che era stata chiamata da Francesco Ciacci il  ricercatore più severo.

    Lasci Dottor Ciacci, la signorina l'ascolto io, se ha la compiacenza di attendere.

    Lei assentì discretamente facendo muovere un poco il velo ed attese finché il professor Finver non le fece cenno di accomodarsi.

    Ora così da vicino poteva percepire la freschezza della pelle, il soffio dei capelli neri lucidi e sottili e gli occhi profondi come un abisso. Un cenno di sorriso le fece scoprire il bianco della corona di denti mentre spingeva il libretto con le dita lunghe ed agili. Lui lo lesse con attenzione e disse:

    Complimenti signorina Layla, non tanto per le votazioni davvero eccelse, quanto per avere avuto la fortuna di essere nata in una delle più belle città imperiali del Marocco.

    Grazie professore, è vero Marrakech è la più bella e grandiosa città imperiale dell'intero continente africano rispose con orgoglio e un tono di voce morbido e caldo dal quale emergeva una deliziosa asperità gutturale.

    Concordo. Ma ora parliamo di etica che, come sa, è alla base dell’umana società con una domanda di fondamentale importanza: chi è calvo?

    Non v'era sessione d'esame in cui almeno ad un malcapitato non ponesse quella domanda alla quale il poveraccio, completamente impreparato e disorientato, rispondeva goffamente: Beh, una persona senza capelli. Direi di sì. E se ha un solo capello?. È ancora calvo., ...e due, e tre e qual è il numero massimo di capelli per cui un calvo non sia più considerato calvo?. Era la domanda propedeutica al concetto di "communisopinio" nei rapporti sociali  che gettava lo studente nello sconforto totale dal quale,  il più delle volte, ne veniva fuori con  un voto mediocre.

    Lei cercò di nascondere dietro il velo una nera ciocca di capelli che volteggiava sulla fronte e disse:

    Vuole che risponda secondo i miei studi o secondo il sentire comune?

    Lui la guardò stupito e rimase in silenzio mentre i loro sguardi si scrutarono per un breve tempo ben al di là delle pupille fino a quando, sporgendosi appena verso di lei, disse:

    Non importa, lei sa di aver già dato la risposta che attendevo. Mi parli piuttosto di….

    Layla inizia a parlare ma lui perde completamente il filo del discorso, guarda le sue mani muoversi delicatamente, agitare l'aria con dita lunghe mentre il velo ora si è allentato scoprendo il collo simile ad una piccola colonna levigata e i capelli, quasi completamente scoperti, accompagnano il movimento del viso bruno, bruno come la penombra dei vicoli dei souk.

    Hem... Professore, ha bisogno di qualcosa? Ha trovato tutti i documenti?

    Certo Ilde, tutto in ordine grazie, anzi se dovesse andare per le lunghe vada pure credo di riuscire a cavarmela da solo. Non le pare?  rispose senza nemmeno guardarla tanto che Ilde rimase sorpresa da una risposta così distratta. Come sempre gli sorrise cordialmente e tornò in ufficio lasciando che la ragazza riprendesse.

    …ma non solo Immanuel Kant dovette difendere a denti stretti la sua idea di etica, egli fu…

    Bene, molto bene, signorina. Credo di potere concordare con lei quasi su tutto e dato che non devo chiedere a nessuno direi che ha superato l’esame con lode disse ormai completamente ammaliato.

    Lei si alzò, riprese il nodo del velo, gli rivolse un sorriso ringraziando e fece per tornare a posto ma un leggero colpo di tosse la fermò: il professore si era alzato in piedi per stringerle la mano.

    Alla prossima, Layla.

    Inch'Allah, professore.

    Quando tornò nel suo studio la segretaria stava per uscire ma rimase in attesa.

    Vada, vada pure, Ilde. È stata una mattinata molto intensa, metto a posto io il registro e le schede. Ah, dove sono le schede degli studenti?

    Di là professore, sono divise per sesso. Quelle delle ragazze sono nel cassetto di sinistra.

    Le rivolse un sorriso imbarazzato e mentre lei usciva prese a far scorrere le schede con una strana agitazione: LaylaKamas, nata a Marrakech, iscritta al quarto anno, tesi assegnata dalla docente di epistemologia sulla infinita conoscenza del divino.

    Mentre rifletteva udì il carillon della torretta dell'Istituto battere le tredici e decise che probabilmente una passeggiata lo avrebbe distratto. Il cielo durante la mattinata si era gonfiato di nuvole grigie che si muovevano pigre ed una pioggia leggera aveva reso lucidi i grandi lastroni che scivolavano sotto i possenti platani a contorno della piazza. Sull’ombrello rimbalzavano gocce e nella sua mente i pensieri presero la forma di un volto, di un color albicocca, di due occhi neri e dita che veleggiavano nell'aria, finché non giunse di fronte ad un piccolo ristorante.

    Professore buongiorno, che fortuna! É arrivato in tempo per assaggiare la nostra ultima porzione di torta salata alla...

    No grazie, Carlo. Preferisco un panino, scelga lei quale, e un bicchiere d'acqua. Ah, mi metto là in fondo vicino alla finestra.

    Siamo malinconici, oggi eh!

    Perché no di tanto in tanto. Perché no?

    S’accorse di aver finito di mangiare quando il ragazzo gli chiese se poteva portare il caffè che bevve intravvedendo appena, oltre le tendine, il possente rosone di terracotta della cattedrale che dominava la piazza. Quando uscì, infatti, la pioggia si era trasformata in vapore, una soffusa foschia copriva i vicoli e dalle facciate delle abitazioni rare finestre occhieggiavano di luce.

    Camminando lungo un vicolo giunse sul sagrato di una delle chiese più antiche della città proprio mentre da una porta laterale uscivano due donne col capo coperto.

    Chissà, pensò, quante anime sono entrate ed uscite da quell’uscio per impetrare perdono o implorare grazie e quante invece ci sono passate solo per il piacere di stare accanto al divino. Quelle considerazioni però svanirono quasi subito perché la sua attenzione venne attratta da uno strano grumo grigio posato su un mattone che sporgeva. Avvicinandosi distinse nettamente una palla di mollica intorno alla quale una lunga scia nera brulicante di formiche faticava per  rimpolpare la dispensa invernale. Ancora formiche! Chissà dove vanno si chiese e decise di seguire il loro cammino che, attraverso una fenditura scavata fra i mattoni ruvidi, finiva all'interno della chiesa.

    Il portone si aprì lentamente spalancandosi sulla navata centrale in fondo alla quale una scala di piastrelle grigie conduceva verso l'altare maggiore sovrastato da un crocifisso ligneo sospeso.

    Dalla cripta giungeva il suono appena percettibile di un organo

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